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Autore: Federica_97    08/09/2018    7 recensioni
(STORIA COMPLETA)
Con la conclusione del progetto mew, le ragazze hanno continuato a lavorare nel locale che per mesi era stato la loro base segreta. 
Diplomate e con altre vite, hanno fatto un patto: continuare a lavorare lì e tenerlo aperto. 
Strawberry ha alle spalle una relazione con Ryan, non andata bene. Scelto Mark, per passare la vita con lui, parte per Londra... 
Ma la sua storia non è andata bene, tornata in Giappone con un segreto più grande di lei.
Cosa succederebbe se ragazzi si rivedessero dopo mesi dalla partenza di lei? 
''Si voltò a guardarla, senza espressione, senza saper che dire.
"E cosa vuoi? Cosa pensi che possa fare io?" 
Strawberry alzò gli occhi cioccolato per incrociare quelli ghiaccio di lui e non disse nulla.
"Vattene" fece per andare ma la ragazza lo trattene per il polso.
"Ryan io.."
"Cosa!? Torni qui e stravolgi tutto! E adesso cosa vuoi da me!?" 
"Non urlare..." 
"Vattene Strawberry!".
Si richiuse la porta alle spalle, lasciandola da sola nel corridoio del locale che ormai sentiva casa...
Da sola, esattamente come aveva fatto lui. Piangendo rese conto di non aver nessuno''
Curiosi? Leggete e fatemi sapere! 
Un bacio grandissimo a tuttei voi!
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6- Verità.

 

 

Un altro mese era passato, Strawberry era tornata a casa, nel dispiacere generale di Kyle. Gli piaceva averla in giro per il caffè, a stuzzicarsi costantemente con Ryan.

Ma tutto sommato, sapeva che era giusto così.

Ryan, invece, era sollevato di non vederla più a tutte le ore della giornata. Questo gli permetteva di ragionare più lucidamente, e pensare alla sua relazione con la bella insegnante.

Di Mark non c'era ancora traccia. Non si era fatto sentire, nemmeno con un messaggio.

La ragazza dal canto suo, aveva smesso di chiamarlo e informarlo.

Se non gli interessava, allora, meglio non insistere.

Ormai lei era quasi al limite. La pancia sembrava scoppiarle nonostante mancassero ancora altri 3 mesi al parto. Sembrava avesse due gemelli lì dentro, o che la gestazione fosse più avanti di quello che il medico era riuscito a stabilire.

Ma poco importava, era stanca. E non vedeva l'ora che nascesse. L'appesantiva, e per lei che non stava mai ferma, era un bel problema.

Le notti le passava insonni, non riusciva a chiudere occhi 5 notti su 7, e questa cosa la snervava da morire.

I vestiti non le entravano più, nonostante fosse ingrassata solo di pancia.

Ma pazienza, si diceva, presto lo avrebbe avuto con sé.

Erano le 10.15 di un mercoledì mattina, lei camminava per le strada di Tokyo, tagliando dal parco per raggiungere il caffè.

Shintaro si era offerto di accompagnarla, ma lei non aveva voluto. Aveva bisogno di camminare, o davvero rischiava di impazzire.

Quella mattina, a mezzogiorno, avrebbe avuto una delle ultime ecografie. Non vedeva l'ora, sperava tanto che stavolta riuscissero a stabilirne il sesso.

Era appena giunta davanti alla porta, e sentiva un sacco di voci miste. Il locale era come al solito pieno.

Decise di fare il giro, per non entrare dalla porta principale. Odiava gli sguardi che molte sue coetanee le rivolgevano.

“Buongiorno Kyle”, sorrise, poggiando la borsa che aveva a tracolla. “Come stai?”.

“Strawberry cara, bene e tu? Come mai qui? Sei venuta piedi?”, il pasticcere si voltò verso di lei, con le mani immerse nella farina.

Lei annuì. “Avevo bisogno di camminare, ma sto bene giuro”.

“Ah, Strawberry. Non riesci proprio a startene buona, eh?”.

Lei rise, facendo no con la testa.

“Ma se ti avevo detto che venivo a prenderti io, perché non mi ascolti mai?”, la voce di Ryan la fece sobbalzare.

“Uffa, stai sempre a rimproverarmi. Mi sono svegliata presto e sono venuta io, tutto qui”, gli fece la linguaccia.

“Tu che ti svegli presto? Stai male?”, le poggiò una mano sulla fronte, e per mezzo secondo i loro occhi si incrociarono.

La ragazza si beò di quel contatto. Ma durò poco, doveva rispondere o l'avrebbe data vinta a lui!

