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Autore: Stefy89M    16/07/2018    3 recensioni
“Storia partecipante al II CONTEST FANFICTION OBSESSION GALLAVICH: CAN WE BE FRIENDS?”
-Per queste settimane ti occuperai della pulizia all’interno dei reparti- disse oltrepassando le porte scorrevoli. Mickey la seguì lanciando uno sguardo alla grossa scritta che dava il benvenuto al “San Payer Ospital”, il fottuto manicomio di Chicago.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE DELL'AUTRICE: Forse sono pazza pure io, non lo so, ma l'ispirazione viene e va. Mi ero promessa di non postare più fino a che non avessi completato tutta la storia ma sti cazzi. Abbiamo bisogno di Gallavich ora più che mai e io ho bisogno anche di sentire il parere e l'incoraggiamento di voi lettori per poter continuare a scrivere. spero possiate lasciare un commento. Grazie ancora!

 
Un colore di più
 
Il primo segno di follia
è parlare con la propria testa
[Harry Potter]
 
-CAPITOLO 2-
 
 
Quando anche quella mattina la sveglia suonò alle 5, Mickey si coprì la faccia con il cuscino. No, non era fottutamente possibile; gli era sembrato di chiudere gli occhi e addormentarsi solo 10 minuti prima! Non avrebbe mai fatto l’abitudine a quel nuovo orario. Mai.
-Spegni quella cazzo di sveglia!- urlò suo fratello dall’altra stanza. Mickey grugnì e pigiò a casaccio sul suo telefono per mettere fine a quella tortura. Si strofinò stancamente gli occhi e si costrinse ad alzarsi. Stava rivalutando l’idea dei turni notturni, sicuramente sarebbero stati meglio di quelli lì. Si preparò in fretta e uscì di casa affrontando il gelo di Chicago. Tremando convulsamente, fece una breve corsetta verso la metro e una volta dentro rilasciò un sospiro. C’era aria calda e Mickey si accoccolò nel suo sedile, sbadigliando un po’.
Il giorno prima la Anderson lo aveva seguito come un’ombra, verificando e controllando che pulisse bene tutti i fottuti reparti. Era stato molto fastidioso averla lì, ma Mickey era sicuro che quel giorno, invece, lo avrebbe lasciato in pace. Non poteva seguirlo per sempre, no?
Il viaggiò durò poco e Mickey si strinse nuovamente nella sua giacca prima di scendere dal treno e incamminarsi velocemente al cancello del Payer. Il vigilante esaminò il suo badge nuovo di zecca e poi lo fece entrare, borbottandogli un “Buona Giornata”. Mickey si limitò a grugnire.

