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Autore: Old Fashioned    29/09/2018    16 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Resen-Lhaw 3 Gente,
eccomi qui con un nuovo capitolo del mappazzone fantasy. Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono, mi leggono o gentilmente mi commentano.






Capitolo 3


Il giorno dopo il cielo era sempre grigio, ma non pioveva. La pianura però era fradicia d’acqua e negli avvallamenti del terreno si erano raccolte piccole pozzanghere torbide. Le ruote dei carri lasciavano solchi sul nastro di terra battuta che fungeva da strada.
Res si guardava intorno. Era improbabile che arrivassero altri tanroth-ath, la fine dei primi doveva aver insegnato agli altri che il gruppo di umani era da lasciare in pace, ma quelle belve non erano l’unico pericolo della regione.
Stavano marciando da un po’ quando vide un’aquila solcare il cielo. Il rapace volò dritto fino a oltrepassare la colonna, poi virò e tornò indietro. Al secondo passaggio notò che era più piccola delle aquile del Daishrach e aveva un piumaggio più chiaro.
Alla vista dell’uccello, il capitano Arahad estrasse l’arco e lo armò, quindi incoccò una freccia e lo cercò con gli occhi.
Res vide il principe Dewrich raggiungere al galoppo l’ufficiale. Dalla coda della colonna non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, ma si accorse che il principe aveva alzato la voce. Il capitano mise via la freccia, poi tolse la corda all’arco e lo ripose.
Nessuno sembrò fare caso all’episodio, e la marcia proseguì come se non fosse successo nulla.
Non doveva mancare molto, ormai. Pian piano la falesia era passata dal rosso scuro al grigio piombo e di pari passo si era fatta più ripida e imponente. Ormai era una parete scabra che nei rari momenti in cui il cielo era libero dalle nuvole proiettava sulla via un’ombra nera e densa come pece.
Chi ne aveva la possibilità cercava di procedere fuori dal sentiero, verso la pianura aperta. Lasciati a se stessi, i cavalli e gli animali da soma tendevano a stare lontani da quella mole sinistra.
Anche gli uomini erano inquieti: Res si accorgeva che i commilitoni erano tesi, scattavano per un nonnulla e per cose altrettanto futili si lasciavano andare a risate nervose e cariche di inquietudine.
Sembrava di essere nell’imminenza di una battaglia.
L’aria del resto si era fatta strana. Aveva un che di incombente, oppressivo. Era come se respirare costasse più fatica del normale.
Il soldato si guardò intorno: forse era la magia di cui era impregnata la zona del Primo Tempio. Tutto lì risentiva della sua presenza, non c’erano animali, o tracce di essi, l’erba si era fatta ancora più rada e dura. I rari cespugli che costellavano la pianura erano scomparsi del tutto.
Il vento intonava un canto mesto, che risuonava nelle orecchie carico di dolore e rimpianto.
Avevano ricominciato a tremargli le mani e sentiva il sudore scorrergli lungo la schiena: anche il suo problema si faceva sentire di più in quell’ambiente strano.
Un brillio in un ciuffo d’erba attirò la sua attenzione. Guardò in basso e vide che tra gli steli c’era un piccolo oggetto di metallo. Si chinò a raccoglierlo, lo osservò: era un chiodo da maniscalco, con la testa quadrata resa lucida dall’uso. Era piuttosto lungo, segno che era stato forgiato per un cavallo pesante, forse addirittura per un destriero da guerra. Non doveva trovarsi lì da molto, dato che gli agenti atmosferici non avevano ancora fatto in tempo a renderlo opaco.
Rimase perplesso: i nomadi di As’del, che spesso sconfinavano in quei territori, non avevano l‘usanza di ferrare i cavalli, quindi quel chiodo non poteva essere caduto durante una scorribanda di predoni.
D’altra parte, se dal Daishrach o dal Theythrim fosse partita una spedizione diretta in quelle zone, si sarebbe venuto sicuramente a sapere, data la concomitanza con la spedizione reale.
Ripose il piccolo oggetto, riproponendosi di parlarne alla prima occasione con il capitano Arahad.

La senti?” stava dicendo frattanto Cresdan. “La senti, principe?”
Che cosa, maestro?”
La magia! È dappertutto.”
