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Autore: AdhoMu    11/09/2018    6 recensioni
[Morag McDougall/Carbry Bell(OC)]
Nonostante gli enormi passi avanti dati dalla Comunità Magica nel campo della Magimedicina si direbbe che ancor oggi, per certi malanni, l'unica cura efficace sia una e una sola: quella di cui parla sempre Albus Silente.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morag MacDougal, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Ancor prima di capirlo.


La grande differenza fra il DNA magico e quello babbano è rappresentata dalla presenza del cromosoma M nel liquido ematico di maghi e streghe.
Per questioni di sicurezza che risalgono ai primordi della Magia umana (si tratta di uno dei tanti dispositivi di difesa messi a punto dalla Comunità Magica dinnanzi all'ostilità spesso manifestata dai babbani), il cromosoma M possiede una natura Indicibile e Irrilevabile; per questo, i sistemi di analisi messi a punto negli ultimi decenni dai genetisti non-magici non riescono a rilevarlo.
Quando i babbani misero a punto i primi test atti a rilevare gruppi sanguigni e ceppi genetici, i loro macchinari, ogniqualvolta venivano messi a contatto col cromosoma M, andavano in tilt. Quindi, in occasione deella ratifica di un importante aggiornamento dello Statuto Internazionale di Segretezza, i Magigenetisti intervennero nel reset dei macchinari costruiti dalla Comunità Non-Magica ed apportarono specifici incentesimi volti alla Disillusione degli effetti del cromosoma M.
Da allora, qualsiasi mago o strega che si sottopone ai test genetici babbani risulterà appartenente al gruppo sanguigno AB+, quello dei riceventi universali; la presenza del cromosoma M, infatti, fa sì che coloro che sono dotati di sangue magico possano ricevere trasfusioni e trapianti di organi da parte di chiunque, senza alcun problema di compatibilità (la magia protegge l'organismo del ricevente).
Agli effetti pratici, il fatto di possedere o meno il cromosoma M significa che, in senso lato, o si è maghi e streghe o non lo si è, indipendentemente dalle proprie origini familiari. Ciò significa che non importa di chi si è figli: l'importante è la magia che scorre nelle vene del paziente. A questo proposito, la Dichiarazione Universale dei Diritti del Mago ratificata nel 1278 dalle principali Comunità Magiche Occidentali (e alla quale hanno poi aderito quasi tutte le altre Nazioni, a livello internazionale) sancisce che "tutti coloro che sono dotati di sangue magico sono da considerarsi uguali e meritevoli degli stessi diritti, configurandosi come grave atto di discriminazione qualsiasi tentativo di stabilire le origini familiari del Cittadino Magico".
Ai tempi della Prima Guerra Magica, periodo di gravi violazioni del Magidiritto Nazionale e Internazionale, i magigenetisti oscuri seguaci di Lord Voldemort [nominativo aggiornato in seguito alla ristampa post-2°G.M. in sostituzione dell'originale "Signore Oscuro", N.d.R.] montarono laboratori clandestini nei quali furono realizzati esperimenti atti a determinare la paternità/maternità dei membri della Comunità. Tali pratiche altamente illegali, condannabili come gravi atti di discriminazione e duramente punite dalle Corti Magiche dei Paesi firmatari della Dichiarazione, portarono alla scoperta del fattore M+. Nonostante non si tratti di un parametro utile per accertare la paternità/maternità del paziente, attraverso il fattore M+ è possibile misurare l'intensità dell'eredità genetica magia contenuta nel sangue di suddetto paziente, come da tabella riportata sotto:

(M+) paziente Nato Babbano;
(M++) paziente figlio di padre o madre di sangue magico (Mezzosangue);
(M+++) paziente figlio di entrambi genitori di sangue magico (Purosangue).
Si ha notizia di numerosi casi di applicazione forzata, da parte dei magigenetisti oscuri, di test atti a quantificare il fattore M+, perpetrati ai danni di maghi e streghe Nati Babbani, con finalità discriminatorie o, peggio ancora, soppressive.

