CAPITOLO 3: L’INCONTRO
La finestre erano state spalancate, le camere riordinate. Da ogni mobile era
stato tolto il sottile telo bianco che lo aveva rivestito in quegl’anni di
silenzio. Il cielo ruggiva al ritorno del padrone di quella casa che per anni
avevano ritenuto maledetta, il vento scuoteva le cime degli alberi, e la pioggia
sottile colpiva fitta la terra, rimasta incalpestata forse troppo a lungo. La
dimora era grande, troppo per un uomo solo, ma Andrew sentiva di essere tornato
a casa. Quel posto, più di qualsiasi altro al mondo, riusciva a trasmettergli
tutto il calore della famiglia che aveva dimenticato di avere, quella di cui i
suoi zii avevano sempre cercato di non fargli sentire la mancanza.
I suoi passi sul tappeto erano leggeri, un
rumore quasi inesistente, nonostante in quello squarcio di campagna ci fossero
ben pochi rumori a coprirlo. La città gli mancava. Non aveva mai amato il
frastuono delle strade e i continui doveri che il suo titolo gli imponevano, ma
all’improvviso capiva che tutta quella confusione e tutti quegli impegni avevano
i loro vantaggi.
Non si era mai sentito solo, in città.
I quadri alle pareti gli riportarono varie
immagini alla mente, sprazzi di ricordi rimasti troppo a lungo tra la polvere
della sua memoria, sotterrati da altri più recenti.
Sua
madre.
Che lo rincorreva nel piccolo giardino
dietro casa.
Suo
padre.
Che gli insegnava a leggere, e ad andare a
cavallo.
Un sorriso amaro gli piegò le labbra in una
smorfia, mentre avanzava verso l’enorme biblioteca della casa. Un tempo, aveva
adorato quel posto.
In quella stanza, erano contenuti tutti i
suoi più vividi ricordi, tutti quelli che avevano continuato a tormentarlo
nonostante il trascorrere del tempo.
Andrew lasciò che una mano accarezzasse la
porta di legno scuro, sentendo sotto le dita la consistenza del legno. Un
sospiro gli uscì dalle labbra, risuonando nel corridoio vuoto, ricordandogli che
a dispetto delle sue illusioni il tempo era passato davvero. Spinse lentamente
la porta, aprendo uno spiraglio abbastanza largo da poter osservare l’interno.
Emily.
Per quel ricordo non ci sarebbe stata mai
abbastanza polvere.
*
L’erba era morbida sotto il suo corpo, e le
dava una sensazione particolare. L’aria le scompigliava i capelli raccolti e le
muoveva gentilmente la gonna, che frusciava a terra. Era appoggiata sui gomiti,
le mani strette attorno all’ultimo libro sottratto da casa di Amy, troppo
concentrata per cogliere qualsiasi fenomeno si fosse scatenato all’esterno del
suo piccolo mondo. Sentiva ancora l’odore di umido lasciato dalla pioggia del
giorno prima, ma il sole che splendeva in quel momento riusciva a sollevarle
parecchio il morale, nonostante le notti insonni che aveva sopportato dopo il
ritorno di Andrew. Dolci incubi avevano continuato a tormentarla durante la
notte, sostituiti dai vividi ricordi che la luce del giorno le riportava alla
mente. Ormai aveva perso il conto di quante volte era corsa a quel cassetto dove
teneva nascosta la sua lettera, solo per tenere qualcosa di suo davanti agli
occhi, e convincersi per la milionesima volta che tutto fosse reale. La cosa più
sorprendente era che ancora non lo aveva visto. Sembrava che Andrew si fosse
rinchiuso in casa, ignorando di proposito ogni invito che gentilmente gli veniva
spedito dalle famiglie della zona. Nessuno capiva quel comportamento, e tutti, a
maggior ragione, cercavano di indagarne i motivi. Ma non c’erano motivi per il
suo comportamento, lei lo sapeva. Andrew era capriccioso, spensierato, libero. A
lui non era mai importato di infrangere le regole di cortesia, pur di starsene
in pace, a leggere magari, lontano da ogni costrizione e
obbligo.
