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Autore: queenjane    13/07/2018    3 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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 “ E brava Catherine,hai usato una magia, qualcosa?” rise divertita, annoverando un miracolo sul calendario.
“Aveva fame, no. “ “E la merenda e la cena, la mamma era allibita, ha mangiato senza farsi pregare, TUTTO, pace che ci siamo divertiti con arabi, conquiste, cavalli da guerra, oltre che viaggi e pettegolezzi..” E avere distratto un poco la zarina, rievocando un ricordo sereno, i suoi viaggi in Italia, ottimo risultato collaterale “ E Alessio alla fine ti è  anche voluto venire un po’ in braccio, e lo hai imboccato come quando era un piccolo moccioso, a viziarlo sei un asso e tanto meglio così, la bizza era questa, che sennò non sarebbe lui. E ha usato anche dei paroloni per prenderti in giro, compreso il latino, a proposito poi. Concedendoci peraltro dieci minuti in cui non era al centro dell’attenzione, peraltro ti stava appiccicato sulle gambe” Malinconica, per un momento, le cattive maniere di Alessio a tavola e fuori erano una leggenda, avrebbe preferito che saltellasse per la stanza invece che accasciato su un divano, con appena il fiato per parlare ”Evento più unico che raro, come il non andare dalla cara Vyribova. Almeno per me, che delizia, il cara è una cosa ironica”
“Se non viene a palazzo, passate la serata da lei, nel suo villino dai freddi pavimenti?” Un cenno di assenso, una punta di fastidio. Lei l’aveva sempre ritenuta noiosa e asfissiante, atteggiamento che Alix condivideva, salvo frequentarla a prescindere, che la “Vacca”(epiteto tributato dalla cara zarina) era sempre una devota sostenitrice del corrotto sibarita che era Rasputin, che si rivolgeva della V. come tramite per avere accesso ai sovrani. Almeno su quello Alix aveva dovuto cedere, Rasputin ricevuto costantemente a palazzo, frequentando magari gli appartamenti delle granduchesse, ormai giovani donne, sarebbe stato un infinito potenziale di guai e scandali, che lui, ubriaco, allungava mani e genitali su quasi ogni essere femminile che gli capitava a portata, escludendo la zarina e la “Vacca”di cui sopra. A ogni buon conto, nel gennaio 1915 un incidente aveva resa invalida la V., si era rotta le gambe e la spina dorsale, Rasputin, of course, l’aveva salvata, dicendo di svegliarsi. Furbo, peraltro, che se moriva era per la volontà divina, se sopravviveva era grazie a lui.  Peccato che fosse rimasta sciancata, si spostava con le stampelle ed era invecchiata e ingrassata, cosa che il sommo R. aveva ben previsto, con quelle lesioni era quasi scontato, mi sarei azzardata io pure.
La avevo intravista, una collana di perle da pochi rubli le cingeva il collo, vestiva di scuro come Alessandra, come scrisse poi l’ambasciatore P.  in Francia nessuna favorita aveva mai avuto un aspetto tanto modesto, dozzinale e chiacchiere tanto ripetitive, la definirono poi disco grammofonico.  Che la famiglia imperiale, rinchiusa nel suo isolamento, non frequentasse nemmeno i suoi stretti parenti ma solo la V. aveva condotto ai pettegolezzi più biechi, nessuno si capacitava. Io ero una principessa, figlia di una prediletta dama della zarina madre, nobile e poi dispersa, in un dato senso ero ben accetta. E la volta che avevo chiesto un trattamento di favore era stato per   sposarmi, forzando le regole.. Mi vietai di pensarci.
