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Autore: satakyoya    30/09/2018    0 recensioni
Una ragazza che vive a Tokyo e nei giorni nostri, trascorre le giornate tranquille insieme alla sua famiglia e ai suoi nonni.
Ma suo nonno, prima della sua morte, gli raccontava una storia ambientata in un periodo storico giapponese non ben definito. Tutto quello che conosciamo adesso però in quel periodo non esistevano, le città erano villaggi e le case di legno che componevano i villaggi erano governate da qualcuno al di sopra degli abitanti.
La protagonista è una povera cameriera del castello della città di Wake, in Giappone, ma quella povera cameriera vivrà un'esperienza che nemmeno si aspettava e proverà emozioni che non ha mai provato prima.
Se siete curiosi leggete la storia e lasciatemi una recensione. Spero che vi piaccia!
[In questa storia sono presenti alcuni personaggi della Mitologia Giapponese]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nel villaggio in cui vivo, a Wake, la vita è tranquilla. Vi sono molte cose che sono normali, come gli abitanti che lavorano e la famiglia, ma ve ne sono altre che non lo sono, come la gerarchia sociale e il modo in cui le persone vengono considerate.
Che ruolo copro? In passato era quello di una serva del castello che governa il villaggio in cui io vivo, ma adesso qualcosa di più alto. Chi sono? Io sono Iris, una ragazza alta un metro e 70 cm, magra, capelli neri e occhi castani. Per capire meglio ciò che vi sto dicendo devo tornare indietro di cinque anni, quando appunto ero ancora una serva.
Dunque, a quel tempo io avevo 13 anni ed ero di famiglia molto povera. Il castello si trovava molto lontano da dove abitavo e per andarci dovevo svegliarmi molto presto in modo da essere là prima che i padroni si alzassero, lavoravo là insieme ad altre tre ragazze e una donna di mezza età, con capelli e occhi castani, di nome Sara, che ci dava gli ordini. Facevo quella vita da quando avevo otto anni e  mi ci ero abituata.
Il proprietario del castello era Hiroshi Fujiwara, un uomo sui 65 anni, paffuto e con barba e capelli bianchi, molto severo e rigido quando prendeva delle decisioni. Non era ben visto da coloro che controllavano i territori intorno a suo, ma da quando lavoravo là lui mi era sempre sembrato un bravo padre che riusciva sempre a gestire molto bene tutto ciò di cui era responsabile. in più vi erano tre giovani (io e le altre cameriere li chiamavamo sempre padroncini)che erano figli di Hiroshi e si chiamavano Inari, Isao e Jun. Noi pensavamo che uno di loro fosse il vero figlio di Hiroshi ma non si era mai capito con certezza chi fosse, anche se credevamo fosse Jun.
Era pomeriggio tardi e ciò che stavo facendo in quel momento era pulire tutti i vetri del castello da sola. O meglio, tutti quelli che riuscivo a in quella giornata. Avevo iniziato alla mattina presto e non mi sembrava possibile non aver ancora finito. Fuori c’era molto caldo e il sole batteva proprio contro la finestra che stavo facendo.
Passai una mano sulla fronte e ripresi a pulire i vetri di un corridoio del primo piano quando all’improvviso vidi venire verso di me i tre padroncini. Al loro passaggio io mi fermai, mi girai verso di loro e mi inchinai in avanti. Erano tutti e tre molto affascinanti e molto intelligenti. Al contrario di me loro erano molto ricchi, molto istruiti e molto conosciuti, mentre io non sapevo leggere e dovevo lavorare per poter vivere. Inari era un ragazzo alto 10 cm in più di me, era magro, aveva i capelli neri e gli occhi marroni. Isao era un ragazzo alto come Inari e aveva i capelli biondi e gli occhi verdi. Jun invece aveva i capelli bianchi, gli occhi azzurri ed era alto come me. Inari e Isao avevano 14 anni mentre Jun ne aveva 15 ed avevano tutti e tre indosso dei vestiti bellissimi e molto aderenti.
Quello che ame piaceva tra i tre era Jun perché anche se all’apparenza non sembrava, lui era persona molto tranquilla, gentile e disponibile. Dopo che tutti e tre mi passarono davanti io tornai a lavorare, ma quando mi girai sentii una strana sensazione. La percepii per un paio di secondi, ma quando mi girai per controllare non vidi nessuno.