Morag richiuse sbuffando il pesante e polveroso tomo intitolato Principi Etici di Magigenetica. Edizione Aggiornata post 1998 e diede un'occhiata all'orologio da polso.
Le sei e quarantasei. Era quasi ora di riprendere servizio.
La ragazza sistemò il volume sull'apposito scaffale della restituzione; poi, una volta raggiunto l'atrio della Biblioteca del San Mungo, recuperò il soprabito ed uscì velocemente dalla porta a vetri girevole. Una raffica di vento le scompigliò i capelli, facendola rabbrividire e ricordandole all'istante la sensazione che si prova a cavallo di una motocicletta volante.
Morag affrettò il passo: doveva sbrigarsi.
Prima di rientrare in reparto avrebbe dovuto fare un salto in bagno per ritoccarsi un po' le occhiaie, mica poteva presentarsi in quello stato. Sarebbe stata una lunga notte, quella: la aspettava un turno notturno, in compagnia nientepopodimento che del dottor Bell.

- Po... pollosi?...
- Tutto induce a pensare...
- Ma... ma... ne è sicuro, dottore?
Carbry fece una smorfia. Il paziente presentava un accenno di cresta e bargigli; cos'altro diavolo avrebbe mai potuto essere?
- Vede i follicoli, signora, come sono dilatati? - s'intromise gentilmente Morag, additando l'epidermide del marito della donna, un babbano in procinto di trasformarsi in un'enorme e inquietante gallina umanoide.
La strega emise uno strillo allarmato.
Carbry tossicchiò e riprese la parola.
- Suvvia, signora - disse, conciliante - non è il caso di allarmarsi. La sindrome non ha ancora raggiunto lo stadio terminale ed è ancora perfettamente reversibile.
- Esatto. Se si trattasse di pollosi terminale - aggiunse Morag, con molta delicatezza - suo marito avrebbe già sviluppato le caratteristiche zampe tridattili e, in questo momento, sarebbe impegnato a razzolare per la stanza.
Chiarita la questione, i due medimaghi rilasciarono alla donna una ricetta con tutto l'elenco delle medicine da ritirare presso l'attiguo speziale del San Mungo.
Una volta che la coppia fu uscita dall'ambulatorio, Carbry lanciò un'occhiata all'orologio appeso sulla parete dirimpetto.
- Pausa? - propose a Morag, tastandosi le tasche del camice in cerca di una sigaretta.
- Ora o mai più - rispose lei, facendosi scrocchiare una spalla terribilmente indolenzita.

