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Autore: myki    11/07/2009    4 recensioni
Inghilterra, primi anni del 1800.
CAPITOLO 5: LA STANZA
"La biblioteca della sua casa non era grande come quella dei Felton. Era piccola, intima, e nascondeva i tesori che suo padre aveva raccolto in lunghi anni di viaggi, quelli che lo avevano tenuto lontano dalla famiglia. In fondo, in un angolo, seminascosta da uno scaffale, nasceva da terra una piccola scala a chiocciola di legno scuro, che attorcigliandosi su se stessa portava ad una stanza segreta nascosta sopra la casa.
Il loro nascondiglio.
Per un accordo di cui non ricordava più le condizioni, si erano ripromessi di non svelarne l’esistenza a nessuno, neanche a Sarah.
Ed era su quella scala che si erano baciati."

STORIA IN REVISIONE
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 3: L’INCONTRO          

 

La finestre erano state spalancate,  le camere riordinate. Da ogni mobile era stato tolto il sottile telo bianco che lo aveva rivestito in quegl’anni di silenzio. Il cielo ruggiva al ritorno del padrone di quella casa che per anni avevano ritenuto maledetta, il vento scuoteva le cime degli alberi, e la pioggia sottile colpiva fitta la terra, rimasta incalpestata forse troppo a lungo. La dimora era grande, troppo per un uomo solo, ma Andrew sentiva di essere tornato a casa. Quel posto, più di qualsiasi altro al mondo, riusciva a trasmettergli tutto il calore della famiglia che aveva dimenticato di avere, quella di cui i suoi zii avevano sempre cercato di non fargli sentire la mancanza.

I suoi passi sul tappeto erano leggeri, un rumore quasi inesistente, nonostante in quello squarcio di campagna ci fossero ben pochi rumori a coprirlo. La città gli mancava. Non aveva mai amato il frastuono delle strade e i continui doveri che il suo titolo gli imponevano, ma all’improvviso capiva che tutta quella confusione e tutti quegli impegni avevano i loro vantaggi.

Non si era mai sentito solo, in città.

 

I quadri alle pareti gli riportarono varie immagini alla mente, sprazzi di ricordi rimasti troppo a lungo tra la polvere della sua memoria, sotterrati da altri più recenti.

 

Sua madre.

Che lo rincorreva nel piccolo giardino dietro casa.

Suo padre.

Che gli insegnava a leggere, e ad andare a cavallo.

 

Un sorriso amaro gli piegò le labbra in una smorfia, mentre avanzava verso l’enorme biblioteca della casa. Un tempo, aveva adorato quel posto.

In quella stanza, erano contenuti tutti i suoi più vividi ricordi, tutti quelli che avevano continuato a tormentarlo nonostante il trascorrere del tempo.

Andrew lasciò che una mano accarezzasse la porta di legno scuro, sentendo sotto le dita la consistenza del legno. Un sospiro gli uscì dalle labbra, risuonando nel corridoio vuoto, ricordandogli che a dispetto delle sue illusioni il tempo era passato davvero. Spinse lentamente la porta, aprendo uno spiraglio abbastanza largo da poter osservare l’interno.

Emily.

Per quel ricordo non ci sarebbe stata mai abbastanza polvere.

                                                                                               

 

 

 

                                                                                        *

 

 

 

 

 

L’erba era morbida sotto il suo corpo, e le dava una sensazione particolare. L’aria le scompigliava i capelli raccolti e le muoveva gentilmente la gonna, che frusciava a terra. Era appoggiata sui gomiti, le mani strette attorno all’ultimo libro sottratto da casa di Amy, troppo concentrata per cogliere qualsiasi fenomeno si fosse scatenato all’esterno del suo piccolo mondo. Sentiva ancora l’odore di umido lasciato dalla pioggia del giorno prima, ma il sole che splendeva in quel momento riusciva a sollevarle parecchio il morale, nonostante le notti insonni che aveva sopportato dopo il ritorno di Andrew. Dolci incubi avevano continuato a tormentarla durante la notte, sostituiti dai vividi ricordi che la luce del giorno le riportava alla mente. Ormai aveva perso il conto di quante volte era corsa a quel cassetto dove teneva nascosta la sua lettera, solo per tenere qualcosa di suo davanti agli occhi, e convincersi per la milionesima volta che tutto fosse reale. La cosa più sorprendente era che ancora non lo aveva visto. Sembrava che Andrew si fosse rinchiuso in casa, ignorando di proposito ogni invito che gentilmente gli veniva spedito dalle famiglie della zona. Nessuno capiva quel comportamento, e tutti, a maggior ragione, cercavano di indagarne i motivi. Ma non c’erano motivi per il suo comportamento, lei lo sapeva. Andrew era capriccioso, spensierato, libero. A lui non era mai importato di infrangere le regole di cortesia, pur di starsene in pace, a leggere magari, lontano da ogni costrizione e obbligo.