Herich annuì, poi si passò una mano fra i capelli, tirandoseli indietro. Nonostante fosse freddo si sentiva avvampare, e il taglio che gli segnava il viso aveva ricominciato a bruciare.
Il cielo si era nuovamente coperto, in lontananza brontolavano dei tuoni, ma non spirava un filo d’aria. La pianura si perdeva in un crepuscolo livido. “Quando arriveremo?” chiese.
Se Dras ci assiste, questa sera dormiremo ai piedi del Primo Tempio.”
Il ragazzo si voltò verso il precettore: “E poi cosa succederà?”
L’altro gli sorrise. “Hai paura, per caso?”
Herich chinò la testa. “Un po’.”
Per la cerimonia che devi compiere o per quello che verrà dopo?”
Entrambe le cose, credo.” Poi, dopo una pausa: “Anzi, più per la seconda.”
Ti capisco. Ma è normale, nessuno è tranquillo quando viene qui. C’è molta magia qui intorno, e la magia rende tutti nervosi. Ci mette a nudo per come siamo veramente, costringe a pensare a noi stessi, e non sempre in termini positivi.”
Passò qualche istante di silenzio, l’aria era sempre fredda e immobile, gli unici rumori che si udivano erano lo scalpiccio degli zoccoli e lo scricchiolio del cuoio dei finimenti. Alla fine Herich chiese: “Tu sei già stato qui, maestro?”
Tanti anni fa, quando sono stato ordinato chierico. Ma non sono entrato nel Primo Tempio, lì possono entrare solo i membri della famiglia reale prescelti da Dras.”
E se ci entra qualcun altro cosa succede?”
L’altro si sporse sulla sella per fissarlo negli occhi. “Che domande fai, Herich? Nel Primo Tempio può entrare solo chi è designato da Dras. Sarebbe come se qualcuno invitasse ospiti a casa propria: è ovvio che vuole solo quegli ospiti, non chiunque passi per di lì.”
Il ragazzo chinò la testa. Non era certo di condividere quel ragionamento, per come la vedeva lui ogni fedele aveva diritto a entrare in un tempio del dio che venerava, tuttavia si limitò ad annuire in silenzio. Era stanco, la lunga giornata di viaggio cominciava a farsi sentire, l’atmosfera particolare del luogo gli stava pesando sulle spalle come un mantello fradicio, per cui preferì non replicare.

Ci volle ancora un’ora di marcia, poi Herich si accorse che la falesia era tagliata da una lunga spaccatura verticale, come se un gigante l’avesse tranciata in due con un colpo d’ascia. Dopo quella fenditura proseguiva perdendosi all’orizzonte.
L’atmosfera, nel frattempo, si era fatta ancora più densa e opprimente, e nella luce che andava scemando non c’erano altri rumori a parte quelli prodotti dalla colonna in movimento.
Dewrich passò al trotto, drizzandosi sulle staffe per vedere meglio la gola. “Sembra che ci siamo, alla fine!” esclamò. Spronò il cavallo e scomparve verso la spaccatura della falesia.
Il chierico scosse la testa e disse: “Sempre così: impulsivo e impaziente. Ci saresti dovuto entrare tu per primo nella valle di Os’lak.”
Herich lo fissò preoccupato. “E quindi cosa succederà se è entrato lui?”
Cresdan sorrise bonario. “Niente. Dras avrà la pazienza che manca a lui e, bontà sua, non lo fulminerà.”
Nel frattempo si stavano avvicinando alla fenditura. Herich cominciò a intravedere una struttura che sembrava una specie di gigantesca colonna svettante su tutta la pianura.
Quando furono in grado di vedere al di là della falesia, il ragazzo non poté trattenere un’esclamazione di meraviglia: dal terreno sorgevano tre enormi costruzioni alte e strette, una più grande centrale e due più piccole ai lati e arretrate rispetto alla prima. Esse avevano le pareti completamente lisce, a parte una lunga fenditura verticale che dalla porta di ingresso arrivava fino alla sommità, decine di piedi più in alto. Lunghe scalinate scavate nella pietra conducevano a ognuno degli edifici.
Non appena si affacciarono, il cielo immobile prese a ribollire di nubi scure, che si addensarono intorno alla sommità dei tre templi. Tra i turgidi nembi cominciarono a crepitare dei fulmini azzurrini, illuminando la zona circostante di un bagliore gelido.
