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Autore: _Agrifoglio_    19/09/2018    15 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I primi giorni di agosto
 
A Sua Eccellenza il Brigadier Generale Oscar François de Jarjayes Comandante Supremo delle Guardie Reali
 
Canterbury, 2 agosto 1788
 
Eccellentissima Cugina,
nella Vostra cortese missiva cui mi accingo a rispondere, mi domandaste informazioni su Lord William Stratford, gentiluomo che io conosco alquanto superficialmente, malgrado abbiamo frequentato entrambi, per un certo periodo, la cerchia del Principe di Galles. Egli è il quarto figlio del Marchese di Southampton e, come tutti i quarti figli, è desideroso di acquisire benemerenze che gli procurino una felice posizione nel mondo. Le occupazioni di lui paiono, invero, limitate all’intrigo, all’elegante vestire e allo scialacquamento, tanto che, dopo un promettente inizio di amicizia, è venuto a noia al Principe di Galles che lo ha destinato all’Ambasciata di Parigi. Dubito che Lord William Stratford coltivi interessi che vadano più in là del guardaroba e del tavolo da gioco e, se anche volesse aiutare le attività eversive del Vostro connazionale, difficilmente potrebbe spingersi oltre la scelta della foggia degli abiti dei rivoltosi.
Per ciò che concerne la posizione del Re e del Principe di Galles in ordine a un possibile avvicendamento sul trono francese, non la conosco nei dettagli e mi limito, pertanto, a esprimere una semplice opinione personale. Sebbene il governo della Vostra Nazione in mano a un liberale potrebbe favorire una politica francese liberista, più vicina a quella britannica, come ricordaste Voi stessa, ogni colpo di Stato reca con sé l’incognita dell’avvenire e la certezza della delegittimazione di tutti i Regnanti d’Europa, controindicazione che anche il Vostro Re avrebbe fatto bene a tenere presente, prima di avventurarsi in una dispendiosa guerra oltre oceano e di recare aiuto ai coloni ribelli contro il Regno di Gran Bretagna. Per tutte queste ragioni, ritengo che la posizione della Corona Britannica riguardo alle questioni interne alla Francia, che il nobiluomo da Voi ricordato, peraltro, non è il solo a rendere insidiose, sia neutrale e fondamentalmente orientata al non intervento.
Vi prego di porgere i sensi della mia stima al Generale, alla Contessa, alle Vostre onorate Sorelle, ai Loro eccellenti Mariti e ai Vostri graziosi Nipoti. Riceveteli unitamente ai miei più sinceri omaggi a Voi diretti.
 
Cedric Canterbury
 
Dopo avere dato un ultimo, veloce sguardo alla lettera, Oscar la ripiegò e la sistemò in uno dei cassetti dello stipo di mogano intarsiato, collocato nello studiolo degli appartamenti di Palazzo Jarjayes a lei riservati. Chiuso a chiave il cassetto, uscì dalla camera per recarsi nelle scuderie e, da lì, alla Reggia di Versailles.
La risposta del Conte di Canterbury era fondamentalmente rassicurante, perché descriveva l’Ambasciatore inglese come un uomo vanitoso e intrigante, ma, tutto sommato, inoffensivo e, soprattutto, perché ribadiva la tendenziale neutralità dell’Inghilterra rispetto alle questioni interne francesi. Dalle righe vergate dal lontano cugino dei de Jarjayes, emergevano anche la preferenza della Corona Britannica per le idee liberali del Duca d’Orléans e, soprattutto, il vivo risentimento di Re Giorgio III e del di lui erede per l’alleanza che la Francia aveva offerto ai coloni ribelli, ma, a ben vedere, chi, nelle stesse condizioni, non se la sarebbe avuta a male? Ottenere rassicurazioni di neutralità da parte di un nemico plurisecolare e, per giunta, recentemente provocato era il massimo a cui si sarebbe potuto realisticamente aspirare.
Giunta all’uscita posteriore del palazzo che dava sul cortile antistante le scuderie, vide una carrozza fermarsi davanti ad esse e la vecchia Marie scenderne, agile e arzilla più che mai. L’anziana governante si era recata nella cittadina di Versailles per sbrigare delle commissioni per conto della Contessa e, trovandosi là, aveva anche comprato qualcosa al mercato. Vista arrivare la nonna carica di pacchi e di panieri di vimini, André uscì dalle scuderie e le andò incontro per aiutarla.
– Quanto ci hai messo! – brontolò la donna – Stavo per mettere radici.
– Scusa nonna, stavo dando il fieno ai cavalli. Erano settimane che non li vedevo e loro, per la contentezza di ritrovarmi nelle scuderie, non hanno fatto altro che nitrire, agitare la coda e strisciare gli zoccoli sulla paglia.
– Bene, San Francesco d’Assisi, ma adesso chiamami dei valletti, visto che è meglio che tu, ancora, non porti pesi. Ah! André!
– Sì, nonna?
– Chi è quella fanciulla tanto graziosa e a modo che ti è venuta a trovare qualche giorno fa e che era già stata qui quando fosti operato all’occhio sinistro? Tutte e due le volte, si è presentata insieme a un giovanotto grosso come il colosso di Capri.
– Lui è un mio ex commilitone delle Guardie Metropolitane e lei è la sorella – rispose André, evitando di rimarcare che il colosso aveva torreggiato a Rodi e non a Capri.
– E’ una ragazza tanto carina, André e anche rispettosa delle tradizioni, visto che, entrambe le volte, si è fatta accompagnare da uno chaperon. Per essere venuta a farti visita due volte nell’arco di un mese, deve nutrire un certo interesse per te.
– Che dici, nonna! Diane è soltanto una cara ragazza ed è molto premurosa – glissò André.
– Vedi? E’ grazioso pure il nome!
– Nonna, te l’ho detto, Mademoiselle de Soisson ha saputo che un amico del fratello stava male ed è venuta a mettere in pratica la quinta opera di misericordia.
– Sì, sì, come no…. Guarda che io sono nata molto prima di te… Pensaci, André o vuoi fare lo scapolone a vita? La solitudine pesa, sai! Io sono rimasta vedova da giovane e non è stato per niente facile. Te ne accorgerai alla mia età!
– Nonna, non esagerare, stai costruendo un romanzo dal nulla – si schermì André, sempre più a disagio.
– Pensaci.
Oscar aveva osservato la scena dalla soglia del palazzo, senza essere vista, continuando a seguire con gli occhi la nonna e il nipote anche quando questi si erano incamminati verso le cucine insieme ai valletti fatti arrivare da André. Aveva già intuito l’infatuazione di Diane per lui, quando, qualche giorno prima, la ragazza e il fratello si erano recati in visita a Palazzo Jarjayes, ma constatare che anche la vecchia Marie se ne era accorta le fece uno strano effetto. Era come se qualcuno si stesse intromettendo nel loro privilegiato rapporto trentennale, togliendole l’esclusiva e il fatto che un’altra persona avesse capito rendeva la cosa più concreta e reale.
– Ehi, Oscar, perché ti intrometti? Soltanto tu puoi trascorrere oltre dieci anni invaghita del Conte di Fersen? Il tuo migliore amico non può avere una corteggiatrice? – disse a se stessa mentre indugiava sulla soglia.
Si riscosse subito da quei pensieri e, tossendo, si diresse nel cortile e, quindi, nelle scuderie.
 