“Sto benissimo, caro Shirogane!” gli scostò la mano. “E' lui/lei che non mi fa dormire. Si muove tutta la notte e dorme il giorno. Renditi conto” sbuffò.

L'americano scoppiò a ridere, così piccolo ma già così dispettoso come lei.

“Te lo meriti!”, le disse, facendola imbronciare.

Kyle sorrise, scuotendo la testa. Passavano gli anni, ma quei due sarebbero rimasti uguali per sempre.

“Buongiorno balenottera. Ero sicura fossi tu”.

“Ciao Mina, Ryan mi prende in giro e... EHI! Ma perché mi chiami balenottera!”.

“Perché lo sei”, rispose la ballerina, consegnando l'ordinazione a Kyle.

Gliela preparò Ryan, considerando che l'amico aveva ancora le mani sporche di impasto.

“Non essere cattiva. Buongiorno Strawberry”. Sorrise Lory, entrata per lo stesso motivo di Mina.

“Buongiorno Lory. Ecco impara da lei! E' sempre così gentile!”.

Mina non rispose, scostandosi una ciocca dietro l'orecchio. Con il suo solito fare altezzoso.

“Che ne dici se andiamo?”. Aveva parlato Ryan, finendo di sistemare i vassoi alle ragazze.

“Di già? E' presto ancora”.

“C'è traffico, Straw, e dobbiamo arrivare dall'altro lato della città. Se non ci muoviamo, saltiamo il turno”.

La rossa annuì, era vero.

“Tieni, inizia ad andare in macchina, 5 minuti e ti raggiungo”. Le diede le chiavi dell'auto.

Lei le prese. “Posso guidare?!”.

“Nemmeno sai come si fa. E in ogni caso la risposta sarebbe stata no. Ci tengo alla mia auto”.

“Ma quanto sei cattivo!”. Prese la borsa iniziando ad avviarsi in macchina.

“Non demolirla in questi pochi minuti, per favore!”. Le urlò dietro. Poi sorrise, sicuro che lei non lo vedesse. Amava prenderla in giro e farla arrabbiare.

Era rimasto a fissare il punto dove era scomparsa.

“Ehi Einstein, cerca di evitare di farlo davanti ad Alexandra”, aveva detto Mina, prima di sparire dalla cucina.

Lui si voltò confuso. Guardando Lory in cerca di spiegazioni.

Lei fece spallucce. “I tuoi occhi, Ryan. Si illuminano ogni volta che la guardi, è difficile non notarlo”, gli sorrise uscendo anche lei.

Il biondo sospirò, guardando Kyle che stava per dire qualcosa. “Non dire niente, ti prego”, e se ne andò, prenderlo la giacca. Senza dare il tempo al moro di esprimersi.

 

 

 

Come previsto dal giovane, erano arrivati lì alle 11.30. Il traffico per le strade di Tokyo era impressionante.

Era quasi impossibile dover andare da qualche parte di fretta. Di settimana poi, il tutto si quadruplicava.

Se ne stavano seduti sulla sedia, in silenzio ad aspettare di venire chiamati.

Strawberry era nervosa, come ogni volta che doveva farsi visitare.

“Si può sapere perché sei tesa tutte le volte? Non fa male, lo sai”.

“No... lo so, è che... ho paura”, aveva sussurrato.

Il biondo la guardò, in attesa che si spiegasse meglio.

“Voglio dire, e se nell'ecografia vede che ha le orecchie o la coda? O peggio, se si fosse trasformato in un gatto?”.

Ryan si batté la mano sulla fronte. “Sei ridicola”, le aveva semplicemente detto. “Non succederà niente di tutto ciò”.

Lei aveva borbottato qualcosa, incrociando le braccia al petto.

Non indifferenti erano gli sguardi che mamme e infermiere lì dentro lanciavano a Ryan.

Se n'era accorta già da un po', ogni santa volta che venivano lì, il ragazzo era praticamente un'attrazione turistica. A forza di guardarlo, prima o poi lo avrebbero consumato.

Anche lui si era reso conto di questa cosa, ma ignorava e basta.

“Momomiya?”, l'infermiera chiamò la ragazza, nell'esatto momento in cui il cellulare di Ryan squillò.

Lei lo guardò, “Fai tranquillo, entrò da sola”, gli sorrise.

Lui annuì. “Faccio presto e ti raggiungo”, le promise.

Lei si incamminò verso l'infermiera, mentre lui rispondeva alla chiamata.

“Pronto?”.

Ryan! E' tutta la mattinata che ti mando messaggi, si può sapere dove sei?”.

Alexandra...

“Ehi, Ale... scusa io... non li ho sentiti, perdonami”.

