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Autore: Angel_Strings    22/09/2018    3 recensioni
Due donne ma un solo segreto.
Due uomini ma una sola arma. 
Maledetti cuori
Maledetti destini
-//-
"Amore o solitudine?
Lui aveva scelto l’amore. Qualcosa per cui lottare e alimentare ogni giorno, aveva scelto la famiglia, che comportava il vivere non solo per se stesso, ma anche per il bene degli altri.
Io non avevo qualcuno per cui far battere il mio cuore, non avevo motivo di scegliere qualcosa che nessuno si era preso la briga di insegnarmi.
Non puoi fare del male se non conosci il bene. Privazione di privazione."
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Min Yoongi/ Suga
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: Questi personaggi non mi appartengono. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Con questo mio scritto non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi, nè offenderli in alcun modo. 





♠CHAPTER I - MALEDETTO INIZIO
 
«Ne voglio un’altra.» Il mio sguardo era fisso sul cameriere, seguivo ogni suo movimento con gli occhi mentre lui, con una certa maestria, versava uno scuro liquido dentro al mio bicchiere. Era decisamente la serata adatta per una sbronza, continuavo a ripetermi dall’esatto momento in cui avevo varcato la soglia del piccolo locale all’angolo della via, lo stesso locale in cui mi trovavo attualmente. La birra scendeva con facilità attraverso la mia gola, punzecchiando di tanto in tanto ad ogni sorso e procurandomi solo pazza gioia nel constatare che, in una manciata di secondi, ne vedevo già il fondo schiumoso.
Mi accorsi solo dopo aver insistentemente cercato di raggiungere con la lingua le ultime gocce che il cameriere mi scrutava silenzioso, e perplesso. Posai con nonchalance il boccale sul bancone, mi pulii con la manica della felpa la bocca -gesto che risultò abbastanza sgradevole ai suoi occhi- e mi diressi verso la sua postazione per pagare le mie quattro birre doppio malto.
«Quanti anni hai?» Parlò lui, poggiandomi lo scontrino sotto al naso. Sogghignai «Undici.» Stupito dal tono informale e brusco che avevo usato, continuò comunque a tenere in piedi la conversazione con aria di scherno, il che mi fece innervosire ancora di più.                                                                                                   
«Non credi di essere un po’ piccola per andare in giro sola a bere birra?»
«E tu non credi sia il caso di farti gli affaracci tuoi?» Rimbeccai di getto, quasi lanciandogli addosso il conto.
Scosse la testa. «Offro io, piccola dal cuore infranto.»   
La risata che fuoriuscì dalla mia bocca fu disarmante, probabilmente perché mi fece proprio ridere di gusto.
Era davvero seccante avere a che fare con persone assetate di curiosità e senza scrupoli, ed era ancor più snervante vedere negli occhi delle suddette persone la malsana convinzione di essere in presenza di un libro aperto. Insomma, perché pretendere questo tipo di confidenza alla prima opportunità di chiacchiera? Chiaro, non che avesse un certo tipo di interesse per me. Avevo già notato un piccolo anello, forse d’oro bianco, ornargli l’anulare, e la barba incolta gli donava un non so che di uomo vissuto, uomo di casa. Pensai che comunque non avrebbe fatto eccezione. Non esisteva la parola “eccezione” nel mio vocabolario.                                                                                                                  
«Sei proprio un guastafeste, sai? Mi stavo impegnando così tanto per rendere il tutto così melodrammatico! Lascia stare, questa povera ragazza indifesa deve pur spendere i suoi ultimi spicci. Questione di principio. Il resto puoi anche tenertelo, buon proseguimento.»                                                                                                                                    
Sì, decisamente era la serata adatta per una sbronza.         
Mi avviai soddisfatta -e barcollando- verso l’uscita, sentendomi alle spalle il suo sguardo bruciarmi addosso, più indagatore di prima. Merda, le avevo promesso di non dare nell’occhio. Se avesse scoperto anche solo per sentito dire di una qualche conversazione poco incline alle buone maniere, mi avrebbe fatta a pezzi e gettata in discarica pronta ad essere rottamata. Mi ripromisi da quel momento di diventare più affabile con gli estranei, glielo dovevo.
Quando tutto sembrava andare per il verso giusto, specialmente la testa girare dal piacere, la mente decise invece di girovagare nei meandri più reconditi del mio passato, ponendosi quesiti che, in quel momento, sarebbe stato alquanto impossibile soddisfare.                                                                                                                              
Cosa non andava in me?                                                                                                                               
Una barriera di ghiaccio marmosa ma al tocco così fragile e facilmente distruttibile, ecco cosa non andava. Ormai, dopo anni, ciò che mi aveva fortificata e nascosta agli occhi di tutti, plasmandomi come l’insensibilità esistente sulla faccia della terra, si era rivelato un fiasco. Eppure mai avevo sbagliato, mai la situazione mi era sfuggita di mano. Doveva sicuramente esserci una spiegazione. Divertente, avevo appena festeggiato l’ennesima sconfitta.                                                                                                       

È tutto sotto controllo.                                                                                                          