********
 
André era seduto davanti a un tavolino tondo di marmo, in un angolo ombreggiato e areato dei giardini di Palazzo Jarjayes, intento a leggere alcune carte portategli da Monsieur Roland, l’anziano amministratore delle proprietà del Generale e della Contessa. Davanti a lui, c’era un bicchiere di limonata mentre, di lato, era appoggiato un libro di agraria che l’uomo avrebbe iniziato a studiare dopo avere terminato l’esame della documentazione.
Dopo venti giorni dall’“Assalto della furia scarlatta”, come, ormai, tutta la nobiltà chiamava il folle e sanguinoso attentato perpetrato da Théroigne de Méricourt, la ferita superficiale di André era in fase di cicatrizzazione e, già da qualche giorno, il giovane aveva ricevuto il permesso di camminare e di salire e scendere le scale, ma non di portare pesi o di fare altri sforzi, perché ciò avrebbe potuto cagionare la riapertura dei punti. Non essendo vincolato all’immobilità e alla penombra, André preferiva trascorrere la sua seconda convalescenza all’aperto, almeno finché il caldo e l’umidità glielo consentivano.
Sebbene fosse pallido e smagrito, le condizioni generali erano buone e tendenti a un rapido miglioramento. Anche dal punto di vista estetico, tutto procedeva al meglio, perché la cicatrice che gli attraversava la parte sinistra del volto era sottile e non eccessivamente deturpante, essendo stata inferta con un taglio netto e poco profondo e ricucita molto bene. Col passare del tempo, aveva iniziato a schiarirsi e avere trascorso i mesi estivi prevalentemente al chiuso, anziché sotto l’esposizione diretta del sole, aveva evitato fastidiose infiammazioni.
Dopo circa un’ora di solitudine e di raccoglimento, il rumore di alcuni passi sul selciato lo avvertì che non era più solo. Voltatosi nella direzione del calpestio, vide l’austera figura del Generale che procedeva verso di lui. Il giovane si alzò in piedi, salutò il vecchio ufficiale con un lieve inchino e, accostando la mano destra alla caraffa e quella sinistra a uno dei bicchieri di cristallo puliti, domandò:
– Desiderate della limonata, Signor Generale?
– No, André, ti ringrazio. Procede bene il tuo nuovo lavoro?
– Meglio di così non potrebbe andare, Signore. Monsieur Roland è un maestro eccellente e, dopo una prima fase di adattamento, ho cominciato a districarmi fra le varie incombenze, a capire le fondamenta delle mie nuove mansioni e a orientarmi in mezzo ad esse.
– Ne sono lieto André.
– Ho anche iniziato a studiare dei libri di agraria, così da apprendere le tecniche di coltivazione tradizionali e quelle all’avanguardia.
– Ne ero stato informato, André. Mi compiaccio della tua dedizione e del tuo spirito di iniziativa.
L’anziano gentiluomo fece una pausa e, poi, trasse dal giustacuore una scatolina di legno foderata di velluto e la porse ad André che la aprì. Dentro, c’era una spilla composta da un grande smeraldo ovale, dal taglio sfaccettato e ottagonale e da alcuni brillanti di medie dimensioni che circondavano la gemma principale. André assunse un’aria meravigliata e non poté fare altro che mormorare:
– Signor Generale….
– Ti prego di accettare questo dono, André. Senza il tuo coraggio, mia figlia, adesso, non ci sarebbe più e a sua madre e a me non rimarrebbe che un freddo sepolcro sul quale versare le nostre aride lacrime di vecchi.
– Signore, io ho fatto soltanto il mio dovere e….
– E io, adesso, ho fatto il mio.
L’anziano soldato rimase, per un attimo, in silenzio e, poi, aggiunse:
– Sia benedetto il giorno in cui ti ho aperto le porte di questa casa.
 
