Capitolo 50
(Somebody that I used to know)
Il pub aveva un’aria non meno estremamente
normale, quotidiana e tranquilla rispetto alle strade di Tairans.
Per questo Uther probabilmente l’avrebbe già detestato molto più di quanto era
abituato a trovarsi a detestare un ambiente in particolare. Ovvero, anche se
non si fosse trovato nella precisa circostanza in cui si trovava, con Kumals seduto di fronte a lui con un contegno
apparentemente molto rilassato e casuale, come se stesse davvero credendo che
fossero lì solo per bere una birra in compagnia e rilassarsi.
Kumals finì il suo primo
sorso di birra e schioccò le labbra come per degustare meglio l’assaggio, con
aria quasi distratta.
«Dunque… Nonostante abbiamo appena passato
praticamente tutta la giornata a strisciare tra prati, cespugli e rovi, facendo
i voyeur delle faccende quotidiane di un accampamento improvvisato di mezzi
lupi impazziti che probabilmente stanno per scatenarsi per tutta Tairans per metterla a ferro e fuoco… è davvero piacevole ora
essere qui seduti a bere qualcosa in compagnia.»
Uther lo fissò in silenzio. Nonostante lo
conoscesse da diverso tempo e più che abbastanza, persino lui non riusciva a
rimanere del tutto intonso da quell’effetto distopico tra la tranquilla
rilassatezza del tono e dell’aspetto di Kumals e il
significato preciso di quello che aveva appena detto. D’altro canto, parecchie
volte in quella stessa sorta di distopia era stato perfettamente compartecipe
anche lui.
Kumals gli dedicò
un’occhiata. «Beh, certo. Potremmo anche non parlare affatto e goderci questo
piacevole momento di mondana tranquillità in un pacifico silenzio
contemplativo.»
Uther si mise seduto un po’ più dritto,
appoggiandosi con i gomiti sul tavolo e assumendo un che di solo appena
rassegnato. «Stavo solo pensando alla faccenda Tairans
messa a ferro e fuoco…» disse, con tono non meno casuale.
«Sì…?» lo incoraggiò Kumals,
mostrando una certa curiosità.
«Beh… ripetimi un po’: perché esattamente
siamo così determinati a impedirlo?»
Kumals emise un leggero sbuffo
sinceramente divertito, e persino a Uther sfuggì un leggero sogghigno.
«Ohhh… » sospirò Kumals, abbandonandosi
contro lo schienale «Non so, immagino perché siamo anche noi vittime di questa
generale e banale concezione di ‘bene e male’,
secondo la quale dovremmo in via di massima purtroppo privarci del piacevole
spettacolo che potrebbe rappresentare Tairans messa a
ferro e fuoco…»
«Nah… Non credo
sia per quello.» scosse appena la testa Uther, ancora in tono colloquiante.
Kumals gli scoccò uno
sguardo complice, alzando appena un sopracciglio. «Ah no?»
«No.» confermò Uther, scuotendo la testa
con un po’ più di intenzione, e chiaramente solo per reggere meglio la scena.
«Penso piuttosto che sia perché, se qualcuno dovesse proprio mettere a ferro e
fuoco questa città, gli unici che secondo noi dovrebbero farlo saremmo proprio
noi.» spiegò, prendendo un sorso di birra.
«Humm…
interessante teoria… e una specie di declinazione del concetto di ‘difesa del
territorio’, direi…» osservò Kumals ironico, fingendo
di ponderare la cosa con interesse. «Ma d’altra parte questo non è più il
“nostro territorio” da tempo, no?» ribatté con un accenno di sorriso
calorosamente gentile.
Uther diede una breve alzata di spalle e
rivolse lo sguardo altrove. «Non ne sento affatto la mancanza, se è questo
quello che stai pensando. Non particolarmente. Non di Tairans,
se non altro. Forse di certe giornate che abbiamo passato qui… io, te, Zoal e Yuta… forse di quelle sì.
Ma solo un po’. Perché per la maggior parte, Kumals,
credimi… avere un oceano che ci separa è decisamente un’occasione imperdibile
per non averti tra i piedi in continuazione.» terminò, riportando gli occhi su
di lui con voluta intensità provocatoria e sogghignante.
«Già…» concesse Kumals,
sostenendogli e ricambiandogli perfettamente quell’espressione «E anche
un’ottima occasione per approfittare del mio appartamento a
sbafo, no?»
«Anche, perché no?» concesse Uther con
nonchalance, il sogghigno complice e soddisfatto un poco più accentuato.
«A questo proposito, mi stavo giusto
chiedendo…» continuò Kumals.
Ma a Uther non sfuggirono affatto quegli
appena percettibili cambiamenti nell’intonazione e nella postura,
riconoscendoli immediatamente come i segnali tipici di quando l’altro stava per
rendere una conversazione apparentemente innocua qualcosa di più stringente e
strategicamente pilotato.