Andres era nato nel 1883, realizzai, l’anno avanti a lei e .. accidenti, era sempre molto bello e ..appassionato. Si infilava nei miei pensieri sempre, presente  e assente che fosse, ed io nei suoi. Anche lui apprezzava il sesso femminile, chiariamo, tranne che mai avrebbe forzato una donna, anzi gli correvano dietro, riempiendolo di soddisfazione, a volte accennava la melodia del “Don Giovanni”, Leporello  sul padrone, che solo in Spagna sono appena mille e tre, era stata una mia osservazione e  gli era piaciuta, al bandito. E io ero la sola che lo aveva avuto ai suoi piedi, dopo avergli sferrato un calcio nei genitali.. La sua unica, in modo ironico, che la avrei poi riscontrata con interessi e annessi.
“A chi stai pensando? Kitty Cat, gattina” si era tolta le scarpe e le massaggiavo le caviglie gonfie per i lunghi turni in piedi in ospedale, aveva posato i piedi contro il mio grembo. Ed era tutto facile, come se non ci fossimo mai lasciate, sconcertante come intuisse i miei pensieri all’impronta. Ed eravamo state amiche e complici troppo a lungo, prima, per dimenticare. E mi conosceva bene e capiva meglio ancora.
“A una persona che ho conosciuto”Feci scorrere  il palmo sul rivestimento di cinz fiorito del divano, ero nel salottino privato delle granduchesse maggiori, sorrisi. “Tra poco le fusa le fai te..”
“Allora deve essere un uomo affascinante, oltre che intelligente” optò per essere allegra. Le strinsi un malleolo rivestito di seta. “Sì. Non è un ragazzino avventato, anche se a volte è insopportabile, con stupendi occhi verdi, che piace parecchio, anzi ci piace  “ “Ti piace.. chiariamo, molto direi“Una pendola batté le dieci sul mio sorriso. “Io mi ritiro, buonanotte Olga, anzi, mi piace parecchio, hai ragione”Lo amo..” sillabai senza voce, solo con le labbra, “I love him. “Hai appunto un sorriso di un gatto che ha trovato un piattino di panna fresca, per rimanere in tema” E avrei scommesso che aveva decodificato, la furbacchiona. “Magari alla fine saprò anche il nome di questa meraviglia, a cui certo piacerai, non?”
“A domani, alla fine sì, magari lo vedrai pure, lodando il mio buon gusto, gli piaccio, credo, anche se mi ritiene la cosa più strana che abbia mai visto” semplici, potenti parole, su cui rise. Di cuore“Quanti anni sono passati da quando mi hai chiamato Kitty Cat?” “ Troppi.. e non mi fare il solletico, streghetta“le piombai ridendo sul petto, una lotta scherzosa, dopo averle solleticato l’imperiale pianta dei piedi, calcagni e caviglie. “Miao, a domani.. Mi sei mancata tanto” “Pure tu, poi dobbiamo parlare seriamente ma dopo.. Ora godiamoci questi giorni, rilassati, è tra me e te, una questione delicata e .. Resta tra noi  ”  omisi le indagini.” E non togliere le tende, per favore” “NO” Come mi conosceva bene. Pregi e difetti, far away and near to the other side, but we’ll stay together, day by day.  “Per te, e me e Alessio.. e le mie sorelle, per favore, Cat, non te ne andare ..te lo chiedo come favore personale” “No, che in caso non mi sarei fatta vedere per niente” accostai la fronte sulla sua spalla “ Sono già scappata una volta, senza voler dirlo, che ne ho ricavato.. Nulla, tranne che di perderti”  “E io non ti ho capito, quindi siamo pari.. riproviamo, Catherine, a essere amiche” E sorelle, e tanto era una cicatrice che non si sarebbe mai chiusa del tutto. “Tranquilla, stai tranquilla..é tutto a posto”Mi sfiorò la nuca, stringendomi per un momento “Vai a dormire..A domani, e tanto sei sempre mia” “Per tua sfortuna sì” “ Stupida, togliti di torno, decido io se qualcosa o qualcuno non mi aggrada, ne hai imparate di cose sui libri e resti una cretina per altre, quelle importanti,davvero. Togliti, non mi voglio arrabbiare” “Non imparerò mai” “Speriamo.. per te, che tu impari. Ci sbatti sempre la testa, prima di capire.. Togliti Cat, non mi voglio arrabbiare, è l’ultimo avviso, non roviniamo tutto ” “Sai che mi viene in mente? Le volte che abbiamo mangiato le ciliegie, interrompendoci prima di sentirci male..” “Una tirava l’altra, le primizie della stagione.. come le more..” mi spiegai, prima che mi ritenesse andata del tutto fuori di cervello“Ecco, evitiamo la saturazione ..” “Catherine!!”Rise “Notte! Solo tu riesci a farmi ridere così, di cuore!”
