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Autore: Enchalott    23/08/2018    6 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Intorno al fuoco
 
Aska Rei si voltò, osservando la scena con un guizzo di divertimento negli occhi color acciaio: Adara cavalcava affiancata a Narsas, in coda alla colonna in marcia e l’arciere talvolta alzava il capo, ma con sempre meno riluttanza per partecipare a quel dialogo improbabile.
Non riusciva a scorgere l’espressione del giovane, ma da come la principessa si muoveva in sella mentre discorreva, pareva fosse in parte riuscita nell’intento di rompere il ghiaccio. Uno a zero per lei. Indubitabile.
Aska Rei alzò il viso abbronzato verso la volta celeste.
Il sole stava tramontando, annidandosi discreto tra le montagne, e l’aria si era fatta sensibilmente più fresca. Le acque del torrente si erano rabbuiate, assumendo una tinta violetta e lo sciacquio persistente invitava con sempre maggiore insistenza al riposo. Sottili striature di nebbia iniziavano ad attorcigliarsi intorno alla possente base dei Rhaida, rendendo meno nitida la visuale dell’orizzonte.
Il capitano si guardò intorno, vagliando la posizione più opportuna per trascorrere la notte: poco distante si elevava di pochi metri uno sperone erboso, abbastanza isolato dalla valle e poco lontano dall’acqua, che forse garantiva una possibilità.
“Dare Yoon!” chiamò con voce ferma.
“Agli ordini” scattò il soldato dietro di lui, affiancando il cavallo.
Era un uomo con i capelli neri e le iridi blu notte, vestito con l’uniforme della Guardia Reale, che mostrava un’espressione decisa ed efficiente sul volto.
“Prendi due uomini e andate a controllare quella sporgenza. Se si rivelerà adatta, monteremo lassù il campo, prima che calino le tenebre. Attendo il vostro riscontro”.
“Sissignore!”
Il suo secondo partì subito a spron battuto, seguito dai colleghi prescelti, sollevando una nuvola di polvere, che si levò leggera nell’aria. Pochi minuti dopo, Aska Rei vide accendersi le due torce nella luce calante del tramonto. Era il segnale convenuto per l’idoneità del posto.
“Colonna al galoppo!” ordinò stentoreo, spostando le redini sulla destra, in direzione del pianoro.
 
Adara, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, era riuscita a far sbottonare un po’ l’arciere del deserto, attaccando un breve discorso sulle armi e sull’addestramento necessario per padroneggiarle.
“Forse per te sarà strano” gli aveva detto sorridendo “Ma quando assistevo alle esercitazioni di mio padre e di mio fratello con la spada, provavo un forte senso d’invidia. In quei frangenti, avrei voluto incrociare la lama con loro per mettermi alla prova… ma anche per trascorrere un po’ di tempo in loro compagnia. Con il trascorrere degli anni, sapevo di essere destinata a vederli sempre più raramente. Credo che il punto fosse più quello, in realtà”.
Narsas l’aveva squadrata con i suoi occhi scuri, una lieve vena di curiosità nel mare placido della sua profonda illeggibilità.
“Ma non pensare che io sia una guerrafondaia, eh!” aveva continuato lei, sotto quell’occhiata stranita “Quei movimenti eleganti e calibrati, al mio sguardo di bambina, sembravano una danza fiera e decisamente molto più divertente di quelle che eravamo tenute a imparare noi fanciulle!”
Il guerriero aveva fatto balenare un rapido sorriso, ma non aveva risposto.
“Poi, un giorno, Dionissa mi ha suggerito di chiedere il permesso al re. In fondo, mia madre è una Thaisa e poi anche una principessa ha il sacrosanto diritto di difendersi da eventuali sgradevoli spasimanti!”
Lui si era girato nella sua direzione e aveva inarcato un sopracciglio, alquanto spiazzato dall’affermazione.
“Beh… non che a me sia mai successo…” aveva balbettato Adara, dopo aver realizzato di aver fatto la figura della virago “Quando mio padre ha acconsentito e ho potuto tenere in mano la mia spada, mi sono sentita davvero realizzata! Aska Rei mi ha poi insegnato tutto ciò che sa, anche se non penso di essere così dotata”.
“Eppure, avete vinto voi all’Anello del Sole” aveva commentato lui pacato, ponendo fine al suo lungo silenzio “Siete modesta”.
“Ho vinto, ma sinceramente credo di aver avuto molta fortuna. O, semplicemente, l’occasione giusta prima del mio sfidante”.
Narsas inspirò, perso per un istante nei suoi pensieri.