Correva.
Correva per i corridoi intrecciati della
casa, in cerca di Andrew.
Dove si era cacciato? Erano ore che suo
padre lo cercava.
Sotto i tavoli, dietro le porte.
Uff! cominciava a
spazientirsi…
“Emily!”
“Andrew… ma che fai
lì?”
Stravaccato sulla poltrona dello studio con
un libro in mano lui la guardò con aria
sorpresa.
“Leggo”
“Ma siamo in ritardo per la
cena!”
“Oh ma Emily! Io sto viaggiando capisci?
Come puoi impedirmi anche questo? Non hai
cuore…”
E invece, ce l’aveva eccome. Era
quell’affare in mezzo al suo petto che l’aveva fatta soffrire ogni giorno della
sua vita. Che le aveva mostrato le stelle per poi rigettarla nel baratro. Ed
Andrew era colui che avrebbe incolpato per questo.
*
Arrivò di fronte alla casa della zia, e si
preparò a bussare, lisciandosi le pieghe del vestito. Era stranamente nervosa, e
le mani le tremavano leggermente.
“Sarah! Che piacere vederti… entra pure
cara”
“Grazie
zia”
La casa era splendente come al solito, e
Sarah si riscoprì a guardarla meravigliata. Aveva sempre immaginato che avrebbe
avuto una casa come quella, una volta che si fosse
sposata.
Magari proprio
questa…
Il rossore che si era diffuso sul suo viso
durò solo pochi istanti, il tempo che la zia le propinasse le solite formule di
cortesia, e la invitasse a recarsi nel salotto dove già si trovava
Amy.
“Sarah! Che bello vedervi… come
state?”
Amy era allegra come al solito, e l’accolse
con un abbraccio caloroso. I suoi lunghi capelli rossi le arrivarono davanti
agli occhi prima che potesse rispondere qualsiasi altra cosa, e Sarah le sorrise
sincera, non resistendo all’entusiasmo della cugina. Non conosceva persona che
non le volesse bene. Amy era sempre sorridente, amava ballare, e chiacchierare
con tutti, ma non era sfacciata, né l’aveva mai vista comportarsi in modo più
che conveniente. Era una sognatrice, proprio come Emily. Entrambe vivevano
nell’incoscienza della speranza, nel tiepido sussurro di quell’amore romantico
tanto osannato che a lei faceva paura, e tentava di
fuggire.
Inutilmente.
“Bene… sono venuta solo per riportare un
libro, ma se…”
“Certo cugina, come volete voi! -disse Amy girandole attorno con uno
sguardo eccitato- La biblioteca sapete dov’è
no?”
Leggermente la rossa spinse l’altra verso la
porta, cercando di metterle fretta.
“Ma…”
Sarah non riuscì a ricevere spiegazioni. Amy
chiuse la porta del salotto, e lasciò che lei si dirigesse da sola verso la
sala, guardandosi attorno per non rischiare d’incontrare qualcuno che non
desiderava affatto. O che desiderava troppo.
La stanza illuminata le si presentò davanti
agli occhi prima che se lo aspettasse, come se a raggiungerla non fossero stati
i suoi piedi. L’odore particolare di quel luogo le giunse subito alle narici, e
le fece chiudere gli occhi per un istante. Nonostante faticasse ad ammetterlo,
invidiava sua cugina per quella fortuna. I soldi non erano mai stati una
preoccupazione per Sarah, ma se era con quelli che avrebbe potuto procurarsi una
cosa del genere, allora avrebbe cominciato ad apprezzarne il valore. Camminò
fino a raggiungere il centro della stanza, uno spazio rotondo limitato da varie
poltroncine posizionate in cerchio. Ne vide una spostata di lato, e avvicinata
alla finestra. Sarah si avvicinò per prendere tra le mani il libro aperto che vi
era stato lasciato sopra.
