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Autore: ChrisAndreini    24/08/2018    3 recensioni
"Le prime cinque regole imposte alla società dei supereroi sono:
1) Ogni supereroe deve avere un localizzatore nel flusso sanguigno, che deve essere impiantato entro due anni dalla nascita del suddetto;
2) I supereroi non possono utilizzare i loro poteri se non in territorio da loro posseduto o con specifici permessi elargiti dalla DIS, pena la reclusione immediata;
3) Ogni supereroe deve indossare, non appena uscito di casa, uno speciale bracciale che elimina il potere, e non può essere rimosso per nessuna ragione fino al ritorno in casa o con il permesso elargito dalla DIS;
4) Non sono permesse relazioni romantiche e soprattutto procreazione tra supereroi e persone prive di poteri superumani, e ogni matrimonio tra supereroi deve essere approvato e supervisionato dalla DIS;
5) Se e solo se la DIS lo riterrà utile, un supereroe ha il dovere di servire la DIS con il suo potere e di lavorare in un ambito che possa sfruttarlo nel modo migliore"
Quando un'onda di energia magica si abbatte sulla città, creando il caos, Eryn Jefferson, supereoina nata senza poteri, cercherà di cambiare le cose.
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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15 anni dopo

 

Eryn si chiedeva ogni mattina perché avesse deciso di restare in città per frequentare l’università, e ogni mattina non riusciva proprio a trovare la risposta.

Complice il suo avere la ricezione cognitiva di un vegetale da appena sveglia, il suo dormire circa cinque ore a notte e il suo svegliarsi costantemente ogni mattina a causa dei litigi di sua madre e suo fratello.

Quest’ultimi, oltretutto, erano il motivo per cui si faceva costantemente quella domanda in primo luogo.

Almeno funzionavano meglio della sveglia.

E quella fosca mattina di Marzo non fece eccezione.

Eryn sospirò e cercò di aprire gli occhi stanchi e recuperare lucidità, ponendosi per la millesima volta il quesito che non trovava mai risposta, e prima che riuscisse anche solo ad aprire gli occhi e a prepararsi mentalmente a un’altra ordinaria giornata divisa tra università e lavoro, suo fratello Robin entrò nella stanza, sollevando parecchio vento a causa della sua velocità e sbattendo la porta con furia subito dietro di sé. Si buttò poi sul letto, proprio sopra la sorella, tutto in una manciata di nanosecondi.

Sentendo il peso del fratello addosso, Eryn si svegliò del tutto, ma prima che potesse urlargli contro, lui sembrò accorgersi dell’errore e si diresse come un fulmine dall’altra parte della stanza, proprio accanto alla finestra le cui tende pesanti lasciavano comunque trasparire abbastanza luce da illuminare il suo profilo sottile.

Il bambino che da piccolo combinava un guaio dietro l’altro era cresciuto e diventato un ragazzo ancora più ribelle. 

Aveva superato entrambe le sorelle in altezza, Madison di poco, e il fisico slanciato era più forte di quanto si sarebbe detto considerato la sua pessima postura e il suo scarso, almeno per quanto ne sapeva Eryn, allenamento. I capelli fulvi ereditati dalla madre erano un groviglio disordinato che gli arrivava fino alle spalle, e gli occhi verdi, unico tratto genetico preso dal padre, erano sempre imbronciati.

Era davvero un bel ragazzo, ma con il suo comportamento perennemente capriccioso allontanava chiunque provasse ad avvicinarsi.

-Quando sei entrata in camera… sono in camera tua, vero?- chiese sbuffando, e portandosi una mano sulla fronte, infastidito.

-È la quinta volta questo mese! Un po’ più di attenzione, perdiana!- si lamentò Eryn.

Non era inusuale infatti che Robin, soprattutto durante le liti con Madison o sua madre, sbagliasse stanza o andasse a sbattere contro un muro.

Il suo potere gli permetteva una velocità decisamente fuori dal comune, oltre che elettricità, ma la sua mente non agiva allo stesso modo, e spesso il suo corpo la tradiva e combinava immensi casini.

Entrare nella camera della sorella era uno dei maggiori, almeno per la sorella in questione, che puntualmente si ritrovava dolente nel bel mezzo della lite e costretta, soprattutto, a svegliarsi.

-Ci provo! Ma anche tu, quando hai intenzione di trasferirti e lasciarmi questa camera?!- esclamò lui, sfogandosi anche su Eryn, che sospirò.

-Vorrei poterti dire presto, ma non ne ho la più pallida idea- sbuffò lei, chiedendosi ancora una volta perché aveva deciso di studiare in città.

-Allora, cosa è successo questa volta?- indagò poi, cominciando a stiracchiandosi ed esibendosi in un sonoro sbadiglio stanco.

-Niente che una “senzapoteri” possa capire!- si chiuse a riccio Robin, incrociando le braccia, dandole le spalle e rifiutandosi di dire alcunché.

Eryn lo guardò tristemente. 