La strada era buia, e i pochi lampioni presenti illuminavano in modo minimo, forse consumati nel corso del tempo. In quel momento pensai che la lampadina verde mare regalatami da mia madre avrebbe sicuramente aiutato molto di più, quantomeno mi avrebbe fatto vedere dove poggiassi i piedi. Era tutto così silenzioso, un macabro silenzio che avrebbe potuto nascondere al suo interno tutto o niente, ed era proprio questo che lo rendeva così inquietante ma, al contempo, mi trasmetteva aria di casa. Quello era il mio mondo, fatto di ombre e discrezione, un mondo che non concepiva il sentimento. Un mondo che io mi ero scelta.                                                               
Chiusi gli occhi e assaporai la brezza fresca trasportata dal vento autunnale che abbracciava il mio corpo e lasciava furtivamente una serie di piccoli brividi lungo la spina dorsale.
Qualche cavalletta era intenta a zillare, nascosta dal buio. Che creature incantevoli, le cavallette.                                       
Il mio flusso di coscienza fu bruscamente interrotto da un suono pesante di passi, che percepii distintamente alle mie spalle. Non diedi alcun segno di sorpresa, sebbene il mio cuore avesse iniziato a palpitare più freneticamente: sapevo cosa fare in quelle situazioni.                                                                                                                       

È tutto sotto controllo.                                                                                                     

Continuai a camminare imperterrita per qualche minuto, tentando di aumentare la distanza che mi separava da quei passi nella maniera più disinvolta possibile, finché il rumore non cessò di colpo, e feci l’unica cosa che in anni di addestramento mi avevano sempre proibito: voltarmi. Con mia grande sorpresa, però, vidi solamente l’infinità di quei lampioni tanto odiosi e dalle luci tremolanti, ma non feci in tempo a tirare un sospiro di sollievo che una possente e ruvida mano mi schiaffeggiò il sedere.                                                                                                                       
«Ciao bellezza.»
Metro e ottantasette. Tra i ventisei e i trent’anni. Scapolo, ma ricco. Alcolista. ConcentratiLo scrutai a fondo e appuntai il maggior numero di informazioni che riuscii ad ottenere nello stato di non completa sobrietà in cui vigeva il mio corpo. «Cosa ci fa una bella ragazza come te tutta sola e per di più in giro a quest’ora?» Mi chiese, o perlomeno pensai mi avesse chiesto visto che metà della frase fu un miscuglio di sbiascichi e mugolii. Cercai di mantenere la pazienza il più possibile e strattonai quella sudicia mano ancora poggiata sul mio fianco, ma l’uomo non voleva demordere, forse stupidamente convinto che gli avrei dato la schifosa opportunità di finire ciò che aveva iniziato.                                           
«Lasciami andare finché te lo chiedo gentilmente.» Incatenai i miei occhi ai suoi, e iniziò così una tacita guerra che il poverino ancora non sapeva di aver perso in partenza.                                                                                                         
«Mm, mi eccitano le tipe combattive.» In una manciata di secondi mi liberai dalla sua presa strattonandogli il braccio e tirandogli una potente ginocchiata sullo stomaco. Gli mancò il fiato e si accasciò a terra, ma per me non era finita lì. Lo presi per il colletto facendolo avvicinare al mio viso, e gli sferrai un pugno dritto sui denti. Urlò per il dolore, ma io volevo di più. La rabbia si stava impossessando del mio corpo, e sapevo di non volerla fermare. «Fai schifo. Sei un rifiuto umano, e non toccherai mai più nessun’altra donna.»                                                                                 
«Farai la stessa fine di tua madre, quella puttana.» Persi un battito. Il mio sguardo si fece vitreo, il sangue iniziò a pulsare così forte che il mio viso diventò paonazzo dallo shock. Smarrii l’ultimo barlume di lucidità che mi impediva di porre fine alla sua misera vita, e gli spezzai l’osso del collo.
 

Trascinai con molta fatica la carcassa di quello schifoso per tutta la salita che conduceva all’unica casa isolata del quartiere. Non era male: piccola, tetra e circondata da spessi arbusti arrampicanti e verdognoli. Insomma, non male come casa degli orrori. Bussai quattro volte sulla porta principale, scandendo ogni colpo in modo tale da farmi riconoscere, finché non sentii una voce femminile proveniente dall’interno borbottare qualcosa, forse un insulto.                                                                          
«Ti ho portato un regalo.»


N.D.A

Buongiorno a tutte le scrittrici/lettrici della categoria!
Queste note saranno leggermente più lunghe delle prossime, giusto per dare qualche avviso. 
Questa storia appartiene a due scrittrici diverse, pertanto sarà una storia scritta a quattro mani.
Ogni capitolo (di lunghezza media 3 pagine di Word) sarà rispettivamente il P.O.V alternato di una delle due protagoniste della storia. 

Tutti i nodi verranno al pettine, non vi preoccupate! 

Qualsiasi critica, purché costruttiva, sarà ben accetta da entrambe: ci interessa davvero molto la vostra opinione. 
Per questioni di tempo abbiamo deciso che "Damned" verrà aggiornata mediamente UNA volta a settimana.
Qualora dovesse esserci l'occasione, anche prima.
Per piacere, fateci sapere se il tempo di aggiornamento e la lunghezza media dei capitoli va bene. (La lunghezza è stata volutamente decisa per non appesantire il lettore, ma siamo disponibili per eventuali richieste di modifiche).
Grazie di cuore per essere arrivati fino a qui. 
Un saluto XXL,
S. 
 
 

 
  
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