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Autore: kurojulia_    12/07/2018    2 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che gli occhi della sua mente leggevano all'istante – fulgido.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01.

La figura dagli occhi rubino sollevò lo sguardo verso la volta notturna, puntellata da fulgide stelle, sorridendo appena. Le stelle. Adoravano splendere, manifestare tutta la loro imponenza, la loro grandezza in confronto ai microscopici esseri umani.

Ma, quella persona, aveva ben altro da fare che stare a rimirare gli astri celesti. Abbassò la testa, dando una fredda occhiata al corpo accasciato contro i mattoni dell'edificio, ormai esanime già da qualche minuto; una donna – il cui mestiere non andrebbe detto in giro – dai lunghi capelli biondi, impiastricciati dal rosso scarlatto del suo stesso sangue. Il collo, il petto prosperoso e i vestiti si erano sporcati allo stesso modo. Quell'odore veniva definito come abominevole.

Ma lui non la pensava affatto così e gli incavi sul collo di quel cadavere ne erano la prova. Adorava quell'odore nauseabondo, ferroso e acre. Il modo in cui impregnava l'aria.

Adorava il pensiero, la consapevolezza – che era opera sua se quella donna non era più in vita. Perché era in grado di strappare una vita con una facilità spaventosa. Allora guardò ancora il cielo, insaziabile, mentre s'incamminava per uscire dalla stretta stradina e infilarsi nelle tenebre di quella cupa cittadina – mentre i suoi occhi brillavano voracemente.


 

 

***


 

 

Come si potrebbe dire?


 

Lei era una persona un po' particolare, leggermente al di là degli schemi, molto e troppo fastidiosa, per certi versi, agli occhi delle persone che vivevano in quel paese immerso in un rigoglioso verde; non è che il termine "particolare" fosse per forza un giudizio negativo, - una critica -, e si potrebbe dire che nemmeno "fastidiosa" lo fosse poi così tanto.

Erano solo delle prerogative di Yuki Akawa.

Il problema con lei era che, sfortunatamente, era di una bellezza tale da credere fosse una bambola; aveva un paio di ambre incastonate, alla sinistra e alla destra del naso sottile, circondato dalle esangui guance, dove in basso, vicino al mento, c'erano labbra di un rosa chiaro ferme in una linea indistruttibile. I capelli albini sciolti sulla schiena come un quieto mare di neve che, ad ogni suo passo, ondeggiava piano piano, accompagnandola fedelmente. Non era bassa, ma neanche alta: era una via di mezzo che ripagava con uno sguardo truce.

Perché sì, era così, aveva uno sguardo truce. Non che lo avesse in tutte le occasioni, non era certo il suo marchio di fabbrica; ma doveva ammetterlo, con tutta l'onestà che riusciva a carpire da se stessa, provava una certa gioia ad aprire per bene gli occhi - la cui forma era a mandorla - e ad aggrottare le sopracciglia chiare, stringere la bocca e restare in un tetro silenzio.

 

Ma Yuki Akawa non era solo fastidiosa, truce e bella: era anche sola, eccezione fatta per la sua migliore amica. E sapete com'è... le persone si acchiappano a vicenda. E loro, in un certo senso, l'avevano effettivamente fatto.

Yuki adorava la sua personalità; lei era spumeggiante, come un drink alla frutta con un segreto retrogusto alcolico, il tutto mescolato e servito con un sorriso, un leggero ma intraprendente sorriso. Era minuta, dagli occhi azzurri e luminosi e le labbra carnose, i capelli che ricordavano i petali del fiore di ciliegio - rosa, di un delicato e tenue rosa.

L'albina faceva un sorriso, divertito, quando la coglieva nei suoi atteggiamenti, ed ogni tanto le diceva: «Non posso dirmi felice di essere qui, ma di certo, fra le opzioni, è il posto migliore in cui stare», già, giusto.

Sayumi Ichinomiya, in risposta, aggrottava la fronte. «Adesso non esagerare con le lusinghe».

 

Bisognerebbe menzionare un dato della personalità poco socievole di Yuki Akawa, - cosa che non accadeva con Sayumi Ichinomiya, detta "Yumi", in quanto pareva che il suo nome fosse troppo lungo da pronunciare per l'albina: era in grado di provare uno sconfinato odio per le cose più banali. Ad esempio, il rumore; i pettegolezzi; le chiacchiere insulse, in generale; il sudore; gli adolescenti, sebbene lei stessa lo fosse - nel pieno, fra l'altro; la benzina; gli insetti; le lumache, etc, etc.

Ultimamente, fra tutte queste, la sua classe aveva raggiunto il podio, piuttosto in fretta. Scalando coraggiosamente gli insetti e le lumache, si prestava verso l'alto, come se volesse raggiungere l'Olimpo.