Caffè. Aveva bisogno di caffè.
Una volta nello spogliatoio, indossò l’uniforma che gli avevano consegnato; i pantaloni bianchi erano troppo lunghi, così se li arrotolò sulle caviglie, mentre la maglia non era altro che una comoda casacca di colore blu. Si guardò allo specchio appeso al muro e per un momento stentò a riconoscersi. MickeyFottutoMilkovich stava indossando una divisa da lavoro! Scioccato dalla sua stessa figura, fece qualche giravolta, rimirandosi.
Però.
La casacca gli faceva risaltare gli occhi blu e così vestito sembrava un fottuto lavoratore rispettabile, un uomo! A Mandy le si sarebbe staccata la mandibola se solo lo avesse visto conciato in quel modo! Soffocò una risatina e poi cercò delle monete nelle zaino e andò finalmente a prendere un caffè alla macchinetta. Lì vi trovò una giovane donna che sorseggiava quella che doveva essere una tisana puzzolente. Mickey non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto e la ragazza sorrise.
-Melissa, Ibisco, Zenzero e Propoli- spiegò lei sollevando la tazza viola.
-Dev’essere buona- ironizzò Mickey inserendo i soldi nella macchinetta. Avrebbe bevuto un caffè scuro e amaro, come piaceva a lui. La tizia poteva tenersi stretta la sua tisana del cazzo.
-Lo è- continuò lei prendendone un altro sorso –ha un gusto abbastanza forte-
-Come l’odore- Mickey non voleva essere così acido, ma la risposta gli uscì comunque molto tagliente. La ragazza fortunatamente rise.
-Non sei un tipo da tisane, eh?-. Aveva i capelli biondi legati in una leggera coda, la divisa era totalmente bianca, a differenza della sua, e sembrava giovane. Non quanto lui, ma comunque più giovane di tutti quelli che aveva visto lavorare lì dentro.
- Sono Melissa- disse porgendogli la mano. Mickey gliela strinse.
-Ti chiami come la tisana?- fece sollevando le sopracciglia –comunque io sono Mickey-
La ragazza rise di nuovo e Mickey si chiese come fosse possibile ridere così tante volte nelle prime ore del mattino. Forse la tizia aveva qualche rotella fuori posto.
-Sei divertente!-
Mickey quasi sputò il caffè. Ok, aveva decisamente qualche rotella fuori posto.
-Sei nuovo? Credo di non averti mai visto.-
Mickey scrollò le spalle. –Già. Ho iniziato ieri.-
-Oh, e dimmi, ti piace qui?- chiese sinceramente interessata. Mickey era incredulo.
-Mi stai veramente chiedendo se mi piace lavorare in un manicomio?-
Melissa rise di nuovo e Mickey si chiese cosa ci fosse di così divertente nella loro conversazione.
-Io sono qui da poco più di sei mesi, sto facendo un tirocinio- spiegò pensando che a Mickey potesse interessare qualcosa, ma Mickey annuì, già annoiato. Non poteva farci niente, lo annoiava tutto, lo annoiavano le persone, i loro discorsi, le loro vite. Persino Mandy a volte lo annoiava.
-All’inizio è stata dura, sai? Ma poi ci fai l’abitudine. Spero un giorno di poter lavorare in un ospedale vero, comunque. In cardiologia-
-Già- rispose Mickey non sapendo che altro dire. Bevve l’ultimo sorso del suo caffè e buttò il bicchiere nella spazzatura. –Devo andare, inizio fra due minuti-
-Oh, certo. Buon lavoro allora. Ricordati di non parlare con i pazienti!- gli raccomandò salutandolo con la mano. Mickey si allontanò accigliato; ancora con quella storia? Perché la gente continuava a ripetergli di non parlare con i pazienti? Lo credevano così stupido?
 
Tre ore più tardi Mickey si ritrovò nella sala comune intento a staccare un chewing gum da una sedia. Un suo collega, Buck, un energumeno di 120 kg, gli aveva ordinato di lasciar stare i corridoi e occuparsi del disastro nella sala comune. Ovviamente il lavoro sporco lo lasciavano a lui, al novellino del Payer. Mickey digrignò i denti e cercò di scollare la gomma dalla sedia col solo risultato di appiccicarla ai guanti in lattice che stava indossando.
-Fanculo- mormorò gettandoli via e prendendone un altro paio. Fortunatamente la sala era pressoché vuota, fatta eccezione per due pazienti che guardavano la televisione e il ragazzino dai capelli rossi seduto al tavolo. Mickey notò che il tipo lo stava guardando.
In realtà lo stava fissando.
 
Ossessivamente.
 
Da quando era entrato.
 
Che cazzo voleva?
 
Gli diede le spalle e si rimise all’opera. La gomma era un maledetto osso duro, non voleva staccarsi. Mickey maledì mentalmente il fottuto pazzo che l’aveva attaccata e allungata per tutta la larghezza della sedia; doveva essere proprio fuori di testa per fare una cosa del genere. Si sollevò per prendere un altro paio di guanti e con la coda dell’occhio vide che il ragazzino aveva deciso di avvicinarglisi.

Oh no.

Si chinò sulla sedia e il ragazzino gli si parò davanti.
-Ciao-
Mickey sussultò ma fece finta di non averlo sentito.
-Sembra complicato- disse, forse riferendosi al groviglio di chewing gum con cui Mickey stava lottando. – Odio lo gomme. Preferisco le caramelle.- aggiunse standosene lì, impalato.
Mickey non poteva credere che il tizio gli stesse rivolgendo la parola. Tirò il chewing gum ma questo gli si appiccicò di nuovo ai guanti, incollandoli fra di loro. –Ma che cazzo- sbottò togliendoseli per l’ennesima volta.
-Forse non dovresti indossarli- gli consigliò il ragazzo. –Ti conviene toglierli e provare a tirarla via con un pezzo di legno.-