La puledra scartò innervosita. “Buona,” disse subito Herich, battendole la mano sul collo, ma l’animale appiattì le orecchie e cominciò a indietreggiare, tanto che Cresdan, il cui mulo stava invece assistendo imperturbabile al fenomeno, dovette sporgersi e afferrarla per le redini.

Le nubi stavano girando in tondo sulla cima dei tre templi e lanciavano fulmini contro di essi. Le scariche non li danneggiavano e si incanalavano come acqua lungo la fenditura che tagliava la facciata degli edifici dall’alto in basso, e a seconda della loro potenza si avvicinavano di più o di meno alla porta d’ingresso.
Res osservò ciò che stava accadendo senza curiosità. La magia di cui la zona era pervasa accentuava il suo problema, per cui aveva i muscoli doloranti, la bocca secca e sudava copiosamente nonostante il freddo. Strinse i denti ben deciso a non far trapelare nulla, ringraziando che nessuno l’avesse così a cuore da voler sapere se stesse bene o male.
Il fenomeno pian piano si esaurì, le scariche smisero di illuminare la zona e le nubi interruppero il loro moto vorticoso. Sulla scena ritornò la stessa calma immobile di poco prima.
Questo era Dras che ci salutava,” sentì dire al chierico. Represse a fatica un’imprecazione.
Non appena Arahad diede l’ordine di approntare il campo, si diresse verso uno dei carri e cominciò a scaricare il necessario. Si sentiva esausto, ma almeno la fatica fisica l’avrebbe distolto dai pensieri, che tornavano particolarmente tormentosi e insistenti quando il suo problema per qualche motivo si aggravava.
Ehi, tu!” si sentì chiamare.
Si voltò e vide il sergente con i pugni puntati sui fianchi. “Sergente?”
Prendi quel carro!” ordinò il sottufficiale indicando il veicolo civile coperto dalla tela cerata, “Il principe vole che sia scaricato subito.”
Sì sergente.”
E vedi di non rompere niente, altrimenti ti romperò io la schiena con la frusta.”
Res, che era tutta la testa più del suo interlocutore, senza particolare emozione rispose: “Sì, sergente.”
Abbandonò quel che stava facendo, prese per le redini il cavallo che trainava il carro e lo condusse verso il principe Dewrich. Questi gli ordinò di scaricare ciò che c’era sul pianale in una zona dove la parete di roccia si incavava formando una larga grotta. “Così saremo al coperto anche se dovesse piovere,” disse.
Sì, principe,” rispose il soldato.
Ora prendi le anfore e allineale lungo la parete. Vedi di non romperle.”
Sì, principe.”
E vedi di non rubarne una, guarda che le ho contate.”
Io non bevo, principe.”
Questa è bella, un soldato che non beve! Beh, vedi di non rubarne una da portare ai tuoi compagni, allora.”
Res non rispose. Si limitò a prendere un paio di anfore, una sotto ogni braccio, e a portarle in un angolo della grotta. Ripeté il percorso fino a che il pianale non fu completamente vuoto. A questo punto si inchinò al giovanotto in armatura, che per tutto il corso dell’operazione non gli aveva tolto gli occhi di dosso e gli disse: “Ho finito, principe.”
Ora le ceste di provviste.”
Sì, principe.”
Anche quelle finirono accanto alle anfore.
Alla fine, Dewrich gli disse: “Sei stato meno stupido di quello che pensavo. Puoi andare.”
Il soldato si limitò a inchinarsi, quindi raggiunse il plotone.
Nel frattempo era stato distribuito il rancio e tutti stavano mangiando. “Non c’è rimasto niente per te!” lo accolse una voce. Alla frase seguirono delle risate.
Se vuoi, c’è del pane secco.” disse un altro “Va bene per i cani come te!”
Una pagnotta arrivò in volo e rimbalzò a terra davanti ai suoi piedi.
Senza un parola, Res si chinò a raccoglierla e si allontanò nel buio.
Era seduto davanti alla sua tenda quando una voce lo chiamò. Stupito, si voltò in quella direzione. “Principe?” chiese.
Herich si fece avanti. Aveva in una mano un involto e nell’altra una piccola lanterna. La fiammella tremolante gli illuminava il viso dal basso, facendo sembrare ancora più trasparenti i suoi occhi cerulei. Si morse il labbro inferiore come faceva sempre quando era imbarazzato.