“Anche tu ritieni che sia stata la Profezia a guidare la mia mano?” domandò la ragazza, lievemente rattristata.
L’arciere abbassò a terra il viso e i riccioli castani, non trattenuti dalle fasce colorate che portava tra i capelli, gli scivolarono sugli omeri. L’orecchino color carminio scintillò tra le ciocche scure, mentre scuoteva la testa.
“Può darsi…”
“Sei una persona sincera, guerriero Aethalas. Lo apprezzo molto. Sono felice che tu faccia parte della squadra, anche se nascondi le tue motivazioni ultime”.
Il giovane sorrise lievemente, in risposta all’intuito femminile dell’interlocutrice.
“Mi ricordate mia sorella…”
“Oh, davvero? Anche lei è abile come te con l’arco?”
“Sì. Ma mio padre non è molto felice di questa sua predisposizione. Si è molto adirato, quando ha scoperto che le stavo insegnando a tirare, così ho dovuto smettere con le lezioni. Phylana ormai si esercita da sola, quando nessuno la vede”.
La principessa si era domandata interiormente quali potessero essere le motivazioni di Varsya. In fondo, gli Aethalas vivevano in simbiosi con i loro archi. Forse era un’attività prettamente maschile o forse avrebbe voluto che la figlia diventasse una guaritrice o una sposa degna del suo rango.
Lo sguardo di Narsas si era velato di nostalgia e di amarezza e Adara aveva cercato di risollevargli il morale.
“Mi dispiace” aveva detto, franca “Anch’io sono molto legata a mia sorella e penso che mi mancherà molto”.
Il guerriero aveva abbassato lo sguardo, imbarazzato da quella confidenza.
“Perché non lo insegni a me?”
“Come dite?” aveva esclamato lui, sgranando gli occhi.
“Mi piacerebbe imparare a usare l’arco” aveva affermato Adara con gentilezza.
Narsas non era riuscito a contenere l’espressione di immenso stupore che gli si era dipinta in volto. Non aveva replicato, poiché era giunto l’ordine di procedere al galoppo.
 
“Che cosa gli hai detto?” chiese Aska Rei, ridacchiando sommessamente e gettando un’occhiata oltre le fiamme scoppiettanti del falò “Quando ti guarda, sembra che stia assistendo ad un’apparizione ultraterrena”.
“Dai, Rei, piantala!” borbottò Adara piccata, a sua volta sbirciando tra le lingue rosse e scoppiettanti “Gli ho solo domandato di insegnarmi a usare l’arco!”
“Tu cosa?” fece lui, trattenendo a stento l’ilarità.
“Non vedo il problema!”
Il capitano iniziò a ridere di gusto, finché Adara, seccata, non gli lanciò lo stivale che si era sfilata nel frattempo.
“Lo sai che l’arte dell’arco per gli Aethalas è differente in ogni famiglia? Si tramanda di generazione in generazione, come una ricetta segreta, e nulla trapela al di fuori della tribù interessata. Stesso discorso per le pozioni che usano sulle frecce. E’ una questione molto personale, a dirla tutta”.
“Ah, ecco perché mi ha guardata così…”
“Sarebbe stato meno imbarazzante per lui se tu gli avessi chiesto di spogliarsi completamente!” esclamò Aska Rei, sghignazzando selvaggiamente.
“Il solito esagerato!”.
“Tu credi? Sei la principessa, anche se non ricorri mai al tuo titolo. L’hai messo in crisi. Di regola, non potrebbe parlarti di come i Guardiani del Mare imparano a tirare, ma poiché ne hai fatto richiesta, dall’altro lato, si sentirà in dovere di soddisfare il tuo desiderio…”
“Gli dirò che ho cambiato idea. Non voglio che si senta costretto”.
“Forse è meglio…” ridacchiò il giovane.
Poi cambiò posa, facendosi serio e autorevole.
“Che c’è ancora?”
“Stai attenta con lui, Adara. Anche se si è un po’ sciolto, non sappiamo dove voglia arrivare, in realtà. Lui dubita della schiettezza della famiglia reale, di cui tu fai parte. Hai visto come si è comportato al suo arrivo nella capitale. Ha mostrato una voluta mancanza di rispetto nei confronti del reggente tuo fratello. Non è detto che non sia più pericoloso di quanto immaginiamo”.
“Più mi conoscerà, più ammetterà che sono in buona fede!”
“E’ vero. Questo potrebbe essere il lato positivo della tua iniziativa. Ma c’è un’altra questione…” aggiunse il capitano, con un certo imbarazzo nella voce.
La ragazza tacque, incuriosita: era quasi impossibile mettere in difficoltà Aska Rei e non capiva sinceramente dove volesse arrivare.