********
 
L’elegante salotto che costituiva il cuore degli appartamenti assegnati a Madame de Jarjayes risuonava delle voci di alcuni ospiti. Ordinariamente, l’inquilina di quegli alloggi preferiva dimorarvi in solitudine, leggendo o riposando, in attesa che la Regina le affidasse qualche incombenza. In quella mattina di agosto, invece, le poltrone e il divano, tappezzati di broccato verde con ricami d’oro, erano occupati e la signora di quelle stanze intratteneva, insieme al marito, un piccolo gruppo di persone, recatesi lì per discutere di una questione della massima importanza.
– Mi duole doverlo ammettere, sia come cristiana sia come cugina, ma è la vergogna dei Borbone – esclamò, corrucciata, Madame Élisabeth, seduta al posto d’onore, essendo la persona di rango più elevato di quella riunione.
– Proprio per questa ragione, Altezza Reale, è necessario arginarne lo strapotere e la soluzione suggerita dal Generale de Jarjayes è la migliore – fece rispettosamente eco la Principessa di Lamballe.
– Ritengo anch’io che potenziare il clan de Jarjayes sia una mossa saggia e, poi, ogni iniziativa volta a dare gioia a Madamigella Oscar incontrerà sempre la mia piena approvazione – disse il Colonnello de Girodel mentre Mademoiselle de Chambord lo guardava con viva ammirazione, perché sapeva che Oscar lo aveva rifiutato come marito.
– Naturalmente, Colonnello de Girodel, proporremo al Re di conferire la Croce di San Luigi sia a Voi sia al Conte di Fersen, quale ricompensa per il Vostro eroico comportamento e a ogni Guardia Reale che ha rintuzzato l’“Assalto delle furia scarlatta” sarà elargita una somma di denaro, raddoppiata per chi ha riportato delle ferite – disse il Generale de Jarjayes.
– Ho fatto soltanto il mio dovere di nobile e di uomo d’onore. Mille volte mi trovassi in una simile situazione, altrettante sarei pronto a effondere il mio sangue per la difesa di persone inermi, pur se non appartenenti alla mia stessa nazione – rispose il Conte di Fersen.
– La penso esattamente allo stesso modo  – convenne il Colonnello de Girodel.
– L’unico aspetto preoccupante da tenere presente è la reazione che non tarderà ad arrivare. Questa mossa destabilizzerà ulteriormente i piani eversivi del Duca e lo renderà ancora più ostile e minaccioso. Aspettarsi che accetti tutto ciò senza contrattaccare è pura utopia – osservò saggiamente Mademoiselle de Chambord.
– Potenziare la nostra famiglia e i nostri alleati ci inimicherà ancora di più il Duca – convenne Madame de Jarjayes – Ma, tanto, quest’ultimo ha già mosso le sue conoscenze nel tentativo di mandare mia figlia davanti alla Corte Marziale, con motivazioni del tutto pretestuose. Potrebbe mai diventare più pericoloso di così?
– Agire d’anticipo e di sorpresa è sicuramente preferibile a una difesa tardiva e improvvisata. Se Voi, Altezza Reale e Voi, Signore e Signori, siete d’accordo, pregherò, oggi stesso, il Re di decorare il Colonnello de Girodel e il Conte di Fersen con la Croce di San Luigi – disse il Generale de Jarjayes.
– Sta bene. Il Conte di Fersen ed io, invece, porteremo all’attenzione di Sua Maestà l’altra faccenda – assicurò il Colonnello de Girodel, guardando il Conte di Fersen che annuì, in segno di approvazione.
– Avrete il mio pieno appoggio – affermò Madame Élisabeth, il cui intervento fu subito seguito da un cenno del capo della Principessa di Lamballe e di Mademoiselle de Chambord che intendevano, in tal modo, manifestare la loro adesione.
 
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A Sua Altezza Serenissima il Duca Luigi Filippo d’Orléans
 
Parigi, 8 agosto 1788
 
Eccellentissimo Duca,
è con vivo rammarico che affido questo messaggio a uno dei miei servitori anziché venire a omaggiarVi di persona. Sarei stato più che lieto di farVi visita al Palais Royal, anche al fine di indossare l’ultima fatica del mio sarto, ma sono, purtroppo, costipato e il medico mi ha proibito di allontanarmi da palazzo.
Mi preme, però, comunicarVi al più presto questa notizia, giuntami, oggi stesso, tramite una lettera scritta da mio fratello maggiore. Sembra che Re Giorgio III e il Principe di Galles, fino a pochi giorni or sono favorevoli alla deposizione di Re Luigi XVI e all’incoronazione di Vostra Altezza, abbiano, recentemente, mutato avviso, reputando preferibile non ingerirsi nelle questioni francesi. Pare che l’artefice di tale cambio di orientamento sia Lord Cedric Highbridge, dodicesimo Conte di Canterbury.
E’ con grande costernazione che mi faccio latore di queste sgradevoli novità, ma resto sempre Vostro devoto servitore.
 