Mentre la luce del mattino illuminava i capelli chiari di Morag, una miriade di pensieri attraversava la mente di Carbry, annebbiata dal sonno e dalla fatica.
Di certo gli sarebbe piaciuto tendere la mano e toccarle, quelle ciocche lucide incendiate dal sole così leggere e vaporose; indugiare con le dita nel loro tepore e carezzarle lentamente, dalla radice alle punte.
Incapace di osare tanto per il timore di non riuscire a fermarsi, il giovane medimago si limitava invece a dare lente boccate di sigaretta e a soffiare fuori il fumo in nuvolette anelliformi; nel frattempo, la ragazza si scaldava le mani stringendole intorno ad una tazza fumante di caffè lungo con su scritto "Oxford UniMagic".
Una brezza pungente fischiava intorno a loro quel mattino e i due, appollaiati su quel terrazzino troppo stretto, se ne stavano in silenzio, ciascuno intento a ricordare - a modo suo -le tante albe che li avevano sorpresi ad alta quota.
Gli sguardi persi sui tetti di Londra, con le loro guglie, comignoli, antenne e parafulmini, Carbry e Morag ricordavano l'orizzonte infinito, sempre aperto davanti ai loro occhi. Talvolta sereno, talvolta nuvoloro, talvolta blu, arancione, bianco (o nero, minaccioso e gravido di pioggia); sempre aperto davanti a loro, però. La sensazione opprimente della Guerra restava ancorata al suolo mentre loro si spostavano volando, e quell'orizzonte sterminato era come una metafora della speranza che animava i loro cuori nonostante il clima di galoppante oppressione che li attendeva una volta atterrati. Ogni tanto, mentre si trovavano lassù, la bellezza del cielo consentiva loro di godersi la reciproca compagnia e di dimenticare, almeno per un po', gli orrori che erano costretti a vedere ogni giorno e ai quali tentavano disperatamente di porre rimedio come meglio potevano.
E proprio in cielo si trovavano, impegnati nell'ennesimo spostamento quando, un giorno di primavera, la voce di Lee Jordan ("River" si faceva chiamare) era improvvisamente fuoriuscita da Miles, la milza-radiolina costantemente sintonizzata su Radio Potter.
- Attenzione, attenzione! A tutti i maghi e streghe all'ascolto, ibridi, creature fatate e simpatizzanti della Causa. Convocazione immediata ad Hogwarts! La battaglia si prepara! Ripeto: convocazione immediata ad Hogsmeade! Accorrete tutti, aiutate la Resistenza a difendere ciò che resta della nostra beneamanta scuola!...
Carbry e Morag si erano scambiati un'occhiata.
- È giunto il momento, Mog - aveva affermato lui, in tono risoluto.
Morag aveva annuito, senza dire nulla.
- Ci devi condurre fin là, Mog - aveva aggiunto Carbry che, ad Hogwarts, non c'era mai stato. Aveva paura di quello che avrebbero dovuto affrontare, ma il Giuramento di Circe, medimaga dell'antichità, glielo imponeva: - Ci sarà bisogno di qualcuno che si occupi dei feriti.
La ragazza aveva sgasato e fatto descrivere un'ampia curva alla motocicletta volante, puntando dritta verso nordest. Per la prima volta in tutti quei mesi, aveva teso il dito affusolato per premere un bottone misterioso contrassegnato dalla sigla S.M.
- A cosa serve quel bottone?
- È la Smaterializzazione di Emergenza. L'ho messa a punto il mese scorso, spero che funzioni.
Tre secondi dopo, con uno scoppio degno della più rumorosa marmitta d'auto portoricana truccata, la moto volante era sparita dai radar.
Erano arrivati ad Hogwarts in men che non si dica, proprio mentre i professori cominciavano a montare la cupola difensiva intorno al Castello.
Evitando abilmente i vari segmenti di incantesimo che, man mano, si solidificavano nell'aria (un Protego Maxima si richiuse proprio alle loro spalle mentre loro passavano), Morag aveva condotto la moto sull'estremità della Torre di Corvonero; lei e Carbry erano saltati giù con un balzo e avevano cominciato a riempire borse e scatoloni con bende, flaconi, cerotti e quant'altro. Dopodiché erano scesi a perdifiato lungo le scale ("Ti mostrerò la Sala Comune in un altro momento, se resterà qualcosa!"), diretti in infermeria.
Madama Chips li aveva accolti con immenso sollievo e gratitudine; non le sembrava vero di poter disporre di personale competente (aveva già cominciato a dare istruzioni ad un manipoli di alunni volontari, ma erano pochi e poco preparati), e aveva subito preso a rivolgersi a Carbry chiamandolo "dottore".
Mentre sistemavano letti, brande e materiale medico, rinforzando le pareti dell'infermeria per evitare che cadessero addosso ai feriti, Morag si era avvicinata a Carbry e così, senza preamboli, lo aveva abbracciato forte. E lui l'aveva abbracciata a sua volta, la sua piccola-grande compagna di tutta una vita; l'aveva abbracciata e non aveva risposto nulla alla sua muta domanda; l'aveva stretta con tutta la forza di cui era capace, la forza dettata dal timore di chi non sa se, l'indomani, possiederà ancora braccia per abbracciare o se avrà ancora qualcuno da stringere a sé.
- Hai paura?
- Sì. E tu?
- Anch'io, Mog. Ma... non si spara sui medimaghi.
- Da quelli mi aspetto di tutto...
Poi, inevitabilmente, una detonazione fortissima li aveva fatti saltare in piedi.
- Tutti ai propri posti! - aveva urlato Carbry all'indirizzo della sparuta squadra di maginfermieri volontari.
E aveva fatto per allontararsi da Mog ma lei, prima di permetterglielo, gli aveva afferrato le guance e lo aveva tirato giù, stampandogli un bacio sulle labbra, che erano andate avanti a pizzicargli per un bel po'.
- In bocca al Gramo, Carbry. Stay alive.
- Anche tu - aveva mormorato lui, guardandola correre via.