Avevo dormito a Carskoe Selo nella stanza degli ospiti che mi aveva accolto tanto spesso, vicino agli appartamenti dei bambini, una cauta perifrasi, ormai erano cresciuti.
Verso le una di mattina mi tirai in su con il busto, in allarme, che cazzo succedeva, parafrasando Andres, poi mi ricordai, cosa dovevo fare”Alessio ..”le lenzuola di seta crepitarono mentre mi rialzavo, ero un pallido fantasma andando verso la camera dello zarevic. Quando stava bene, si infilava, più o meno di nascosto, nel letto di una delle sorelle, di preferenza Tatiana o Anastasia, a quel giro voleva me, mi veniva da ridere, come anni prima andavo da Tata o Olga, me lo aveva sussurrato nel pomeriggio.
Ebbi fortuna, nessuno in giro.
“Non venivi più” La sua vocina. Sottile, impaziente, in estasi, aspettava la sua cretina preferita, irrisi dentro di me.
“Dormire mai”Ribattei, mettendomi sul fianco con una risata.
“Se mi riposo tutto il giorno, vorrei vedere te, Cat, saresti sveglia come un grillo. Mi racconti del drago e della rosa” gli baciai le mani
“ E del leone” che gli veniva sonno, forse.  Benedetto Aleksey, non eri mai contento, con il senno di ora sono contenta di averti assecondato, almeno un poco.
“Certo, che hai visto i tatuaggi di Andrej sulle braccia, la torre con la conchiglia e la rosa tenuta dal leone rampante” Una domanda retorica, che mi fuggì dalle labbra. E  non mi chiese come sapessi IO di quei segni, che si era fatto incidere nel 1903, per evitarmi una situazione imbarazzante, aveva sonno o capiva che non avrei dato retta a quella curiosità specifica, più la seconda credo.

“Siamo stati a pesca e ci siamo bagnati, lui si è tolto la camicia e li ho visti”Risi e lo cinsi con le braccia “Ottimo, no?Io e Andres siamo una squadra.. come già detto,  Alessio, amore, lo sai che ..”raccolsi le sue dita irrequiete tra le mie.
“Io non ho detto nulla a nessuno, nemmeno a Mama” (Meno male!!!) Si raccolse contro il mio petto, sussurrai che mi fidavo di lui e lo sapeva, declinò, poi scivolò nel sonno, dopo le prime avventure sul leone e la rosa, lo tenevo stretto contro lo sterno,profumo di rose e infanzia, baci e carezze, io non ero nessuno tranne me stessa e mi amava lo stesso, insieme ero possessiva verso di lui e per lui fino allo spasimo. “Notte, Alessio, tesoro mio” Infanzia, paure e fragilità, infinite misericordie, mi si raccolse addosso “Ti senti sicuro così?”contro il mio petto “SI ” e  mi sfiorava il viso, con le mani, dovevo indovinare cosa toccava, a occhi chiusi, la fronte, le guance e il naso, mi sfiorò le labbra, baciai le sue dita, dissi “Basta..che mi consumi” ridendo, poi mi fece sdraiare accanto a lui. “Ti voglio tanto bene, sei la cosa più bella che ho, Alessio..” “Non Olga..?Non tuo fratello?” Tenero. “Adoro entrambi e .. sei il mio prediletto. Davvero Aleksej” “SIII.. come no. Magari fosse vero” “Dormi. E tanto non mi credi...” “Si, ti credo..” “Alessio, non dire balle..”Riconoscendo la sfumatura incerta del tono “ Mi piacerebbe tanto.. crederti, ecco, cerchi sempre di farmi contento” sbuffò e basta, non gli andava bene, era al centro dell’attenzione di tutti, avrebbe gradito esserlo anche della mia, sempre. A parole, che nei gesti me lo ero serrato addosso, come quando era piccolo, ridacchiammo, gioiosi.