Les confessions, Jean-Jaques Rosseau.
Indietreggiò spaventata cercando di
andarsene senza far rumore, ma urtò il tavolino di cristallo e fece rovesciare
un’altra pila di libri dimenticati da quelle
parti.
Solo una persona poteva leggere quel
libro…
“…Sarah?”
Richard…
Il proprietario della voce apparve da dietro
un alto scaffale di legno scuro, e la guardò con occhi sorpresi cominciando ad
avvicinarsi.
“Ancora Rosseau?” – chiese lei con voce
flebile.
“È un tipo
interessante”
“È
francese”
“Ciò non toglie che sia
interessante”
Si era avvicinato troppo, arrivandole
davanti. Odiava saperlo così poco
distante. La distraeva da qualsiasi cosa volesse fare o dire, ed era piuttosto
incredibile per una persona razionale come
lei.
“Ciò non toglie che sia francese” – rispose
lei con un sorrisino.
Lui le tolse il libro dalle mani, e si aprì
in uno di quei rari sorrisi sinceri che andavano al di là di ogni
convenienza.
“Non vi ho chiesto se volete sedervi… perché
dobbiamo sempre litigare prima che possa farlo per scusarmi, e adesso penso di
poterlo fare”
“Noi non litighiamo… siamo solo di pareri
contrastanti”
“Non è affatto vero! Voi dite il contrario
di quello che dico io solo per farmi
arrabbiare”
Sarah piegò la testa di lato, guardandolo
forse con troppo amore.
“Allora… mmh… voi e James ci sarete alla
festa dei Darrel?”
Lui sorrise in modo strano, fissandola
attentamente.
“L’uomo è nato libero e ovunque si trova in
catene*”
“Significa che siete stati
obbligati?”
“Significa che nostra madre ci disereda se
non veniamo”
L’attimo di trance in cui era caduta mentre
lo guardava negli occhi svanì e quando lui si allontanò lei poté riacquistare la
sua lucidità.
“Rousseau aveva ragione
allora”
Lui si volse stupito, ma non
sorpreso.
“Aveva
ragione”
*
La casa era silenziosa e piuttosto buia. Si
erano recati tutti alla festa dei Darrel, e per le stanze erano ancora sparsi i
fiocchi di Catherine e le scie di profumo della madre, ma Emily non se l’era
sentita di andare. La testa girava come una giostra, e la mente non le lasciava
riposo. Era stanca, e non aveva sonno. Era affamata, e non se la sentiva di
mangiare. Ogni azione costava fatica, e ogni gesto le ricordava qualcosa di ciò
che credeva dimenticato per sempre.
Dimentica.
Chiudi gli occhi e
dimentica.
Non
può essere così difficile… non deve esserlo.
Rumori di zoccoli la distrassero dalle sue
riflessioni, e la spinsero a riportare l’attenzione sul mondo reale. Poi,
incuriosita, si avvicinò al vetro della finestra, spiando nell’oscurità. Le
chiome degli alberi incutevano un certo timore, illuminate dalla luce soffusa
della luna soltanto a chiazze, e le case più vicine sembravano perdersi nella
nebbia sottile che aveva circondato tutto come un guanto. Da un cavallo che si
era fermato al limitare del loro giardino scese un cavaliere vestito di scuro,
che si mosse a passi veloci verso la casa. Emily si affrettò alla porta
correndo, indecisa su cosa pensare, e su quanto tempo aveva per pensarlo. Aprì
cauta la porta, prima ancora che Andrew bussasse, facendolo rimanere con la mano
alzata verso l’alto, bloccata a mezz’aria come le sue parole, che davanti alla
vista di lei erano rimaste incatenate alla sua
mente.
“P-prego
entrate”
“No! Non mi sarei permesso di disturbare a
quest’ora se avessi saputo che qualcuno della famiglia era ancora in
casa”
“Non me la sono sentita di partecipare alla
festa… ma vedo che neanche voi avete poi mantenuto l’impegno di
parteciparvi”
“Sono stato trattenuto da impegni molto
importanti, ma stavo per recarmici adesso, se vi preme
saperlo”
Emily sussultò, incapace di contenersi
oltre.