-Bobi, non sono io la tua nemica, e lo sai. Allora, riguarda il bracciale, il localizzatore o la DIS in generale?- tirò ad indovinare, alzandosi e andando all’armadio per decidere cosa mettere.

Era meglio aspettare un po’ prima di uscire dalla stanza.

Robin sospirò, e si girò, decidendosi a parlare.

Era una testa calda, aveva vissuto un’infanzia pessima ed era in piena fase di ribellione adolescenziale, ma si sbolliva abbastanza in fretta, e voleva davvero bene a sua sorella, anche se lo negava con tutto sé stesso.

-Il bracciale, mamma…- iniziò a spiegare, per poi rigirarsi di scatto ed alzare nuovamente la voce -Mettiti qualcosa addosso!- le ordinò, arrossendo e mettendosi le mani sugli occhi, disgustato.

-Bobi, hai ormai quasi diciassette anni, vedere una ragazza in canottiera e biancheria intima non dovrebbe darti tanto fastidio. Sono anche tua sorella- lo prese in giro, indossando un paio di jeans presi a caso dall’armadio giusto per farlo contento.

-Appunto! Sei mia sorella! Che schifo! E comunque non chiamarmi Bobi! Non sono più un ragazzino!- oltre a sbollirsi in fretta, Robin aveva la caratteristica di bollire altrettanto rapidamente, e il suo umore compiva sbalzi rapidi quanto la sua velocità superumana.

-Sai, quando ti comporti così, lo sembri. Io ti do ragione, sulla DIS, sui bracciali e su papà. Ma devi capire che mamma sta facendo del suo meglio- tornò all’argomento principale, in tono mite, e lanciandogli un’occhiata preoccupata mentre, dopo aver selezionato i vestiti, si apprestava a rifare il letto.

Robin rimase immobile per un attimo, probabilmente soppesando le sue parole.

Poi scosse violentemente la testa.

-Beh, ha fatto davvero un pessimo lavoro!- esclamò, prima di lanciarsi a tutta velocità verso la porta, e sbattendoci contro.

-Devi allenare i tuoi riflessi mentali- gli consigliò Eryn, che aspettandoselo aveva lanciato il cuscino sulla porta giusto in tempo per evitargli un brutto bernoccolo.

Robin glielo gettò nuovamente addosso.

-Non dirmi cosa devo fare. E tanto per la cronaca, Eryn, solo perché tu sei la sorella che disprezzo meno non significa che puoi permetterti di trattarmi con superiorità- le intimò, aprendo la porta pronto ad uscire, ma senza utilizzare il potere, probabilmente per timore di andare nuovamente a sbattere e far cadere la sua scenata.

-Aww, allora mi vuoi bene? E io che pensavo preferissi Madison perché almeno lei ha dei poteri- lo prese in giro, fingendosi commossa, e scuotendo la testa lui uscì e si chiuse in camera sua.

Eryn alzò gli occhi al cielo, sorridendo rassegnata alla musoneria del fratello che rimaneva sempre costante con il passare dei giorni, e finì di rifare il letto.

Poi si diresse in bagno per una doccia veloce, si vestì e si avviò, ancora piuttosto intontita dal sonno, verso la cucina, dove sua madre stava già lavando i piatti lasciati dal fratello e da…

-Madison? Che ci fai qui?- chiese Eryn piuttosto confusa, adocchiando la sorella seduta al tavolo intenta a specchiarsi su un cucchiaio reso uno specchio perfetto grazie al suo potere per controllare che fosse perfettamente in ordine.

Madison alzò lo sguardo sulla sorella e le sorrise con cortesia, ma senza affetto, come sempre.

La bambina che da piccola la riprendeva per ogni errore era diventata una giovane donna di venticinque anni intelligente, bellissima e dai modi affabili.

Era la donna perfetta, in tutto e per tutto, dai lunghi capelli castani mossi e tenuti indietro da un elegante fascia fino ai tacchi neri perfettamente abbinati al tailleur del medesimo colore, della migliore seta in circolazione, ovviamente passando per gli analitici e brillanti occhi azzurri sempre circondati dal trucco perfettamente curato e una pelle di porcellana priva di qualsivoglia imperfezione.

Eryn si era sempre sentita inferiore alla sorella, fin da quando erano piccole, ma ormai si era abituata al fatto che non l’avrebbe mai superata, e ogni volta che veniva in visita si preparava psicologicamente per evitare di fare confronti o sentirsi inferiore.

Quel giorno non era affatto pronta a vederla, e sentì ogni sua imperfezione sulle spalle in modo più fastidioso del solito.

Il confronto era sempre inevitabile.

Avevano gli stessi capelli castani, ma, complice anche il fatto che Eryn non li aveva ancora pettinati dopo averli asciugati, quelli della sorella minore, nonostante fossero più corti rispetto a quelli di Madison, erano molto più disordinati. Il volto di Eryn, ancora non truccato, sembrava aver deciso di mettere in evidenza i pochi brufoli che ancora si trascinava dall’adolescenza. Il suo naso era sempre stato più grosso rispetto a quello della sorella e gli occhi erano verdi e acquosi, come alghe lasciate ad essiccare nella sabbia.