«Sta per iniziare l’interrogatorio, vero?»
lo interruppe, mentre la sua espressione diveniva seria di colpo.
Kumals lo guardò e
sbatté appena le palpebre, fingendosi stupefatto. «’Interrogatorio’?» ripeté
«Oh, per favore… non potresti trovare un termine meno… poliziesco? Sul serio,
specie se usato da te, lo trovo offensivo.» protestò leggermente, tra il serio
e lo scherzoso, e con un falso accenno di lamentosa offesa.
«La ‘tortura verbale’, forse?» offrì
impassibilmente Uther come alternativa.
Kumals emise un piccolo
sbuffo. «Questa è una esagerazione, suvvia.»
«Sul serio… so bene che la tua moralità è
decisamente qualcosa di originalmente arrabattato, ma com’è esattamente questa
forma di perversione che hai nel torchiare i vecchi amici, specialmente quando
li reincontri dopo un po’ che non li vedevi?» ribatté
prontamente Uther.
Con sua sorpresa, invece che restituire
immediatamente la stoccata verbale, Kumals alzò lo sguardo
al soffitto con un che di vagamente contemplativo. «No, non direi una
perversione. Direi piuttosto un’illusione…»
«Un’illusione?» ripeté Uther, alzando un
sopracciglio, suo malgrado sinceramente incuriosito, oltreché incapace per il
momento di anche solo intuire quale possibilmente contorta via stesse prendendo
Kumals per arrivare a quello che doveva sicuramente
essere un modo di restituirgli pan per focaccia; perché dopotutto era pur
sempre Kumals e dopotutto lui lo conosceva fin troppo
bene.
«Oh, sai, tutti ne abbiamo bisogno in
qualche misura, e ne siamo soggetti. Alle illusioni.» disse Kumals,
riprendendo un tono discorsivo e apparentemente quasi svagato «E la mia… la mia
rosea illusione è che un giorno le persone a cui tengo avranno sviluppato, sotto
la minaccia di essere altrimenti ancora una volta sottoposti ad una di queste
chiacchierate con me, almeno un più decente spirito di auto-conservazione, se
non proprio una salda refrattarietà a farsi del male gratuitamente e-o con
mezzi tanto assurdi che in ogni caso non li porterebbero mai nemmeno
lontanamente vicino a ciò che veramente desiderano.»
Uther rimase in silenzio qualche istante,
la sua espressione incupita. Poi sembrò arrendersi appena un poco. «Va bene, Kumals. D’accordo.» disse, chinandosi sul tavolo a braccia
incrociate per fissarlo più direttamente negli occhi, con uno sguardo piuttosto
torvo e chiaramente di sfida «Allora, se è arrivato il momento della tua
“ramanzina dell’occasione”, procedi pure.»
Kumals lo guardò con
un’aria stupita, del tutto a bella posta naturalmente, ma perfettamente
credibile. «Ma io non volevo farti una ramanzina. Affatto. Volevo solo…
soddisfare la mia curiosità.»
Uther lo studiò più attentamente, cercando
il tranello, senza riuscire nemmeno a intravederlo per il momento, ma non per
questo meno deciso a continuare a cercarlo. «La tua curiosità.» ripeté perciò
solamente, con attenzione seria e scettica.
«Esatto.» confermò Kumals,
annuendo esageratamente. «Volevo chiederti com’è andata la tua dichiarazione a
Danny.»
Uther, che aveva sfortunatamente scelto
proprio quel momento per prendere un rapido sorso incoraggiante di birra, se la
fece andare di traverso e tossì corposamente. «La mia cosa??»
Kumals sorrise,
sibillinamente e vittoriosamente soddisfatto. «Nella cantina di Mordecai. Lui
stesso mi ha detto di aver sentito qualcosa del genere. Naturalmente, non era
affatto sua intenzione origliare. Stava solamente cercando di capire,
ascoltando la conversazione tra le voci che provenivano dalla sua cantina dopo
che era appena tornato a casa trovandola in uno stato decisamente diverso da
come l’aveva lasciata, che cosa accidenti potesse mai stare succedendo. A
proposito, mi ha confidato di essere stato sinceramente dispiaciuto di
interrompere, ma ha anche pensato che a quel punto se avesse continuato ad
ascoltare e avesse dovuto interrompere più avanti nella conversazione sarebbe
stato anche molto peggio.»
Uther, ripresosi forzatamente dalla birra
andatagli di traverso, lo stava semplicemente guardando tra il sorpreso e il
suo malgrado privo di appigli di salvataggio. Kumals
si trattenne dal sorridere ancora di più e più felinamente di quanto non stesse
già facendo.
«É stato un malinteso.» disse infine
Uther, riprendendo a sorseggiare la sua birra con aria studiatamente
disinteressata «Era un tentativo di evocare l’agente del karma cosmico. E
peraltro ha funzionato.»