“Non mi preme affatto; intendevo solo
ricordarvi il vostro ruolo, e quanto sia importante la vostra presenza a eventi
di tal genere… per quanto di livello assai inferiore a quelli ai quali di sicuro
sarete abituato”
Il volto di lui apparve deluso da quello che
aveva detto, ed Emily stessa non riusciva a capacitarsene. Con lui non era mai
riuscita a mentire, e anche adesso riusciva a sputargli in faccia tutta la
rabbia che provava per quella gente a cui credeva che lui appartenesse, gente
senza ritegno e rispetto per nessuno, che si faceva ammirare per le ricchezze e
amare per la stessa ragione. Prese fiato ancora una volta, e sbatté gli occhi
per convincersi che tutto era reale.
Che Andrew era davanti a lei, per la prima
volta dopo otto anni, e lei lo stava
insultando.
*La frase non è però tratta dalle
“Confessioni” ma dal “Contratto Sociale” del 1762, che influenzò la Rivoluzione
Francese. Richard commette volutamente “l’errore” perché è sicuro che nonostante
quello che dice anche Sarah abbia letto entrambi i libri, ed ovviamente ha
ragione!
Chiedo davvero perdono per il ritardo, ma non
posso promettere niente per questa storia. È talmente tanto che si trova nella
mia testa che ormai possiede mille strade diverse, e mi manda in tilt. Inoltre,
è la cosa più seria che abbia pubblicato su questo sito, l’unica in cui ogni
cosa sia completamente mia. Nonostante questo, continua ad essere solo un
abbozzo. E spero davvero che mi aiutiate voi a migliorarla sempre di
più^^
X crici_82: Ovviamente anch’io adoro Jane
Austen… come si potrebbe non farlo? ^O^ Il titolo è anche un omaggio a lei, non
a caso fa P&P esattamente come Pride
and Prejudice!! Sono felicissima che ti piaccia e spero continuerai a
seguire… baci**
X MaryMatrix: Il belloccio del vicino ha
fatto capolino visto?! Al più presto ci sarà anche una sua descrizione fisica lo
prometto [il vero problema riguardo a questo, è che le descrizioni fisiche sono
rare nei libri di questo genere, e non a caso vi sono sempre e solo accenni
anche in quelli della Austen] Per l’anacronismo poi hai assolutamente ragione!
In effetti, sarebbe stato impossibile creare veramente una storia inserita in questo
contesto, almeno per me e in questo momento, dato che per approfondire le
abitudini e i costumi del periodo ci vorrebbe molto più tempo libero! Stesso
discorso vale per lo stile, che purtroppo per me non assomiglierebbe a quello di
Jane Austen neanche se mi affidassi a tutti gli dei della storia. Ti ringrazio
lo stesso per i complimenti ^O^
-anche se tu sei di parte!- p.s ritardo? Quale ritardo??! Non hai notato
con quanta tempestività continui
questa storia? -_-“
X Tigerlily: Considerato che la tua
recensione risale a Hobbes, penso che forse un po’di ritardo lo abbia davvero
(mmh… ci ragionerò con calma^^) In ogni caso, detto da te, tutto ciò che hai
detto è più che fantastico! (da notare la quantità di dettagli in questa recensione…), e sono
davvero contenta che questa storia abbia passato il tuo critico esame su
Austen&affini… non avrei mai voluto deluderti!! 1
bacione
X charlie93: Effettivamente l’idea della
lettera mi è sempre piaciuta, vedrai che ce ne saranno delle altre… d’altra
parte la lettera che Wentworth scrive ad Anne in Persuasione è una delle più belle che
abbia mai letto… ed è anche merito di quella se ho cominciato a scrivere questa
storia!! Grazie di tutto… a presto