“Lui è un uomo del deserto. E tu, al di là del rango, sei una giovane donna… esuberante e attraente. Potrebbe fraintendere le tue intenzioni amichevoli”.
Adara arrossì violentemente.
“Ma cosa dici, Rei! Ho parlato di armi e combattimenti per tutto il tempo, farei scappare la voglia anche a un dongiovanni incallito! Ho il fascino di un incudine!”
“Questo lo dici tu” replicò lui, scrollando la testa “Non puoi sapere che cosa di te è in grado di fare breccia nella scorza di un guerriero”.
“Beh…” sospirò lei impacciata “Starò attenta, se sei così preoccupato!”
“Bene!” esclamò il capitano, alzandosi in piedi “Vado. E’ ora di assegnare i turni di guardia!”.
 
Narsas si era seduto poco discosto dagli altri e aveva aperto il proprio bagaglio per controllare che tutto fosse in ordine. Le boccette vetrose rosse e verdi, contenenti le sostanze destinate a imbibire le micidiali punte degli strali, non si erano fortuitamente danneggiate, neppure con il disordinato galoppo della sua poco collaborativa cavalcatura: le asticelle delle frecce giacevano perfettamente sistemate nella sua faretra di cuoio.
Sarebbe stato opportuno avvolgere le fiale nelle bende, comunque, per evitare incidenti: sfiorare anche solo per sbaglio il liquido contenuto in una di quelle ampolle color carminio avrebbe portato conseguenze letali.
Dopo aver indossato un paio di guanti di pelle, strappò lunghe strisce di stoffa da un panno ed eseguì l’operazione di imballaggio con cautela estrema, verificandone più volte il risultato. I contenitori non tintinnavano più ed erano al sicuro nella loro scatola di legno sbalzato, immuni alle sgroppate del destriero.
Osservò gli uomini che si davano da fare intorno al fuoco, innalzando con velocità e precisione le ultime tende per la notte: erano quasi tutti originari di Erinna, eppure sembravano a loro agio in quello spazio sconfinato ed erano lesti e sciolti nelle manovre quasi quanto le tribù nomadi, che compivano quelle operazioni da quando era stato creato il mondo.
L’arciere alzò il viso verso le prime stelle, occhieggianti nel cielo color indaco del crepuscolo: la sua mente gli proiettò le immagini delle tende bianche degli Aethalas, raccolte intorno allo specchio d’acqua dell’oasi e illuminate dai bagliori arancioni delle vampe, riproducendole così come le aveva lasciate il giorno in cui era partito, accollandosi il gravoso compito che portava sulle spalle.
Trasse la lama acuminata che portava al fianco dal fodero dorato e iniziò a scortecciare un sottile rametto di legno, sollevando a tratti lo sguardo oltre il riverbero caldo del fuoco.
La principessa stava discorrendo con il capitano e i due sembravano molto in confidenza, così come lei gli aveva raccontato poco prima. Cresciuti insieme come due fratelli, nonostante la differenza d’età, con lui che l’aveva anche addestrata nell’arte della spada.
Conosceva di fama Aska Rei e gli risultava quasi impossibile credere che avesse perso il duello decisivo con la sua giovane allieva. Invece, i fatti si erano dipanati in quell’improbabile direzione, spinti da una forza incomprensibile, che poteva essere mossa soltanto dalla Profezia. Non aveva voluto mostrarsi scortese con Adara, mettendo in dubbio la sua bravura con la spada, ma era sua ferma convinzione che realmente lei fosse stata designata al ruolo di Campionessa da Amathira in persona.
Sperò con tutto se stesso che fosse destinata unicamente a quello. Che non fosse lei la traditrice del Regno e che non sarebbe mai stato costretto a usare il suo arco per ucciderla. Che la sua schiettezza non fosse solo apparenza.
Si voltò verso di lei, continuando il lavoro.
La ragazza si era cambiata in vista della temperatura notturna, indossando un paio di aderenti pantaloni color cuoio e una casacca a maniche lunghe dello stesso colore, chiusa in vita da una leggera fascia scarlatta. Le frange di seta scendevano sui suoi fianchi e ondeggiavano armoniose in linea con i suoi movimenti. I lunghi capelli castani erano sciolti e sparsi sulla schiena, le perline di vetro colorato intrecciate alle folte ciocche baluginavano al chiarore delle fiamme.
Quel pomeriggio, quando lo aveva affiancato nella marcia, Narsas aveva intravisto su di lei il Crescente, la punta superiore della falce che sporgeva nerissima e sottile dall’orlo della sua ampia gonna a vita bassa. Il suo retaggio Aethalas nutriva un reverenziale rispetto per quel simbolo sacro e per il suo significato, così aveva abbassato rispettosamente lo sguardo a terra.