Difficilmente avrebbero dimenticato ciò che li aspettava quella notte.
Scoppi, urla, detonazioni. Violenza. Brutalità irrazionale. Determinazione disperata. E sangue. Molto, molto sangue.
Anche per persone piuttosto scafate come Carbry e Mog, la carneficina che, in quelle ore, aveva imperversato su Hogwarts fu motivo di incubi e deliri negli anni a seguire.
Instancabili, affiancati da Madama Chips e dai ragazzi vestiti di bianco, si erano occupati dei feriti che arrivavano a ondate mentre la battaglia infuriava intorno a loro; tutti ragazzi giovanissimi, chi con una bruciatura (nei casi meno gravi) chi con qualche pezzo in meno (nei casi più disperati). Al centesimo Incantesimo Epistassi, Morag aveva pensato che in breve sarebbe crollata; uno sguardo tutt'intorno, tuttavia, glielo aveva impedito. Carbry, sigaretta in bocca, sembrava un automa: scagliava una Fattura Cauterizzante dietro l'altra, e tutt'intorno a lui volavano rotoli di garza, forbicine, pinzette e lunghi fili di sutura già innescati nei relativi aghi.
Quando il Signore Oscuro aveva decretato la prima pausa dei combattimenti, i giovani medimaghi avrebbero voluto tirare un po'il fiato. Ma non era il momento: proprio allora, infatti, il maggior numero di feriti era affluito in infermeria. Molti di essi, non trovando posto nello stanzone gremito, furono portati nella Sala Grande, dove già alcuni volontari avevano cominciato a comporre i corpi dei caduti. Carbry si era imbattuto in suo cognato Oliver Baston che, con estrema commozione, stava trasportando il corpo di un ragazzo giovanissimo.
- Si chiamava Colin - aveva sussurrato il Portiere del Puddlemere United, la voce rotta dal pianto. - Credo sia... sia...
- Purtroppo sì, Ol - aveva confermato Carbry. Gli era bastata un'occhiata alle ferite da magia oscura che squarciavano il petto del ragazzino per capire che ormai, per lui, non c'era più nulla da fare.
- Hai mica visto Katie? - aveva domandato poi, piuttosto preoccupato per le sorti della sorella, che aveva visto saettare poco prima sulla sua scopa, in formazione compatta, in compagnia di altri tre componenti della migliore squadra del Grifondoro di tutti i tempi: Alicia Spinnet, Angelina Johnson e, per l'appunto, Oliver.
- Sì, è stata con me per quasi tutto il tempo. - Oliver tirava su col naso e si asciugava le lacrime e il sudore col dorso della mano. - È là in fondo, insieme a Leanne ed Eloise - aveva detto, additando le tre ragazze che si stringevano le une alle altre in una stretta accorata. Carbry le aveva raggiunte e abbracciate tutte e tre; non solo sua sorella, ma anche le altre due streghe, che ormai conosceva bene e alle quali era molto affezionato.
L'ora di tregua era passata in un lampo; Carbry, Morag, Madama Chips e i loro aiutanti non si erano concessi un minuto di pausa. Poi, inaspettatamente, Harry Potter si era rivelato e la battaglia era ricominciata, più cruenta di prima.
Quando tutto era finito, i feriti si contavano a centinaia.
Morag aveva raggiunto Lavanda Brown e alcune altre vittime da morso di mannaro e, prontamente trasformata la punta della bacchetta in un lungo ago, aveva iniettato loro, direttamente nel cuore (perché è lì che il siero agisce per primo, trasformando per sempre il versante emotivo del paziente) una buona dose di Antidoto Diana a base di polvere lunare, un preparato di nuovissima sperimentazione negli Stati Uniti che Carbry si era fatto provvidenzialmente inviare qualche settimana prima da verti suoi amici ammanicati con gli Astromagici infiltrati nella NASA.
Carbry, nel frattempo, passava in rassegna i feriti, che aveva fatto disporre per ordine di gravità.
I Mangiamorte agonizzanti non li guardava neanche: prima i ragazzi, poi gli abitanti di Hogsmeade e i maghi e le streghe adulti, aveva decretato Madama Chips, e così era stato.
L'apprendista medimago aveva dovuto raddrizzare un numero imprecisato di nasi e di articolazioni slogate; aveva somministrato una quantità tale di Ossofast da fare ricrescere chilometri di ossa; aveva ripulito, disinfettato, ricucito e cauterizzato.
Dopodiché, aveva cominciato ad applicare i punti di sutura su Alicia Spinnet, che sanguinava abbondantemente dall'avambraccio. Mentre Sebastian si trovava impegnato in un duello all'ultimo sangue con Aidan Avery (Carbry non riusciva a seguirli, da tanto erano veloci i colpi che si scambiavano e si vedeva, dalle loro facce, che i due avevano intenzione di ammazzarsi a vicenda), Walden Macnair l'aveva aggredita dandole della sgualdrina oceanica rubanipoti e scagliandole contro una mannaia affilatissima, che le aveva arrecato una ferita profonda all'avambraccio destro. E la cosa sarebbe potuta finire in tragedia, se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Hagrid che, avventandoglisi addosso all'urlo di "Fierobecco Vive", aveva letteralmente schiantato il malvagio boia con una ginocchiata storica e precludendogli per sempre la già piuttosto remota possibilità di diventare padre.