Kumals lo contemplò per
un poco, attentamente e pensierosamente: nonostante di solito fosse
perfettamente in grado senza sforzo di riconoscere gli abilissimi modi in cui
Uther era in grado di mentire in maniera perfettamente convincente e
credibilissimamente casuale, stavolta non ci riusciva con sicurezza.
«Sai cosa è veramente sconcertante? Che
sembri crederci davvero.» ammise infine, con studiata calma.
«Perché è così.» insistette Uther con
ancora più calma, finendo di bere la sua birra. «E sai tu una cosa? Penso
proprio che farò a meno del resto di questa conversazione, ma grazie Kumals. Per la birra intendo.»
Uther riappoggiò il bicchiere vuoto sul
tavolo e si alzò in piedi per avviarsi verso l’uscita. Un braccio di Kumals si sporse con uno scatto fulmineo, afferrandolo con
una ferrea presa per l’avambraccio.
«Siediti, Uther.» disse solo. Ma nel suo
tono e nel suo sguardo, totalmente piatti e calmi a vedersi, c’era qualcosa che
lo rendeva quasi irriconoscibile rispetto al suo solito aspetto, e una
decisione che sembrava essere convinta di essere perfettamente in grado di
incidere delle parole in un diamante se solo avesse voluto o dovuto farlo.
Uther lo fronteggiò per qualche istante,
perché no, quello non era davvero qualcosa di capace di farlo cedere
immediatamente, per quanto ne potesse perfettamente apprezzare e comprendere la
portata. Forse semplicemente le cose che più si conoscono come totalmente
intimorenti, proprio perché si ha familiarità con esse finiscono per intimorire
ancora di più e allo stesso tempo per renderci incapaci di ubbidire
all’impellente istinto di evitare di scatenarcele addosso nonostante ci stia
tirando praticamente per i capelli e gridando a squarciagola e probabilmente
anche rivolgendoci notevoli imprecazioni irripetibili.
E infine tornò a sedersi. Kumals gli lasciò andare con sciolta tranquillità il
braccio, e riacquisì immediatamente, e con non meno altrettanto stupefacente e
in qualche modo elegante naturalezza, un’espressione rilassata e quasi
casualmente svagata.
Passarono alcuni momenti di silenzio. Kumals sorseggiava la sua birra con calma, e quando passò
un cameriere lì vicino gli rivolse un breve cenno per indicare di portarne un’altra
ad Uther. Tornò a parlare solo quando il secondo bicchiere pieno fu appoggiato
davanti all’altro, anche se questi non diede alcun segno di essere intenzionato
a riprendere a bere.
«Allora… mi dicevi? A proposito di come è
andata la tua dichiarazione a Danny?»
Uther sembrò optare per iniziare a bere il
suo secondo bicchiere di birra. «Splendidamente, per evocare l’agente del karma
cosmico.» rispose con impassibile tranquillità.
«Oh, e quindi ne è nato qualcosa?» domandò
ancora Kumals, come se avesse perfettamente e
compattamente ignorato la seconda parte della frase. «Tra l’altro, avevo
qualche sospetto, visto che a quanto pare la nostra Andrea sta ordendo piani
omicidi perché Danny non la chiama da giorni. Voglio dire, da prima che
pensasse bene di trovare un modo per ridursi di nuovo in quelle condizioni
disastrose.»
Uther emise un leggero verso sarcastico.
«Quello è perché Danny sa bene cosa lo aspetta quando le dovrà spiegare che
cosa sta succedendo qui con quei mezzi lupi.»
«Ah, però! Non sapevo che avessi una così
grande capacità di analisi delle situazioni di coppia.» commentò Kumals, con sincero stupore ironico.
«Non è niente del genere. Il mio è
pessimismo realista.» corresse Uther con calma.
«D’accordo. Ti concedo che in quello ho
conosciuto ben pochi così bravi come te.» ammise Kumals.
«Questione di pratica costante.» rispose
Uther en passant.
«Bene. La successiva domanda è se sei
tornato qui per malinconia dei tempi andati, per nasconderti dal mondo in un
luogo in cui poter tranquillamente affondare nell’auto-commiserazione
distruttiva, o perché già sapevi di quei mezzi lupi.» proseguì Kumals, ancora con quel tono da conversazione casuale.
«Tre possibilità. È un gioco ad
eliminazione, forse?» ribatté Uther, con aria compassata.
«No. So per certo che è uno di questi tre
motivi che ti ha spinto a tornare qui. Avanti, stiamo parlando di Tairans. Oh, sì, certo, cittadina pittoresca, almeno nella
sua parte antica, e sono sicuro che il tramonto visto dal porto è ancora molto
bello come lo ricordo. Tuttavia, persone come te e me potrebbero tornarci solo
perché hanno chiuso col resto del mondo e questo luogo è tutto ciò che rimane
come scena di alcuni dei loro migliori ricordi, o per metterla a ferro e
fuoco.» illustrò Kumals.