In più le sue unghie, sia delle mani che dei piedi, erano lasciate perlopiù a sé stesse, e spesso mordicchiate per l’ansia o lo stress.

Madison non sembrava voler placare il suo complesso di inferiorità, perché la squadrò da capo a piedi, con la sua costante espressione di giudizio.

Tempo un secondo e allargò il sorriso, che rimase però falso, come sempre.

-Non ci vediamo da una settimana, ho pensato di passare a fare colazione qui prima di andare a lavoro, e di dare un passaggio a mamma. La vedo stressata questi giorni- spiegò, sistemandosi accuratamente una lievissima sbavatura del rossetto e facendo tornare normale il cucchiaio.

-Gentile da parte tua, Maddie- le sorrise Eryn, un po’ forzatamente, per poi sedersi e versarsi una tazza di caffè.

-Madison- la corresse la sorella, gelida, ma sempre con il sorriso.

-Comunque buongiorno, mamma- Eryn fece un cenno alla madre, che sembrò rendersi conto solo in quel momento dell’arrivo della secondogenita, e ricambiò il saluto con un sorriso ben più caldo di quelli che le sue due figlie si erano scambiati.

-Spero che io e Robin non ti abbiamo svegliato. Quel ragazzo è impossibile a volte- sospirò, continuando a lavare i piatti.

I quindici anni precedenti non avevano dato molte gioie a Deborah Jefferson. 

Dopo una rapina in banca sventata dal marito al costo di alcune inermi vite umane che non era riuscito a salvare in alcun modo, la vita dei supereroi era a mano a mano crollata completamente, e ora vivevano reclusi, controllati tramite un localizzatore impiantato nel loro flusso sanguigno e un bracciale che avevano l’obbligo di indossare ogni volta che uscivano di casa, che annullava i loro poteri e li indeboliva fisicamente.

Se provavano a ribellarsi o a far valere i loro diritti erano messi KO e portati nelle carceri di massima sicurezza della DIS, da dove nessuno usciva fuori in nessun modo.

Alcuni supereroi avevano accettato il cambiamento a testa bassa, e lavoravano a stretto contatto con la DIS o conducevano umili mestieri come fossero persone normali. Era il caso di Deborah e Madison, la prima come semplice impiegata in segreteria e la seconda come agente di controllo e regolazioni delle leggi applicate ai supereroi.

Altri avevano cercato in tutti i modi di non far passare in vigore le leggi e pagavano un prezzo molto alto.

Quello era il caso del padre di Eryn, Steven Jefferson, un tempo il più grande supereroe del pianeta e ora costretto agli arresti domiciliari, scampato alla galera solo per via del suo antico splendore. Ma tanto valeva che lo avessero rinchiuso, visto le condizioni in cui era.

Lui e Deborah avevano divorziato, e ora tutto il peso della casa gravava sulle spalle della donna, responsabile di tre figli e con uno stipendio che le permetteva di prendersi cura a malapena di Robin e sé stessa.

Madison, per fortuna, aveva presto trovato lavoro e si era trasferita altrove, con alcuni amici conosciuti al college, ma Eryn non poteva permettersi di trasferirsi, sebbene avesse a sua volta trovato un lavoro in un negozio di oggetti particolari, il cui ricavato era usato per aiutare sua madre e pagarsi parte degli studi di giurisprudenza.

Lo stress, le lotte e il carico sulle spalle della donna, un tempo grande supereroina dai riflessi mentali eccezionali, erano così pesanti che ormai era ridotta ad un mero riflesso di quello che era un tempo, sia fisicamente che mentalmente.

I capelli fulvi erano diventati una massa grigiastra tenuta piuttosto corta, gli occhi azzurri dietro le lenti rotonde spesse un paio di centimetri erano stanchi e costantemente contornati da occhiaie profonde.

La corporatura era esile e non più allenata come un tempo e spesso, mentre faceva qualcosa di meccanico, la sua mente vagava in infinite possibilità che cercava di tenere a mente per garantire un futuro più sicuro ai suoi figli e per portarsi avanti con il lavoro in modo da non trascurarli, e finiva per perdere la concezione di tempo e spazio.

Uno dei punti deboli del suo potere.

Nonostante tutto tirava avanti, con forza e sicurezza, e cercando in tutti i modi di non farsi scalfire dai problemi della vita.

Solo che questo non era recepito da Robin, che continuava a considerarla la causa di tutto quello che era successo al padre.

Eryn non aveva mai preso parti, e il fatto che non avesse poteri e che la segregazione dei supereroi l’avesse colpita solo in parte la rendeva la più neutrale in famiglia, e al tempo stesso la più isolata.

Era l’unica ad andare d’accordo più o meno con tutti, e quella che tutti consideravano meno degna di attenzioni.

-Non preoccuparti, mamma. Ci sono abituata. Gli passerà presto- la rassicurò Eryn, sentendosi già più in forze dopo un bel sorso di caffè bollente, e addentando con avidità una ciambella.