Lord William Stratford
 
In un moto di stizza, il Duca d’Orléans accartocciò il pregiato foglio di carta, stringendo il pugno così forte da farsi diventare bianche le nocche delle dita. I piani da lui elaborati e portati avanti con grande fatica stavano andando in fumo un’altra volta e tutto a causa di quei maledetti, intriganti de Jarjayes! Sapeva fin troppo bene con chi era imparentato il Conte di Canterbury. Quell’improvviso colpo di scena recava l’impronta del maledettissimo ermafrodito insolente!
Mentre era intento a evocare tutti i demoni dell’inferno e le furie mitologiche sul capo di Oscar, il maggiordomo gli annunciò la visita del Duca di Germain.
Incline, in un primo momento, a farsi dichiarare assente dal maggiordomo, decise, poi, di ricevere l’ospite, perché, conoscendone l’insistenza, voleva togliersi il fastidio quanto prima.
Dopo essere entrato nella sala e avere salutato il Duca d’Orléans, il pomposo nobiluomo si sedette su una poltrona e diede inizio alla consueta e tediosa litania che, negli ultimi mesi, aveva spesso messo a dura prova i nervi dell’interlocutore.
– Sono venuto a disturbarVi in merito alla Contea di Lille, Duca d’Orléans. Vorrei sapere se il piano per  farmela assegnare ha fatto dei progressi, perché, come Voi sapete….
E’ una Contea molto prestigiosa e ricca, confinante con le mie terre – concluse mentalmente il Duca D’Orléans che, essendosi sentito ripetere, per decine di volte, quel noioso e assillante discorso, lo conosceva, ormai, a memoria. Interrompendo, senza troppe cerimonie, il pedante ospite, gli disse:
– Mi rincresce, mio caro amico, ma il Re non è intenzionato ad assegnare la Contea di Lille ad alcuno, preferendo che sia la Corona a incamerare le rendite di quel feudo. Se ci fosse un avvicendamento sul trono, le cose sarebbero diverse – concluse l’anfitrione, con aria allusiva.
Il Duca d’Orléans, per la verità, aveva esperito soltanto un blando e poco convinto tentativo di saggiare le sue conoscenze, al fine di trovarne qualcuna disposta a intercedere presso il Re in favore dell’alleato e, poi, non era più tornato sull’argomento, non trattandosi di un affare che lo riguardava personalmente. Poiché il Duca di Germain ignorava quest’inerzia, il Duca d’Orléans decise di sfruttare la smania di arricchimento dell’alleato, ponendo esageratamente l’accento sul veto del Re che, nel racconto di lui, divenne l’unico ostacolo all’assegnazione della Contea.
– Certo che il Re e la Regina sembrano indistruttibili! – esclamò, al culmine dell’alterazione, il Duca di Germain – Neppure l’“Assalto della furia scarlatta”, cui Voi aveste la fortuna di non presenziare, li ha scalfiti!
– Quella mattina ero indisposto – mentì il Duca d’Orléans che, invece, si era tenuto intenzionalmente alla larga dal ritrovo mondano di metà luglio, ben consapevole che la gaia promenade si sarebbe trasformata in un bagno di sangue. Era stato proprio lui, infatti, ad aiutare gli attentatori a fare entrare le armi nei giardini della reggia e a nascondervele, guardandosi, però, dall’avvertire l’alleato del pericolo incombente.
– I tentativi di portare Re Giorgio III e il Principe di Galles dalla Vostra parte procedono bene? – domandò il Duca di Germain.
Gli occhi del Duca d’Orléans ebbero un guizzo di maligna felicità, perché era proprio quello il punto al quale aveva voluto portare la conversazione.
– Purtroppo, amico mio, i miei tentativi hanno subito una battuta d’arresto, perché il mio alleato inglese, Lord William Stratford, risiedendo a Parigi in qualità di Ambasciatore, non frequenta più la cerchia del Principe di Galles e di questa lontananza ha approfittato il Conte di Canterbury che, con i suoi discorsi melliflui e traditori, ha fatto disamorare il Principe della nostra causa. Voi sapete che il Conte di Canterbury è parente dei de Jarjayes….
– Oh, no! L’ermafrodito nauseabondo l’ha spuntata di nuovo!
– Purtroppo sì, amico mio….
– Deve esserci una soluzione…. Deve esserci…. Ho trovato! Manderò i miei sicari in Inghilterra a uccidere il Conte di Canterbury!
Il Duca d’Orléans atteggiò le labbra a un sinistro sorriso. Pur avendo giocato benissimo le sue carte, non avrebbe osato sperare in un risultato migliore. Se il Conte di Canterbury fosse stato ucciso dagli sgherri del Duca di Germain, se la Corona Britannica fosse tornata a sostenerlo e se egli, infine, fosse riuscito ad ascendere al trono, avrebbe assegnato quella benedetta Contea al suo alleato e l’avrebbe tacitato. Se, invece, i sicari del Duca di Germain avessero fallito e fossero stati catturati e interrogati, egli avrebbe preso le distanze, negando ogni addebito. Comunque fossero andate le cose, ne sarebbe uscito illeso, perché il gioco sporco lo avrebbe fatto un altro.
– Siete un genio, caro Duca! Se i nostri tentativi saranno coronati dal successo e se io diventerò Re, considerate la Contea di Lille già Vostra.
– Oggi stesso, farò partire i miei sicari.
 