 

Correva.

Correva per i corridoi intrecciati della casa, in cerca di Andrew.

Dove si era cacciato? Erano ore che suo padre lo cercava.

Sotto i tavoli, dietro le porte.

Uff! cominciava a spazientirsi…

“Emily!”

“Andrew… ma che fai lì?”

Stravaccato sulla poltrona dello studio con un libro in mano lui la guardò con aria sorpresa.

“Leggo”

“Ma siamo in ritardo per la cena!”

“Oh ma Emily! Io sto viaggiando capisci? Come puoi impedirmi anche questo? Non hai cuore…”

 

 

E invece, ce l’aveva eccome. Era quell’affare in mezzo al suo petto che l’aveva fatta soffrire ogni giorno della sua vita. Che le aveva mostrato le stelle per poi rigettarla nel baratro. Ed Andrew era colui che avrebbe incolpato per questo.

 

 

                                                                                                             *

 

 

 

 

Arrivò di fronte alla casa della zia, e si preparò a bussare, lisciandosi le pieghe del vestito. Era stranamente nervosa, e le mani le tremavano leggermente.

 

“Sarah! Che piacere vederti… entra pure cara”

 

“Grazie zia”

 

La casa era splendente come al solito, e Sarah si riscoprì a guardarla meravigliata. Aveva sempre immaginato che avrebbe avuto una casa come quella, una volta che si fosse sposata.

Magari proprio questa…

 

Il rossore che si era diffuso sul suo viso durò solo pochi istanti, il tempo che la zia le propinasse le solite formule di cortesia, e la invitasse a recarsi nel salotto dove già si trovava Amy.

 

“Sarah! Che bello vedervi… come state?”

 

Amy era allegra come al solito, e l’accolse con un abbraccio caloroso. I suoi lunghi capelli rossi le arrivarono davanti agli occhi prima che potesse rispondere qualsiasi altra cosa, e Sarah le sorrise sincera, non resistendo all’entusiasmo della cugina. Non conosceva persona che non le volesse bene. Amy era sempre sorridente, amava ballare, e chiacchierare con tutti, ma non era sfacciata, né l’aveva mai vista comportarsi in modo più che conveniente. Era una sognatrice, proprio come Emily. Entrambe vivevano nell’incoscienza della speranza, nel tiepido sussurro di quell’amore romantico tanto osannato che a lei faceva paura, e tentava di fuggire.

Inutilmente.

 

“Bene… sono venuta solo per riportare un libro, ma se…”

 

“Certo cugina, come volete voi!  -disse Amy girandole attorno con uno sguardo eccitato- La biblioteca sapete dov’è no?”

 

Leggermente la rossa spinse l’altra verso la porta, cercando di metterle fretta.

 

“Ma…”

 

Sarah non riuscì a ricevere spiegazioni. Amy chiuse la porta del salotto, e lasciò che lei si dirigesse da sola verso la sala, guardandosi attorno per non rischiare d’incontrare qualcuno che non desiderava affatto. O che desiderava troppo.