Fermò il coltello a metà del legno che stava assottigliando e scosse la testa, adirato con se stesso.
L’aveva abbassato con un secondo di ritardo di troppo, perché invece il suo sangue di giovane uomo l’aveva fatto soffermare con molta meno deferenza sulla sua pelle abbronzata e sulle forme morbide dei suoi fianchi.
Lei era bella. Bella e sfacciata.
Gli aveva domandato di darle lezione di tiro e sicuramente non poteva conoscere il senso della richiesta che gli aveva rivolto; semplicemente, si era mostrata gentile, al contrario di lui. Accogliere quell’istanza un po’ fuori luogo, sarebbe stato forse un modo per penetrare a fondo il suo animo e comprenderla in ragione della Profezia.
Ci avrebbe pensato.
Al di là del falò, Adara gli sorrise.
 
 
 
 
“Se non lo sai, informati a dovere!” tuonò Anthos, terribilmente adirato, battendo un pugno contro una delle colonne nere che abbracciavano il bacile di pietra lucida sulla cima di Leu-Mòr. La struttura rimbombò nel vuoto con un suono cupo. Al suo fianco, Urien rimase impassibile, continuando a osservare il fondo della vasca circolare con gli occhi fiammeggianti e spietati.
Alcuni cerchi concentrici incresparono l’acqua argentata, offuscando il viso dell’interlocutore, specchiato dall’altra parte della superficie: questi si ritrasse leggermente, come se la collera del principe potesse attraversare quella distanza e raggiungerlo con la sua forza devastante.
“V-vi chiedo perdono…” ansimò, la voce contraffatta dall’eco che riverberava nella stanza gelida, resa ancora più tetra dal lucore verde della magia.
“Le scuse non mi interessano!” gridò il reggente “Voglio sapere chi ha ordinato di attentare alla vita della principessa Dionissa, contravvenendo i miei ordini! I piani non erano questi! Sei un incapace!”.
“Mio signore, concedetemi il tempo di indagare senza destare sospetto…” pregò questi, la voce che tremava per il terrore.
“Avresti già dovuto venirne a capo! La tua posizione a corte ti consente di muoverti liberamente! Quindi datti da fare! Non tollero interferenze su quanto ho deciso e questo è un chiaro segnale di sfida al mio volere!”
La figura riflessa nel liquido fumoso si rattrappì ulteriormente, inchinandosi con atterrito riguardo.
“Fa’ in modo che io non pensi che sia stata una tua iniziativa personale…” minacciò il principe, il tono reso ancor più spaventoso dalla gelida quiete di quell’affermazione drastica.
“No! Io non avrei mai osato… non avrei mai potuto…”
Anthos fece un gesto infastidito con la mano, ponendo fine alla discussione, lo sguardo acceso e straripante di furia.
“Vedi di non deludermi!” ordinò, congedando la persona che gli stava davanti e facendo tornare l’acqua immota e trasparente.
La magia verde e sinuosa si disperse come nebbia al sole, ritirandosi nei recessi della stanza gelida e scura.
“Suppongo che tu non ne sappia nulla, Urien” sibilò il reggente, rivolgendosi letale al suo secondo.
“No, altezza. Ho disposto che la principessa fosse controllata a vista e continuasse ad essere impossibilitata a sfruttare il suo Kalah, così come avete chiesto. Ritengo che sia stato un atto ordito dagli Aethalas. Come già sapete, sono in aperta ribellione e…”
“Conosco la storia!” replicò Anthos secco “Manda immediatamente uno dei nostri ai confini del deserto. Voglio conoscere il mandante. Voglio che sia messo in condizioni di non disturbarmi ulteriormente. Scopri il motivo!”.
“Agli ordini, signore”.
Il principe abbandonò la stanza, sbattendo la porta e Urien si ritrovò immerso in quel buio che tanto gli si confaceva.
Si avvicinò alla solida parete e fece scattare una porta secondaria, scivolando silenzioso oltre la soglia. Scese le scale scolpite nella nuda roccia, accompagnato dal crepitio della luce azzurrina che illuminava le rampe ripide.