Mickey trattenne una risata di scherno. E dove lo trovava un fottuto pezzo di legno?
-Dico sul serio. Le gomme sono la cosa più odiosa inventata nell’ultimo secolo. Decisamente meglio le caramelle. Quelle al limone, se vogliamo essere più specifici. Le caramelle alla fragola invece sono le peggiori-
Mickey si sforzò di ignorarlo e a denti stretti cercò disperatamente di strappare il chewing gum a manate.
-Una volta ho anche provato ad assaggiare le caramelle con limone e fragola insieme, e devo dire che è stata un’esperienza disgustosa-

La gomma si impiastricciò tutta su i guanti e Mickey ingoiò un urlo di rabbia.
-Da allora le evito accuratamente. Come le cicche. E come le caramelline gommose. Le hai mai provate?-
Mickey strappò la gomma da masticare a mani nude. Fanculo quel lavoro, fanculo il manicomio, fanculo Danielle per averlo messo lì, fanculo tutto!
-Lo sapevi che la gelatina che le riveste è fatta di bava di animale?-

Ma quel tipo non stava mai zitto?

-Un sacco di cose sono fatte con le cose più assurde degli animali. Come il burro a cacao per le labbra. Lo sapevi che alcune marche usano lo sperma di cinghiale per farlo? E lo sapevi che per colorare alcuni rossetti viene utilizzato un colorante estratto dal corpo e dalle uova di alcuni insetti sud americani?-
Mickey soffocò un conato di vomito; sia per il tipo che aveva preso a raccontargli cose disgustose e sia per la gomma che gli si incollava addosso… chissà chi l’aveva masticata… chissà quanti batteri e microbi si stavano diffondendo ora sulle sue mani…

- E lo sapevi che la cheratina proviene dalle criniere e dalle corna di diversi animali? E lo sapevi che la fragranza del muschio tradizionale viene ottenuta dai genitali della lontra o del castoro? E lo sapevi che alcuni shampoo contengono il midollo di bue? E lo sapevi che-

-Vuoi chiudere quella dannata bocca?- esplose infine il moro, guardandolo in faccia per la prima volta. Entrambi sussultarono e spalancarono gli occhi; Mickey perché aveva rivolto la parola ad un internato (quando gli era stato proibito categoricamente di farlo) il ragazzino perché evidentemente non si aspettava che il tizio delle pulizie avesse il permesso di rispondergli. Dopo un breve silenzio, il ragazzino ghignò.

-E lo sapevi che non ti era permesso parlare con noi?-

Mickey arrossì lievemente e distolse in fretta lo sguardo. La sedia era più o meno stata liberata dal chewing gum, così si alzò in piedi e raccattò velocemente le sue cose, deciso ad allontanarsi da quel pazzo.
-Dove stai andando?- gli chiese sempre il ragazzino seguendolo fuori dalla sala.
Mickey strinse le mani sul carrello, alzando il passo.
-Come mai sei venuto a lavorare qui?- Il rosso saltellò, determinato a stargli dietro. –Quanti anni hai? Non sembri così vecchio…-
Il moro svoltò nel corridoio costringendo se stesso a restare calmo. Se avesse continuato ad ignorarlo, il ragazzino alla fine si sarebbe arreso e se ne sarebbe andato.  Sì.
-Hai più o meno la mia stessa età, vero? No… forse qualche anno di più. Andavi alla mia stessa scuola? La Near del South Side? Non mi pare di averti mai visto-

Mickey rabbrividì. Avevano frequentato la stessa scuola? Neanche lui ricordava di averlo mai visto in giro. Un ragazzo con dei capelli così rossi non poteva essere passato inosservato.
-Dov’è che abiti?-
Mickey adocchiò l’ascensore e ci si catapultò dentro; era l’unico modo per seminare definitivamente il ragazzino. Il rosso però lo tallonò abilmente e nel momento stesso in cui Mickey pigiò 5 pulsanti a caso, preso dall’ansia, il ragazzino si infilò tra le porte scorrevoli, finendogli addosso.