«Eccola qui, la Principessina. Chissà che si strozzi con quella lingua velenosa».

«La Frigida. Rimarrà sola a vita».

«Oh, chiudete quelle fogne, prima che ve le riempia di cocci di vetro», aveva risposto Yuki, lasciando cadere un profondo e ostile silenzio fra i banchi. Sayumi rise di gusto, assaporando ogni singolo deglutire di quella gente - si sperava solo che il fastidio che servivano fosse solo il frutto di una spropositata noia.

«Adoro entrare in classe con te», disse, ridacchiando ancora. «Te l'avevo mai detto?».

«No, ancora no: questa me la sono persa. Accidenti».


 

La “Principessa di ghiaccio”, la “Frigida”, e via discorrendo. Ormai non ci faceva più caso e aveva perso anche il conto dei nomi. Dopo un po', la cosa non la faceva nemmeno indispettire, specialmente perché non aveva fatto nulla per interrompere le loro vite.

Ma letteralmente.

Era arrivata in quella scuola l'anno prima, qualche mese dopo l'inizio; non era mai stata una persona agitata, era raro che provasse ansia o nervosismo, ma doveva ammettere di essersi sentita un po' emozionata. Non voleva fare amicizia, non era lì per provare bellissime sensazioni in compagnia di ragazzini con gli ormoni alle stelle e la testa fra le nuvole. No, decisamente no: era lì per qualcosa di più importante. Quindi, non le sarebbe stato di nessun aiuto fare conoscenza con quelle persone – e non l'aveva fatto, proprio per niente, nemmeno per sbaglio.


 

«Ah, a proposito; stasera vieni con me», aveva detto Sayumi. L'albina, seduta al suo posto, prima fila, di fianco alla finestra aperta - l'aveva guardata. «Mh».

«Non mi dirai di no. C'è questa caffetteria, poco distante il negozio. Vinili, dolci, camino - attualmente spento - e serenità da vendere. Serenità».

Prima di poterle rispondere, colta in fragrante dalla seducente promessa di quiete e dolcezza, il professore Okamoto, che insegnava inglese, fece il suo ingresso in classe. Quello non era un motivo sufficiente per non rispondere, avrebbe potuto farlo eccome - infatti, non era quello ad aver bloccato la sua risposta sul nascere. Era stato un qualcosa di più fine, di più... intangibile. Sayumi non poteva saperne nulla e dubitava fortemente che ne sarebbe mai venuta a conoscenza, ma - proprio nelle sue orecchie, il suono inconfondibile di passi echeggiò, sfrontatamente. E a giudicare dall'arcata dei passi compiuti e la pesantezza, erano di un uomo.

Il vento le scostò i capelli.


 

«Yuki-chan?».

Silenziosamente, il tempo tornò a scorrere nei timpani dell'albina. Sorrise all'amica, appena preoccupata, e al dolce suffisso che aveva aggiunto al suo nome troppo corto. «Sì?», rispose lei.

«Il professore ti sta chiamando».

«Stai bene, Akawa?».

L'albina fece un leggero ma intuitivo cenno col capo. Certo che stava bene, non era mai stata meglio, specialmente quando coglieva in fragrante qualcosa che poteva rivelarsi divertente.

Yuki Akawa non era mai stata meglio.


 

 

***


 

 

La cosa affascinante della giornata scolastica è che può essere imprevedibile; ha più di una faccia, come un dado. Può essere infinita, come il deserto del Sahara, impercorribile e ingestibile, potrebbe portarti a stenderti a terra e aspettare la fine, in totale e doloroso silenzio, con la pelle a fuoco. Oppure, ancora, può essere rapida e incolore, insipida.    Ci sarebbe anche un altro aspetto, che capita di rado, in un modo totalmente disinvolto: può essere pieno di eventi. L'aspetto curioso è che quel tipo di evento non sarà né felice né triste, ma solo un evento.

E mentre sedevano sul polveroso pavimento del tetto della scuola, con i bentou del pranzo appoggiati sulle gambe, Yuki ripensò brevemente alle scie chimiche lasciate nel cielo, a mo' di impronta dell'uomo, come se stesse ricordando alla natura e alla Terra che i veri padroni erano loro. Si concedette un sorriso.


 

«Quindi, alla fine, prima cos'avevi? Ti eri fermata a guardare il vuoto, ho pensato fossi morta», disse Sayumi, prendendo le bacchette dal contenitore, fermandosi ad osservarle.

«Così. Invece, che dicevi riguardo quella caffetteria? Perché hai deciso di andarci stasera?».

«L'altro giorno c'è stata l'inaugurazione, ragion per cui questo dovrebbe essere il momento migliore per andarci... dovrebbe».