«Sono sicuro che moltissimi psicologi
potrebbero arricchirsi scrivendo libri sul tuo rapporto con Tairans.»
osservò Uther.
«Probabile. Ma dovrebbero pagarmi i
diritti per il resto della loro vita. E sopportare l’idea di starmi mantenendo
per un’intera vita è qualcosa a cui molti rinuncerebbero tranquillamente
insieme ad un sacco di soldi, ne sono sicuro. Ad ogni modo, quale delle tre
opzioni ti ha portato qui, dunque?» non desistette Kumals.
Uther sorseggiò un altro po’ della sua
birra. «Non sapevo dei mezzi lupi. Ed ero qui perché volevo staccare un po’ dal
resto del mondo. Non ricordo che busta era esattamente, se era la uno o la due
o la tre.»
Kumals annuì tra sé e sé
come se si stesse confermando qualcosa da solo. «Quindi è stata Mara a venire
da te.» concluse, come se fosse una ovvietà immediatamente e logicamente
consecutiva.
Dopo qualche istante di silenzio, Uther
disse semplicemente «Sì.»
Kumals sospirò appena e
si appoggiò all’indietro contro lo schienale, acquisendo un che di più
paziente. «Immagino avrai capito subito che c’era qualcosa che non andava… Una
donna bella e giovane, almeno all’apparenza, e piuttosto intelligente, di un
qualche tipo di intelligenza perlomeno, che si aggira per Tairans
come se non avesse di meglio dove andare, e che ti approccia come se non avesse
di meglio da fare.»
«Stai mettendo in dubbio il mio fascino, Kumals?» si informò Uther, con un accenno di ironia,
incrinando un poco un sopracciglio.
Kumals lo fissò più
direttamente, un accenno di sorriso in volto, e si sporse in avanti sul tavolo
appoggiandosi con le braccia. «Sto mettendo in dubbio che tu sia un idiota che
si lascia incantare dalla prima bella donna che passa quando è evidente che
potrebbero esserci altre motivazioni dal puro e semplice ‘hey,
che bel tipo quello laggiù!’. Il che, se ci pensi bene, è un po’ come un
complimento. O forse sono addirittura due complimenti in uno.»
«Sono quasi commosso. Cercherò di non
arrossire troppo.» commentò ironico Uther.
«Dunque?» incalzò Kumals,
con calma ma solida determinazione attenta.
«Perché ho dato spago ad una bella donna
che mi stava circuendo con evidenti fini altri? Non so.» disse Uther, alzando
le spalle «Immagino perché mi stavo annoiando. E a quanto pare quando mi annoio
ho una certa predisposizione per finire dentro la qualsiasi situazione più
assurda e potenzialmente pericolosa più a portata di mano in quel momento,
senza starci a pensare due volte.»
«Poco ma sicuro.» commentò Kumals, con un leggero verso sarcastico, tornando ad
appoggiarsi all’indietro, ma continuando a tenergli addosso uno sguardo
estremamente e acutamente attento. «Ma in questo caso, credo che invece sia
stato perché lei ti ha fatto il nome di Danny.»
Uther alzò gli occhi su di lui, e rimase
per un momento in silenzio. «… Potrebbe essere.» mormorò infine, con
precauzione.
Kumals sospirò.
«D’accordo. Mettiamo per un momento che
sia andata proprio così. Ora, per la verità sospetto che non si sia limitata a
farne il nome, ma che abbia cercato di dimostrarti, gradatamente e
apparentemente quasi con casualità, che non solo conosceva Danny ma che aveva
congrui motivi per ritenere di averlo conosciuto molto bene, di esserci stata
in notevole familiarità. Mi chiedo se ti abbia detto fin dalla prima volta che
vi siete incontrati che era lei che lo aveva reso un mezzo lupo. Ma questo per
ora non è un dettaglio importante. Perché il passo successivo, quello che mi
premerebbe riassumere ora, è che ti sei lasciato condurre in quel villaggio di
mezzi lupi. E che ci sei tornato più volte. E… non sei mai stato, nemmeno nelle
tue peggiori sbronze, così sprovveduto da cacciarti di tua volontà in una
situazione di così palese pericolo privandoti tranquillamente di qualsiasi
anche solo pallida possibilità di salvarti la pelle, o almeno di riportarne via
perlomeno la maggior parte abbastanza illesa. Così… non è certo per questione
di mancanza di mezzi di conoscenza e intelligenza se sei andato là più volte e
che sei stato al suo gioco. Potrei pensare che fosse un raffinato piano per
sabotare quello che stavano organizzando là… ma la verità è che non avevi
nessun piano, non è vero? Potrei pensare che volevi giusto raccogliere il
maggior numero possibile di informazioni per capire di che si trattava
esattamente, ma immagino che avrai saputo tutto quello che si poteva capire e
intuire di quello che stavano combinando già dalla prima volta che hai messo
piede là, o giù di lì. Potrei immaginare che avessi semplicemente perduto la
testa per Mara, ma non mi sembra particolarmente il tuo tipo a giudicare da
quello che so di lei.»