Il moro era sconvolto. – Cosa cazzo credi di fare?-  e mandò al diavolo tutti i suoi buoni propositi di rimanere in silenzio. Ormai la situazione gli era completamente e dannatamente sfuggita di mano. Aveva un internato rinchiuso con lui, in un ascensore, che lo stalkerava. Era nei guai fino al collo.
D’altra parte il ragazzino sembrava divertito e si guardava intorno. –Era da un secolo che non prendevo l’ascensore- spiegò esaltato. –Dov’è che stiamo andando?-
-Dove stiamo andando-?- ripeté scioccato, guardandolo con occhi enormi. –Noi non stiamo andando da nessuna parte!- strillò. –Devi smetterla di seguirmi. Non parlarmi, non guardarmi. Continua a fare… quello che fai qui dentro-
Il rosso scrollò le spalle -Pensavo ti avrebbe fatto piacere avere un po’ di compagnia-
Mickey aprì la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse. –Tu sei pazzo-
-Non mi piace quando mi chiamano così-

Per la prima volta Mickey vide un’ombra oscurare gli occhi verdi e sempre vivaci di quel ragazzo e si ricordò che il suo interlocutore era un paziente rinchiuso in un manicomio. Non che pensasse che avrebbe potuto aggredirlo da un momento all’altro (e anche se fosse, Mickey non aveva paura di fare a botte) ma il ragazzino era disturbato. Non sapeva esattamente di quale patologia soffrisse, fino ad ora non ne aveva dato cenno, ma pensò che fosse meglio interrompere qualsiasi cosa stessero facendo. Dopotutto c’era una ragione se era proibito parlare con loro.
-Va bene- disse calmo, passandosi una mano sulla fronte sudata. –Ora devi starmi a sentire.-
L’ascensore arrivò al quarto piano e Mickey spinse in fretta il pulsante del secondo, prima che si aprissero le porte. Immaginò le facce sconvolte di tutti quelli che avrebbero potuto scoprirli lì dentro una volta che le porte si fossero aperte.

-Se qualcuno ti vedesse in questo ascensore a parlare con me, passeremmo entrambi dei guai terribili, lo capisci?- Alla parola guai il corpo del ragazzino tremò impercettibilmente. – Quindi adesso dobbiamo farti uscire di qui senza che nessuno ti veda.- disse quasi parlando con se stesso. Fissò il carrello e gli venne un’idea.
-Nasconditi qui!- esclamò indicando il bidone della spazzatura. Non era molto grande, ma se si fosse accovacciato dentro, il ragazzo ci sarebbe entrato benissimo.
Il rosso spalancò gli occhi. –Vuoi davvero che entri qui dentro?-
Mickey si sorprese ancora una volta di quanto il ragazzino sembrasse una persona normale… forse un po’ logorroico e rompi scatole, ma comunque normale.

-Hai un’idea migliore?- lo incalzò alzando entrambe le sopracciglia.
Il ragazzo sbuffò e senza troppe storie ci si ficcò dentro giusto un secondo prima che le porte dell’ascensore si aprissero. Nel corridoio c’erano alcuni suoi colleghi e Mickey li superò salutandoli con un sorriso tirato. Spinse il carrello che era diventato decisamente più pesante e svoltò in un altro corridoio. Avvicinò cautamente la testa al bidone, continuando a spingere.

-Tutto bene li dentro?- sussurrò.
Il ragazzo tossì, togliendosi di dosso delle cartacce sporche. –Credo che vomiterò-
Mickey sogghignò. Gli stava bene.
-Fa presto-
Mickey spinse più velocemente il carrello verso la sala comune ma vide alcuni infermieri entrare proprio lì dentro, smontandogli il piano.
-Merda-
-Che succede?-

Mickey fece dietro front, ora era seriamente agitato. Aveva un cazzo di paziente ficcato nel bidone della spazzatura e non aveva idea di come farlo uscire senza che qualcuno li vedesse. Era nelle merda. Era proprio nella merda.
-Non posso farti uscire- borbottò con una nota di panico nella voce. –Ci sono infermieri ovunque.-
-Portami nella mia stanza!- gli suggerì il rosso con la voce ovattata.

-S-si trova in questo piano?- balbettò svoltando un altro corridoio.
-Vai nell’ala est, la mia camera è la 241- confermò il ragazzo, tossendo.
Mickey non era mai stato in quel reparto del secondo piano, ma decise di fidarsi. Lascio che il ragazzo gli facesse strada, augurandosi che non lo stesse prendendo in giro solo per fare un piccolo tour del Payer. Oltrepassarono varie camere e finalmente arrivarono alla 241. Il corridoio sembrava deserto ma Mickey preferì nascondersi all’interno della stanza prima di far uscire il ragazzino dal suo carrello.
Il rosso si trascinò fuori, sporco, e con la faccia verdognola. –Pensavo di morire- mormorò pulendo e stirandosi la maglietta sgualcita.