Che c’è, principe?” lo incoraggiò.
Il ragazzo gli rivolse un lieve sorriso. “Tu una volta mi hai aiutato, ora io aiuto te.” Appoggiò l’involto ai suoi piedi e corse via.
Quando se ne fu andato, Res lo aprì e non poté fare a meno di sorridere fra sé e sé: c’erano dentro pasticcio di carne, confettura, frutta secca e focaccia, ovvero quello che probabilmente gli era stato servito a cena. Doveva essersi accorto in qualche modo che gli avevano impedito di mangiare, e quindi vi aveva rinunciato, del tutto o in parte, per portarlo a lui.
Mangiò tutto, più per non mortificare il ragazzo che per fame, e poi si raggomitolò coprendosi col mantello.

§

Herich si alzò all’alba. Aveva dormito poco e male, rigirandosi in preda all’agitazione e all’aspettativa per la maggior parte della notte. Ricordava però che in uno dei pochi periodi di sonno aveva sognato Resen-Lhaw: l’aveva visto come sempre di spalle, sulla scogliera a picco sul golfo di Brielar.
L’eroe non si era voltato, ma una voce gli aveva detto: Si rivelerà nel momento del bisogno.
Si aggirò un po’ stranito nella tenda, chiedendosi se si trattasse di un sogno premonitore. Fuori cominciavano a farsi sentire i primi suoni dell’accampamento che si stava svegliando, il tramestio dei soldati, qualche ordine gridato, qualche nitrito. Da una fessura, in una luce lattiginosa che toglieva ombre e contrasti, riusciva a vedere i tre templi. Alla base della scala che portava al più grande c’era una piattaforma naturale di roccia e su di essa c’era Cresdan, in grandi paramenti, che salmodiando a mezza voce accendeva delle candele. Le prendeva una ad una da un cesto, appiccava fuoco allo stoppino, inclinandole faceva colare un po’ di cera sulla pietra e poi ve le incollava sopra. Doveva aver cominciato molto prima del sorgere del sole, perché ormai la piattaforma ne era quasi completamente coperta e alcune candele erano ridotte a mozziconi consumati. Rivoli di cera bianca serpeggiavano sulla pietra e si raccoglievano al suolo in piccole colate.
Non volendo disturbarlo, Herich si ritrasse evitando di uscire dalla tenda.
Sedette sul letto con le mani in grembo e prese in considerazione l’idea di vestirsi, saltare sul primo cavallo che trovava e allontanarsi nella steppa.
Mentre era immerso in quelle angosciose meditazioni, entrò Dewrich. “Buon giorno, fratello!” lo salutò allegro. “Sei pronto?”
A quella domanda, Herich quasi trasalì. “No, non credo di esserlo,” mormorò.
L’altro si spostò fino a chinarsi con un ginocchio a terra di fronte a lui. “Ma devi,” gli disse, fissandolo negli occhi.
Il più giovane si limitò a distogliere lo sguardo.
Passò qualche secondo di silenzio, poi l’altro gli chiese: “Ricordi quando abbiamo duellato?”
Sì.”
Ebbene, ci sono situazioni nella vita in cui non ha importanza se sei preparato o no per affrontare quello che sta arrivando: lo devi affrontare e basta, con i mezzi che hai, sperando che siano sufficienti. Come in guerra. L'avversario non ti colpirà certo più piano, se si accorge che non sei alla sua altezza.”
Questo lo so, fratello.”
Bene, allora fa quello che devi e smetti di frignare. Nessuno verrà a farlo al posto tuo.”
Herich lo fissò speranzoso. “Neppure tu, fratello?”
Dras ha scelto te,” fu la lapidaria risposta. Poi Dewrich si alzò in piedi. “Ha scelto te,” ripeté duro, “quindi vedi di non deluderlo.” Fece per andarsene, poi però si fermò e si voltò a fissare Herich. “Non pensare che questo sia un gesto crudele nei tuoi confronti,” gli disse. “Per quanto ti possa sembrare strano, io adesso ti sto aiutando. Ti impedisco di aggrapparti a qualcuno più grande di te come hai sempre fatto nella tua vita, ti spingo a camminare con le tue gambe. Un giorno mi ringrazierai per questo.”