Madison storse il naso a vederla così famelica, ma non fece commenti, e si rivolse alla madre.

-Non voglio criticare i tuoi metodi, mamma, ma gli lasci troppe libertà. Non mi stupirei se facesse la fine di papà. Dovresti davvero considerare un trattamento più duro e…- iniziò a proporle, affabile, ma Deborah la interruppe, in tono tranquillo ma con fermezza.

-Madison, ne abbiamo già parlato. Lasciami educare mio figlio come trovo sia più giusto e tu educherai un giorno i tuoi figli come meglio credi- le lanciò un’occhiata ammonitrice, e Madison alzò le mani in segno di resa.

-Cercavo solo di aiutarti, mamma. Mi dispiace vederti così stressata per colpa di quel bambino viziato- commentò stizzita.

-È solo una fase- sospirò Deborah, cercando di convincere sé stessa più che altro.

La replica di Madison venne interrotta da un tornado che entrò violentemente in cucina, prese il pranzo preparato dalla madre e posato sul tavolo e con un tonante -Non è una fase- uscì di gran carriera dalla porta di casa, cercando di non perdere l’autobus e facendo scattare l’allarme.

-Il bracciale!- gli urlò dietro sua madre prendendolo per portarglielo, preoccupata che la DIS arrivasse in fretta ad arrestarlo.

Madison fece un profondo respiro, cercando di rimanere calma nonostante il vento sollevato dalla velocità del fratello le avesse scompigliato i capelli accuratamente sistemati.

Con sguardo gelido, e con un sorriso di circostanza, commentò, senza neanche guardare Eryn ma parlando quasi tra sé: 

-Quel ragazzino non ha futuro- scuotendo impercettibilmente la testa.

Poi si rivolse ad Eryn, che cercava in tutti i modi di non ridere -Vado un momento in bagno, scusami- e con un sorriso che non nascondeva il suo fastidio, si alzò elegantemente ed uscì dalla cucina, proprio mentre Deborah rientrava, sospirando.

-Ho fatto appena in tempo. Non so che farei se la DIS venisse ad arrestarlo. Spero gli passi entro i suoi diciotto anni- commentò, con le lacrime agli occhi, sedendosi nel posto precedentemente occupato da Madison e cercando di riacquistare la sua compostezza.

Eryn lasciò un attimo perdere la ciambella per andarle accanto ed abbracciarla, cercando in tutti i modi di confortarla.

-Oh, Eryn, sono grata che tu non sei come noi- commentò, lanciandole uno sguardo amorevole.

Eryn le sorrise, ma non era d’accordo.

Lei avrebbe dato di tutto per essere parte di quel mondo, per sentirsi membro della famiglia.

E per combattere al fianco di suo padre contro l’oppressione dei supereroi.

Ma le sue erano solo sciocche fantasie, e ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stata una supereroina.

 

L’ora di cittadinanza era in assoluto quella che Robin detestava maggiormente, e il motivo principale del suo costante malumore il mercoledì mattina.

Non che gli altri giorni della settimana andassero meglio, ma il mercoledì era addirittura peggio del solito, e di certo non aveva giovato vedere la faccia da so tutto io di Madison a colazione, che sembrava essere venuta apposta per dargli fastidio.

Almeno era riuscito a vendicarsi prima di uscire scompigliandole quei capelli perfetti.

Il grande problema che gli causava l’ora di cittadinanza era il farsi costantemente rammentare quanto lui e tutti i supereroi avevano perso per colpa della DIS, e la sua insegnante non faceva che sbatterglielo in faccia ogni volta che le si presentava l’occasione.

-Allora, oggi continueremo la nostra lezione sulle leggi entrate in vigore per salvaguardare i supereroi e privi di poteri. Ma prima un breve ripasso. Jefferson, mi sai dire le prime dieci regole che ogni supereroe deve rispettare?- come al solito, ogni volta che doveva ripassare qualcosa sui supereroi, Robin era chiamato in causa.

-No- rispose, come al solito, lui, con tono fintamente innocente.

Non era l’unico supereroe in classe, ma era di certo quello che creava più grattacapi, e l’unico con dei genitori piuttosto famosi, per motivi principalmente sbagliati.

-Suvvia, un piccolo sforzo, almeno le prime cinque, sei obbligato a conoscerle- lo incoraggiò lei, con un sorriso che tentava di non tradire il disgusto che provava nei confronti dello studente e di quelli della sua razza.

Robin sbuffò, e suo malgrado si trovò costretto a rispondere.

A discapito di quello che sembrava, non gli piaceva molto finire nei guai a scuola, soprattutto a causa delle occhiate di sufficienza di Madison e quelle deluse di Eryn che riceveva quando una di loro veniva a riprenderlo da scuola dopo aver scontato una punizione.