Nel 1903 Andres scorrazzava tra Corea e Manciuria, per dei report per Rostov-Raulov, circa le effettive condizioni del territorio, i collegamenti e quanto altro. Alla fine aveva riferito che definire schifosi i trasporti sul fronte russo era un eufemismo, a prescindere dalla Transiberiana, che Port Arthur e gli altri avamposti russi erano un colabrodo, che se vi fosse stata una guerra, come appariva probabile, che fosse rapida, in denegata ipotesi sarebbe stato uno stillicidio. E le ostilità erano scoppiate, con perdite immense per la Russia e una sonora sconfitta, dopo l’attacco a sorpresa del Giappone nel 1904. Si era sentito una specie di Cassandra, anche se non aveva colpe.
Comunque, a Port Arthur, da un tatuatore nipponico che era lì, si era fatto incidere i tatuaggi di cui sopra, per non dimenticare. Le incisioni erano state dolorose, ma ben più sopportabili del dolore che si portava dentro, era andato via dalla Spagna per non impazzire. Aveva lasciato Ahumada a fine 1901, accogliendo l’invito di R-R, che cercava sempre nuovi elementi, ritornando solo due volte, nel 1905, per il matrimonio di sua sorella e poche altre settimane, e l’anno successivo per le celebrazioni decennali, di commemorazione in onore di sua madre e le nozze del re di Spagna.. Aveva messo in mezzo un continente ed un amaro  esilio semi volontario, una scelta definitiva, senza ritorno, come quella di Jaime di diventare sacerdote. Il matrimonio di Marianna con il marchese di Cepeuda era stato d’amore, ma anche la figlia viveva lontana. Erano rimasti lui e Enrique. E Xavier sapeva che, alla sua morte, solo Andres sarebbe stato degno di essere il suo erede, principe di Fuentes, conte di Sierra Morena, Signore di Ahumada y la Cruz. Il cadetto, il migliore, Dio si divertiva a giocare a dadi, a invertite posizioni di nascita sarebbe stato diverso. Ma non era detto.  O almeno, in fondo al cuore sperava Fuentes padre.
 
Alla Stavka, lo zarevic era migliorato su molti punti, mi raccontò Tata, mentre giravamo per le corsie dell’ospedale. Era tutto pulito, efficiente e ben organizzato, con le uniformi ed il candido velo  da infermiere passavamo quasi inosservate, tra un letto e l’altro.
Sorelle di misericordia, la mia Tatiana i cui sguardi raccontavano quello che non diceva. Io ero egocentrica, insopportabile, lei una ispirazione, la vera figlia di un imperatore, nei gesti e nei modi.
Lei poi passò alle lettere e alle richieste del suo comitato caritativo, io transitai da Olga, che si occupava più del lavoro di organizzazione che della cura dei feriti, alla lunga era stato troppo, per lei. Ci fumammo una sigaretta, la finestra aperta, una immagine che avrei serbato, di tranquillità.
 
 
 
 
 

“Ho imparato molta geografia sull’Europa e l’America, e di storia, Arabi e Medioevo, oltre che su quella russa. E parlo e scrivo meglio in francese e inglese”e anche la calligrafia era migliorata, diventando più regolare e stretta, rispetto a quella slargata, infantile e grande che avevo di solito. Glissando che, essendo spesso malato, la mia educazione si presentava carente e lacunosa per quello e quando stavo bene mi annoiavo e stare seduto era una tortura.