Uscì.
Herich rimase solo nella tenda, e di nuovo ponderò l’idea di saltare sul primo cavallo e scappare lontano. Per quanto si ripetesse che comunque suo padre Evertas avrebbe regnato ancora molti anni, anni che avrebbe potuto utilizzare con profitto per apprendere e accumulare esperienza, sapeva perfettamente che da quel momento in poi la sua vita non sarebbe più stata la stessa, e quel cambiamento gli faceva paura.
In quel momento, entrò nella tenda Cresdan. “Principe, sei pronto?” chiese.

Schierato con gli altri a qualche centinaio di passi dal tempio, Res era in posizione di riposo, con lo scudo rettangolare appoggiato contro la coscia e la mano sull’impugnatura della spada. La lorica e l’elmo, lucidati per almeno un’ora, brillavano come uno specchio.
Incorniciate dalla valle, le tre costruzioni si ergevano maestose. Ai due lati della porta di quella centrale erano stati accesi dei fuochi, che davano alla pietra grigio-azzurra una tonalità vagamente dorata.
Sebbene fosse giorno fatto, vi era nell’aria una luce livida. Le nubi si stavano addensando sopra le tre costruzioni e già le prime folgori avevano preso a crepitare sulla sommità. Nella scanalatura della facciata scendevano fugaci rivoli di luce.
Accompagnato dal chierico, il principe si presentò all’inizio della scala di pietra. Res lo osservò: era pallido, aveva l’espressione tesa. Immaginò che avesse paura. Indossava uno strano copricapo di piume rosse che gli ricadeva fin sulle spalle e un abito nero dal colletto rialzato, ornato di ricami. Dovevano essere vesti cerimoniali.
Il corpulento sacerdote gli mise un braccio intorno alle spalle. Il soldato vide che gli indicava il tempio e parlando annuiva con decisione, voltandosi di tanto in tanto verso il ragazzo, come per indurlo a fare altrettanto.
Alla fine gli rivolse un inchino e si allontanò.
Il principe rimase solo alla base della scala. Alla sua destra, il piano coperto di candele tremolava sotto l’effetto della brezza che si stava alzando.
Le nubi si addensarono ulteriormente, fulmini poderosi, che si abbattevano con scoppi che laceravano le orecchie, cominciarono a tempestare la cima dell’edificio. Il canale di luce andò facendosi sempre più intenso.
L’entrata del tempio, un altissimo arco a sesto acuto, all’improvviso si aprì, proiettando un bagliore dorato sugli ultimi gradini della scala.
Il ragazzo prese a salire. Camminava lento, sembrava che ogni passo gli pesasse come piombo. A un certo punto addirittura si fermò, poi si voltò indietro, come se stesse cercando qualcuno. Fece scorrere lo sguardo sui ranghi e Res ebbe l’impressione che stesse cercando lui.
A rischio di attirarsi le ire del sergente, piegò appena la testa, come per fargli capire che lo stava seguendo. Il ragazzo sorrise, poi si girò e riprese la salita.

Fermo davanti alla porta, Herich strinse gli occhi e spostò indietro le piume rosse che, come i capelli, per l’ennesima volta gli erano finite davanti al viso.
Cercò di vedere qualcosa al di là della soglia, ma aveva l’impressione di essere affacciato su una stanza completamente vuota.
Si era immaginato un altare, statue imponenti, o magari una scala che conducesse da qualche parte, invece oltre la porta non c’era niente di tutto ciò.
Si chiese cosa significasse. Cresdan non gli aveva detto quasi nulla su ciò che sarebbe successo, sostenendo che sarebbe stato Dras in persona a rivelargli ciò che doveva fare o non fare, ed egli si trovò a chiedersi cosa sarebbe accaduto se il dio dai mille volti invece di dargli istruzioni si fosse limitato a stare a guardare cosa avrebbe fatto.
Fece un passo oltre la soglia.
Di colpo si trovò in un paesaggio innevato e illuminato da una splendida luna piena. Ai suoi lati c’erano rocce aguzze, mentre proprio di fronte a lui, su una cresta impervia e ghiacciata, si ergeva una struttura circolare che sembrava un colonnato. Sopra di essa si trovava un enorme trono, sul quale era seduto un uomo imponente e barbuto, grigio come la pietra che lo sosteneva, con abiti regali e una lancia nella mano destra.