-Le prime cinque regole imposte alla società dei supereroi sono, in ordine: 

1) Ogni supereroe deve avere un localizzatore nel flusso sanguigno, che deve essere impiantato entro due anni dalla nascita del suddetto;

2) I supereroi non possono utilizzare i loro poteri se non in territorio da loro posseduto o con specifici permessi elargiti dalla DIS, pena la reclusione immediata;

3) Ogni supereroe deve indossare, non appena uscito di casa, uno speciale bracciale che elimina il potere, e non può essere rimosso per nessuna ragione fino al ritorno in casa o su permesso elargito dalla DIS;

4) Non sono permesse relazioni romantiche e soprattutto procreazione tra supereroi e persone prive di poteri superumani, e ogni matrimonio tra supereroi deve essere approvato e supervisionato dalla DIS;

5) Se e solo se la DIS lo riterrà utile, un supereroe ha il dovere di servire la DIS con il suo potere e di lavorare in un ambito che possa sfruttarlo nel modo migliore- rispose senza alcuna emozione, ripetendo a memoria regole che non trovava giuste e che avrebbe preferito non essere obbligato a riferire.

Si sentiva preso in giro ed umiliato. Lui, che era il figlio del più grande supereroe di tutti i tempi, con un potere che se controllato avrebbe salvato centinaia di vite al giorno.

Era vero, forse, che con il controllo costante dei supereroi i crimini erano diminuiti, ma una non indifferente parte di popolazione non viveva più, o comunque non come avrebbe dovuto, ma fingendo di essere molto meno di quello che fosse, e sentendo di non dare mai il massimo.

-Bene, Robin, mi fa piacere sapere che quando vuoi sai anche applicarti mentalmente. Ora, per quanto riguarda le altre regole…- dopo averlo non velatamente preso in giro, la professoressa cominciò finalmente la lezione, e Robin fece vagare lo sguardo fuori dalla finestra, cercando di non ascoltarla per non arrabbiarsi ulteriormente.

Il bracciale, più simile a una manetta, gli dava davvero fastidio, e se lo rigirò cercando di alleviare il dolore.

Un ragazzo normale, alla sua età, usciva, giocava a pallone, mangiava qualcosa con gli amici o corteggiava qualche bella ragazza.

Metà di queste cose erano illegali per Robin, che al contrario non vedeva l’ora di tornare a casa, togliersi finalmente quell’affare e chiudersi in camera.

Aspettava con ansia il giorno in cui avrebbe avuto diciotto anni per essere legalmente libero di andare via di casa, lontano da quella città e magari incontrare, in qualche luogo sperduto, qualcuno che la pensasse come lui, che decidesse di fare qualcosa.

Che rivendicasse i loro sacrosanti diritti di esseri umani!

 

-Eryn?- lo schioccare di dita davanti al viso distolsero la ragazza dal dormiveglia in cui era piombata, e, un po’ intontita, sollevò gli occhi per puntarli su quelli castano chiaro del suo capo, che le sorrisero divertiti da dietro le lenti degli occhiali tondi.

-Pat! Oh, scusa!- arrossì vistosamente, e si prese il volto tra le mani, massaggiandosi gli occhi per svegliarsi meglio. 

Lui ridacchiò, senza dare segno di essersela presa.

Dopo una noiosa lezione di diritto privato, Eryn non aveva neanche avuto il tempo di pranzare prima di dirigersi a lavoro, dove le era toccato il turno in cassa.

Solo che non veniva nessuno, e la stanchezza era sopraggiunta senza che lei se ne accorgesse.

Il negozio era piuttosto piccolo, e passandoci davanti era quasi impossibile notarlo se non lo si cercava. Vendeva oggetti particolari, spesso usati e molto variegati.

Eryn adorava quel posto, e adorava allo stesso modo il proprietario, Patrick Carter, un uomo della stessa età di Madison ma decisamente opposto a lei.

Non era mai andato all’università, e dirigeva il negozio da quando aveva 18 anni, dopo averlo ereditato da un vecchio zio.

Era alto, piuttosto magro, e tutte le ragazze che entravano in negozio, più di quanto uno si aspetterebbe, dicevano che era davvero molto carino.

Eryn non poteva che approvare, ma non aveva mai dato troppo peso alla cosa.

I capelli erano biondi e tagliati abbastanza corti, gli occhi castani erano svegli e intelligenti.

Le gambe sottili erano in netto contrasto con le braccia piuttosto muscolose, ma il tutto era equilibrato. Lo stile era trasandato quanto quello di Eryn, e la piccola cicatrice che aveva sul labbro superiore, insieme ad alcune nelle mani, davano l’impressione che fosse più grande e gli conferivano l’aria vissuta.

Era stato l’unico a dare un lavoro ad Eryn nonostante fosse di una famiglia di supereroi, e l’aveva sempre trattata con grande riguardo, senza farle pesare la sua condizione.

Dopo più di un anno che lavorava con lui, la ragazza iniziava a considerarlo uno dei suoi amici più stretti, benché non si vedessero molto fuori dall’orario di lavoro.

-Posso offrirti un caffè?- le propose, porgendole la tazza.

Eryn la prese senza obiettare, ne aveva proprio bisogno.