“ Ottimo, qualcuno ti deve avere interessato alle materie” la voce di Cat, le sorrisi.
“Andrej. Lui non ha la tua fantasia, ma conosce la storia e la geografia” E non volevo passare sempre da ignorante e somaro, Cat era una specie di enciclopedia ambulante, aveva letto di tutto, come mia sorella Olga.
Poco  ma sicuro, la rocca di Ahumada dove Andrej  era nato era STORIA. Costruita dopo il 732 e la sconfitta degli Arabi a Poitiers, il primo nucleo della rocca aveva ospitato i pellegrini che si dirigevano a Santiago, uno dei primi Fuentes era i compagni di Carlo Martello. Ottenuto il titolo di marchesi, avevano vegliato sui confini, in tempi di pace e di guerra, vigilando contro gli Arabi e onorando i re spagnoli. Erano a Granada ai tempi della reconquista, un Fuentes era salpato con Cortes alla conquista del Sud America. Viaggiatori, diplomatici, uomini di chiesa, politici, erano stati finanche vicerè del Perù e di Milano. Marchesi poi divenuti principi per avere combattuto contro Napoleone, il re Borbone, re insediato sul trono dopo il congresso di Vienna, li aveva concesso quel salto. E un bastardo dei Fuentes si era costruito titoli e fortuna, inventandosi una nuova vita alla corte di Caterina II, Felipe“E  le lingue”
“ E’ una grande storia”
“Lo so. Sei brava pure tu“, le concessi, magnanimo.
”Vuoi che ti prenda in braccio ? Non ci prendere il vizio, giusto ora.. Tra qualche anno peserai più di me e sarò uno gnomo al confronto..”
“Perché dici così?” Curioso, sorridente.  “Hai buttato via il libro e hai aperto le braccia, cosa devo dedurne??!!!”Allegra, spumeggiante. Mi prese in grembo, sapeva di rose e arancia amara, spiegando   “Diventerai alto, come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Risi
 “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio” Un bacio “Cat, voglio uscire” “VA BENE” Finalmente!! Quando ero reduce da Spala, con l’apparecchio ortopedico, ti avevo chiesto di prendermi in braccio e farmi respirare un poca d’aria da una finestra aperta, non te la eri sentita, per altri era buonsenso, “.. non sono in grado, non voglio farti male..” avevi detto, e mi ero sentito un vero disgraziato.
“E dai Alessio, che ci mettiamo quaranta ore” ridendo, mentre mi preparavi per uscire, tra cappotto e coperte ed altri ammennicoli, dal divano  eccomi sulla sedia a rotelle, nemmeno un marinaio in giro, che bello, comunque il medico di Corte aveva prescritto che  potevo uscire, su una sedia a rotelle, appunto,  per prendere un poca d’aria, ove la temperatura fosse stata confacente, ben avvolto nelle pellicce. Fuori, finalmente,  inebriato come per avere bevuto dello champagne a digiuno.  Tutto bianco e candido, frizzante, appunto, i rumori ovattati. “Cat” ti eri fermata vicino a una statua.
“Ecco, qui la zarina Caterina fece montare la guardia, per il bucaneve. Vedi qualcuno in giro, Alessio?”  Scossi la testa e aprii le braccia, mi sollevasti .. finalmente. Ti fidavi.
 “ Ora ti fidi. Di me e ti te“
“Sì. Ora sì, prima no, di te mi sono sempre fidata, piccolino”
“Io sempre, lo sai, no?Di me e di te”
“Ora sì, non ero pronta, scusami” boh.. chi ci capiva qualche cosa?  Risi e non feci altre domande.
Sul momento, la sera mi sbizzarrii.
 “Quando starò meglio, mi porti in giro? Con te. Con Andrej. Sarò bravo, darò sempre retta, a Te, fidati” Contrattando, svelto e furbo.