La stanza illuminata le si presentò davanti agli occhi prima che se lo aspettasse, come se a raggiungerla non fossero stati i suoi piedi. L’odore particolare di quel luogo le giunse subito alle narici, e le fece chiudere gli occhi per un istante. Nonostante faticasse ad ammetterlo, invidiava sua cugina per quella fortuna. I soldi non erano mai stati una preoccupazione per Sarah, ma se era con quelli che avrebbe potuto procurarsi una cosa del genere, allora avrebbe cominciato ad apprezzarne il valore. Camminò fino a raggiungere il centro della stanza, uno spazio rotondo limitato da varie poltroncine posizionate in cerchio. Ne vide una spostata di lato, e avvicinata alla finestra. Sarah si avvicinò per prendere tra le mani il libro aperto che vi era stato lasciato sopra.

Les confessions, Jean-Jaques Rosseau.

Indietreggiò spaventata cercando di andarsene senza far rumore, ma urtò il tavolino di cristallo e fece rovesciare un’altra pila di libri dimenticati da quelle parti.

Solo una persona poteva leggere quel libro…

“…Sarah?”

 

Richard…

 

Il proprietario della voce apparve da dietro un alto scaffale di legno scuro, e la guardò con occhi sorpresi cominciando ad avvicinarsi.

“Ancora Rosseau?” – chiese lei con voce flebile.

 

“È un tipo interessante”

 

“È francese”

 

“Ciò non toglie che sia interessante”

Si era avvicinato troppo, arrivandole davanti. Odiava saperlo così poco distante. La distraeva da qualsiasi cosa volesse fare o dire, ed era piuttosto incredibile per una persona razionale come lei.

 

“Ciò non toglie che sia francese” – rispose lei con un sorrisino.

 

Lui le tolse il libro dalle mani, e si aprì in uno di quei rari sorrisi sinceri che andavano al di là di ogni convenienza.

 

“Non vi ho chiesto se volete sedervi… perché dobbiamo sempre litigare prima che possa farlo per scusarmi, e adesso penso di poterlo fare”

 

“Noi non litighiamo… siamo solo di pareri contrastanti”

 

“Non è affatto vero! Voi dite il contrario di quello che dico io solo per farmi arrabbiare”

 

Sarah piegò la testa di lato, guardandolo forse con troppo amore.

 

“Allora… mmh… voi e James ci sarete alla festa dei Darrel?”

 

Lui sorrise in modo strano, fissandola attentamente.

 

L’uomo è nato libero e ovunque si trova in catene*”

 

“Significa che siete stati obbligati?”

 

“Significa che nostra madre ci disereda se non veniamo”

 

L’attimo di trance in cui era caduta mentre lo guardava negli occhi svanì e quando lui si allontanò lei poté riacquistare la sua lucidità.

 

“Rousseau aveva ragione allora”

 

Lui si volse stupito, ma non sorpreso.

 

“Aveva ragione”

 

 

                                                                

                                                                                                        *

 

 

 

 

 

La casa era silenziosa e piuttosto buia. Si erano recati tutti alla festa dei Darrel, e per le stanze erano ancora sparsi i fiocchi di Catherine e le scie di profumo della madre, ma Emily non se l’era sentita di andare. La testa girava come una giostra, e la mente non le lasciava riposo. Era stanca, e non aveva sonno. Era affamata, e non se la sentiva di mangiare. Ogni azione costava fatica, e ogni gesto le ricordava qualcosa di ciò che credeva dimenticato per sempre.

 

 

Dimentica.

Chiudi gli occhi e dimentica.

Non può essere così difficile… non deve esserlo.

 

Rumori di zoccoli la distrassero dalle sue riflessioni, e la spinsero a riportare l’attenzione sul mondo reale. Poi, incuriosita, si avvicinò al vetro della finestra, spiando nell’oscurità. Le chiome degli alberi incutevano un certo timore, illuminate dalla luce soffusa della luna soltanto a chiazze, e le case più vicine sembravano perdersi nella nebbia sottile che aveva circondato tutto come un guanto. Da un cavallo che si era fermato al limitare del loro giardino scese un cavaliere vestito di scuro, che si mosse a passi veloci verso la casa. Emily si affrettò alla porta correndo, indecisa su cosa pensare, e su quanto tempo aveva per pensarlo. Aprì cauta la porta, prima ancora che Andrew bussasse, facendolo rimanere con la mano alzata verso l’alto, bloccata a mezz’aria come le sue parole, che davanti alla vista di lei erano rimaste incatenate alla sua mente.

