Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: _Agata_    10/09/2018    1 recensioni
Sul forum EFP, MissChiara lancia "la challenge capricciosa". Questa storia è il contenitore per raccogliere i vari racconti che parteciperanno a questa challenge, e che saranno per l'appunto variazioni sul tema dell'ambientazione "Il Signore degli Anelli", e variazioni sui temi proposti da MissChiara.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La freccia che Estel aveva scoccato si conficcò nella corteccia della betulla a venti piedi da lui, appena all’esterno del centro del bersaglio che aveva intagliato. Il ragazzo sospirò, passandosi una mano sugli occhi azzurri, ed andò a recuperare il dardo. Tornò dietro la linea che aveva tracciato a terra, saggiò la tensione della corda, incoccò, prese la mira. Poi abbassò l’arco con un nuovo sospiro.
Era più difficile esercitarsi, da solo. D’altra parte, non poteva coinvolgere i suoi precettori, all’oscuro del fatto che si fosse allontanato. Non voleva essere ingrato o irrispettoso, ma non ce la faceva più a star chino sui libri. Conosceva l’importanza dello studio, ed era un allievo diligente e capace, normalmente. Ma gli stupendi padiglioni di Imladris avevano iniziato a stargli stretti di recente.
Vedeva i figli di Elrond uscire per compiere grandi gesta, ed il suo cuore avrebbe voluto cavalcare assieme a loro; eppure si rendeva conto che non sarebbe stato di alcuna utilità. Desiderava apprendere le arti del combattimento, per scendere in battaglia e guadagnare onore sul campo, ed essere degno dell’ospitalità che riceveva. Aveva ritenuto più rispettoso non palesare ad Elrond, che si occupava di lui e lo amava come un figlio, questo desiderio; ciò nonostante, le lezioni di scherma ed arco si erano man mano fatte più frequenti, con grande soddisfazione sua, e dei suoi maestri che lo vedevano progredire rapidamente.
Fino a tre settimane prima, quando era stato deciso che avrebbe dovuto avviare uno studio sistematico ed approfondito dell’Eldarin. Tutti attorno a lui avevano sempre parlato la lingua degli Uomini, pur nella dimora di un Signore Elfico. E di conseguenza, lui intendeva qualcosa di elfico, ma soltanto qualche parola. L’idea di approfondire quella lingua non gli era dispiaciuta; il problema era nato nel tradurre in pratica il proposito. Quando avevano iniziato ad impartirgli lezioni, si era accorto che era maledettamente complessa. Faceva una gran fatica a distinguere i suoni, non riusciva a memorizzare le parole e soprattutto le loro combinazioni e variazioni fonetiche. I risultati erano stati frustranti. Avrebbe voluto lasciar perdere per un po’ e dedicarsi a qualcosa di diverso; ma i suoi tutori avevano invece deciso che il tempo riservato ad altre occupazioni sarebbe stato drasticamente ridotto, finché non avesse ottenuto risultati decorosi con l’Eldarin.
E lui aveva davvero, con tutte le sue forze, provato a rimettersi al loro giudizio. Aveva provato ad applicarsi maggiormente, ad insistere di più. Ma più si forzava, peggiori erano gli esiti. Quella mattina, semplicemente, era stato troppo. Aveva bisogno di fare qualcos’altro. In particolare, avvertiva il bisogno quasi fisico di riprendere l’addestramento con le armi. Così aveva afferrato il suo arco e, badando di non farsi udire, era scivolato fra i boschi attorno a Gran Burrone.
Prima che muovesse un solo passo verso il bersaglio, una freccia passò sibilando accanto al suo orecchio, per conficcarsi esattamente al centro della sua infissa nell’albero, spaccandola a metà. Allarmato, il ragazzo si volse verso la direzione da cui era venuta. Venti passi dietro di lui, nascosto solo parzialmente dal fogliame, stava in piedi un Elfo con l’arco ancora davanti a sé.
“Giovane Estel, per quale ragione ti addestri in solitudine, lontano dalle sale di Elrond?” domandò, abbassando l’arma.