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Mentre i due Duchi erano intenti a complottare, Marie Grandier, a dispetto dell’età, entrò come una furia nel salottino verde dove André stava studiando.
– André! André! Non stare lì impalato! Corri! Sbrigati! Tre gran signore ti cercano!
– Cercano me? – chiese André, al culmine dello stupore.
– Sì! Sono venute direttamente da Versailles! Madame de Jarjayes ha detto che puoi riceverle nel salone principale!
Preso dall’ansia e dalla curiosità, André corse in camera sua, indossò il jabot, il gilet e il giustacuore, si ravviò i capelli e si diresse nel salone. Giunto a destinazione, vi trovò la Principessa di Lamballe, la Marchesa de Tourzel e Mademoiselle de Chambord – da lui non conosciuta – accompagnate da alcuni valletti della reggia che recavano in mano numerosi pacchi. L’uomo salutò con un compito inchino le tre dame e le pregò di accomodarsi.
La Principessa di Lamballe, che già conosceva André, prese la parola:
– Sono lieta di VederVi ristabilito, Monsieur Grandier e così presto, per giunta! Permettetemi, innanzitutto, di presentarVi Mademoiselle Henriette Lutgarde de Chambord, dama di compagnia della Regina.
André fece un inchino alla dama che gli rispose con un cenno del capo.
– Siamo venute – proseguì la Principessa di Lamballe – per portarVi dei doni da parte di Sua Maestà la Regina che Vi è profondamente riconoscente per avere aiutato il Generale Oscar François de Jarjayes a salvarla dall’“Assalto della furia scarlatta”. La Regina è rimasta immensamente dispiaciuta per il Vostro ferimento e ha rivolto incessanti preghiere a Nostro Signore affinché Vi aiutasse a guarire.
Vista l’esitazione di André e imputandola a timidezza e a soggezione, la Principessa di Lamballe ingiunse ai valletti di aprire i pacchi alla presenza di lui. Ciò che si trovava all’interno di quelle scatole stupì André per gusto e ricercatezza. Pregiate stoffe di broccato, di velluto, di seta e di lino emergevano dai contenitori e un’infinità di pizzi e di merletti impreziosivano l’insieme. Alcune sete erano lucide e lisce mentre altre erano damascate. I velluti sorprendevano per la morbidezza e la lucentezza. Le tinte erano calde o brillanti e l’insieme era molto sofisticato. La Regina non si era limitata a donare delle stoffe all’ex attendente della sua amica e, infatti, in un cofanetto di legno foderato di velluto, era contenuto uno splendido nécessaire da scrivania in argento massiccio.
Il giovane, rosso in volto, disse:
– Signore, sono sinceramente commosso e onorato da una così grande manifestazione di generosità d’animo e da tanta squisita leggiadria, ma io non merito doni così sontuosi, provenienti dalle graziose mani della Regina, perché ciò che ho fatto è stato motivato esclusivamente dalla necessità di salvare la mia padrona e tutti coloro che erano sotto la protezione di lei da un attacco violento e proditorio. Non voglio una ricompensa diversa dall’appagamento nato dalla consapevolezza di avere fatto il mio dovere.
– Monsieur, frequento la Corte da quasi venti anni eppure raramente ho udito qualcuno ridimensionare fino a tal punto i propri evidenti meriti come state facendo Voi adesso! – esclamò la Principessa di Lamballe – In fede, sono veramente colpita!
– Pur provenendo dalla provincia dove i costumi seguono ancora la tradizione e sono molto più morigerati che alla reggia, anch’io ho difficilmente riscontrato tale eccellenza d’animo – s’inserì Mademoiselle de Chambord.
– Signore, il Generale de Jarjayes mi ha educato insieme a sua figlia e mi ha trasmesso i suoi rigorosi principi. Le buone azioni si compiono e non si declamano e, soprattutto, non esigono contraccambio.
– Ma questi oggetti non sono un prezzo, bensì un dono e l’animo nobile, così come non esita a salvare degli innocenti dal pericolo, allo stesso modo, non rifiuta le manifestazioni di gratitudine di chi versa in debito morale rispetto a lui – si inserì la Marchesa de Tourzel.
Messo alle strette, André accettò, imbarazzatissimo, i regali e intrattenne le tre ospiti per circa mezz’ora, trascorsa la quale, la vecchia Marie introdusse nel salotto il Conte di Fersen, anch’egli recatosi a Palazzo Jarjayes per fare visita al convalescente.
Dopo altri venti minuti, i quattro furono raggiunti dal Colonello Girodel che era arrivato per conferire con Oscar e, non avendola trovata, su indicazione di Madame de Jarjayes, era stato invitato a trascorrere il tempo dell’attesa di lei in compagnia degli altri ospiti anziché in solitudine.
André fece egregiamente gli onori di casa con tutti e cinque i presenti, chiedendo alla nonna la cortesia di rifocillare i valletti nella zona di servizio.
La conversazione spaziò dall’arte, alla cultura, dalla scienza alle antichità classiche. Mademoiselle de Chambord, pur non avendo avuto valenti precettori, aveva compensato con vaste e approfondite letture e stupì Girodel per l’acume e la prontezza degli interventi.
Quando, infine, si arrivò alla politica, André manifestò le sue idee.
– L’ordine socio – economico andrebbe svecchiato, potato dei rami secchi e rinvigorito con nuovi germogli.
– Non sarete uno di quelli che contestano il fondamento divino del potere del Re o, peggio ancora e proseguendo nella metafora arborea, che vogliono sradicarlo? – domandò, perplessa, la Marchesa de Tourzel.
– Niente affatto – rispose André – ma l’origine divina del potere non vieta che il Sovrano dia una costituzione ai suoi sudditi. L’Inghilterra ha la Magna Carta dal 1215 e la monarchia inglese gode di ottima salute.
