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Autore: PawsOfFire    25/09/2018    2 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Abbandonati come cani al proprio destino, mi ero predisposto all'infausto sentimento passando una mattinata senza conto di un torrido luglio russo a prendermi cura della mia persona, pettinandomi e tirandomi a lucido come una delle numerose reclute imberbi che oramai infestavano le nostre linee.
Avevo maturato consapevolmente l’idea che in patria non sarei tornato con le mie gambe.
No, non ci sarei tornato proprio, nemmeno orizzontalmente. Ciononostante, ero intenzionato a divenire il più bel cadavere del campo di battaglia. Sarei morto compostamente e con dignità tra le braccia tremanti di uno dei miei uomini in lacrime che, mentre amaramente constatava il mio decesso a seguito di una ferita pulita e senza sangue, si chiedeva perché fosse toccato ad un figuro così immaginifico e non a lui stesso, povera e strisciante creatura dei bassifondi.
Avendo fatto diverse prove sul morire compostamente, i miei sottoposti non avrebbero dovuto far altro che tumulare il mio meraviglioso corpo all'ombra di un salice cascante, premesso che possano crescere qui, in Russia. In tal caso, beh, avrebbero dovuto cercarlo.
Un giorno di un futuro non troppo lontano qualcuno avrebbe disturbato il mio eterno riposo e, maneggiando il mio cranio con la stessa cautela che si riserva ai diamanti della corona d’Inghilterra, avrebbe esclamato: “Perbacco! Questo è il più bel teschio della Seconda guerra mondiale!”
Avevo anche un piano B, ovviamente. Nel caso fossero morti tutti e nessuno avesse potuto seppellirmi con tutti gli onori che meritavo, sarei rimasto a giacere dignitosamente sul pelo della terra e tutti i corvi, gli orsi ed i lupi che si sarebbero saziati con le mie carni avrebbero esclamato: “Perbacco, questo è l’umano più delizioso che abbia mai mangiato!”
Per adesso, che ancora possiedo un immaginifico corpo vigoroso ed un’anima strenuamente attaccata ad esso, lavoro cautamente a debellare l’incivile barba che mi faceva apparire come uno zotico contadino russo o peggio, un rivoluzionario comunista.
Avevo ancora la lama tra le mani quando Volker ed il suo piccione disturbarono la mia routine quotidiana, spaventandomi fino a farmi rischiare di deturpare il mio splendido viso con un taglio di lama.
“Capitano!”  urlò il mio giovane sottoposto, lanciandomi praticamente addosso la gabbia con piccione annesso.
“Capitano! Guardi! Ho importantissime foto aeree che ritraggono con precisione le posizioni nemiche!”
Mein Schatze tubava nella sua minuscola gabbietta di metallo beccheggiando, di tanto in tanto, alcune granaglie che gli erano state servite dentro una lurida coppetta di fortuna, assieme ad una ciotola d’acqua che, immancabilmente, finiva per rovesciarsi nel suo giaciglio, facendo alzare in un goffo volo la bestiola che, tentando la fuga, finiva per incastrarsi dolorosamente tra le fessure della gabbia.
“Bene” finsi di mostrare interesse alle sue parole, continuando a radermi con accuratezza evitando il più possibile il contatto visivo con il giovane montanaro.
“Guardi qua! GUARDI!”
Inevitabilmente, coprì la mia visuale con una foto. Provai a chiedermi come avesse fatto a svilupparle in questi territori dimenticati sia dall'esercito e, di conseguenza, da Dio.
Non dovevo pormi domande a cui non potevo avere risposta, no? Già il fatto che fosse riuscito a procurarsi una macchina per la fotografia aerea ed un piccione addestrato destavano in me profonde turbe…ma gli acidi, la camera oscura…
Al diavolo.
Le foto, irrimediabilmente sovraesposte o sottoesposte, sfocate e sicuramente mal sviluppate, erano di un’utilità pari ad un fiammifero nei ghiacci della Siberia.
Irrimediabilmente e fottutamente inutili.
“Capitano? Quale giudizio estetico ha maturato in questo suo silenzio, eh? Le piace? Mein Schatz? È il Robert Capa dei piccioni, l’Henri Cartier-Bresson degli uccelli!” *
“Ma lei non sapeva a malapena leggere?”
“Infatti”
, ammise Volker che, come ricordo, ha sempre vissuto ai piedi di un monte impervio nel lander di Ostmark.
“Me lo ha detto il pittore! Lui sì che ha sviluppato un profondo giudizio estetico! Sa tutti i pittori a memoria!” **
Non misi in discussione le sue argomentazioni. Di arte sapevo ben poche cose, quindi non obiettai sulla bravura di questo Capa e dell’altro. Il pittore pazzo ha una strana metrica di giudizio quando si tratta di queste cose.
“Quindi, Capitano? Cosa ne pensa?”
“Che fanno schifo, ecco cosa penso”
presi in mano uno degli scatti, quello più nitido.
Raffigurava…beh. All’inizio non riuscii a capire cosa fosse, essendo disgustosamente fuori fuoco.
Poi l’illuminazione.
“Sembrerebbe essere il contorno di un altro piccione, questo.  Vede, Hofler, questa è la testa…il becco…”
“…Ah”
“Capitano? È sicuro sicuro?”
“Lei cosa ci vede?”
“Non lo so, per questo chiedevo a lei”
“Provi a mostrarle a Weisz, Jager e Achen”
“Dice che posso?”
“E’ un modo gentile per chiederle di levarsi dalle palle”
questa frase l’avevo imparata dal Colonnello. Come esternazioni è il mio punto di riferimento.
“Ottima idea, Capitano, vado subito a chiedere un loro giudizio estetico!”
Inutile dire che ricevette solo un borbottio irritato da parte di Tom e nessun giudizio da parte di Martin e Klaus che, ovviamente, erano svaniti nell’etere.
 