Fa nulla dai! Vieni? Sono in pausa pranzo”.

“Adesso? Non posso, mi spiace”.

Che stai facendo?”.

Ryan ci pensò due volte, che sta facendo? Glielo avrebbe detto? Guardò Strawberry entrare dentro la stanza e la porta che si richiudeva.

“Sono in giro a fare delle commissioni per il caffè, scusami”.

Non aveva avuto il coraggio di dirle la verità. Un po' perché temeva la sua reazione, nonostante avesse preso bene il suo essere buon samaritano. Un po' perché voleva stoppare al più presto quella conversazione.

Si sentiva un verme, ma in quel momento l'unico suo pensiero era la rossa.

Ah”, fece lei delusa, “va bene dai. Ci vediamo stasera allora!”.

“Certo”, disse lui, prima di salutarla e chiudere la chiamata.

Entrò nella stanza di fretta, vedendo la ragazza già pronta al controllo e super tesa sempre per le sue solite fantasie.

“Stai tranquilla”, aveva preso posto accanto a lei, sedendosi in uno sgabello.

“Buongiorno, signor Shirogane, giusto?”. Un dottore che non aveva mai visto prima, gli parlò. “La dottoressa si scusa infinitamente, oggi stava male. Sono il sostituto”.

“Piacere”, Ryan le aveva stretto la mano, prima di lasciarlo lavorare.

Strawberry rabbrividì quando il gel freddo entrò a contatto con la sua pelle.

Aveva iniziato l'ecografia ed era tutto nella norma.

Per grande sollievo della rossa, niente sembrava strano in quel bambino.

“E' sanissimo. Sa che si prepara già ad uscire? Inizia a mettersi a testa sotto”, diceva il medico, mentre lei sorrideva.

Si era voltata verso di Ryan, che curioso sbirciava sullo schermo.

Aveva attirato la sua attenzione, con un colpettino sulla mano.

“E' normale”.

Lui sorrise e basta, non disse niente prendendole la mano e stringendola.

Stretta ricambiata anche da lei.

“Ecco fatto. Abbiamo finito”. Il medico riposizionò l'attrezzatura, prima di darle dei fazzoletti per pulire l'eccesso di gel che aveva sulla pancia.

La ragazza si ricompose, seguendo il dottore che si era seduto alla scrivania.

“Allora signora. E' tutto perfettamente nella norma. Il bambino sta bene e non c'è niente di cui preoccuparsi”, scriveva una ricetta, “prenda questi integratori per il restante delle settimane”, strappò via la ricetta, rivolgendosi a Ryan. “Suo figlio non si fa vedere, sa? Si nasconde, non sono riuscito a stabilirne il sesso”.

L'americano guardò Strawberry, che ridacchiava divertita.

“Ah”, aveva detto Ryan continuando a guardare Strawberry. E poi aveva sorriso anche lui, dimenticandosi del mondo fuori.

Avevano salutato, rimettendosi in marcia.

Il biondo stava riaccompagnando Strawberry a casa, mentre lui sarebbe tornato al caffè.

“Contenta?”.

Lei annuì, sorridendo. “Non ha le orecchie da gatto”.

Lui scosse la testa, divertito e non rispose. Continuando a tenere gli occhi sulla strada.

“Ryan...”

“Uhm?”.

“Grazie”.

L'americano la guardò. “Per cosa?”.

“Per tutto questo, grazie... non eri nemmeno tenuto a farlo”.

“Sei mia amica, mi fa piacere farlo”. Le poggiò una mano sul ginocchio, un gesto che gli venne naturale fare.

Lei sorrise, senza dire nient'altro.

 

 

“Allora?! Come sta?!”. Paddy aveva assalito Ryan. Non gli aveva dato nemmeno il tempo di togliersi la giacca.

Gli saltellava intorno, ansiosa di avere una risposta.

“Sta calma. Sta bene, il bambino cresce e si prepara ad uscire”.

“Divento zia!!”, era euforica all'idea di insegnare a quel bambino come arrampicarsi sui lampadari e fare acrobazie sui palloni.

Kyle sorrise. “Dai, vai a portare questi al tavolo”, aveva consegnato a Paddy un vassoio.

“Ah, dì alle ragazze che stasera la mamma di Strawberry organizza una festa per lei, siamo tutti invitati”, le disse Ryan prima che uscisse.

“Vai! Una festa!”. Sparì a raccontarlo alle sue amiche, tutta contenta.

Il biondo sospirò, sedendosi su uno degli sgabelli. Pensieroso.

Kyle lo notò, osservandolo. Aveva gli occhi persi, le braccia incrociate sul tavolo e il mento su di esse.