Il ragazzo non sapeva chi fosse l’individuo che lo aveva così apostrofato, ma non poté evitare di restarne colpito: era indubbiamente meno etereo dei suoi mentori a Gran Burrone, meno luminoso per così dire. I suoi capelli, biondi come i loro, avevano un colore più caldo, più simile al grano che alla luce del Sole o delle stelle; i suoi lineamenti, ugualmente fini, erano tuttavia più marcati e conferivano al suo viso una maggior forza; le membra, ugualmente snelle, apparivano maggiormente plasmate e strutturate.
“Mio signore, pare che voi mi conosciate, ma non posso dire lo stesso per parte mia…”
“Giovane Estel” disse lo sconosciuto con un inchino, “io sono Legolas di Bosco Atro; e se tu me lo concedi, sarebbe un onore per me aiutarti a padroneggiare quelle arti che ti renderanno grande fra gli Uomini; non come mentore, ma come tuo pari e, se il Fato vorrà, come amico”.
Estel non sapeva che cosa rispondere, né tanto meno cosa pensare, così si limitò ad annuire. Un istante prima aveva desiderato qualcuno con cui addestrarsi, ed ecco giungere come una benedizione un Elfo da terre lontane, che non lo rimproverava per le sue mancanze (di cui senz’altro non era al corrente) ma si offriva di assisterlo.
Legolas gli si avvicinò sorridendo, e in quel sorriso si rivelò la luce che non sfavillava fra i suoi capelli, illuminandogli gli occhi e il viso intero.
“Allora dimmi, Estel: come mai ti trovi tutto solo fra i boschi, anziché presso le belle dimore di Elrond, indirizzato e supervisionato dalle guide che ti avrà assegnato?”
Il ragazzo avvertì pungente l’imbarazzo di ammettere quella sorta di fuga dai propri doveri, ma non desiderava macchiarsi con una menzogna:
“Io… desideravo esercitarmi con l’arco… lontano da… liberamente, ecco” spiegò, mentre strofinava sul terreno la punta di un piede, a disagio.
L’Elfo dovette intendere chiaramente che non era tutto, e probabilmente indovinò qualcosa di quanto non aveva espresso, ma gli sorrise conciliante, inclinando il capo:
“E come procede il tuo addestramento in solitudine?”
“Non troppo bene, in realtà…” ammise stringendosi nelle spalle, “è più complesso di quel che pensassi …”
Legolas gli batté alcune pacche leggere sulla spalla, incitandolo:
“Mettiti in posizione e tendi l’arco, vediamo se riesco ad aiutarti”.
Estel obbedì, e l’Elfo sostenendosi il mento con una mano lo studiò a lungo, in silenzio, poi riprese:
“Bene, non scoccare. Ora imprimiti bene in mente come sei posizionato, e quando pensi di averlo chiaro a sufficienza, sciogliti ed osserva me. Poi dimmi quali differenze noti”.
Continuarono a lungo a discutere della posizione più corretta, della giusta inclinazione dell’arco e tensione della corda, di quanto dipendessero dalla distanza, dal vento, dal materiale della freccia e dalla superficie del bersaglio; e poi a provare le diverse opzioni, ad analizzare perché funzionavano in misura maggiore o minore.
Poi Legolas lo esortò a mettersi nuovamente in posizione e si pose alle spalle del ragazzo, andando ad aggiustare con le proprie la posizione delle mani, della schiena, delle gambe, tendendo l’arco assieme a lui. Estel, con il corpo dell’Elfo premuto al proprio, sentì uno strano calore diffondersi nello stomaco, ma non ci badò, concentrato com’era sul risultato da ottenere. Più volte l’altro si allontanò da lui chiedendogli di mettere bene a fuoco la postura, sciogliersi e riassumerla; e più volte tornò a correggerla.
“Ora non irrigidirti… tendi la corda ancora un po’… tieni i piedi ben saldi a terra… punta il bersaglio, prendi la mira… e scocca!”
La freccia di Estel si conficcò nel centro del bersaglio. Gli occhi del ragazzo si riempirono di gioia, e lui ridendo buttò le braccia al collo di Legolas:
“È fatta! Ho fatto centro!”
“Molto bene”, rispose ricambiando l’abbraccio e ridendo assieme a lui, “e questo è solo l’inizio…”
 