“Che strano… credevo che qualcuno mi stesse fissando…” dissi tra me e me.
Vidi che nella stessa direzione da cui i padroncini erano arrivati stava arrivando, con passo veloce, il padrone Hiroshi. Aveva in volto un’espressione molto felice, come se fosse successo qualcosa di molto bello ed importante. Lui mi passò davanti ed io mi inchinai, ma non si accorse di me e continuò a camminare velocemente fino ad entrare nella stessa stanza in cui erano i padroncini.
“Inari! Isao! Jun! Dove siete!” disse Hiroshi camminando. Arrivato davanti alla porta disse: “Oh eccovi. Ragazzi ho una grande notizia per voi.”
Dopo quelle parole non riuscii più a capire ciò che lui e i padroncini stavano dicendo, percepii solo le voci ma non ci diedi molta importanza. Il pomeriggio passò ma nessuno di loro si spostò da quella stanza fino a quando non fu ora di cena. Misi lo straccio che stavo usando dentro il secchio e smisi di pulire per andare in cucina a preparare la cena. Scesi le scale e quando arrivai in cucina notai che altre due ragazze avevano già iniziato a preparare da mangiare. La cucina era piccola ed era composta da un mobile lungo due pareti, il lavandino, i fornelli e il forno in fondo al mobile, un tavolo in legno al centro della stanza e delle sedie ai fianchi del tavolo.
Una ragazza si chiamava Emma, era alta come me, magra, capelli castani raccolti in una coda e occhi marroni. L’altra ragazza si chiamava Aiko, era bionda, alta, magra e occhi verdi. Io e loro due indossavamo un’uniforme nera con grembiuli bianchi per lavorare e avevamo indosso delle scarpe basse e comode.
“Ragazze che cosa preparate?” chiesi io.
“Sara ci ha ordinato di cuocere delle patate, tagliare dei pomodori e cuocere della carne. Aiko sta già tagliando le patate per poi cuocerle.” Disse Emma.
“Bene, allora io vi aiuterò tagliando i pomodori.” Dissi io.
“Certo, trovi tutto ciò che ti serve sul tavolo.” Disse Aiko.
Dato che alla sera fuori c’era freddo, mettevamo sulla finestra del cibo. Da lì Emma prese la carne che avrebbe usato per stasera. In un paio di minuti io tagliai i pomodori e una volta finito io mi allontanai dal tavolo e dissi: “Dato che ho finito di tagliare vado a prendere l’acqua e il vino per stasera. Torno subito.”
Uscii dalla porta e mi diressi in giardino per andare a prendere l’acqua dal pozzo quando, sotto un portico che collega due porte del castello, non appena uscii da una delle due porte vidi alla mia sinistra Inari e Jun nel bel mezzo di un giardino che guardavano il cielo. O almeno così sembrava. Rimasero così per una decina di secondi quando si accorsero che io li stavo guardando. Loro mi fissarono e io inchinandomi dissi: “Padroncini, mi dispiace se vi interrompo, ma vi chiedo di rientrare e di andare nella stanza dove vi sarà servita la cena.”
“Oh sì, giusto. Vieni Inari, andiamo.” Disse Jun girandosi e iniziando a camminare.
Inari rimase qualche secondo a guardarmi, ma poi girò la testa e iniziò a camminare. Dal momento in cui iniziò a guardarmi io sentii di nuovo una strana sensazione in corpo. Una sensazione difficile da spiegare e da definire con precisione. Ci vollero un paio di minuti prima che io mi riprendessi da quella sensazione, ma poi attraversai la porta che avevo davanti e dopo alcune stanze mi trovai in giardino. Lo attraversai e andai dritto davanti al pozzo. Essendo molto profondo impiegai uno o due minuti per tirare su il secchio con l’acqua. Tolsi il secchio e ce ne misi uno vuoto che era li vicino, poi mi spostai in cantina e presi una bottiglia di vino. Con il secchio in una mano e la bottiglia di vino nell’altra tornai in cucina dove vidi Emma e Aiko con la cena pronta sul tavolo.
“Oh, giusto in tempo. Abbiamo appena finito di preparare e Sara ci ha dato l’ordine di portare tutto nella sala grande al primo piano dove ci so padroni. Dacci una mano per favore.” Disse Emma.