«E come sai delle cose di lei,
esattamente?» domandò Uther, sinceramente incuriosito e con un che di appena
sospettoso.
Kumals emise un leggero
sbuffo, agitando sommariamente una mano a mezz’aria come a dissipare quello che
sembrava ritenere un interrogativo piuttosto sciocco in fondo. «Andiamo, Uther.
Sai benissimo che posso scovare tutte le informazioni di cui io possa aver
bisogno, all’occorrenza, in un tempo abbastanza risibile, e purché sia
possibile farlo. E per quanto il… “mondo dei mezzi lupi” sia decisamente a
parte rispetto a quello degli esseri umani, in questo particolare caso sapevo a
chi rivolgermi. E sono stato eccezionalmente fortunato, peraltro, perché nel
giro di un paio di passaggi tra diverse mie fonti sono risalito addirittura a
qualcuno che conosce quella donn… quella mezza lupa
molto bene.» spiegò.
Uther lo stava fissando con un
sopracciglio leggermente sollevato, come se stesse cercando di soppesare
esattamente quanto lui si stesse eventualmente e più che altro dando delle
arie.
«Ad ogni modo, se mi permetti continuerò
quello che stavo dicendo.» proseguì imperterrito Kumals,
sorseggiando brevemente la sua birra. «Ovvero, il motivo per cui ti sei
inoltrato in quella situazione e hai assecondato Mara e via dicendo, rimanendo
senza difese. Il vero motivo, intendo. Al resto… allo scoprire esattamente cosa
stesse succedendo là per poi avvertire qualcuno di noi per cercare di evitare
il peggio, come stiamo cercando di fare… al resto ci avresti pensato dopo, non
è vero? Non appena avessi ottenuto ciò che volevi. E il vero motivo era sempre
solo uno.»
Kumals tacque,
osservandolo attentamente attraverso il tavolo che li separava. Ma Uther rimase
a sua volta zitto, perciò il silenzio si estese per alcuni lenti momenti.
«E questo che cosa sarebbe?» domandò infine
Uther, con chiara ironia «Il momento di suspense?»
Kumals scrollò
brevemente le spalle, riabbassando lo sguardo sul tavolo con fare
apparentemente casuale. «Oh, devo dirlo il motivo? O lo lasciamo non detto?
Cioè, mi stupirebbe se ora si potesse dirlo ad alta voce, perché se non ricordo
male ogni altra volta che abbiamo cercato di affrontare l’argomento negli
ultimi mesi era una specie di tabù.»
«Negli ultimi mesi?» trasecolò Uther «Che
cosa c’entra con quello che è successo qui negli ultimi giorni?»
Kumals rialzò su di lui
quasi di scatto uno sguardo significativo. «Il motivo è sempre lo stesso.»
disse con calma sicurezza. «Il motivo per cui sei venuto a rintanarti qui a Tairans per ritirarti dal resto del mondo, il motivo per
cui hai seguito Mara, e il motivo per cui sei rimasto a fare amicizia con lei e
il suo seguito di impiastri in quella baraccopoli mal-raffazzonata per giorni e
giorni. Il motivo per cui ciò che in fondo pensavi che sarebbe successo e
speravi che accadesse… che Mara, o magari qualcun altro dei suoi accoliti da
strapazzo alla fine ti avrebbe morso per cercare di mutarti in un mezzo lupo,
facendoti rischiare di concerto di morire, di impazzire, o di riuscire…»
Uther non disse una singola parola.
Kumals emise un debole
ma lungo sospiro, distogliendo di nuovo lo sguardo per un momento. «Sai su che
cosa potrei scrivere libri io, Uther? Sul fatto che qualsiasi strada tu possa
prendere per cercare di arrivare ancora più vicino a Danny, almeno un po’ più
vicino di quanto tu già non sia, non ci riuscirai mai.»
Di nuovo, Uther si limitò a fissarlo in
silenzio, lo sguardo un po’ più incupito e terribilmente serio.
Kumals gli rivolse un
accenno di sorriso sincero e dolente. «Posso solo immaginare quanto possa far
male. Perciò, come non l’ho mai fatto prima, so bene di non poterti dire niente
che possa veramente aiutare… Beh, oltreché ‘aiutare’ è un concetto inoltre
sgradevole, specialmente in questi casi forse. ‘Alleviare’, sì, forse è il
termine più esatto… Ma comunque, quello che mi ha fatto veramente pensare che
tu stessi per passare sull’altra faccia della luna col cervello, è il fatto che
questo tentativo in particolare ti avrebbe sicuramente portato nella direzione
nettamente opposta.»
Uther sembrò decidersi a rompere a
malincuore il suo muro di silenzio, per chiedere succintamente e quasi senza
intonazione «Che cosa intendi dire…?»