-Pat, un capo normale mi avrebbe sgridata, dato un ammonimento o licenziata, non offerto un caffè- gli fece notare, bevendolo in un sorso e cercando di non fare smorfie per via del calore ustionante.

-Eryn, mi ferisci, pensavo ti fossi ormai accorta che non sono un capo normale- le fece l’occhiolino, proprio mentre un cliente entrava.

Una giovane ragazza, che Eryn era piuttosto certa di aver visto di sfuggita all’università, iniziò a guardarsi intorno, un po’ incerta.

Aveva dei riccissimi capelli neri che le coprivano buona parte del viso, e a malapena si scorgevano gli occhi scuri.

La pelle era del colore del caramello, e le labbra grosse e carnose.

Da come si comportava, dal vestito lungo e dall’enorme giacca che portava si capiva che cercava in tutti i modi di passare inosservata.

Eryn si chiese se non fosse una supereroina.

-Benvenuta al “Carters’ Extravagant Emporium”, posso aiutarti in qualche modo?- chiese Pat accogliendo la cliente, con il suo solito sorriso incoraggiante che faceva sospirare molte ragazze.

Non la nuova venuta, a quanto pare, che invece sobbalzò, come se fosse appena stata colta in flagrante su qualcosa.

Scosse la testa, e si limitò a lanciare un’occhiata fuori dalla finestra e nascondersi subito dopo dietro un mobiletto pieno di oggetti.

Pat ed Eryn si lanciarono un’occhiata, entrambi all’erta, e un gruppetto di ragazzi, che Eryn aveva visto a sua volta all’università e con cui frequentava alcune lezioni facoltative, entrò, mettendo in chiara luce la situazione.

Lo sguardo di Pat si incupì.

Eryn abbandonò la cassa e si avvicinò leggermente al nascondiglio della ragazza, come preparandosi a proteggerla.

-Buongiorno ragazzi, benvenuti al “Carters’ Extravagant Emporium”, posso aiutarvi in qualche modo?- li accolse, con cortesia, ma senza sorriso.

-Sì. È entrata una… “ragazza”, per caso?- chiese uno, mimando le virgolette alla parola “ragazza”, e ridacchiando un po’ tra sé.

-Te ne sarai accorto, visto che il tuo negozio ridicolo è un deserto- aggiunse un altro, iniziando a guardarsi intorno.

Eryn era in procinto di prendere una mazza chiodata di quelle da esposizione e fare una strage, ma Pat aveva tutto sotto controllo, come al solito.

-Sì, l’ho vista- annuì con sicurezza, per poi indicare fuori dalla finestra.

-È passata poco fa, credo sia andata nel negozio accanto, dovreste sbrigarvi se non volete perderla. Oppure potreste lasciarla stare e comprare qualcosa. Abbiamo un sacco di oggetti interessanti- cercò di convincerli adottando un ottimo metodo di psicologia inversa per farli desistere e risultare convincente.

-Ci hai provato, vecchietto. Andiamo, ragazzi! Quando lo troviamo lo pestiamo per le feste- commentò il primo, richiamando i suoi amici ed uscendo dal negozio, non prima di aver rovesciato il portaombrelli a forma di zampa di troll.

Pat sospirò.

-Vecchietto? Sul serio?! Eryn, ti sembro vecchio, per caso? Avrò, toh, tre anni più di loro. Perché chiamarmi vecchietto?- commentò una volta che i ragazzi furono usciti fuori, scuotendo la testa e avviandosi verso il mobiletto dove la ragazza si era nascosta, tremante, preoccupata e con le lacrime agli occhi.

Il suo sguardo si addolcì.

-Tranquilla, se ne sono andati. Puoi restare qui per un po’ se non vuoi correre rischi. Possiamo offrirti un caffè?- le propose con un gran sorriso.

Lei alzò la testa, e si asciugò le lacrime che non era riuscita a trattenere.

-No, grazie. Scusami per l’intrusione. Vado subito via- si alzò. La sua voce era grave ma molto dolce.

Se non l’avesse intuito dalla conversazione avuto con i ragazzi, Eryn non avrebbe mai detto che fosse transessuale.

-Non preoccuparti. Se vuoi dare un’occhiata in giro a noi fa solo piacere- la incoraggiò Pat -Eryn, puoi tornare alla cassa- incoraggiò la ragazza, che annuì ed eseguì, finendo poi il suo caffè.

-Io sono Patrick Carter, il proprietario del negozio- le porse la mano, e la ragazza, sorridendo appena, gliela strinse.

-Blaire Grayson. Grazie mille per avermi aiutata- si morse il labbro inferiore, un po’ a disagio, poi iniziò a guardarsi intorno, meno spaventata.

-Che genere di negozio è?- chiese, osservando con attenzione un cappello dalla fantasia assurda.

-Un emporio dove si può trovare di tutto. Principalmente oggetti di antiquariato, usati o cose che la gente considera spazzatura. I prezzi sono ragionevoli e la clientela è davvero particolare- spiegò Pat, lasciandole i suoi spazi e risollevando il portaombrelli.