 

“P-prego entrate”

 

“No! Non mi sarei permesso di disturbare a quest’ora se avessi saputo che qualcuno della famiglia era ancora in casa”

 

“Non me la sono sentita di partecipare alla festa… ma vedo che neanche voi avete poi mantenuto l’impegno di parteciparvi”

 

“Sono stato trattenuto da impegni molto importanti, ma stavo per recarmici adesso, se vi preme saperlo”

 

Emily sussultò, incapace di contenersi oltre.

 

“Non mi preme affatto; intendevo solo ricordarvi il vostro ruolo, e quanto sia importante la vostra presenza a eventi di tal genere… per quanto di livello assai inferiore a quelli ai quali di sicuro sarete abituato”

 

Il volto di lui apparve deluso da quello che aveva detto, ed Emily stessa non riusciva a capacitarsene. Con lui non era mai riuscita a mentire, e anche adesso riusciva a sputargli in faccia tutta la rabbia che provava per quella gente a cui credeva che lui appartenesse, gente senza ritegno e rispetto per nessuno, che si faceva ammirare per le ricchezze e amare per la stessa ragione. Prese fiato ancora una volta, e sbatté gli occhi per convincersi che tutto era reale.

Che Andrew era davanti a lei, per la prima volta dopo otto anni, e lei lo stava insultando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*La frase non è però tratta dalle “Confessioni” ma dal “Contratto Sociale” del 1762, che influenzò la Rivoluzione Francese. Richard commette volutamente “l’errore” perché è sicuro che nonostante quello che dice anche Sarah abbia letto entrambi i libri, ed ovviamente ha ragione!           

 

 

 

 

Chiedo davvero perdono per il ritardo, ma non posso promettere niente per questa storia. È talmente tanto che si trova nella mia testa che ormai possiede mille strade diverse, e mi manda in tilt. Inoltre, è la cosa più seria che abbia pubblicato su questo sito, l’unica in cui ogni cosa sia completamente mia. Nonostante questo, continua ad essere solo un abbozzo. E spero davvero che mi aiutiate voi a migliorarla sempre di più^^

 

X crici_82: Ovviamente anch’io adoro Jane Austen… come si potrebbe non farlo? ^O^ Il titolo è anche un omaggio a lei, non a caso fa P&P esattamente come Pride and Prejudice!! Sono felicissima che ti piaccia e spero continuerai a seguire… baci**

 

X MaryMatrix: Il belloccio del vicino ha fatto capolino visto?! Al più presto ci sarà anche una sua descrizione fisica lo prometto [il vero problema riguardo a questo, è che le descrizioni fisiche sono rare nei libri di questo genere, e non a caso vi sono sempre e solo accenni anche in quelli della Austen] Per l’anacronismo poi hai assolutamente ragione! In effetti, sarebbe stato impossibile creare veramente una storia inserita in questo contesto, almeno per me e in questo momento, dato che per approfondire le abitudini e i costumi del periodo ci vorrebbe molto più tempo libero! Stesso discorso vale per lo stile, che purtroppo per me non assomiglierebbe a quello di Jane Austen neanche se mi affidassi a tutti gli dei della storia. Ti ringrazio lo stesso per i complimenti ^O^  -anche se tu sei di parte!- p.s ritardo? Quale ritardo??! Non hai notato con quanta tempestività continui questa storia? -_-“

 

X Tigerlily: Considerato che la tua recensione risale a Hobbes, penso che forse un po’di ritardo lo abbia davvero (mmh… ci ragionerò con calma^^) In ogni caso, detto da te, tutto ciò che hai detto è più che fantastico! (da notare la quantità di dettagli in questa recensione…), e sono davvero contenta che questa storia abbia passato il tuo critico esame su Austen&affini… non avrei mai voluto deluderti!! 1 bacione

 

X charlie93: Effettivamente l’idea della lettera mi è sempre piaciuta, vedrai che ce ne saranno delle altre… d’altra parte la lettera che Wentworth scrive ad Anne in Persuasione è una delle più belle che abbia mai letto… ed è anche merito di quella se ho cominciato a scrivere questa storia!! Grazie di tutto… a presto

 

 

 

   

  
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