“Vediamo. Ora no, Alessio, ti direi una balla per farti contento. Ora non subito, capiamoci, caro il mio zarevic. Faremo un falò, passeggiate nei boschi, picnic, prendendo il sole.. ti piace?”  domanda retorica, pensai tra me.
“Subito nulla?”
“Vediamo, ti ripeto. Metti la testa sul mio avambraccio, fatti stringere”
“Cat, ..?” TI VOGLIO BENE..
 
 

Leave it all behind.
Olga non reputava degno di stima il principe Jussopov, marito di Irina, sua cugina. Il principe, che avrebbe poi ucciso Rasputin l’anno dopo, aveva tratto vantaggio di una legge che consentiva ai figli unici di evitare il servizio militare. Vestiva da civile in un’epoca in cui molti Romanov e soldati feriti che Olga e Tatiana avevano curato, come avrebbero poi continuato a fare, combattevano e si immolavano. Non fa nulla, tutto vestito e curato, già tanto se sfoglia una rivista, mi raccontò, pareva un pavone spennato. 
Irina Alessandrovna Romanov, una delle più belle ragazze della nostra generazione, figlia della sorella dello zar, Xenia, e del granduca Alessandro si era incaponita su Jussopov, noto eccentrico, dai gusti bisessuali, ricchissimo, colto e bello, si erano sposati nel 1914 e l’anno dopo avevano avuto una figlia, Irene. Xenia, la nonna era così preoccupata che la zarina Alessandra, in un raro empito di umorismo, aveva detto che pareva la madre e non la nonna.  (..La tripletta delle bellezze, osservò Andres, tempo dopo, tu di gennaio, lei di luglio e Olga di novembre, il 1895 è stato l’anno delle più belle principesse di sempre, anche se altre granduchesse Romanov sono assai affascinanti .. Quando era così, gli avrei torto il collo..)
Stava riepilogando una lista, per dei medicinali,  lo stress di curare mutilati e moribondi le aveva inciso una ruga profonda sulla fronte, annotai.
Ero passata a portarle una tazza di caffè, era uno degli ultimi giorni. Troppa fatica, mi hanno ceduto i nervi, mi raccontò ancora,a  settembre scorso  ho rotto tre pannelli di una finestra con l’ombrello, il mese avanti ho buttato delle bende dalla finestra, da ottobre svolgo per lo più lavoro di ufficio, non reggo più le operazioni e mi hanno fatto anche delle iniezioni di arsenico. 
La panacea per la depressione o i disordini nervosi, dissi io.
Per me stava bene, era sua madre fissata, Alix da anni viveva di Veronal, a base di arsenico, appunto, fino a definirsene satura e la depressione o le crisi nervose che attribuiva a Olga erano solo un riflesso del suo malessere cronico. Oppure non era adatta a svolgere quel lavoro, fisicamente e mentalmente era un logorio. In quel senso, Tata era molto più resistente, vedere ferite aperte non le procurava alcun disagio, anzi, lei pareva non possedere debolezze e difetti dei comuni mortali, dalla perfezione la salvava solo l’amore per la moda e gli accessori.  Poi era tutto relativo,  io dovevo solo tacere su quello che combinavo.
“Le persone in buona salute mentale non distruggono i vetri a ombrellate”
“Eri in angoscia per qualcuno, o qualcosa, oppure deve essere stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.”l’avrei giustificata sempre, in ogni caso, aveva ragione anche se era in torto, per me” Se può consolarti, negli ospedali vicino alle trincee, i dottori si addormentano in piedi dopo turni massacranti e spesso fuori dalle osterie, i soldati piangono, senza essere ubriachi, per la disperazione di quello che hanno vissuto” era ben vero, parlavo, purtroppo per me, con cognizione di causa.
“Non oso immaginare quello che puoi avere visto..”