“Okay, cosa è successo?”.

Ryan alzò solo gli occhi, osservando l'amico che stava di fronte a lui.

“Nulla”.

“Non dire bugie, parlami”.

Sospirò nuovamente. “Oggi ha chiamato Alexandra”.

Lui annuì. “Anche a me”.

“Cosa? Che le hai detto?”.

“Lei voleva sapere se eri a fare le consegne...”

“E tu?”.

“Le ho mentito, Ryan. Che potevo fare? Mi spieghi perché non lei hai detto che sei rimasto tutto il tempo in ospedale con Strawberry?”.

Il giovane non rispose.

“Ryan”, fece il giro del bancone, fermandosi proprio davanti a lui, “devi parlare con lei. Capisci che più tempo passa e più la fai soffrire?”.

Lui annuì, sapeva che aveva ragione. “Oggi... il medico mi ha nuovamente scambiato per il padre del piccolo...”.

“E tu stavolta non hai negato”.

Lui scosse la testa. “Sono un disastro”.

Kyle sospirò, poggiandogli le mani sulle spalle. “Sei un disastro”.

Il biondo sorrise leggermente.

“Va a parlare con Alexandra, Ryan. Non perdere tempo”.

“Sì, hai ragione. Vado!”. Si alzò.

Magari sarebbe stata la cavolata dell'anno. Magari si sarebbe pentito di ciò che stava andando a fare. O magari era semplicemente la cosa giusta. Sapeva di non amare quella ragazza, ci aveva provato. Non ci era riuscito.

Ci era ricascato con tutte le scarpe. Si era nuovamente fatto mettere nel sacco da quel sorriso che per anni lo tormentava.

Non era riuscito ad andare avanti nonostante lui ci avesse provato con tutto se stesso.

Ammettere i proprio sentimenti, per lui non era mai stato facile. E sapeva che nemmeno quella volta sarebbe stato facile. Ma doveva essere sincero, principalmente con quella che per mesi era stata la sua ragazza.

Erano le 17.00, l'avrebbe sicuramente trovata a casa.

La macchina era nel vialetto, le luci di casa accese.

Suonò il campanello.

Alexandra aprì, gli sorrise, scostandosi per farlo entrare.

“Ciao”. Aveva salutato lui.

“Ciao”.

Si tolse la giacca, poggiandola sulla sedia.

“Senti... io ti devo parlare”.

Lei annuì. Sapeva che sarebbe arrivato il momento. Sapeva che era lì per questo.

Non era da lui arrivare senza avvisare.

Si sedette sulla sedia, in attesa che lei prendesse posto accanto a lui.

“Non ti siedi?”. Le chiese quando la vide fare avanti e indietro, senza guardarlo.

“No. Se mi guardi magari fatichi a dirmi la verità”.

Il biondo annuì, magari aveva ragione.

“Alexandra io...”.

“La ami?”. Dritta al sodo, senza girarci intorno, non aveva bisogno di scuse. Voleva solo la verità. “Oggi sei stato con lei tutto il giorno, vero?”.

Lui annuì, inutile negare ormai.

“La ami, Ryan?”.

“Non lo so... sono confuso...”.

“No Ryan, non sei confuso. Devi dirmi la verità. La ami?”. Si sedette accanto a lui, guardandolo dritto negli occhi. “Ho bisogno della verità”.

“Sì, la amo”.

Lei chiuse gli occhi, per mezzo secondo, prima di riguardarlo. “Sin dall'inizio? La amavi anche mentre stavi con me?”.

“No, all'inizio mi sembravi tu la risposta a tutte le mie domande”.

“Cos'è cambiato? In cosa ho sbagliato?”. Lei tratteneva le lacrime.

“Non hai sbagliato niente io...”.

“Cavolate! Tutti sbagliamo! Dimmi dove ho sbagliato io con te, Ryan!”.

“Ale non lo so, okay? Non vedo i tuoi errori, non vedo i suoi. Vedo solo i miei. Tu eri la risposta a tutto, eccetto ad una domanda che avevo deciso di non farmi più!”.

Aveva paura a chiedere quale fosse quella domanda. Aveva paura di scoprire altre cose che l'avrebbero fatta stata male il doppio di quello che già stava. Ma doveva sapere, non poteva vivere nel dubbio.

“Quale?”. Chiese con un filo di voce.

“Se posso essere felice senza di lei”. Diretto, secco, senza giri di parole. Non servivano più.

Era tutto ciò che pensava.

Le lacrime ormai scendevano sul volto della ragazza, che si alzò. “Vattene, Ryan”. Lo invitò, pacatamente.

Non voleva fargli scenate, non voleva dargli nessuna colpa.