In questo spirito di decadenza collettiva nemmeno i migliori dei pensieri riuscivano a sollevare i nostri morali. Eravamo come delfini spiaggiati sulla banchina da troppo tempo, con la pelle secca ed arsa dal sole il cui unico desiderio è tornare al mare anche se di esso non rimane altro che la più flebile delle memorie.
Eravamo migliaia di unità sparpagliate in un territorio enorme che talvolta si riunivano per soccombere coralmente e senza pietà. Dopo una primavera tranquilla (e, con tranquilla, si intendeva aver perso solo qualche centinaia di chilometri e migliaia di uomini) ci ritrovammo nuovamente a combattere con i fondi di magazzino, ovvero cannoni d’assalto con metà serbatoio ciascuno. Ci dissero di fingere che fosse un carro armato a tutti gli effetti…anche una carriola ha due ruote ma non posso definirla bicicletta, eh.
Ci stipammo al suo interno alla meglio, perché i posti erano solamente quattro e noi eravamo in cinque.
Quanto mi manca il vecchio e glorioso Panzer Tiger! Comodo e spazioso (per quanto fosse possibile in un carro armato, ovviamente) il cui boato faceva tremare la terra! Questa scatoletta infame sembra una bara.
Probabilmente lo sarà, per molti di noi.

 
 
Nonostante sia ostile, la vita avrà sempre il sopravvento.
Lo sperimentammo sulla nostra pelle, letteralmente.
Le prime avvisaglie le diede il caporale Fiete in un’afosa giornata di sole passata a grattarsi la schiena e mordicchiarsi le zampe. In quanto recluta canina nessuno diede per davvero peso a quei piccoli gesti.
Nemmeno quando Tom iniziò furiosamente a grattarsi lamentando forti pruriti ci credemmo.
“Capitano!” piagnucolò il pilota guidando con una sola mano, impegnando l’altra in un feroce sfregamento di unghie sul collo.
“La tua bestia rognosa mi ha passato le pulci!”
“Impossibile. Il caporale Friedrich von Russland che, le ricordo, è stato insignito dell’osso di ferro* nel ventinove febbraio millenovecento quarantatré…”
“Ma Febbraio non ha ventinove giorni!”
“Lo scorso anno si…”

Weisz corrugò la fronte, insospettito. Fece un calcolo veloce con la mano impiegata al volante (perdendo il conto tre volte) esordendo infine con: “potrà anche essere il soldato più valoroso del fronte ma ciò non toglie che possa avere preso le pulci!”
“Sono solo supposizioni, Weisz. Potrebbe essere il contrario” aggiunsi, grattandomi meditativamente il mento, dissimulando con eleganza il feroce prurito che attanagliava anche me.

 
 