Herich rimase a contemplarlo meravigliato, chiedendosi se fosse una statua o una creatura vivente. Si accorse di non provare paura. Il freddo pungente non lo faceva rabbrividire, ma gli donava una piacevole sensazione di vitalità.
Chi sei?” chiese.
La figura si mosse. “Io sono il volto che tu vuoi vedere,” rispose.
Il ragazzo si avvicinò. Per quanto fosse illuminato da tergo, quindi con il viso in ombra, il suo misterioso interlocutore aveva senza dubbio le fattezze di re Evertas. Gli abiti erano gli stessi di quando il re dava udienza nella sala del trono e anche la posizione sullo scanno. “Padre?” disse stupefatto.
Seguì qualche secondo di silenzio, infine giunse la risposta: “Vedi il padre perché lo cerchi e lo brami. Speri in qualcuno che ti dica cosa devi fare. Ma tu sarai re e dovrai essere tu il padre dei tuoi sudditi.”
Herich chinò la testa. “Ma io non sono pronto,” mormorò.
Ci sono cose per cui nessuno è mai pronto, e tuttavia vanno portate a compimento.”
Come morire?”
Come morire.” confermò la figura.
Il ragazzo si avvicinò ancora, ormai era ai piedi della cresta di roccia. “Ma il mio morire, vedi, non influirebbe sul benessere e la sicurezza di migliaia di persone, mentre il mio cattivo governo sì. Posso anche accettare di andare al cospetto di Dras, ma non di condannare i miei sudditi alla miseria e alla sofferenza per colpa della mia incapacità.”
Sei già al cospetto di Dras.”
Herich, che stava per aggiungere altro, tacque e deglutì a vuoto. “Allora sono… morto?” osò chiedere dopo un po’.
Per rinascere.”
Che cosa significa?”
Oggi muori come principe e rinasci come re. Ti darò una corona, essa avrà occhi per vedere e orecchie per udire, e mani per soccorrere. Sarai per il tuo popolo un padre misericordioso.”
La figura sollevò la mano che non reggeva la lancia e la volse con il palmo verso l’alto. La luce della luna sembrò condensarvisi sopra, creando una sfera pulsante nella quale pian piano cominciarono a formarsi delle diafane volute che si torcevano e si intrecciavano.
Nel corso del processo lo splendore del globo divenne così forte che Herich dovette coprirsi gli occhi con una mano.

Si ritrovò sdraiato a faccia in giù nella sala del tempio, ancora con una mano sugli occhi. Si alzò lentamente, si guardò intorno: non c’era più il paesaggio innevato, la temperatura era confortevole. Dall’alto proveniva una fioca luce dorata. Al centro della stanza c’era un supporto di pietra sul quale era posata una corona di un metallo bianco che poteva essere platino o argento estremamente puro. Su di essa erano raffigurati tre fra i Wenos più potenti: Folan che tutto vede, Cavach che tutto ode e Undiah Mano di Dras.
Grazie,” mormorò.
La luce ebbe un’oscillazione.
Herich raccolse con mani tremanti la corona. Le figure erano così realistiche che davano l’impressione di guizzare sul metallo come animate di vita propria. Cresdan gli aveva spiegato, in una delle lezioni che gli aveva impartito durante il viaggio, che le corone erano oggetti magici, in cui Dras infondeva dei poteri, diversi a seconda delle figure che vi venivano rappresentate.
Il fatto che il dio avesse scelto per la sua corona i Wenos, ovvero i suoi aiutanti più fedeli, faceva capire che avrebbe guardato al suo regno con benevolenza.
Si passò una mano fra i capelli per spostarseli dal viso, e così facendo si rese conto di non avere più il cimiero di piume rosse. Forse Dras se l’era tenuto in cambio della corona. Si ripromise di chiederlo a Cresdan.
Uscì dal tempio. Il cielo era coperto, ma i fulmini avevano smesso di crepitare e c’era una luce cupa come di crepuscolo. Sulla pietra alla base della scala non c’erano più candele accese, ma solo uno strato di cera solidificata. I soldati erano ancora dove li aveva lasciati e il suo primo pensiero fu che probabilmente erano più di quattro ore che aspettavano lì in piedi impalati.