“Sì certo, eccomi. Ditemi cosa devo portare.” Dissi io.
“Oltre al bere prendi questo piatto di carne. Noi porteremo il resto.” Disse Aiko.
Io annuii, verse l’acqua in una bocca e tenendo in una mano sia la bottiglia sia la brocca, presi con l’altra mano il vassoio pieno di carni di diversi tipi.
“Sono pronta. Andiamo?” dissi io. Emma e Aiko annuirono.
Ci mettemmo l’una dietro l’altra e salimmo le scale, poi attraversammo un lungo corridoio e salimmo altre scale. Proprio lì ci raggiunsero Sara e Miko, l’altra cameriera. Miko era alta, magra, capelli neri, occhi marroni e indossava anche lei l’uniforme nera e il grembiule bianco.
“Aspettate, vi aiuto.” Disse lei avvicinandosi a noi.
Prese dalla mia mano la bottiglia di vino e da Emma il cestino di pane che teneva in mano.
“Grazie. ”dissi io. Lei mi sorrise per un attimo e poi tutte e quattro facemmo metà del corridoio del primo piano.
Entrammo nella sala grande e notammo che Hiroshi e i padroncini erano seduti davanti ad un lungo tavolo da 10 posti. Il tavolo era proprio in mezzo alla stanza. sul soffitto sui trovavano due grossi lampadari e ai lati della stanza vi erano diversi mobili, ognuno con sopra degli oggetti di diversi tipi e diverse dimensioni. Tutte e quattro ci mettemmo ai loro fianchi e appoggiammo tutto ciò che avevamo nelle nostre mani al centro della tavola. Io mi trovai a servire a fianco di Inari.
“Grazie.” Disse lui con tono molto basso.
In quell’istante mi sentii di nuovo il cuore battere forte ed ebbi di nuovo la stessa sensazione che provai per ben due volte. Una sensazione che mi toccava il cuore e che per tutto il tempo della cena non se ne andò.
Una volta appoggiato tutto sul tavolo, noi cameriere ci allontanammo e ci allineammo a fianco a Sara. Restammo lì nel caso in cui qualcuno di loro avesse avuto bisogno di qualcosa. Non successe praticamente nulla se non per il fatto che Inari rimase a fissarmi per tutto il tempo della cena. la cosa mi sembrava strana e cercai di non darci grande importanza comportandomi nel modo più normale possibile. Inari però non staccò lo sguardo nemmeno per un secondo. Ognuno stava mangiando un pezzo di carne, alcuni i pomodori e altri le patate.
“Ehm… un attimo di attenzione. Ho indetto una festa per domani sera in cui saranno presenti diversi nobili di tutte le età. Gli invitati saranno circa centocinquanta e tutto dovrà essere preparato in tempo. Quella serata sarà fatta in modo che ognuno di voi potrà ballare con qualche ragazza e avere la possibilità di trovare una donna di cui innamorarsi.” Disse Hiroshi.
“Papà ancora con questa storia. Ne abbiamo già parlato prima.” disse Isao.
“Gli do ragione. Anche perché in teoria non dovremmo essere noi a capire chi sarà la persona di cui vogliamo innamorarci?” disse Jun.
“Siete ancora giovani per capirlo, ma ho deciso di farlo domani assicurandomi che ciò avvenga presto e che avvenga con una donna nobile. Non con un qualcuno che potrebbe essere inferiore.” Disse Hiroshi.
“Fammi indovinare, lo fai con il solo scopo di avere dei nipoti e di capire a chi affidare il trono quando tu non ci sarai più, non è così? Non ha senso perché tu sei ancora troppo giovane per morire.” disse Isao.
“Sono d’accordo con lui, non puoi ancora morire.” Disse Jun un po’ preoccupato.
“Inari tu che ne pensi?” chiese Hiroshi. Inari però non li stava nemmeno ascoltando, aveva lo sguardo fisso su di me.
“Eh? Di che parlavate? Oh sì, giusto.  Beh, io sono contrario a questa tua decisione di trovare qualcuno adesso. Però ormai hai deciso di organizzare una festa domani e non si può andare contro a una tua decisione. Quindi domani sera io parteciperò anche se non ne avrò molta voglia.” Disse Inari staccando gli occhi da me.