– Avete, indubbiamente, studiato la storia, Monsieur Grandier – intervenne Girodel – ma non credete che Francia e Inghilterra differiscano profondamente fra loro per assetto istituzionale, tradizioni, religione e cultura? La Magna Carta, poi, non è una costituzione come quella americana, ma un documento volto a limitare i poteri del Re nei confronti dei feudatari.
– Ne sono consapevole, Colonnello – rispose André – Mi premeva soltanto sottolineare che Re Giovanni non si irrigidì di fronte alle richieste dei Baroni e fece loro delle concessioni. E’ la capacità di adattarsi ai mutamenti sociali che decreta la sopravvivenza di un sistema.
– Siete stato allevato in una famiglia nobile, Monsieur Grandier. Ritenete che il percorso iniziato da Luigi XIV, volto a privare la nobiltà delle prerogative che le erano concesse, debba essere portato alle sue estreme conseguenze? Non credete che la nobiltà dovrebbe riappropriarsi delle sue antiche caratteristiche, per svolgere il suo vero compito che non è certo quello di riempire i salotti, ma di difendere la Chiesa, il Re e il territorio e di diffondere gli ideali della cristianità, della cavalleria e della misericordia? – domandò Mademoiselle de Chambord che, essendo cresciuta in provincia, da una famiglia di antica tradizione, aveva un’idea cavalleresca e medievale del ruolo della nobiltà.
– La difesa della fede e della nazione, l’amministrazione del territorio e della giustizia, il soccorso ai poveri, la protezione dell’orfano e della vedova, le opere di misericordia, erano affidate esclusivamente alla nobiltà quando lo Stato non era unitario, ma frammentato in tanti feudi più o meno indipendenti. La nobiltà ha perso da decenni il suo potere civile e politico e, anziché sperare in un ripristino dello status quo che è impossibile da attuare in mancanza degli antichi presupposti, dovrebbe cercare l’alleanza della borghesia, al fine di risollevare le sorti della nazione e di recare soccorso ai derelitti.
– Io mi occupo di opere di misericordia da quando ero una bambina – disse la Principessa di Lamballe.
– Il Vostro buon cuore è noto in tutta la Francia, Principessa – rispose André – ma il risanamento dell’economia e il sollievo dei poveri non possono essere rimessi a iniziative individuali e scoordinate. C’è bisogno di un serio piano economico centralizzato. La Francia dovrebbe, innanzitutto, astenersi dal partecipare a guerre alle quali non è direttamente interessata. Esse sono dispendiose, allontanano i contadini dalle campagne e li trasformano in soldati e, poi, in reduci, accattoni e mutilati. La guerra arricchisce pochi speculatori, ma getta sul lastrico intere famiglie, privandole del padre e del sostentamento. Le terre dovrebbero essere sfruttate in modo razionale mentre molti latifondi sono abbandonati e incolti. Bisognerebbe dare impulso alle professioni e ai commerci, il tutto, naturalmente, sotto il controllo dello Stato e degli Ordini e non nel caos del libero mercato, come sostengono alcuni fanatici liberisti. Occorrerebbe, poi, modificare seriamente il sistema tributario e l’apparato preposto alla riscossione. Attualmente, poche migliaia di persone detengono la quasi totalità della ricchezza, ma non pagano le imposte. Un tempo, l’esonero dei nobili dal pagamento delle imposte era giustificato dal fatto che era il feudatario a provvedere agli armamenti, alla difesa del territorio, alla giustizia, alle strade e alle varie strutture. Non poteva certo pagare le imposte a se stesso! Ora, però, la situazione è completamente cambiata e ogni persona dovrebbe contribuire al benessere comune proporzionalmente alle proprie sostanze, senza che alcuno sia penalizzato. Il sistema della riscossione andrebbe statalizzato e non lasciato in appalto ai privati che si comportano come i pubblicani evangelici, esigendo le imposte oltre a un congruo sovrappiù per impinguare le proprie tasche, a scapito della gente comune. Siccome il sistema della riscossione è strutturato a piramide, la cresta sulle imposte è compiuta da più di un funzionario e il Re, magari, neppure ne è a conoscenza! Andrebbe creato un servizio sanitario nazionale, essendo i vari ospizi, gestiti dagli ordini religiosi e dai privati, encomiabili, ma del tutto insufficienti. L’istruzione dovrebbe essere resa obbligatoria e garantita a tutti. Il sistema giudiziario dovrebbe essere riformato, perché è anacronistico che i sudditi siano trattati diversamente e ricevano pene differenti a seconda del censo e del rango. I diritti feudali dovrebbero proseguire sotto forma di percezione di una rendita derivante dallo sfruttamento delle proprie terre, ma il maggiorascato, con esclusione dei cadetti e delle figlie femmine dall’eredità, andrebbe abolito e nessun feudatario dovrebbe imporre le corvées gratuite ai suoi braccianti. Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa! L’impianto urbanistico delle città andrebbe completamente riveduto e risanato e la rete fognaria dovrebbe essere razionalizzata. Ci sono quartieri, a Parigi, che cadono a pezzi, anneriti dalla muffa e attraversati da rivoli di acqua putrida. Le distanze fra i palazzi sono insufficienti e ciò non favorisce l’illuminazione e l’areazione, ma, al contrario, agevola il diffondersi delle epidemie. Sempre per questioni di salute pubblica, i morti andrebbero seppelliti fuori dai centri urbani. Molti quartieri parigini andrebbero bonificati anche dalla criminalità che trova la sua principale fonte di reclutamento nel degrado e nella miseria. Il ruolo delle donne dovrebbe essere rivalutato e nobilitato, perché, come la vita di Oscar ha dimostrato e continua a dimostrare, le donne possono fare le stesse cose degli uomini.