-È tutto un vendita?- chiese Blaire, notando che ogni cosa sembrava avere un cartellino con il prezzo.

-Quasi, lei no, purtroppo- indicò Eryn, che alzò gli occhi al cielo, e fu tentata da tirargli addosso il bicchiere di carta ormai vuoto.

-E anche io mi considero senza prezzo, ma si può sempre trattare- scherzò poi, facendo ridacchiare la cliente, che lasciò stare il cappello per dirigersi verso un set da cucito.

Rimase ancora un po’, rifiutando ulteriore assistenza, e poi uscì, senza comprare nulla.

Ma Eryn era piuttosto certa che si erano guadagnati una nuova cliente.

Si segnò mentalmente di avvicinarsi a lei una volta rivista all’università. Le sembrava davvero una brava persona, e aveva intenzione di difenderla da ogni bullo si fosse parato nella sua strada.

 

-Eryn, che ci fai ancora qui?- chiese Pat alle nove passate, uscendo fuori dal suo ufficio nascosto dietro uno scaffale, dove si era eclissato come spesso faceva in giornate senza clienti.

Eryn non gli aveva mai chiesto cosa facesse, ma intuiva fosse una qualche invenzione straordinaria o affari non del tutto legali in cui non voleva coinvolgerla, ma che lei sapeva non avrebbero fatto male ad una mosca.

Lei aveva un sesto senso per le persone, e sapeva per certo che Patrick era una brava persona, forse la migliore che conoscesse.

-Ti obbligo a pagarmi gli straordinari- rispose lei, sbadigliando, e controllando il telefono per vedere l’ora.

In effetti non si era resa conto neanche lei che si era fatto così tardi, troppo concentrata sulla lettura di alcuni libri per scuola.

Dopo Blaire erano entrate solo un altro paio di persone, una dei quali aveva comprato parecchie collane, per fortuna.

-Dimmi almeno che ti eri portata la cena da casa e la borsa non era solo piena di libri- si assicurò Pat, facendole cenno di uscire così da chiudere il negozio.

-Cos’è una cena?- scherzò lei, affrettandosi e assicurandosi di aver preso tutto.

Pat le lanciò un’occhiata preoccupata, e dopo aver chiuso il negozio a chiave e aver impostato l’allarme, indagò più a fondo, mentre entrambi si dirigevano alla fermata dell’autobus.

-Hai almeno pranzato? Oggi ti ho vista più stanca del solito- le chiese, in tono casuale.

-Sei per caso preoccupato per me, capo?- lo prese un po’ in giro lei, fingendosi commossa, ed evitando la domanda.

-Dovevi mangiare. Potevi dirmelo, ti avrei mandata a comprare un panino- si dispiacque Pat, avvicinandosi come a sorreggerla nel caso svenisse per un calo di zuccheri.

-Guarda che non ti ho risposto. Non sai se ho mangiato o no- gli fece notare la ragazza, allontanandosi.

Lui non tentò di nuovo l’approccio, e scosse le spalle.

-Ti conosco bene, se eviti una domanda scomoda è perché la risposta è affermativa. Altri mentirebbero, ma tu non menti a meno che non sia estremamente necessario- 

Eryn doveva ammettere di essere colpita da quanto accuratamente Pat la conoscesse nonostante lavorassero insieme solo da poco più di un anno.

Si ritrovò ad arrossire leggermente, ma cercò di non farlo vedere.

-Comunque non preoccuparti, ho fatto una colazione per i miei standard abbondante, e almeno con un po’ di digiuno dimagrisco un po’- cercò di chiudere il discorso la ragazza, che non era di certo grassa, ma neanche in forma come avrebbe voluto, e di certo era ben lontana dall’avere la linea  perfetta di Madison.

-Sei già perfetta, Eryn- commentò Pat con semplicità, scuotendo la testa, poi controllò l’orologio.

Eryn cercò di imporsi di non dare peso a quel commento. Pat diceva spesso quello che gli passava per la testa, non significava nulla, la maggior parte delle volte.

Ormai Eryn era abituata, lo conosceva da molto tempo e sapeva che ogni tanto sembrava flirtare anche se non ne aveva intenzione. Per questo tipo di cose era piuttosto innocente, tanto che non si accorgeva delle avanches che molte clienti gli facevano, e finiva a volte per deluderle quando le rifiutava senza accorgersene, magari dopo aver dato loro anche inconsapevole speranza.

Perciò Eryn prese il commento come un’osservazione disinteressata o semplicemente gentile che veniva dal suo capo che era anche un suo amico, niente di più.

-Ti offro una pizza- l’invito inaspettato di Pat la distolse dai suoi pensieri, e rimase così stralunata da non riuscire a proferire parola per qualche secondo di troppo.

-Se vuoi, ovviamente. Se tua madre ha già preparato la cena sposto l’invito a un’altra volta, ma mi sento in colpa che non hai mangiato tutto il giorno e vorrei farmi perdonare- si affrettò ad aggiungere lui, e nella luce dei lampioni Eryn non riusciva a vedere bene la sua faccia, anche se le sembrava essere leggermente arrossito a sua volta.