Il sole dovette raggiungere lo zenit prima che il caldo e la fatica avessero la meglio, consigliando una pausa presso il vicino ruscello per rinfrancarsi. Estel si distese supino sull’erba morbida, gli occhi al cielo terso, e Legolas sedette con la schiena appoggiata ad un albero, offrendo una galletta al ragazzo.
“Pan di via?” chiese quest’ultimo, allungando una mano per accettarla.
“Lembas” precisò l’Elfo sollevando le sopracciglia.
Il ragazzo sospirò, lasciando ricadere pesantemente il braccio teso a mezz’aria.
“Qualcosa non va, giovane Estel?” lo interrogò l’altro, facendosi più vicino.
“No…” rispose sollevandosi sui gomiti “cioè sì, in realtà…”
Legolas non lo incalzò, continuò invece ad osservarlo con un sorriso rassicurante. La spiegazione sarebbe arrivata da sola, senza necessità di insistere, occorreva solo pazientare a sufficienza.
“Io… credo di avere qualche… difficoltà, ecco, con l’Eldarin…” ammise dopo un po’, senza osare portare lo sguardo al suo interlocutore.
Legolas si avvicinò e si distese al suo fianco, osservando a sua volta il cielo e sollevandolo dall’imbarazzo di dover sostenere uno sguardo in cui avrebbe erroneamente visto sufficienza o denigrazione.
“Il tuo nome è Eldarin, e significa speranza…”, provò a suggerire, senza ottenere risposta.
“Che genere di difficoltà?” chiese poi con noncuranza, osservando un coleottero posato sul dorso della sua mano.
Il ragazzo alzò le spalle e tagliò corto:
“Tutto. È troppo difficile”.
La risata di Legolas, ancora assorto nella contemplazione dell’animaletto, fu talmente lieve che l’altro, a un paio di spanne da lui, nemmeno se ne accorse:
“Tutto mi sembra un po’ vago”.
Estel inspirò profondamente diverse volte, prima di decidersi a rispondere, giocherellando con l’erba fra le sue dita:
“Le parole si confondono così tanto… intendo, non capisco mai se una parola è una radice, è una mutazione morbida di un termine, o una mutazione dura di un altro…” nel parlare, si sollevò a sedere, a gambe incrociate, e prese ad enumerare sulle dita, “o se e come devo mutarla quando va insieme a quali parole… e se devo fare un composto anteponendo o posponendo una particella, o piuttosto utilizzare una preposizione, o semplicemente unire le parole e in che ordine e con che mutazioni… se devo aggiungere un prefisso o un suffisso per un certo significato, quali parole possono fare fa da prefisso o da suffisso, quali entrambe a seconda dei casi, e quali casi, e…”, lasciò ricadere il capo, prendendosi la testa fra le mani “ci sono troppe regole e troppe eccezioni”.
Legolas sorrise di nuovo e si alzò a sedere a sua volta, appoggiandogli una mano sulla spalla:
“In un certo senso, potresti avere ragione, ma… hai provato ad ascoltare?”
“Ascoltare? Certo che ascolto!” replicò, piccato, stringendosi nelle spalle, “solo che non riesco a ricordare, a capire”.
“Intendo, ascoltare e basta…”, specificò. “Senza cercare di identificare ogni regola, di individuare ogni mutazione…”,  proseguì, liberandogli i capelli scompigliati da rametti e foglie secche e sistemandoglieli meticolosamente dietro alle orecchie, “solo ascoltare, lasciarti attraversare dalle parole… e cercare di interpretare il significato complessivo di quello che ascolti…” concluse con un lieve buffetto.
“Non sono certo di capire cosa intendi…” ammise Estel, percorso da un fremito.
“Conosci il Salone del Fuoco?” chiese, allontanando l’insetto.
“Sì” confermò, ripensando all’ampia sala di Imladris, circondata da imponenti colonne scolpite, al centro della quale bruciava sempre un grande fuoco. Per qualche ragione, quel luogo gli dava un profondo senso di pace, sia quando era silenzioso e quieto, sia quando era animato da canti e racconti nelle lingue degli Uomini e in quelle degli Elfi.
“Io suppongo che tu in realtà conosca già l’Eldarin più di quanto crederesti… facciamo una prova, me lo permetti?”
“D’accordo” acconsentì il ragazzo alzando le spalle; non che qualsiasi prova avesse in mente potesse peggiorare la situazione, dopo tutto.
Legolas scivolò dietro di lui e si inginocchiò, portandogli le mani sulle spalle ed attirandolo delicatamente verso di sé:
“Ora rilassati, chiudi gli occhi… respira profondamente… ascolta il vento… lo senti?”
Estel annuì appena. Le mani fresche, la voce morbida, il petto caldo dell’altro avevano avuto la capacità di distenderlo, e si lasciava cullare dal suo movimento appena ondeggiante e dal suo respiro sul collo.
“Ascolta il vento”, continuò in un sussurro, “lo senti stormire tra le fronde degli alberi? E senti come fruscia appena fra i teneri steli dell’erba? Senti l’acqua del ruscello che canta alla sua carezza?”
Sì, in qualche modo riusciva a distinguere, nel lieve soffio del vento, tutte le sfumature che l’Elfo gli indicava.
“L’Eldarin risuona con la voce del vento e dell’acqua, del sole e delle stelle…” e poi, con voce soave, attaccò un canto antico e melodioso, che non conosceva ma che gli pareva di aver già sentito innumerevoli volte:

A Elbereth Gilthoniel
Silivren penna mìriel
O menel aglar elenath!
Na-chaered palan-dìriel
O galadhremmin ennorath
Fanuilos, le linnathon
Nef aear, sì nef aearon!” *

Quindi tacque, lasciando che fossero il canto del vento e il mormorio dell’acqua a riempire il silenzio. Solo dopo lunghi minuti, riprese:
“Lo conosci?”
“L’ho già sentito, sì…” rispose Estel con voce un po’ impastata, riemergendo solo parzialmente dal piacevole torpore che lo aveva avvolto.
“E di cosa parla?” lo esortò.
“Non… non lo so…” balbettò, irrigidendosi, “ho capito… poco; poco o… niente. Più niente, in effetti”.
Legolas non riuscì a trattenere una breve risata, coprendosi con grazia la bocca con una mano:
“Non è un problema, non ti sto facendo lezione…” lo rassicurò, ancora con il riso nella voce, “il poco che hai capito, o quel che ti suggerisce, andrà benissimo”.
“Io… mi sembra che parli di Elbereth, la Regina delle Stelle…”.
“Esatto… continua” lo invitò, annuendo fra sé.
Estel si concentrò, chiudendo gli occhi, e cercò di lasciarsi attraversare, pur non sapendo cosa significasse, da quel canto, che aveva udito spesso ma che non aveva mai compreso. Restò silenzioso e immobile per qualche minuto, assorto, provando a permettere che le parole si raggruppassero in qualche modo, evocando qualche significato che coscientemente non riusciva a racimolare.
“Di… stelle che vengono accese…? gioielli… gemme… cristalli…? qualcosa che ha a che fare con il quanto meravigliosamente splendono e scintillano dal cielo…?”
“E poi?” lo spronò, stringendogli appena le spalle.
“Qualcosa… che ha a che fare con la distanza, che guarda lontano…” riprese, sempre immerso nei pensieri che fluivano attorno alla sua coscienza e la attraversavano, “da una terra… con alberi intricati… un canto a… qualcosa di sempre bianco… sul lato dell’oceano…?”. Poi aprì gli occhi, riscuotendosi, raddrizzò la schiena, ripensò a quel che aveva detto e si diede mentalmente dello sciocco:
“Non sembra qualcosa che abbia senso, vero?” chiese, rovesciando la testa all’indietro per osservarlo.
Legolas si spostò al suo fianco per guardarlo negli occhi, tenendogli una mano sulla spalla:
“Al contrario, sei andato piuttosto vicino al significato… Una traduzione potrebbe essere all’incirca