«Quel dovrebbe non mi piace».

«Eh. Effettivamente. Ma meglio adesso che il posto non è molto conosciuto rispetto a dopo, quando lo conosceranno tutti, no?».

Non aveva torto. La città contava circa 10,000 persone, a momenti persino di meno, ed era destabilizzante la velocità con cui tutti venivano a conoscenza di qualcosa, qualsiasi, che fosse un nuovo negozio o uno stupido scandalo da drama queen; quando era arrivata lì fortunatamente non aveva dovuto sorbirsi grossi fastidi, a parte dei brulicanti mormorii per la scuola e, qualche volta, per le strade della città. Una nuova famiglia, di cui solo la figlia albina era stata vista da qualche parte, sfuggevole come uno spettro, si era trasferita lì per un qualche amletico motivo. Ma, comunque, il vero problema risiedeva nell'aspetto della casa, che faceva presupporre subito che il denaro non mancava affatto; una residenza alta parecchi metri, una sorta di castello "in miniatura", gotico e affascinante, dalle luccicanti finestre all'esorbitante portone di ferro battuto.

«Mh. Beh, io-... ». Yuki si interruppe, lo sguardo alzato verso l'amica. La bocca rimase leggermente schiusa, come se stesse aspettando il permesso per richiudersi, mentre i muscoli della mandibola cominciavano ad infastidirsi non poco. Ecco qui, stava riaccadendo - era passato un po' di tempo, a ripensarci: Sayumi stava nuovamente guardando il vuoto.

No, sbagliato, non era il vuoto ad aver catturato il suo "interesse" - perché non era interesse quello che mostrava, ma solo due vacui bagliori azzurri: era il cielo. Nella sua soffocante immensità, a celare una pallida mezzaluna, privo di nuvole. Aveva di nuovo catturato quella ragazza. Era in silenzio, con la bocca chiusa, la mano destra aveva persino lasciato cadere le bacchette nel bentou.

Era di nuovo andata via. Si era perduta da qualche parte.

Chissà dove si trovava, proprio adesso.


 

 

***

 


 

Dopo circa cinque minuti, alla fine, Sayumi si era girata verso la sua migliore amica e aveva ripreso a parlare allegramente e, senza batter ciglio, anche Yuki aveva ripreso con i loro discorsi; avevano finito di parlare della caffetteria e stavano discorrendo della pochezza mentale di alcune persone nella città, di quanto fosse incredibilmente assurdo che esistesse una sola scuola superiore - se non altro, quella era bella grossa -, e del fatto che erano già al loro secondo anno, in qualche modo. Che il seguente sarebbe stato l'ultimo, se sarebbero andate all'università; se avevano dei sogni, degli obiettivi, qualcosa che avrebbero voluto fare per tutta la vita; e Sayumi aveva detto che non sarebbe mai stata capace di fare solo una cosa per il resto dei suoi giorni, no di certo; e Yuki aveva concordato, lei non era il tipo.

Avevano parlato di tutte queste cose, ma non avevano mai, nemmeno una volta, toccato quell'altro argomento. Una volta - la seconda, per l'esattezza -, l'albina le aveva chiesto, così, a bruciapelo, cos'è che stesse guardando in quel modo strano. Per risposta, lei aveva aggrottato le sopracciglia e le aveva detto che non stava guardando nulla, in realtà.

Dopo quella volta, Yuki non aveva più fatto domande. A volte era meglio così, no?

«La campanella sta per suonare. Che scocciatura. Adesso c'è matematica. Basta, mi uccido».

L'albina azzardò una risatina.

«Torniamo?».

«Sì, torniamo». Si fermò. «Oh, diamine. Dovrei fare una chiamata, prima. Facciamo così, avviati in classe... cinque minuti e ti raggiungo».

Sayumi sollevò le sopracciglia, sorpresa. «Fai presto. A dopo!».


 

Yuki rispose al saluto con la mano, seguendola con lo sguardo mentre si apprestava a rientrare nella scuola, chiudendosi la pesante porta di acciaio alle spalle. Il tonfo che udì le suggeriva che era chiusa, senza doverla guardare, e il ticchettare delle scarpe che Sayumi stava scendendo le scale - e quando le parve di udire solo un quieto silenzio, lei doveva non esserci più. Quindi, via libera. Richiuse attentamente il bentou col coperchio, poggiandolo sul pavimento, poi si alzò in piedi - bene, ecco fatto. Non c'era nessun suono adesso, il vento stava solennemente tacendo, ed era una bella giornata soleggiata. Non c'era eccessivo caldo. Si poteva dire la giornata ideale per Yuki Akawa, la Principessa di ghiaccio, la Frigida, quella per i fatti suoi dallo sguardo truce e molto, troppo bella.