“Quando sono andata ero già fuori di testa, per Luois e il secondo aborto, magari sono rinsavita”Una ironia amara, pesante, a mio danno.
“EH?Dimmelo, non tirarti indietro”
“A novembre 1913 sono rimasta incinta, ho saltato un ciclo peccato che a gennaio abbia perso il bambino, pare una cosa frequente, nella prima gestazione, anche se avrei preferito che non succedesse, non a me almeno. “Chinai la testa, rievocare quello era sempre straziante, avevo aperto bocca, meritava di sapere, troppo facile gettare il sasso e poi ritirare la mano, anche se le avrebbe fatto male, un altro fardello, pure meritava di conoscere perché fossi stata così superba e sventata. Già, i miei lentissimi tempi di reazione e ripresa, un vero bradipo.
Parlavo piano, dopo quasi due anni mi faceva sempre male pensarci, figuriamoci affrontare un discorso, notai che aveva posato la penna, alzandosi in piedi, venendomi vicina. Già, avevo lanciato una notizia di forte impatto.
“Sono qui, non sei sola”
“Lo so. E tanto non lo merito, taci.  A metà  estate ero di nuovo in attesa, stavo bene, dovevo evitare fatiche eccessive o emozioni devastanti, pozioni che ho ben assaggiato quando ho saputo che Luois era morto. Me ne sono andata perché stavo impazzendo, credevo di non avere altre scelte” Mi parve di sentire l’addome contrarsi, quel dolore devastante, il sangue che  colava tra le gambe, scacciai quella visione, vi era un motivo se non volevo aprire più gli occhi, allora.
Cadde il silenzio, così immobile che potevamo quasi illuderci di sentire la neve cadere, fuori.
Un giorno sarebbe stata pronta a confidarsi, not yet. Figuriamoci io, avevo tempi da bradipo, lentissimi.  Giusto a cambiare il pannolino ad Alessio, quando stava male,   ero svelta, se me lo permetteva.  
Mi strinse da dietro, per un momento. “Si può scegliere, sempre. Cerca di stare attenta, di stare bene.” Poi” Sono contenta di sapere.. Ora inizio a capire..per una volta non sei scappata.. Non mi fa piacere quello che ti è successo, bada, quanto di comprendere..”E mi sarei portata tutto dietro, l’avevo già persa due volte, e mi aveva perdonato, la terza non la avrei rischiata. E tanto mancava ancora un pezzo.
 Giorni di tregua, pausa. Frammenti preziosi, palpitanti e teneri. Ingaggiammo una battaglia epica di palle di neve, con Olga ci divertimmo (io e lei) a cavalcare nel parco imperiale, al diavolo il freddo, ridendo di tutto e nulla. Eravamo le figlie dell’inverno, due principesse di neve.
Facendo le infermiere, sia Tata che Olga fecero esperienze che altrimenti non avrebbero mai avuto. Parlavano con le altre infermiere dell’ospedale, donne che non avrebbero certo incontrato se non vi fosse stato il conflitto, conoscevano i  nomi dei loro bambini, le storie delle loro famiglie.
In alcune occasioni, si erano recate  con loro a fare acquisti nei negozi di Carskoe, usando la piccola mancia mensile che ricevevano, sbalordendo le loro accompagnatrici, che le vedevano scegliere modesti fogli di carta o annusare un profumo, le figlie dello zar come comuni mortali, tralasciando come Nicola e Alessandra avessero allevato tutti i loro figli in modo severo, spartano, senza troppi fronzoli, o avevano tentato. Che  lo zarevic rimaneva ben viziato a livello di comportamento. Sorvolando che avevo contribuito molto pure io, chiaro. O era l’eccezione che derogava alla norma, che ogni tanto lo avevo brontolato, quando era piccolo per farlo mangiare ogni boccone era una frase della storia, e mi zittivo quando tirava addosso molliche o altro, la tecnica del silenzio, era curioso e riprendevamo, di pazienza ne avevo poca in generale e con lui la trovavo, facevo di necessità virtù. Che mi ripagava, nel breve e lungo momento, affettuoso, era una stella caduta, arguto e divertente, se non fosse stato la peste che era lo avrei definito un angelo
“E’ la questione della guerra, come se anche noi non soffrissimo” e lei aveva sofferto per me, una principessa egoista e senza metodo, tacendo che il suo stesso fratello era una vittima. Il bambino, che avevo stretto, cambiato, imboccato, ridendo esasperata, delle sue trovate, brontolato per i capricci, il mio imperatore dei viziati. Che mi aveva confortato e fatto sorridere quando ero cupa, satura per i dispiaceri, sensibile e attento.