In armatura completa, i capelli sciolti sulle spalle, Dewrich gli si fece incontro. “Fammi vedere la corona, fratello,” gli disse per prima cosa. Herich gliela depose in mano senza esitare, poi lo oltrepassò e raggiunse il plotone schierato. Si guardò intorno ansiosamente. “Capitano Arahad?” chiamò.
L’ufficiale si fece avanti. “Altezza?”
Capitano, fa riposare gli uomini. Non serve a nulla che stiano qui schierati, non corro pericoli.”
Non si può mai sapere, altezza.”
In quel momento sopraggiunse alle sue spalle Dewrich, che disse: “Herich? Puoi venire un momento, per favore?”
Sì, fratello.”

Res seguì con lo sguardo i due principi che si allontanavano. Per quanto il maggiore cercasse di tenere la voce bassa, si sentiva chiaramente che stava redarguendo il più piccolo. L’altro, che ancora non aveva preso confidenza con la propria condizione di futuro sovrano, lo ascoltava a testa china incapace di ribattere.
Mentre seguiva quello scambio, il soldato udì un grido di rapace. Girò lo sguardo verso la provenienza del suono e vide un’aquila posarsi su uno spuntone di roccia poco lontano. L’animale arruffò le penne sul collo, si scrollò e poi rimase immobile. Res ebbe l’impressione che stesse scrutando i dintorni.
Poco dopo i due fratelli fecero ritorno. Il più grande stava dicendo: “Voglio dimostrarti che ho a cuore il benessere dei soldati, Herich, e che ho pensato anche a loro quando ho caricato le derrate per festeggiare.”
Davvero?”
Certamente.” Poi, a voce più alta: “Capitano Arahad, metti gli uomini in libertà. Questa sera tutti berranno alla salute del futuro re!”
Res notò che l’ufficiale sembrava decisamente poco convinto. Continuava a guardarsi intorno, e un paio di volte fissò l’aquila con astio. Il soldato immaginò che le avrebbe volentieri tirato un colpo di balestra, se non avesse ricevuto un espresso divieto in tal senso dal principe.
Attese l’ordine di rompere le righe, poi si recò da lui. “Capitano, posso parlarti?” gli chiese.
Che cosa vuoi?”
Res gli mostrò il chiodo che aveva trovato. “Qualcuno è stato qui da poco, capitano.”
L’altro si rigirò il piccolo pezzo di metallo fra le dita. “Predoni di As’del?”
Non ferrano i cavalli, capitano.”
Quindi chi può essere stato? Dei fedeli?”
Non so se qui vengano dei fedeli a pregare.”
Arahad lanciò uno sguardo ai templi, che svettavano minacciosi nell’oscurità incipiente, e disse: “Non ci sono tracce qui intorno e in questa pianura si vedrebbe un uomo a cavallo a una lega di distanza.”
Sì, di giorno. Di notte non lo so, capitano.” Poi, dopo una pausa: “E adesso abbiamo con noi l’erede al trono del Daishrach e la sua corona.”
L’ufficiale emise un sospiro e si voltò verso Herich, che sembrava assorto in una conversazione con il fratello. “Raddoppierò le sentinelle,” disse semplicemente.

Non appena calò la notte, Dewrich diede ordine di accendere dei grandi fuochi davanti al Primo Tempio. Il capitano Arahad provò a protestare, facendogli notare che mancando la palizzata il bagliore delle fiamme sarebbe stato visibile fino a grande distanza, ma il principe lo zittì e fece portare presso i falò le anfore e le ceste che aveva ordinato di stivare nella grotta. Nelle prime c’era il vino migliore di tutta la città di Dyat, quello che veniva servito solo alla tavola del re, e nelle seconde c’erano cibi di ogni genere: salsicce, pasticci, dolciumi, confetti, frutta secca e altro.
Prendetene tutti!” esclamò Dewrich, “festeggiate con me, amici miei!”
I soldati risposero con veementi acclamazioni, quindi cominciarono a servirsi con abbondanza.
Presto l’atmosfera divenne molto allegra, si improvvisarono canti in onore di Herich e della casa reale e nonostante i racconti di Res, tornarono le ballate su Resen-Lhaw e anche sugli eroi del passato.
Come al solito, il soldato sedeva in disparte. Da tempo non beveva più alcolici, perché il vino faceva diventare il suo problema più forte che mai, inoltre per vari motivi non amava stare in compagnia dei suoi commilitoni.