“Sono molto contento di sentirtelo dire. Proprio per questo domani sera tutti voi parteciperete alla festa.” Disse Hiroshi contento. Isao aveva il volto imbronciato, Jun era tranquillo che mangiava e Inari tornò a fissarmi negli occhi mentre mangiava.
Una volta finito di mangiare noi quattro cameriere ci affrettammo a prendere tutto quello che potevamo e ci allontanammo dalla stanza il più velocemente possibile. Le prime ad andare furono Sara ed Emma, seguite Aiko e Miko. Io fui l’ultima ad andare e ad abbandonare la sala grande. Quando fui nel corridoio riuscii a fare solo qualche passo che mi sentii chiamare.
“Iris!” disse una voce dietro di me. Mi voltai e vidi che dalla porta della sala grande c’era Inari che mi guardava.
“Sì?” dissi io girandomi e inchinandomi in avanti cercando di non far cadere nulla dalle mani. Lui si avvicinò a me e iniziai a chiedermi di che cosa avesse bisogno.
“Alzati per favore. Non mi piace che stai in quella posizione.” disse Inari.
“Sì, subito.” Dissi io alzando la schiena.
“Vorrei chiederti una cosa.” Disse lui.
“Si?” chiesi io.
“vorrei che tu fossi la mia cameriera personale domani sera.” Disse lui.
“Scusa ma non capisco.” dissi io non capendo che cosa volesse dire.
“Beh, ecco… ci saranno circa duecento persone domani e io vorrei qualcuno di cui fidarmi per poter chiedere consiglio nel caso ne avessi bisogno.” Disse lui.
“Capisco cosa vuole dire, ma sfortunatamente noi cameriere non possiamo farlo perché dobbiamo essere a disposizione di tutti gli ospiti.” Risposi io.
“Oh, capisco… allora fai finta che non ti abbia chiesto nulla.” Disse lui girandosi.
“Però se avesse bisogno posso lo stesso aiutarla.” Dissi io.
“Davvero? Grazie mille. Allora a domani.” Disse lui girandosi verso di me. Poi se ne andò tutto contento.
“Certo.” Risposi io girandomi indietro e tornando in cucina. Una volta arrivata aiutai le altre ragazze a pulire e mettere a posto tutto ciò che era stato usato.  Sara andò a controllare che i padroncini non avessero bisogno di qualcosa e dopo alcuni minuti tornò dicendo che era tutto a posto e che una volta che finito potevamo andare a casa.
Quando finimmo era ormai notte fonda fuori e tutte noi uscimmo per una porta laterale del castello che solo a noi cameriere era concesso di usare. Fortunatamente la strada principale davanti al castello era illuminata e in poco tempo andai verso il centro del villaggio. Notai che tutto intorno a me era vuoto, non c’era nessuno.
Nel centro della piazza centrale del villaggio notai che c’erano diverse persone vicine l’uno all’altro che guardavano in alto. Non capii che cos’era successo così mi avvicinai. Mentre mi avvicinavo udii le voci di diverse persone parlare e vidi che tutti stavano guardando delle persone appese a delle croci di legno. Ce n’erano quattro, due uomini (uno giovane e uno di mezza età) e due donne di età tra i 40 e i 45. Tre di loro erano morti, il ragazzo più giovane invece stava solo urlando pregando che qualcuno lo ascoltasse e lo facesse scendere da dove si trovava. Si era persino messo a piangere dalla disperazione. Vi erano i genitori e i parenti delle persone sulle croci che piangevano e che si disperavano sperando di trovare conforto da qualcuno, ma sentirono soltanto le voci delle persone parlare di loro e questo li faceva sentire ancora più male di come erano già.
“Cavolo, ma cosa è successo?” disse un uomo.
“Questo è il terzo caso in quattro giorni. Com’è possibile?” disse un altro uomo.
“Non lo so, ma sicuramente devono essere andati incontro a una qualche decisione del padrone del castello.” Disse una donna.
“Oppure ad una regola del villaggio.” Disse un’altra donna.
“Di sicuro deve essere stato grave.” Disse un uomo.
Più passava il tempo mentre li guardavo, più queste persone mi mettevano tristezza. Rimasi ad ascoltare le voci e aspettai uno, due, tre, cinque minuti, fino a che non riuscii più a sopportare di vederli in quelle condizioni.