Il reggente era furibondo e si era posto sul chi vive: quindi sarebbe stato conveniente agire con i piedi di piombo. Nonostante la sua perspicacia innata e i suoi poteri, l’essere oscuro non era riuscito a cogliere del tutto le intenzioni del giovane: questi si era adirato alla notizia del tentato omicidio, eppure per lui sarebbe stato molto meglio se Dionissa fosse morta. Sarebbe stata la soluzione ideale per tutti. La veggente di Erinna era molto pericolosa e il suo dono era molto potente: un vero guaio, se quella malattia molto opportuna che la devastava non l’avesse inficiato quasi del tutto. Nonostante ciò, tuttavia, Urien sapeva che alla principessa era rimasta ancora una quantità di visione bastante a far saltare tutti i suoi piani. Che, per il momento, coincidevano quasi del tutto con quelli del reggente del Nord. Ma divergevano per intero dalla Profezia.
Anthos desiderava mandare in fumo ciò che era stato stabilito dagli dei, eppure qualcosa in lui continuava a remare in quella direzione, come se fosse inesorabilmente attratto da quelle antiche lettere, che avevano l’età del tempo.
Urien voleva impedire che gli eventi si dipanassero nella direzione prestabilita. Tutto ciò che era ordine, possibilità e futuro, tutto ciò che Amathira aveva desiderato e concesso al genere umano sarebbe dovuto precipitare nel caos. Nel buio. A quel punto, non ci sarebbero stati più né dei né mortali e la realtà si sarebbe messa a fluttuare, priva di indicazioni e totalmente vulnerabile. Lui l’avrebbe piegata a suo vantaggio e avrebbe finalmente realizzato i suoi piani e la sua vendetta.
Il secondo tragico inconveniente era l’approssimarsi della delegazione proveniente dal Sud. Se, da una parte, Adara stava incautamente ma utilmente portando la sua parte di Profezia nella tana del lupo, dall’altra, l’arrivo di persone estranee a Jarlath poneva un velo di incertezza sul progredire degli eventi.
Anche in quel caso, il reggente si era categoricamente rifiutato di seguire il suo esplicito consiglio e gli aveva vietato di nuocere alla principessa. Su quella proposta si era mostrato inflessibile: la giovane sarebbe dovuta giungere al Nord insieme con le pagine dei testi sacri. Ma il motivo di quella decisione gli era oscuro. E la cosa non gli piaceva affatto.
Il suo sesto senso l’aveva messo in guardia. La magia che lo possedeva gli aveva chiaramente indicato che quella ragazzina era pericolosa. Forse più della sorella. Ed era indubitabilmente necessario agire subito contro di lei. Contro il Crescente che viaggiava inesorabilmente verso Iomhar.
Invece, avrebbe dovuto attendere il suo arrivo, per non alienarsi ulteriormente la fiducia del reggente, che a stento tollerava il suo spirito intraprendente e poco propenso all’obbedienza. Avrebbe dovuto chinare il capo ancora per poco tempo. Poi tutto si sarebbe compiuto, in un torcersi del destino che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
Infine, il vero problema era un altro. Irkalla. Il dio della distruzione era incontrollabile. Poteva essere ovunque e chiunque, poteva abitare persino tra quelle mura secolari, in un fragile corpo mortale, senza che nessuno fosse in grado di riconoscerlo. Irkalla era l’unico vero ostacolo. Il solo che avrebbe potuto opporsi a lui. Irkalla doveva essere reso cieco agli eventi oppure in qualche modo eliminato. La sua presenza e la sua vita erano come una spada appesa a un filo sottile, che avrebbe tranciato di netto il progetto che lui aveva portato avanti con tanta costanza. Irkalla era l’ago della bilancia.
Non era riuscito a scoprire la sua identità o la sua eventuale vicinanza. Avrebbe dovuto intensificare gli sforzi in quella direzione, senza farsi scoprire da Anthos. Anche lui desiderava incontrare il dio punito: ma, come sempre, le sue motivazioni restavano segrete.
Urien giunse nei propri appartamenti e chiuse dietro di sé l’uscio di quercia. Tutte le candele si accesero al suo passaggio, rischiarando l’atmosfera tetra dell’ambiente. Il consigliere abbassò il cappuccio della lunga cappa nera e i suoi occhi color vinaccia si fissarono sullo specchio che occupava la parete più in ombra.
Ad essi fu restituita l’immagine di una creatura deforme, con il cranio calvo percorso da orrende macchie rossastre, che avevano l’aspetto di vecchie ustioni. Il viso rugoso era scavato e quasi consunto dalla magia, il naso aquilino ombreggiava la smorfia malvagia che era la sua bocca. Sul mento spiccava un tatuaggio nero a forma di triangolo capovolto e il collo era incassato tra le spalle curve.
La creatura tenebrosa si versò un calice di vino e alzò il bicchiere alla propria immagine riflessa.
“Questa volta” disse “Sarò io a trionfare”.
   
 
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