Rimase comunque a guardarli, se non con tristezza, comunque con un senso di estraneità malinconica.
Non poté fare a meno di notare, però, che i soldati da una parte sembravano in preda a un’euforia preoccupante e dall’altra, una volta esaurita la fase di eccitazione, piombavano in un torpore dal quale era difficile risvegliarli. Addirittura vide uno di essi cadere riverso accanto al fuoco, così vicino che se fosse stato lucido sarebbe saltato via con un urlo di dolore, e rimanere beato a ronfare fino a che non fu afferrato per la collottola e trascinato via.
Spostò lo sguardo sul principe Dewrich, e lo vide porgere una coppa traboccante al fratello. Questi dapprima si schermì, poi bevve qualche sorso, cominciando poco dopo a parlare forte e a barcollare.
Res aggrottò le sopracciglia e involontariamente si leccò le labbra: quelli erano gli effetti del tau’zeel, li conosceva molto bene.
Il principe Dewrich stava somministrando tau’zeel di nascosto a tutti.
Pensò al da farsi. Non poteva sapere cosa sarebbe successo, ma gli era ben chiaro che il drogare qualcuno a sua insaputa implicava intenzioni tutt’altro che buone.
Si allontanò adagio fino a scomparire nel buio e dalla nuova posizione rimase a osservare quello che stava succedendo intorno ai falò. Aveva diverse possibilità. La prima era quella di inforcare un cavallo, magari proprio il maledetto roano del principe, e partire al galoppo verso Dyat. O verso qualsiasi altro posto di sua scelta. Sarebbe diventato – o si sarebbe confermato – un vigliacco e un disertore, ma almeno si sarebbe salvato la pelle. Le labbra gli si stirarono in un sorriso amaro. Ma gli interessava, poi, salvare la pelle? Andare da qualche altra parte, ricominciare in qualche altro esercito, dato che non sapeva fare altro, sempre come l’ultimo dei marmittoni, disprezzato da compagni e considerato un idiota dai superiori?
Non gli interessava più, in effetti.
La seconda opzione era quella di unirsi agli altri. Non c’era più nessuno abbastanza sobrio da accorgersi di lui, avrebbe potuto ubriacarsi, avere finalmente tutto il tau’zeel che voleva e sperimentare un’ultima volta quell’inaudita, estatica e al tempo stesso terribile sensazione di assoluto piacere che conosceva così intimamente.
Poi sarebbe successo quel che doveva succedere, ma almeno avrebbe concluso in bellezza una vita di disonore.
Non si mosse, nemmeno quella possibilità gli andava bene.
La terza scelta, forse l’unica che a conti fatti poteva considerare accettabile, era quella di agire.
Ghignò di nuovo. Agire, come?
Si costrinse a ragionare lucidamente, nonostante il desiderio del tau’zeel gli ruggisse ormai nelle viscere come un incendio. Deglutì di nuovo, si sentì vacillare. Gli parve di cadere in uno stato di trance, e quando si riprese aveva la mano su una delle anfore. Saltò indietro come se avesse toccato del ferro rovente, con il cuore che gli martellava nelle orecchie. Deglutì di nuovo più volte, inghiottendo saliva che sembrava acqua. Aveva smesso da anni, ma in quel momento avrebbe ucciso anche sua madre, pur di avere un sorso di quel vino drogato.
Si fece indietro, un passo per volta, percuotendosi le cosce con i pugni più forte che poteva, per far sì che il dolore fisico lo distogliesse dalla brama per la sostanza.
Urtò con il tallone contro il primo dei gradini di pietra che portavano al tempio. Si voltò in quella direzione. “Dras...” ansimò. Non aveva mai pregato in vita sua, ma sentiva che la sua volontà stava venendo meno. “Dras, aiutami.”
Salì i gradini uno dopo l’altro, con i brividi che lo squassavano e la vista annebbiata. Sprazzi del passato lo assalivano come pugnalate, aumentando ogni volta il suo stato di agitazione.
Il tempio non era illuminato, ma la porta era aperta. Non si soffermò a considerare quella stranezza, si lasciò cadere all’interno e si rannicchiò in un angolo, mentre la sua mente sovreccitata continuava a ripetergli che doveva agire, agire, agire...


   
 
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