Kumals sembrò nondimeno
ritenerlo come qualcosa di vicino ad un buon segno, perché sorrise appena un
poco di più, mentre rispondeva «Pensi veramente che se ti fosse accaduto… che
se ti accadesse mai qualcosa del genere, che se fossi coinvolto in un tentativo
di mutazione in mezzo lupo, allora le cose potrebbero in qualche modo
migliorare per te su questo frangente? No… non penso che tu possa riuscire
onestamente a pensare una cosa tanto superficiale e incongrua. Ma quello che mi
ha stupito sul serio… è che tu sia stato capace di desiderare di tentare
qualcosa per la quale, una volta che Danny l’avesse scoperta e soprattutto
avesse scoperto che ti eri messo in balia di essa volontariamente, non ti
avrebbe mai potuto perdonare. Mai.»
Uther sembrò colto da un sincero stupore
confuso. «Perdonarmi?»
Kumals annuì lentamente.
«Di avergli fatto questo.» precisò «Perché ci sarebbe arrivato, prima o poi.
Coi suoi tempi. Magari un po’ lentamente… lento come riesce ad essere lui su
queste cose… credo che sia questione che non ha un metodo valido. Magari
qualcuno avrebbe dovuto fargli uno schema e illustrarglielo… Tuttavia, prima o
poi ci sarebbe arrivato. Avrebbe capito com’era successo, e chi era stato. E
avrebbe capito ciò per cui non avrebbe mai potuto perdonarti: che l’avessi
fatto per lui.»
Uther fece una smorfia dolente e rivolse
lo sguardo altrove. «Non l’avrei fatto per lui.» obbiettò.
Kumals sembrò
sinceramente sorpreso. «No?» si informò, alzando un poco un sopracciglio,
piuttosto dubbioso.
Uther scosse un poco la testa. «Non in
quel senso. Non per… ‘essergli più vicino’, come dici
tu. Penso che anzi l’avrei evitato apposta perché non sapesse mai cosa era
successo. Ammesso che sopravvivessi.»
Kumals inclinò un poco
la testa di lato, come se stesse ponderando qualcosa tra sé e sé con una certa
curiosità. «Quindi era la tua garanzia per essere costretto ad evitarlo per il
resto della vita?»
Uther gli scoccò un breve sguardo
perplesso. «No.» rispose, come se fosse stupito che lui avesse potuto pensare
ad un ragionamento così contorto.
«Che cos’era allora?» insistette
gentilmente Kumals, con fare paziente.
Uther distolse di nuovo lo sguardo,
facendolo vagare distrattamente e pensierosamente per l’ambiente. «Forse solo
tu potresti capirlo, dopotutto… Sì… forse giusto tu.»
Kumals alzò di nuovo un
sopracciglio, perplesso e interrogativo, ma si guardò bene dal tentare anche
solo una mezza sillaba, avendo la sensazione che fosse in quel momento molto
più tattico non rischiare nemmeno per sbaglio di interrompere quello che poteva
essere forse un inizio di un flusso di coscienza aperta: un genere di cose che,
nel caso di Uther, probabilmente avevano più o meno la rarità della morte e
sostituzione di un papa, per quanto gli poteva dire la sua conoscenza di lui.
«Ti ricordi…» proseguì Uther, ancora con
quel tono distratto e quasi contemplativamente pensieroso «Di quando passavi
minuti e minuti a spiegarmi… a vantarti di quanto avessi studiato e riflettuto
su come potesse essere il modo in cui un mezzo lupo percepisce e sta nel mondo?
Quella faccenda dei ‘piani del reale’, e via dicendo?»
Kumals si lasciò
sfuggire una piccola smorfia di leggero fastidio, ma ad ogni modo confermò con
un semplice e attento «Sì, mi ricordo.»
Uther tornò a fissarlo direttamente.
«Perché hai smesso di farlo?»
Kumals sbatté le
palpebre. «Di parlartene? Non ho smesso di parlartene. Ho smesso di starci a
rimuginare sopra così tanto.»
«Perché?» insistette Uther. C’era qualcosa
di singolarmente intento e quasi disperatamente interrogativo che non sfuggì al
suo interlocutore.
Kumals lo guardò bene, e
infine appoggiò i gomiti sul tavolo, incrociò le dita delle mani e vi appoggiò
il mento sopra, contemplandolo con nuovo interesse, mentre rispondeva «Perché…
mi sono reso conto che avevi ragione.»
Uther si stupì. «Io?»
Kumals annuì. «Oh sì. Quello che dicevi… e che io pensavo fosse solo una
specie di pigra scusa o di recondita paura verso l’approfondire un argomento
così affascinante… ma avevi ragione, a proposito del fatto che è inutile
arrovellarsi così tanto su qualcosa che qualcun altro semplicemente vive come
la sua realtà. Si finisce per illudersi di poterla capire come se la si
vivesse, quando in realtà per chi non la vive rimane solo qualcosa con cui
giocare con la propria immaginazione, e pertanto decisamente e
irrimediabilmente diverso dal viverla.»