Mickey diede un’occhiata alla camera grigia del ragazzo; c’era un letto in ferro battuto bianco, una scrivania con una sedia e una finestra sigillata e sbarrata. Il rosso seguì il suo sguardo e sorrise.
-Lo fanno per impedirci di buttarci di sotto- spiegò come se nulla fosse. Ma c’era qualcosa di vagamente malinconico in quella frase, pensò Mickey; doveva essere brutto non avere la libertà di aprire una finestra e respirare aria pulita, la libertà di sporgere il viso e farsi investire dal vento gelido. Senza dire nulla lasciò vagare i suoi occhi in lungo e in largo; a destra c’era un piccolo armadio grigio e poi una porta che conduceva ad un bagno privato.

Aveva già visto le stanze di altri pazienti del primo e del terzo piano, ma nessuno di loro aveva una camera singola con bagno privato; erano tutte doppie o triple e condividevano un unico bagno. Nonostante la 241 non fosse una stanza lussuosa, Mickey intuì che tutti quelli del secondo piano dovevano essere i pazienti della “prima classe”.
-E’ un po’ sporca al momento, si dimenticano sempre di venirla a pulire- disse calciando via po’ di polvere dal pavimento. Mickey si avvicinò alla scrivania e vide un album da disegno pieno di fogli colorati e scarabocchiati, dovevano essere un centinaio perché l’album non poteva chiudersi. Si ricordò del giorno in cui l’aveva visto per la prima volta, chinato sul tavolo della sala, a colorare qualcosa con una certa urgenza.

-Cos’è che disegni?- gli chiese non riuscendo a trattenersi.
Gli occhi del ragazzo brillarono mentre si avvicinava alla scrivania e ci spargeva qualche foglio. –Non disegno, coloro-
Mickey vide che effettivamente erano solo fogli colorati; alcuni con colori omogenei, altri sfumati, altri ancora colorati in maniera disordinata. Mickey si accorse che alcuni fogli erano addirittura strappati in più punti; dovevano essere stati colorati con troppa foga.

-Mi piacciono i colori, amo i colori- gli occhi erano fissi sui suoi disegni, le dita tremanti che ne accarezzavano la superficie. Era come se tutto ad un tratto il ragazzino fosse rimasto incantato dalle sue stesse opere, ipnotizzato. –D-devo riempire gli spazi. D-ddevo riempire tutti gli spazi, capisci? Niente spazi-

 Mickey si mosse a disagio; il ragazzo aveva iniziato a balbettare, cosa che non aveva mai fatto nel tempo trascorso insieme. Era come se adesso stesse scivolando via. Lontano da quella stanza, dalla loro conversazione.
-Io… devo andare- concluse Mickey sbrigativo, riprendendosi il carrello e accingendosi fuori dalla 241, ma prima che riuscisse a mettere un piede fuori il ragazzo lo fermò.

-A-aspetta!!- sembrava che stesse lottando contro se stesso per riuscire ad allontanarsi dalla scrivania, come se una forza più grande di lui lo volesse tenere incatenato lì. Mickey lo vide sbattere più volte le palpebre e fare un passo nella sua direzione con la gamba che tremava come una gelatina.
-Io… io devo proprio andare, devo tornare a lavoro- ripeté Mickey leggermente atterrito. Non credeva di voler vedere la battaglia che il ragazzino stava affrontando con se stesso, nella sua testa. Voleva andarsene.

-S-ssi, lo s-sso.- balbettò il rosso e per qualche ragione a Mickey gli si strinse il cuore. Gli diede le spalle e fece per andarsene ma la sua voce lo bloccò di nuovo.

-C-ccome ti c-cchiami?- sembrò davvero che quella semplice domanda gli fosse costata uno sforzo enorme.
Il moro continuò a dargli le spalle e stavolta fu lui a dover lottare con se stesso, indeciso se rispondergli o se andarsene in silenzio, mettendo fine a quell’assurda situazione. Strizzò gli occhi. Era un idiota.

-Mickey-

E in quattro e quattr’otto fu fuori dal reparto, lontano da lui.     
 
    
 
 
 
 
   
 
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