“Vi vedono come icone, come divinità, non come persone comuni, passami il termine, chi si aspetterebbe di trovarti a un pomeriggio musicale a fini di  beneficenza” Il taglio dei cappotti era sobrio, come la misura dei vestiti, grigio perla,  tinta che preferivo al malva  da mezzo lutto, sussurravamo piano, le guardie del corpo erano in incognito, lo zar le aveva dato il permesso per quella sortita ed ero il suo chaperon ( ..la fai distrarre), quando tirai una potente gomitata nel fianco della poverina. “Andres…”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. in quei pochi giorni, condensammo anni e rotti di lontananza. A proposito, di quel pomeriggio a San Pietroburgo, non certo una serata mondana ma un concerto a fini di beneficenza, mi arrivò una portentosa gomitata, sussurrasti “Andres” e controllai, ben di rado eri così istintiva. Avevi parlato di una persona affascinante, non di un ragazzo avventato, chissà perché mi venne in mente lui !! Alto, imponente e maestoso, vestiva l’uniforme del reggimento degli ussari a cavallo (come appurammo poi, una gentile concessione a R-R), riempiva tutta la stanza. Si girò e ci vide. Anzi, vide te, un sorriso gli sorse sulle labbra, come quando scorgi qualcosa di bello, amato e desiderato. Un cenno della mano, che la musica stava iniziando. Annotai che aveva gli occhi verdi, un colore scuro e profondo, come le foglie primaverili.. Piaceva, eccome, non fosse stato tuo fin da allora..“I miei omaggi, signore” Nell’intervallo era venuto con due bicchieri di limonata, ci eravamo spostate nel foyer, un angolo appartato per conversare meglio. “Vi piace il concerto?Vivaldi e Coroelli, compositori italiani, onde evitare situazioni spinose. “ era stato emanato il divieto di suonare i tedeschi, che spreco, che spregio. “Già. Io ..”Ci presentasti, in fretta, lui si inchinò, parlava bene il russo, con appena uno strano accento. “Andrej Fuentes, conte de la Cueva, figlio del principe Fuentes” come spiegasti poi, anche se era l’ultimo figlio, aveva un suo titolo personale, capii che era figlio di madre russa, nato in Spagna. Poi mi ricordai, che avevi partecipato con i tuoi a un matrimonio in Spagna, nel 1905, di lettere, di Granada e di tante descrizioni. Un cerchio che si saldava. In ogni caso, Andres  fu amabile, gentile e divertente, corretto. Come il ferro che è attratto dalla calamita, non potevate stare lontani l’uno dall’altra. Foste stati soli, vi sareste saltati addosso.. E non smettevate di sorridervi e guardarvi, e marcavate il reciproco territorio, tu sei mio, lei è mia..Mi augurai che riuscisse a renderti felice. E che non facessi troppe scemenze.. Ti volevo bene, te ne voglio, dicevo sei mia, tranne che non eri una personale proprietà della scrivente, vi era differenza e così sia, perché scrivo così lo sai. Ebbi la soddisfazione di vederti diventare color brace, quando lodai il tuo buon gusto, mormorasti grazie, io prego, mi esasperavi e facevi ridere come sempre, 40 anni in due, eravamo due ragazze, alla fine“
   
 
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