Uther corrugò la fronte. «Non ricordavo
quest’ultima parte…» commentò.
Kumals agitò appena la
mano a mezz’aria, come se non fosse quello il punto importante. «L’ho aggiunta
io forse, o forse l’hai rimossa… e così hai iniziato a tua volta a lambiccarti
fin troppo su questa cosa della realtà vissuta da un mezzo lupo. Così, vedi, la
mia preoccupazione non era rivolta ad un ‘ecco fino a che punto è arrivato
Uther’, quanto al ‘che cosa diavolo deve stare passando, per essere arrivato
fino a questo punto?’.»
Uther fece una smorfia e il suo tono suonò
rimbrottante «Anche tu ti lambiccavi parecchio il cervello all’epoca, ma non mi
pare che fossi infatuato di Danny.»
Kumals sollevò appena un
sopracciglio, e abbassando lo sguardo, con un leggero sorriso scherzoso che gli
aleggiava sulle labbra, commentò al di sopra del bicchiere di birra che si era
portato alla bocca «Perché, se lo fossi stato saresti geloso?»
Uther lo fulminò con uno sguardo
particolarmente duro, intento e con un che di ferito.
Kumals si bloccò e
dedicandogli uno sguardo sinceramente pentito disse subito «Oh, scusami.
Perdonami. Davvero. Questa era esagerata.»
Uther sospirò pesantemente, lasciandosi
andare contro lo schienale e alzando gli occhi al soffitto con aria
esasperatamente rassegnata. «D’accordo… ora hai verificato le tue teorie? Sei
soddisfatto? Possiamo mettere fine a questo… questa cosa… questo parlare con te
come se cercassi di scaravoltare come un calzino il
tuo interlocutore?»
Kumals lo contemplò
alzando un poco un sopracciglio. «Non so.» ammise quietamente, alzando
brevemente le spalle «Di solito preferisco terminare quando ho l’impressione
che ci sia stata almeno una certa rielaborazione cosciente.»
Uther gli lanciò un’occhiata scontenta, e
si sporse infine in avanti sul tavolo, guardandolo con intenzione. «… E di che
cosa esattamente pensi che non sia ancora così cosciente?» gli domandò,
sinceramente interessato ma anche con una certa dose di sfida.
«Penso che ti sia sfuggito un punto, che
ancora ti sfugga.» replicò con posata calma Kumals, e
una certa nonchalance. «Un punto che a me sfuggiva completamente quando ero
così preso dall’immaginare la condizione di un mezzo lupo.»
Uther alzò un sopracciglio, guardandolo
con un certo scetticismo. «E quale sarebbe questo fatidico punto?»
«É stato come un punto di svolta per me.»
proseguì Kumals, imperturbabile «E quando ci sono
arrivato, pensavo che tu, a differenza mia, lo avessi invece colto subito.
Forse non mi sbagliavo. Forse allora lo avevi colto, ma inconsapevolmente, e
poi… poi ti dev’essere sfuggito.»
Uther sospirò. «Va bene… puoi smetterla di
farla tanto lunga e dirmi quale sarebbe questa benedetta chiave di volta
secondo te?»
Kumals rialzò di colpo
lo sguardo dritto nel suo, con una sicurezza seria e intenta. «Danny non lo ha
scelto.» puntualizzò dopo qualche istante di silenzio. «Di divenire un mezzo
lupo.»
Uther lo continuò a guardare, ora
completamente assorto in un’attenzione concentrata, ma sembrava non
particolarmente colpito. Quella, se non altro, era abbastanza un’ovvietà per
chiunque di loro.
«In base a quello che mi hanno detto di
Mara…» proseguì Kumals «E a quello che lei ha messo
su qui, quella specie di circo… Mi rendo conto che lei possa pensare che
l’unico modo di prendere questa cosa di diventare un mezzo lupo sia una specie
di “dono”, qualcosa di sicuramente e benevolmente rivoluzionario. Tuttavia… non
mi sarei mai aspettato che proprio tu arrivassi a pensarla in questo modo…
proprio perché conosci bene Danny. E lui non mi pare il tipo da idealizzare la
sua natura; tutt’altro. Dunque… forse se sei stato capace di arrivare
attualmente al punto di non aver più lucidamente presente ciò che all’epoca
dovevi aver intuito a pelle riguardo a Danny… è perché non gliel’hai mai
chiesto esplicitamente.»
Uther diede di nuovo segno, tramite la sua
espressione, di non stare capendo cosa esattamente volesse dire, e allo stesso
tempo come se lo sospettasse, ma non riuscisse ad afferrarlo precisamente.
«Chiesto cosa…?» domandò, leggermente perplesso.
