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Autore: mugsy    11/07/2009    2 recensioni
"se ne dicono di stronzate da bambini. Stronzate in cui noi crediamo. Stronzate che abbiamo l’illusione che si avverino. Stronzate che chiamiamo sogni"
In un'anonima periferia di un'anonima città, si incrociano le strane vite di un omicida per hobby, una "sfigata" con un terribile segreto e una lesbica che vuol cambiare pagina. A far da contorno, le turbe mentali e le strane angoscie di Virginia, condite da sogni altrettanto bizzarri. Perchè quando perdi la tua strada, recuperarla richiede un prezzo elevato.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erika quel giorno era tornata a casa prima. A quanto pare, due ragazze nella sua scuola erano state aggredite da uno squilibrato nei bagni, in preda a chissà quale follia omicida. Le ragazze, interrogate, avevano risposto che a picchiarle era stato un tale “Cliff Burton”. Erika fu molto sorpresa da questa strana coincidenza. Cliff Burton era stato infatti il primo bassista dei Metallica, il suo gruppo preferito dopo i Verdena e gli Articolo 31, e per lui aveva una vera e propria venerazione. La sua stanza era infatti piena di poster del suo idolo, e aveva inoltre tutti gli spartiti delle sue due canzoni preferite dei ‘Tallica, ovviamente composte da Cliff: Orion e (Anesthesia) Pulling Theeth. La ragazza adorava quelle due canzoni, e adorava la buonanima di Cliff, che, a parere di Erika (e non solo suo) ha lasciato nel metal un vuoto difficilmente colmabile. Per capire l’importanza che ebbe quel bassista su di lei, basti pensare che fu proprio per imitarlo e seguire le sue orme che Erika comprò Melissa, il suo amato basso, nonché sua unica amica. Probabilmente era proprio grazie a Melissa che Erika era ancora viva. Quel basso era ciò che Erika aveva di più caro, dopo suo padre.

“Allora, Melissa, che ne dici di una bella strimpellata? E da un po’ che non ne facciamo una come si deve, o ricordo male? Dai, lo so che sei incazzata, non far finta. Ti conosco come le mie tasche vuote ormai, e so che ti sei offesa perché ti ho trascurata. Hai ragione. Rimedio subito”.
Erika, dopo aver delicatamente sollevato Melissa, chiuse gli occhi e iniziò a suonare. Era più forte di lei, non riusciva a suonare con gli occhi aperti. Preferiva di gran lunga chiuderli per concentrarsi sul suono dello strumento. Grazie a quest’abitudine entrava in empatia con Melissa, riuscendo a tirar fuori il meglio dal suo amato basso. Non a caso, i vicini tutte le volte che Erika suonava non solo non si incazzavano, ma anzi interrompevano quello che stavano facendo per sentirla meglio, e tutti nel palazzo erano concordi nell’affermare che la ragazza era molto brava.
Tuttavia, c’era una persona che non gradiva molto l’attività di Erika: Michela Romandini, conosciuta anche come Zia Desdy, ovvero l’odiata matrigna. Il soprannome di Zia Desdy fu inventato proprio da Erika: zia, perché lei aveva un pessimo rapporto con le sue zie (che infatti non vedeva quasi mai), Desdy, da Desdemona, la cattiva di un romanzo di Isabella Santacroce che le era piaciuto molto. Zia Desdy, dicevamo, era l’unica a non vedere di buon occhio la passione di Erika per i Metallica. Diceva che il metal era una musica satanista, che predicava il demonio, che era rumore e non musica… insomma, le cazzate che si dicono in giro. Sicuramente questo era uno dei motivi per i quali Erika odiava la sua matrigna, ma non era certo l’unico: le due avevano infatti caratteri totalmente antitetici ed erano totalmente incapaci di aprirsi l’una con l’altra. La Zia Desdy aveva provato per un breve periodo ad andare d’accordo con Erika, ma non c’era nulla da fare, e ben presto il loro divenne un rapporto di reciproca antipatia, che sfociò infine in odio puro. Entrambe volevano solo la morte dell’altra, magari in modo atroce, ed entrambe cercavano di accattivarsi le simpatie di Luciano, padre di Erika nonché marito di Desdy, che si trovò con la casa divisa da un invisibile muro di Berlino.

La rabbia repressa di Erika era in perenne stato di guardia: d’altronde, circondata com’era da persone che avrebbero voluto cancellarla dal loro percorso di vita, era comprensibile esser sempre così nervosi ed irritabili. Nessuno poteva, o voleva, capire quello che la ragazza stava passando, e lei si sentiva sempre più sola e oppressa. Tutti la giudicavano, la criticavano, la deridevano, e per una ragazza di appena 17 anni questo può essere davvero un colpo tremendo.



L’unica cosa che la faceva andare avanti era il padre.


  
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