O Elbereth che accendi le stelle,
bianche faville che pendono, scintillanti come gemme,
dal firmamento, gloria della volta stellata!
Avendo contemplato lontano, a remote distanze,
dagli alberi intrecciati della Terra di Mezzo,
Semprebianca, a te canterò
in questo lato dell’oceano, qui in questo lato del grande oceano! *


Giovane Estel, sei cresciuto circondato dai suoni dolci e ritmati dell’Eldarin… li conosci, riposano sul fondo del tuo pensiero e del tuo cuore. Lascia che affiorino, senza costringerli nelle gabbie di regole ed eccezioni. Non cercare di ricordare come dovrebbe o non dovrebbe mutare ogni parola, lascia semplicemente che il discorso fluisca in un suono armonioso, come il vento e come l’acqua…”
“Non sembra così facile” replicò, distogliendo lo sguardo e stringendosi le braccia attorno al corpo.
“Lo sarà, credimi” lo rassicurò, invitandolo ad alzare gli occhi con una carezza accennata, “A Gran Burrone non è raro che si cantino inni e odi, o che si declamino poemi accompagnati dalla musica. Fermati ad ascoltarli, ogni volta che puoi. Ti sarà di grande aiuto”.
 Poi sollevò il volto al cielo, inspirando profondamente e lasciando che il vento carezzasse la sua pelle e si intrecciasse ai suoi capelli. Rimase in silenzio alcuni secondi, come in ascolto; poi riprese a cantare, dapprima con una voce quasi confusa con la brezza che continuava a spirare, poi sempre più cristallina e armoniosa e limpida.
Estel chiuse gli occhi, e voltandosi appena adagiò nuovamente la schiena contro al petto dell’Elfo e reclinò il capo sulla sua spalla. Lasciò che la sua voce gli permeasse i pensieri assieme a quella del vento e dell’acqua, lasciò che si adagiasse sul fondo del cuore. Lasciò che fosse il suono stesso delle parole ad evocare immagini e concetti, mentre queste scorrevano fluidamente senza essere filtrate e scomposte dal pensiero razionale, trascurando volutamente un’esattezza accademica che non gli serviva. Lasciò che evocassero emozioni. Si ritrovò incantato dal movimento delicato delle labbra di Legolas che modulavano i suoni della lingua elfica carezzandoli. Si ritrovò, quasi senza accorgersi, a fantasticare su cosa avrebbe provato se quelle labbra avessero accarezzato allo stesso modo le sue. Se le dita avessero saggiato la sua pelle come la corda dell’arco. Sorrise fra sé, lasciandosi sfuggire un sospiro di desiderio appena sbocciato. Legolas continuava a cantare per lui, carezzandolo lievemente fra i capelli.
 
 


* L’inno compare nel volume La compagnia dell’Anello, libro secondo, al capitolo “Molti incontri”. Per la traduzione dell’inno, ho utilizzato questo link: http://ardalambion.immaginario.net/ardalambion/elbereth.htm


Prompt fornito da MISSCHIARA per LA CHALLENGE CAPRICCIOSA
2) Siamo ai tempi dell’infanzia /adolescenza di Aragorn, e il ragazzo si trova ancora a Gran Burrone in quanto allevato da Elrond. I tutori elfici cercano di istruirlo al meglio sull’uso della loro lingua, ma Aragorn ha difficoltà ad apprenderla perché, chissà perché, proprio non gli va giù. A lui interessano di più le arti della battaglia, per diventare un giorno un prode guerriero! 

Un giorno Aragorn si allontana di nascosto dai suoi tutori e fugge nei dintorni di Gran Burrone per prendersi una giornata di libertà e allenarsi con l’arco. Qui incontra Legolas (non si sa se per caso, o perché lo stava tenendo d’occhio a distanza) che, fermatosi a parlare con lui, alla fine scopre il vero motivo della fuga del ragazzino. 
Legolas, alle spalle di Aragorn, lo invita a chiudere gli occhi e ascoltare i suoni dolci e ritmati della lingua elfica. Aragorn, da quel punto in poi, comincia a pensare che quella lingua non sia poi tanto male. 
Bonus: e non solo la lingua ;) 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: _Agata_