«Che silenzio». Si appoggiò alla ringhiera di spalle, i gomiti su questa, il capo appena riportato indietro - il mantello niveo mosso lievemente nell'aria. I suoi occhi erano chiusi. «O, almeno, così dovrebbe essere. Ma c'è ancora quel fastidiosissimo suono. Il tuo respiro».

Inclinò il collo e guardò verso la porta che conduceva al tetto, sopra il tettuccio dell'entrata.

«Cosa credi di fare?», disse, ancora. «Posso stare qui tutto il giorno, se vogliamo fare quest'insulso gioco. Stalker del c--».


 

«Ehy, vacci piano». Si sentì una risata. Era un voce assai piacevole, quella che aveva avuto finalmente l'onore di udire. Un po' bassa, ma fresca, una carezza all'orecchio.

«Non ci vado piano con certa gente».

«Certa gente?».

«Senti, non farmi perdere tempo: che vuoi?».

Un leggero tonfo partì dall'entrata. Prima di scendere, quel ragazzo doveva essersi evidentemente sdraiato, in un modo abbastanza nascosto da non essere notato da Sayumi - ma non era questo il punto. Yuki voleva concedere un'occhiata a quella persona, a quello stalker, prima di dichiarargli il suo odio - e guerra. Voleva capire con chi aveva a che fare.

Era alto, forse un metro e ottanta di giovinezza e agilità; le spalle larghe erano fasciate dal sottile tessuto della camicia bianca dell'uniforme i cui primi due bottoni era lasciati aperti e le maniche arrotolate ai gomiti.

E si stava avvicinando. «Te l'hanno mai detto che non sei molto socievole?», disse, sorridendo appena. «Non mi chiedi nulla, a parte cosa voglio?».

Yuki corrugò la fronte.

«Come mi chiamo, per esempio».

«Non mi interessa».

«Potrebbe, però».

«Bella battuta. Ne dubito fortemente. Ora, di grazia, dimmi che accidenti vuoi. Perché mi stai seguendo?».

Il ragazzo le era davanti. Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni neri - lunghe, lunghe gambe - e il capo leggermente inclinato di lato, con un espressione quasi addolcita in volto; i caldi occhi color caramello – dal taglio a mandorla ma più aperti e grandi –, contornati da folte ciglia nere, erano puntati sull'albina; le labbra, soffici ciliegie incurvate verso l'alto, in una mezzaluna sembravano proprio divertite, come se quella situazione non fosse assolutamente pericolosa. E quei capelli arruffati, scuri, e all'apparenza impettinabili.

«Qual è il tuo colore preferito?».

«Il lilla».

Il ragazzo sorrise intensamente.

«Mi adori».

L'albina aggrottò le sopracciglia. Ma che stava farneticando, quel tizio? «Stai sviando il discorso? Sei pazzo?».

«Hai degli occhi davvero particolari. Oro. E delle pupille così sottili... ».

Yuki socchiudette le palpebre, innervosita. Era riuscito a farla innervosire! Oh, no. «Se te lo chiedo per favore, mi dici cosa vuoi? Ho davve-... ».

«Oh, sarebbe divertente. Ti prego, chiedimi se per favore posso dirti le mie intenzioni... ».

La mano destra dell'albina ebbe un fremito, una specie di tic nervoso. Sentiva il sangue nelle vene scorrere ad una velocità indecente, le guance colorarsi e il petto scoppiare. Era davvero fastidioso. Cos'è che voleva? Prenderla in giro?

«Cos'è? Sono i soldi? Vuoi quelli per diventare un po' più ricco almeno materialmente? Oppure vuoi dirmi che ti piaccio tantissimo dal primo giorno che mi hai vista e, oh mio Dio, il tuo cuore batte così forte quando incroci il mio sguardo? O vuoi solo farmi saltare i nervi?».

Il ragazzo non rispose, aveva gradualmente smesso di sorridere da qualche secondo, ed era rimasto immobile. Aveva persino tolto le mani dalle tasche e ora le braccia penzolavano lungo i fianchi. Passò qualche altro attimo e continuò a insistere nel suo mutismo. Il silenzio persisteva - un silenzio assordante, che echeggiava nelle orecchie dell'albina come un mantra. Come una maledizione. E la malediva, la malediva.

La malediva. «No. Non è niente di tutto questo». Fece un passo avanti, Yuki lo guardò perplessa - e sentì le dita e le braccia stringerla a sé, il calore del suo corpo invadere il proprio, senza interrompere il contatto visivo.

«Tutto ciò che voglio... », un soffio, contro le sue labbra, nel silenzio. «... è perseguitarti, Yuki Akawa».




 

   
 
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