-No, cioè, sì, cioè… mamma non mi aspetta per cena, posso venire. Grazie- acconsentì lei, sorridendo.

Non era la prima volta che cenavano insieme, ma era la prima volta che Pat le faceva un invito ufficiale.

Di solito si erano ritrovati a mangiare un panino in negozio, o Eryn lo aveva proposto un po’ così passando davanti ad una piadineria mentre si avviavano alla fermata dell’autobus.

-Perfetto. Conosco un posto che fa ottime pizze, non rimarrai delusa. Sono anche molto veloci, quindi tornerai presto a casa. Non hai il coprifuoco, vero?- chiese, come cercando di ricordare.

-No, e se anche volessero impormelo, non ho il localizzatore, quindi non possono sapere se sono fuori o dentro casa- gli ricordò lei.

-Ah, giusto. Non devi sottostare alle dieci leggi di regolazione dei supereroi- annuì lui, come se lo avesse appena ricordato.

Una signora con alcuni sacchi della spesa in mano, che aspettava l’autobus a sua volta, lanciò loro un’occhiata di giudizio, e si allontanò leggermente.

Eryn fece finta di non accorgersene, ma rimase ferita.

-Certo che la società, oggigiorno, è davvero chiusa di mente- commentò Pat, scuotendo la testa abbastanza dispiaciuto -Servirebbe davvero una scossa- aggiunse poi, tra sé, con sguardo indecifrabile.

Eryn non poteva che trovarsi d’accordo, ma non aveva idea di come avrebbero potuto fare.

Era tutta la vita che le veniva ripetuto che era inutile, insignificante e diversa da chiunque altro. Chi mai avrebbe potuto ascoltarla?

E soprattutto, come sarebbe mai riuscita, con le sue risorse limitate, a mandare un messaggio abbastanza forte?

 

 

Nel frattempo, dall’altra parte della città, sull’edificio più alto di proprietà della ricca famiglia De Marco, una figura incappucciata dai lunghi capelli corvini che svolazzavano al vento era riuscita con immensa difficoltà ad introdursi senza far scattare alcun allarme, e a portare sul tetto un enorme macchinario ricavato con scarti metallici e dalla forma simile ad un altoparlante, collegato al manubrio di una bicicletta.

La sicurezza del grattacelo era tra le più avanzate al mondo, e la figura sapeva che la sua intrusione non sarebbe rimasta inosservata ancora a lungo, ma si prese comunque qualche secondo per riflettere su quello che doveva fare, per respirare l’aria che a quell’altezza non era contaminata da smog e fumo, e per osservare le stelle che spuntavano da dietro le poche nuvole che sfrecciavano via veloci mosse dal vento.

Erano anni che aspettava il momento propizio, che studiava la situazione, si preparava ogni possibile scenario in mente, eppure, proprio quando era ad un passo dall’inizio della fine, esitò.

Fu un’esitazione breve, che non bruciò le sue possibilità di fuga e di certo non gli si ritorse contro, ma la figura fu quasi tentata di lasciar perdere tutto.

Il tempo di un profondo sospiro, e le sue incertezze vennero meno.

Prese, da una borsa che portava a tracolla, due fiale contenenti un liquido rosso e viscoso, che inserì in un opportuna fessura posta sul macchinario.

-Mi dispiace tanto- sussurrò rivolto al sangue, per poi mettere le mani ai due lati del manubrio della bici.

Chiuse gli occhi, e con un gesto deciso, tolse il bracciale che aveva al polso.

Poi si concentrò con tutte le sue forze. 

Aveva fatto tutto bene, non aveva dubbi.

-Questa notte… da questa notte ogni cosa cambierà- sussurrò, poi un’enorme onda di energia si sprigionò dalle sue mani, raggiunse l’oggetto simile all’altoparlante e si dipanò in tutta la città.

Quello era il primo passo verso una nuova era di supereroi, supereroi che la DIS non avrebbe più potuto controllare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Questo capitolo è solo un’introduzione dei personaggi principali e dei problemi causati dalla DIS alla società dei supereroi.

Più la figura misteriosa che fa un casino.

Dal prossimo inizieranno cose più interessanti, si spera.

Oltre ad Eryn, anche Robin e Madison saranno protagonisti importanti della storia, e mano a mano che i capitoli andranno avanti si aggiungeranno nuovi personaggi.

Fatemi sapere che ne pensate, se avete qualche commento, qualche preferenza.

Sto scrivendo la storia avendola progettata solo in grandi linee, e dai vostri commenti potrei o meno prendere spunto per migliorarla andando avanti.

Soprattutto per quanto riguarda il numero di apparizioni di un determinato personaggio o varie coppie che si andranno a formare, ovviamente senza cadere nel fanservice.

Quindi fatemi sapere che ne pensate (sempre che qualcuno legga questa storia cosa che dalla mia, non proprio lunga ma abbastanza, esperienza credo proprio di no).

Un bacione e alla prossima :-*

 

   
 
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