Voleva rimanere da sola, nient'altro. “Per favore”, insistette quando notò che lui non si era ancora alzato.

Il biondo si alzò, mettendosi la giacca.

“Alexandra... mi dispiace”.

Lei scosse la testa, incrociando le braccia al petto. Come se un forte freddo l'avesse colta all'improvviso.

“Non è colpa tua...”, aveva mormorato.

Ryan uscì di casa, lasciandola da sola.

Adesso toccava essere sincero con qualcun'altra.

Adesso doveva dire ciò che provava realmente a Strawberry.

Doveva andare da lei e dirle quanto felice si sentisse all'idea di poter fare da padre a quel bambino.

Voleva dirle che nonostante tutti i casini in cui si era messa, lui c'era. Ci sarebbe sempre stato.

E non gliene fregava niente se aspettava un figlio da un altro. Lui voleva essere parte della sua vita. Ora e per sempre.

 

 

A casa Momomiya, invece, la sera era arrivata presto.

La piccola festicciola che sua madre aveva organizzato in onore della figlia, non era altro che una cenetta tranquilla e rilassante, con tutte le persone che sua figlia voleva bene.

“Le volete vedere le ecografie?”. Aveva chiesto Strawberry, ascoltando le suppliche che Paddy rivolgeva al piccolo, nella speranza di sentirlo muoversi.

“Sì!”. Aveva esclamato subito la biondina.

La rossa le tirò fuori, mostrandole alle amiche. “E' bellissimo e sanissimo. Questa è la testa, vedete?”. Aveva indicato.

“Che carino. Ma è un maschio o una femmina?”.

“Non lo so, non si fa vedere. Ci farà una sorpresa, no?”.

“Eh già”. Aveva detto Mina.

Pam aiutava la signora Momomiya in cucina, mentre Kyle parlava con Shintaro.

“Kyle, Ryan?”. Gli chiese Lory, non si era ancora fatto vedere.

“Aveva una cosa da fare, penso che tra poco arriverà”, rispose il moro gentile.

La verde annuì, sorridendo a sua volta. Prima di tornare dalle sue amiche.

“Secondo me è femmina”, disse Paddy.

“Che dici, è un maschio. Sono sicura”, ribaltò Mina.

“Scommettiamo?!”, disse la più piccola. “Se vinco io fai il mio lavoro per una settimana!”.

“Se vinco io, invece, svolgi il mio per due”.

“Affare fatto!”. E si erano strette la mano, facendo ridere tutti i presenti.

“Su ragazze”, rise Strawberry.

Il campanello suonò, ma lo ignorarono tutti, nessuno aveva voglia di andare ad aprire.

“Oh ragazze, non vi muovete tutte insieme eh. Ad una ad una!”, esclamò Lory, prima di avviarsi alla porta. “Ryan pensavano che non sares...”, le parole le morirono in gola, scoprendo chi realmente era davanti a lei. “Mark...”.

“Ciao Lory...”. Aveva salutato il ragazzo.

La rossa si pietrificò al suono della sua voce.

“Posso?”, indicò dentro. La ragazza si scostò, facendolo passare.

Shintaro balzò in piedi, mentre Sakura cercava di tenerlo buono almeno in quel momento.

Lo sguardo del ragazzo cadde su Strawberry, che lo stava guardando seria.

Lory fece per chiudere la porta, ma una mano la bloccò.

Ryan era appena entrato, ritrovandosi davanti il suo più grande rivale. Mark.

Il sorrisetto che gli dipingeva il viso, scomparve. Lasciando posto ad una espressione che era tra metà delusa e metà arrabbiata.

Anche Mark lo guardò, ma al momento non era Ryan che a lui interessava. Il suo unico pensiero era Strawberry.

“Ecco...”, mormorò Lory, prima di chiudere la porta.

Erano tutti in silenzio.

“Straw...”, Mark fece per avvicinarsi, ma lei indietreggiò, iniziando a salire le scale che la portavano al piano di sopra.

Si voltò un'ultima volta, osservando il ragazzo per mesi si era fatto negare. Che non aveva risposto alle sue chiamate.

Non voleva vederlo. Non voleva averlo accanto.

Sparì in camera sua.

 

 

 

Buona sera ragazze.

Questo capitolo l'ho scritto tutto d'un fiato. In questi giorni non ho avuto ispirazioni e netflix non aiutava affatto!

Detto questo, spero che vi piaccia.

Ahimè, Alexandra è fuori... ma è tornato Mark!

Chissà come finirà.

Al solito ringrazio tutti coloro che mi seguono.

Un bacio grande alla prossima! <3

  
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