- Il Dottor Bell è desiderato in sala suture! L'apprendista McDougall, invece, è richiesta con urgenza nel reparto parapsichiatrico!
La voce squillante dell'instancabile infermiere Gleidison richiamò l'attenzione di Carbry e Morag, entrambi assorti nei loro rispettivi pensieri e ricordi.
- Oh, accipicchia - borbottò lei, con l'aria di chi viene svegliato di soprassalto da un lungo sogno.
- Stasera c'è la cena da Katie e Oliver - le ricordò Carbry, facendo evanescere la cicca della sigaretta. - Tu ci vai?
- Ma certo - gli rispose lei con un sorriso. - Ci vediamo là.

Il sole stava tramontando quando Carbry, dopo essersi fatto un lungo e salutare pomeriggio di sonno, si materializzò davanti alla porta del cottage in cui sua sorella Katie abitava con Oliver. Da dietro le steli mastodontiche dell'attiguo circolo megalitico di Stonehenge, gli ultimi raggi di sole gli accarezzarono la pelle del viso, in una sorta di morbido saluto dalle tinte di fuoco.
All'interno del cottage, gli invitati si accingevano a prendere posto attorno al tavolo ovale, teatro di infinite cospirazioni ai tempi della guerra, quando casa Baston era conosciuta come "Il Covo" ed ospitava il segretissimo studio di registrazione di Radio Potter.
Mog era già arrivata, constatò Carbry rivolgendole un sorriso dalla porta.
Gli altri invitati erano tutti accoppiati. Oltre a Katie e Oliver erano presenti Cormac e Eloise, Leanne e Graham Montague con la sorella Greta accompagnata dal marito Eean e dalla figlioletta Plin (la bambina era cresciuta tantissimo; accolse Carbry con un grido di gioia, quando lo vide), Lavanda col fidanzato e gli esuberanti Heidi e Ross. Qualcuno disse a Carbry che George Weasley era atteso a momenti, e che si sarebbe presentato in compagnia di una misteriosa ragazza che quella sera, a detta di Katie, avrebbe fatto molto parlare di sé.
Una volta a tavola, com'era prevedibile, tutti i discorsi parvero convergere sull'inesauribile tema delle gioie donate dalla vita coniugale.
- È davvero fantastico - commentava in continuazione Katie, occhieggiando in modo eloquente all'indirizzo del fratello maggiore e di Morag, che nel frattempo si scambiavano sorrisetti di circostanza.
Carbry sopportò stoicamente finché non ne ebbe abbastanza; quando ritenne che il vaso della sua pazienza era ormai ricolmo di frasi e consigli indelicati ed inopportuni, decise di adottare la Scusa Universale e di sgattaiolare lontano.
- Scusate, io esco un momento a fumare - disse quindi, alzandosi in piedi di scatto e smaterializzandosi in un battito di ciglia.
Morag rimase in silenzio, facendo vagare timidamente lo sguardo fra i presenti.
- Io... io credo che andrò a fargli compagnia - disse infine, spostando indietro la sedia con molto garbo. E così detto, si smaterializzò a sua volta.
Sapeva dove l'avrebbe trovato.
Quando erano piccoli, Carbry adorava camminare fra le steli dei circoli magici neolitici disseminati per le campagne di Stenness. In quel momento, senz'ombra di dubbio, il medimago si trovava al centro dei maestosi triliti di Stonehenge.