– I Vostri progetti sono molto ambiziosi, André – disse il Conte di Fersen.
– Più che altro, sono tardivi. Queste cose si sarebbero dovute fare molto tempo fa, quando il malcontento popolare era meno accentuato. Il Re dovrebbe fare la sintesi dei vari interessi e perseguire l’obiettivo dell’integrazione delle classi sociali. Queste ultime, a loro volta, dovrebbero abbandonare i particolarismi e pensare al bene comune. La nobiltà dovrebbe rinunciare a privilegi non giustificati da prerogative che non ha più e il popolo dovrebbe accantonare il pregiudizio, l’odio di classe e l’invidia sociale. La borghesia andrebbe rivalutata e resa partecipe dell’apparato statale. Ogni uomo e ogni donna dovrebbero potere accedere a qualsiasi carica, per merito e istruzione e non per nascita. Soltanto così si potrà perseguire l’interesse comune e lo Stato rifiorirà. Se non si agirà in questa direzione, temo che il conflitto deflagrerà e, allora, il fiume in piena della rabbia popolare romperà gli argini e sarà canalizzato, per il proprio tornaconto, da avventurieri senza scrupoli e da agitatori di folle invasati. A quel punto, ci saranno dolore e morte per tutti. Io, personalmente, preferirei un’evoluzione indolore a un colpo di Stato, una monarchia costituzionale a un salto nel buio. Re Luigi XVI è un uomo onesto che ha seriamente a cuore le sorti del Regno e la Regina Maria Antonietta ha ottime qualità ed è, sostanzialmente, un’incompresa, ma lo stesso non può dirsi di buona parte dell’entourage reale. Se le cose andranno avanti così, ripeto, prevedo tempi bui.
Gli astanti rimasero in silenzio per alcuni attimi, colpiti dalla profondità di giudizio di André, dal sincero interesse che dimostrava per il bene dello Stato e dalla visione trasversale di lui, non legata ai particolarismi del ceto di appartenenza. Allo stesso tempo, erano preoccupati, perché percepivano che le previsioni del giovane non eccedevano in disfattismo, ma erano realistiche. 
Mentre la conversazione era giunta a quel punto, Marie Grandier annunciò la visita di Bernard Châtelet e della di lui moglie Rosalie. I due si erano presentati proprio quando Madame de Jarjayes era stata colta da un lieve malore a causa del caldo e la vecchia governante, non conoscendo le idee politiche e le frequentazioni di Bernard ed essendo lieta di rivedere la cara Rosalie, aveva reputato superfluo disturbare la padrona.
Bernard si era mostrato recalcitrante all’idea di fare visita ad André, perché non voleva rimettere piede a Palazzo Jarjayes, covo di nobili sfruttatori della popolazione. Rosalie, in uno dei suoi rari momenti di decisionismo, aveva puntato i piedi, dicendo al marito che sarebbe stato un vero ingrato se non avesse fatto visita ad André a cui doveva la vita e che Oscar era una nobile magnanima e integerrima.
Fu così che, per il volgere di alcune coincidenze e per lo zampino beffardo del caso, vennero a trovarsi, in una stessa stanza, cinque esponenti di spicco della Corte di Versailles e uno dei più accesi sovversivi del Regno.
André deglutì a vuoto, ma provvide ugualmente, in maniera impeccabile, alle presentazioni di quelli che ancora non si conoscevano e, accolti gli ospiti con la massima cordialità, li invitò a sedere, offrendo loro bevande e pasticcini.
Bernard, che conosceva, per fama, le persone che gli erano state presentate, assunse, da subito, un’espressione scontrosa e accigliata mentre la moglie iniziò a pentirsi di aver insistito per quella visita. Gli altri ospiti, percependo l’ostilità del nuovo arrivato, si misero sulla difensiva e divennero, a loro volta, silenziosi.
Convinta di contribuire a sciogliere il gelo, la Principessa di Lamballe domandò a Bernard:
– Siete anche Voi un intellettuale come Monsieur Grandier? Egli ha delle idee interessanti sull’integrazione delle classi sociali per il bene comune.
Bernard, che non sapeva cosa farsene dell’integrazione con donne come quella e che, essendo un ideologo più che un politico, non aveva sviluppato le arti diplomatiche e non coglieva le controindicazioni del muro contro muro, si lasciò andare a un discorso infuocato che, nella sostanza, replicava molte delle cose già dette da André, ma, nell’esposizione e nel tono di voce, era ostile e carico di odio e di rabbia sociale. Lo sproloquio divergeva dalle parole di André soprattutto negli esiti, perché si capiva che l’autore di esso non mirava alla conciliazione, ma alla lotta politica, armata ed economica.
Rosalie guardava in basso, costernata dall’inattesa piega che avevano preso le cose e avvilita per l’inurbanità usata dal marito nella casa dell’adorata Madamigella Oscar e in una visita di convalescenza fatta al carissimo André.
Gli altri ospiti, sentendosi odiati e criminalizzati per uno stato di cose che non era riconducibile a loro, ma a decenni di errori reiterati, si accinsero ad andare via.
André, prendendo la parola, ringraziò Bernard per l’accorata esposizione e gli altri ospiti per il paziente ascolto e disse che quello sarebbe potuto diventare un inizio, seppure imperfetto, di dialogo comune, dato che, quasi mai, le mediazioni iniziano con toni distesi.
I cinque nobili, pur apprezzando l’intervento pacificatore di André, dissero che era giunta l’ora di andarsene. Girodel, in particolare, avrebbe incontrato Madamigella Oscar in un’altra occasione. Salutata cordialmente la protetta dei de Jarjayes e, in modo appena percettibile, il di lei marito, andarono a porgere i loro omaggi a Madame de Jarjayes e, poi, si ritirarono.
Bernard, su tutte le furie per gli incontri fatti, prese la via della porta senza neanche salutare André, seguito da una gemente Rosalie.
 