Kumals annuì un poco tra
sé e sé, come confermandosi da solo la sua riflessione. «E questo è il mio
consiglio, allora. Visto che non credo mi stessi sbagliando.» si interruppe
brevemente e di nuovo fissò Uther direttamente negli occhi, con seria
intenzione ma anche un palpabile accenno di sinceramente affettuosa gentilezza
«Chiediglielo, Uther. Chiedigli com’è per lui essere un mezzo lupo, esserlo
diventato senza sceglierlo…»
Uther si fece istintivamente indietro,
muovendosi lentamente, e si mosse un poco come se si sentisse improvvisamente
scomodo, una leggera smorfia di disagio. «Credo di poter già sufficientemente
immaginare la risposta…» disse piano, abbassando lo sguardo.
Kumals gli sorrise un
poco di più, ancora con quell’inclinazione di gentile affetto. «Ma è diverso,
no…?» obbiettò con tranquillità, riprendendo il suo bicchiere di birra e
abbassando lo sguardo per un momento. «È diverso, io credo, sentirlo dire
direttamente da lui.» proseguì, mentre la sua espressione sembrava per un
momento tornare alla memoria di qualcosa di relativamente lontano. I suoi occhi
poi tornarono a puntare direttamente su Uther, con quell’acuta attenzione ora
decisamente ammorbidita, ma non per questo meno incisiva. «E… se dopo avrai
ancora intenzione di renderti così apertamente disponibile per farti morsicare
da qualche mezzo lupo, ti prometto, Uther, che ti accompagnerò personalmente e
ti aiuterò e sosterrò finché non ci sarai riuscito.» affermò.
Ora era il tono di Kumals
a contenere un vibrante accenno di sfida, sebbene particolarmente e
familiarmente affettuosa, così che suonò quasi accorata.
Uther sapeva che in un certo senso stava
mentendo, ben sapendo che era qualcosa di sostanzialmente scontato per
entrambi. Kumals non l’avrebbe mai davvero aiutato in
qualcosa del genere. Ma la formula stava venendo comunque posta come una
scommessa su cui puntare tutto, a segno del fatto che l’altro era davvero
convinto che, se lui avesse seguito il suo consiglio, dopo non avrebbe mai e
poi mai più nemmeno pensato di fare qualcosa del genere.
«… Kumals?»
chiamò dopo qualche momento di silenzio Uther, ancora fissandolo dritto negli
occhi, con tono serio ma ora quasi quieto.
«Sì…?» rispose l’altro con consimile
calma, sorseggiando la sua birra senza fretta.
«Tu gliel’hai chiesto?»
Kumals alzò lo sguardo
con un accenno di sorriso. «Sì, l’ho fatto. Diverso tempo fa.»
«Ah.» fu tutto ciò che commentò Uther dopo
un poco, senza altra particolare inclinazione nel tono apparentemente, tranne
quella di una semplice e piatta constatazione.
Kumals emise un piccolo
verso burberamente ironico e piuttosto divertito. «Mpfh… Mi conosci abbastanza bene da non chiedermi che cosa mi disse.
Sai
che non te lo direi… dal momento che credo che dovresti chiederglielo tu stesso
e sentire da te la risposta…» commentò quietamente.
Uther non si diede nemmeno la pena di
rispondergli. Non c’era altro da aggiungere. E quello era quanto mai ovvio.
Perciò continuarono a bere le loro birre
in un silenzio condiviso con tranquilla abitudine, e che aveva una natura quasi
palpabile; qualcosa che sembrava sancire tacitamente che una qualche tempesta
era appena passata, e che quello era pertanto un momento di quiete nuovo di
zecca, e allo stesso tempo consueto e perfettamente familiare.
Soundtrack: Somebody that I used to know (Gotye
feat Kimbra)
(dalla
quale ho anche preso il titolo per questo capitolo, ovviamente)
Note
dello scribacchiatore:
Questo
capitolo mi è venuto decisamente lunghetto, ma spero ne valga la pena alla
lettura!
Questi
due personaggi sono davvero… terribili. Già se presi singolarmente cioè, ma in
combo proprio… Immagino che se fosse stato presente Ramo avrebbe iniziato ad un
certo punto a cercare di strisciare via senza farsi notare :p
Riguardo
alla domanda che Kumals consiglia di porre a Uther,
in realtà non è un mistero per nessuno la possibile risposta; è già comparsa in
riflessioni o parole di Danny nei precedenti capitoli, e Uther stesso può
facilmente già saperla per via della sua conoscenza di Danny, ma quella di Kumals è a tutti gli effetti una sorta di sfida ad avere il
fegato di fare qualcosa che, se raccontato dalle parole stesse di chi lo ha
vissuto, dovrebbe risultare affatto come un buon obbiettivo.
Alzi
la mano chi vorrebbe Kumals come suo personale
super-conscio in versione torturante per (forse) buoni fini dopotutto. Okay… no
eh? Sì, certo, posso capire perfettamente… :p