Carbry camminava facendo a zig-zag fra le pietre millennarie, fumando in silenzio.
Sapeva che, nel giro di qualche secondo, lei lo avrebbe raggiunto; non era certo un esperto in Divinazione ma, per tutti i bisturi, certi segnali li captava anche lui.
Non lo stupì affatto, quindi, vederla spuntare da dietro una stele, i capelli chiari illuminati dalla luna, diretta verso di lui.
- Ti sei stufata delle coppiette, piccola Mog? - le chiese tendendole la sigaretta, che lei afferrò e dalla quale trasse un lungo tiro, la schiena accostata alla pietra macchiata di licheni.
- Delle coppiette di cui non sono membro integrante, sì - rispose la ragazza dopo un minuto di silenzio.
- E il tizio vestito di turchese? - buttò lì Carbry, ostentando una scherzosa indifferenza.
- E tu cosa ne sai?!
- Voci di corsia...
- È solo un amico.
- Ah, beh. Cool.
Carbry non riuscì ad impedirsi di tossicchiare, piuttosto soddisfatto. Morag, allora, si voltò verso di lui, avvicinandoglisi pericolosamente ed infilando le braccia sotto alle sue per abbracciarlo. La luce della luna illuminava il suo viso e le faceva brillare gli occhi chiari; il suo capo sembrava avvolto in un'aureola dorata.
Il ragazzo rimase immobile per qualche attimo, combattuto, affondando il mento in quella nuvoletta morbida ed evanescente, profumata di erica e di cardo.
- Dovresti trovarti un fidanzato, signorina Mog. Non sto scherzando - mormorò infine, godendosi il tepore del suo abbraccio.
- Ma che cosa ci posso fare, io, se la mamma del tizio che mi piace ha avuto una tresca col mio papà? - gli chiese allora lei, scandendo le parole con una trasparenza disarmante.
Lì per lì, poco ci mancò che Carbry si strozzasse con il fumo.
- Tu... tu... coff! coff!... Tu lo sapevi?! - le domandò, strabuzzando gli occhi istantaneamento acquosi e arrossati. Non riusciva proprio a credere a quanto aveva appena udito.
- Sì, lo sapevo - confermò lei, con la voce che le tremava appena, ma fissandolo in modo spavaldo. - Una sera di qualche mese fa ho messo alle strette papà e lui ha confessato. Ma ti giuro su quanto ho di più caro, Carbry - aggiunse, tirando fuori uno sgualcito Mr.Lamby dalla tasca del soprabito - che sono fermamente intenzionata ad andare fino in fondo.
Lui fece una smorfia e le tirò indietro i capelli con una carezza un po' malinconica.
- Ma non c'è modo di andare fino in fondo. Se hai letto qualcosa di magigenetica, lo saprai anche tu che non c'è modo di sapere la verità - osservò, con un tono disilluso.
- Ti sbagli - lo corresse lei; gli occhi le brillavano, mentre parlava, e Carbry pensò che Mog era più bella di qualsiasi sogno e di qualsiasi ricordo. - Mi sono permessa di parlare con un amico.
- Che amico?
- Il tizio vestito di turchese.
- Ma mi era parso di capire che...
- Infatti. È solo un amico. Ma proviene da una famiglia la cui storia è intimamente legata alla scuola nella quale hai studiato tu da ragazzo.
- Ilvermorny?! - esclamò Carbry, sbalordito.
- Esatto - rispose lei, posando delicatamente la guancia sul suo petto. - Se anche per te va bene, settimana prossima mi porti a vedere i grattacieli di vetro di cui tanto mi hai parlato.
- Vorresti dire che...
- Che si va in America, dottor Bell - rispose lei, alzando il mento per guardarlo negli occhi.

Note:
1) Oggi mi sento ispirata, ragion per cui ho una voglia folle di romanticheggiare. Il titolo allude al fatto che i nostri due protagonisti si volevano già bene ancor prima di rendersene conto.
2) La Pollosi Terminale è una malattia magica citata da deine all'interno della sua storia "You rock my world". Forse questa storia non è più on-line, ma raccomando vivamente la lettura delle altre storie della stessa autrice, tutte molto belle.
3) Heidi e Ross presenti alla cena sono Heidi Macavoy e Ross Cadwallader, due ex-studenti del Tassorosso citati nella saga di HP e comparsi ne L'Assistente di Pozioni. Tutti gli altri invitati sono personaggi originali e/o OC presenti ne Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore A chi invece fosse curioso di sapere chi è il fidanzato di Lavanda, suggerisco di leggere 50 First Davies.
4) Scommetto che Ems ha capito chi è il tizio vestito di turchese visto che, grazie a lei, ho scoperto una corrispondenza fra un poco conosciuto studente di Corvonero e la magiscuola nordamericana. Nel prossimo capitolo, che è l'ultimo, scopriremo di chi si tratta e ci faremo un bel viaggetto negli U.S.A.
   
 
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