********
 
Intorno alle quattro del pomeriggio, qualche ora dopo il brusco discorso di Bernard che aveva posto fine alla visita mattutina, André stava mostrando a Oscar e alla Contessa i doni ricevuti dalla Regina. Il giovane aveva riferito alle due donne l’incidente che era occorso nel salone. Non era intenzione di lui denigrare Bernard né fare da delatore, ma gli sembrava giusto rendere edotte Oscar e Madame de Jarjayes su un episodio increscioso avvenuto in casa loro. Madre e figlia erano liete della manifestazione di favore della Regina nei confronti di André, ma anche perplesse per come si era conclusa la riunione di qualche ora prima. Soprattutto Madame de Jarjayes era molto infastidita dall’incidente e timorosa per le possibili conseguenze di esso. Marie Grandier, da parte sua, non faceva che scusarsi per avere introdotto quel contestatore in sala, contribuendo, involontariamente, all’insuccesso della riunione. La Contessa cercava di consolarla, rassicurandola di non avere colpa e dichiarando che era stato il malore che aveva colto lei a costringere la governante a prendere una decisione repentina, in totale autonomia. André, a sua volta, tentava di calmare la nonna, dicendole che la riunione era, invece, andata bene e che soltanto l’ultima parte di essa era stata un po’ movimentata.
La conversazione fu improvvisamente interrotta dal Generale che, giunto dalla reggia ed entrato nel salone, con aria trionfante, occhi felici e voce potente, comunicò:
– Oscar, per la condotta valorosa da te tenuta in occasione dell’“Assalto della furia scarlatta” e per avere salvato la vita alla Regina, il Re ha deciso di promuoverti Maggior Generale! La cerimonia avrà luogo nella sala del trono, il quindici agosto, subito dopo le celebrazioni per la festa dell’Assunzione!   
– Oh, Madamigella Oscar, è meraviglioso! – esclamò l’anziana governante.
Anche Madame de Jarjayes si complimentò con la figlia e André assunse un’espressione raggiante mentre un lampo di orgoglio gli attraversava gli occhi.
– Padre, non me lo aspettavo…. Sono felice che questa notizia Vi arrechi gioia e Vi renda fiero.
– L’attentato di metà luglio ha sconvolto l’intera corte ed è intenzione dei Reali ristabilire l’ordine e la serenità e premiare gli ufficiali che si sono distinti per valore. Il Colonnello Girodel e il Conte di Fersen saranno insigniti della Croce di San Luigi mentre le Guardie Reali che hanno combattuto riceveranno una somma di denaro, raddoppiata per chi ha riportato delle ferite. Io avrò la Signoria di alcune terre presso Nevers.
– E’ un giorno lieto per la nostra famiglia! – intervenne Madame de Jarjayes – Nanny, André, ovviamente, presenzierete anche voi.
– Oh, Madame, grazie! Inizierò subito a confezionarmi un vestito adeguato all’occasione! André, manca una settimana al quindici agosto e non farò in tempo a provvedere a entrambi. Rivolgiti al sarto presso cui si servono il Generale, Madamigella Oscar, il Colonnello Girodel e il Conte di Fersen. Per una volta, crepi l’avarizia!
Eccitata come una giovinetta, poco mancò che facesse una giravolta su se stessa e, canticchiando, uscì dalla sala.
Madame de Jarjayes si accostò al marito e gli riferì l’incidente provocato da Bernard, la reazione irritata degli altri ospiti e il tentativo di pacificazione esperito da André. Il Generale assunse un’espressione accigliata e si diresse alle scuderie per fare ritorno alla reggia.
Oscar si avvicinò alla finestra e, guardando il giardino, iniziò a riflettere. La Regina era stata molto generosa a omaggiare André con lauti doni, ma, in una società come quella feudale, strutturata a piramide, era onere del diretto superiore assegnare un vero riconoscimento al sottoposto. Il Re avrebbe ricompensato lei e gli altri nobili mentre sarebbe spettato ai de Jarjayes premiare André che prestava servizio presso di loro. Trascorso il quindici agosto e finita la concitazione, avrebbe pregato il padre di assegnare ad André una tenuta di campagna, estranea al feudo e appartenente all’allodio, per ripagarlo dei gravi e reiterati sacrifici cui si era sottoposto. Lo avrebbero perso come amministratore, ma, almeno, gli avrebbero dato la possibilità di lavorare finalmente per se stesso e di godere di un gratificante benessere economico, senza dover più dipendere da alcuno.
André si avvicinò a Oscar e, con gli occhi verdi di smeraldo che sprizzavano gioia e commozione, le fece i suoi più vivi e sinceri complimenti. Oscar ricambiò coi suoi zaffiri che scintillavano di un’annosa gratitudine.
Dopo qualche minuto, l’uomo, aiutato da alcuni valletti, portò i doni della Regina nel suo alloggio. Quando fu solo nella stanza, decise di prendere la spada antica e gemmata che, quando era soltanto un bambino, il Generale gli aveva donato. Non l’aveva più impugnata dal giorno del ferimento, ma si era accorto che la nonna l’aveva rimessa a posto, quando lo avevano trasportato, convalescente, a Palazzo Jarjayes. Voleva pulirla e lucidarla, per cingersela al fianco magnifica e perfetta, come il più prezioso dei gioielli, nel giorno della promozione di Oscar. Aprì l’armadio dove l’arma era custodita ed ebbe un sussulto: la spada era sparita. 
   
 
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