La situazione prese una piega particolarmente brutta quando, sul calare della sera, la nostra compagnia incrociò un nutrito gruppo di T-34…quelli nuovi, che si differenziavano sostanzialmente dal vecchio modello per essere piacevoli come una ragade durante un’epidemia intestinale…senza contare l’abissale svantaggio dei nostri mezzi che avevano già qualche annetto alle spalle, oltre ad essere cannoni d’assalto e non carri…
Coraggiosamente decidemmo di affrontarli. Aspettavo questo momento con trepidazione, tra le notti insonni passate a sistemare questo perfetto piano per sfidare e vincere sul nemico in una situazione di estremo svantaggio.
Dopo la tenaglia a tenaglia, rivelatasi un indubbio successo, mi accingevo a mettere in atto la strategia ultima alla vittoria da fare impallidire perfino il vecchio Rommel.
“Adesso” la mia voce si fece sottile per la trepidazione.
“Dobbiamo adottare la tecnica del ratto marsupiale” ***
Spegnemmo il motore ed uscimmo dai carri. Gli altri soldati ci guardarono come se fossero pazzi e, per convincerli che la tattica fosse infallibile, li minacciai di portarli davanti alla corte marziale.
Non era priva di rischi ma…al diavolo, era la guerra. Se non avesse rischi non sarebbe tale.
Ci sdraiammo a terra, posizione a piacere purché fosse scomoda e scomposta.
In breve: ci fingemmo morti…e non fu facile.
In preda a forti pruriti l’intera compagnia non riusciva a stare immobile, se non per una manciata di secondi. Ad aggravare la situazione il Caporale Fiete (che, essendo un segugio altamente addestrato, non aveva mai creduto alla nostra tecnica) iniziò a leccarmi la faccia scodinzolando contento, invitandomi al gioco.
Da qualche parte…santo cielo, quel dannato cane aveva trovato e dissotterrato un osso lungo, inquietantemente umano, che mi consegnò quale bottino di guerra. Non potendo accettare quel macabro dono, il Caporale lo portò in un luogo più sicuro, accomodandosi per spolparlo con inaudita gioia.
Gli insegnamenti di Maik Gerste! Il ricordo mi fece orribilmente sorridere.
Ma! Dovevo continuare a simulare la mia magnifica morte.
Che, per altro, funzionò, poiché i russi non si accorsero di noi e continuarono beatamente per la loro strada.
Quando diedi l’ordine di risollevarsi alcuni continuarono a giacere per terra.
Preoccupato, andai a controllare il loro stato di salute: non c’è niente di meglio di una sessione ripetuta di calci negli stinchi per riportare in vita i sedicenti morti. Improvvisamente le loro bocche si riempirono di imprecazioni e i loro occhi di vita.
“Perdoni il francesismo, Capitano, ma questa…sua nuova tattica è una vera merda” lamentò Tom, mettendosi seduto per spolverare la sua casacca pregna di terriccio umido.
“Dica quello che vuole, Weisz. Per sua fortuna non so il francese…e non dovrebbe saperlo nemmeno lei, essendo la lingua del nemico traditore”
Lo lasciai boccheggiare, schiumante di rabbia, soddisfatto nel sapere che, ad un suo eventuale dibattito, avrei potuto minacciarlo con la vecchia e cara corte marziale.
Tra tutti ci fu un tale, un certo Graf, che, indubbiamente, spiccò nella sua simulazione di morte apparente.
“Guardi, tu!” mi additò il pittore con un sillogismo di sfacciato rispetto nei miei confronti, precedendomi oltretutto nel calciare il pover'uomo con forza.
“E’ così bravo a simulare! Pensa, ha perfino gli occhi girati all'indietro!”
“Credo sia morto per davvero…”
azzardai, piegandomi sul poveretto. Era noto a tutti che Graf soffrisse di qualcosa, ma nessuno aveva mai capito cosa. Nel dubbio, continuava a combattere perché riusciva a stare in piedi nonostante fosse zoppo e avanti con gli anni.
“Si è fatto prendere dalla mano…beh, in fondo sapevamo tutti che ci credeva un po’ troppo in queste cose” continuò Michael il pacifista, che nessuno menzionava mai perché la sua unica caratteristica era quella di essere contro qualsiasi tipo di assassinio, cosa piuttosto controproducente in guerra.
“Si! Perché era zoppo e malato doveva essere meglio di tutti gli altri!” continuò il pittore con una nota di gelosia nella sua voce. Come se quel pover’uomo avesse qualche merito nell’essere morto durante una simulazione della stessa.
“A quanto pare doveva essere piuttosto competitivo” conclusi, rialzandomi da terra e abbandonando il poveretto al suo destino.
Approfittammo della dipartita di Graf per ripetere, ancora una volta, la procedura di emergenza nel caso della mia tragica e prematura dipartita, con tanto di cerimonia di sepoltura sotto un albero.
Riprendemmo il nostro cammino lasciandoci alle spalle il nostro luttuoso camerata la cui morte, per altro, fece indignare più di un commilitone, in quanto performance ben riuscita. Dovetti sforzarmi per capire come potessero invidiare un morto.
Semplicemente, stavamo cadendo inesorabilmente a pezzi. Nelle nostre menti, nelle nostre teste, si susseguivano ininterrottamente spiacevoli immagini dai colori violenti, dove il rosso era davvero rosso ed il blu era intenso come il cielo.
Però…eravamo qualsiasi cosa, ma non pazzi. Se lo fossimo allora avremmo il piacere a continuare questo circolo pedissequo di attesa e morte, nonostante sia spaventoso pensare a cosa potrebbe succedere quando tutto ciò inevitabilmente giungerà ad una fine.
Ah! Il prurito mi sta facendo impazzire. Vorrei rasarmi ma non posso rinunciare alla mia ariana chioma in questo modo. Penso farò come Michael il pacifista, che non si lavava da due anni per non uccidere i suoi piccoli amici infestanti.
I miei parassiti, però, avevano buon gusto. Le pulci più sofisticate e fortunate di tutto il fronte orientale!






Note:

*
 Citazione al "secondo tragico Fantozzi"
** Henri Cartier-Bresson e Robert Capa furono tra i fotografi più importanti del novecento, molto attivi durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra. Nulla hanno a che vedere con la pittura ma i personaggi di questa storia non sono particolarmente ferrati nell'arte...
*** Opossum, per intenderci.
 
   
 
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