Mi avvicinai ad una donna tra di loro e dissi: “Ti do una mano a portarli giù. Voglio poterti aiutare.”
“Davvero?” chiese la donna.
“Sì.” Dissi io. Mi guardai intorno alla ricerca di una scala per poter salire  e ne vidi una alla mia sinistra contro un muro.
“Aspetta un attimo.” Dissi io. Mi allontanai e andai a prendere la scala, poi tornai indietro. Appoggiai la scala contro la croce del ragazzo più giovane e lui smise di urlare. Ci salii e gli slegai i polsi. Poi scesi dalle scale e la appoggiai contro quella dell’altro uomo. Ci salii di nuovo e slegai anche lui. La stessa cosa lo feci con le due donne. Mentre facevo questo la gente iniziava a guardarmi male. Io provai una strana sensazione simile a solitudine. Ma non ci diedi molta importanza e quando finii non ricevetti nemmeno dei ringraziamenti da parte delle persone che erano intorno a chi avevo appena fatto scendere.
Dato che tutti mi stavano guardando molto male e sembravano sia odiarmi sia disprezzarmi per ciò avevo appena fatto, me ne andai a casa con la testa bassa.
Una volta arrivata entrai in casa e mi preparai una zuppa veloce. La mangiai dentro una ciotola e con un cucchiaio mi sedetti su una sedia a fianco ad una finestra e mi misi a pensare ciò  che era appena successo. Il tempo passava e notai che nulla era cambiato, stessa strada, stesse persone che ci abitavano. Ma poi improvvisamente vidi una figura da lontano. Era la figura di una persona che barcollava verso casa mia. Io non avevo idea di chi sia e che cosa ci facesse lì, ma fece alcuni passi  e poi cadde a terra. Non ci diedi molto importanza e non mi spostai. Vidi che lui pochi istanti dopo si alzò in piedi e riprese a camminare barcollando. Altri passi e poi cadde di nuovo a terra. In quel momento appoggiai sulla finestra la ciotola di zuppa e uscii di casa. Guardai a destra e a sinistra per vedere se qualcun altro sarebbe andato a soccorrerlo, ma non vidi nessuno così decisi di andarci io stessa. Era a pochi metri di distanza e gli corsi incontro.
“A – acqua…” disse lui non appena io arrivai. Mi guardai di nuovo intorno e non vidi nessuno.
“Acqua…” disse di nuovo lui. Decisi di alzarlo e di portarlo con me in casa.
Aprii la porta e lo feci sedere su una sedia, poi presi una ciotola e ci misi dento della zuppa. Presi anche un bicchiere e lo riempii quasi del tutto di acqua. Mi avvicinai a lui e lo aiutai a bere.
Quando finì l’acqua lui si riprese e mangiò velocemente tutta la zuppa.
“Ah… grazie.” Disse lui.
Lo guardai meglio e capii che era alto qualche centimetro in più di me ed era piuttosto magro. Aveva gli occhi marroni, i capelli neri ed era vestito di stracci. Erano vestiti molto sporchi. Aveva anche delle scarpe molto sporche, quindi non capii di cosa erano fatte.
“Chi sei?” chiesi io.
“Questa zuppa… è molto  buona…” disse lui.
“Ho detto chi sei? E come ti chiami?” chiesi io.
“Oh, io sono un abitante di  villaggio vicino. Mi chiamo Aki e ho 14 anni.” Disse lui.
“Che ci fai qui, nel mio villaggio?” chiesi io.
“Io sono alla ricerca di qualcuno.” Disse lui.
“Qualcuno? E chi?” dissi io.
“Non lo so di preciso. So solo che sto cercando qualcuno con cui fare un viaggio. Hai per caso dell’altra zuppa?” Disse lui allungando la ciotola che teneva in mano.
“Che tipo di viaggio?” chiesi io.
“Mmmh… ancora non lo so. Ma ci sarebbero alcuni villaggi che mi piacerebbero vedere. Vorrei esplorare il mondo e vedere che cosa c’è al di fuori del mio villaggio. Ci sono molte cose che non so e che potrei scoprire. Cibi che non ho mai assaggiato. Come questo, per esempio.” Disse lui. Io ne rimasi colpita e affascinata dalle sue parole talmente tanto che mi immaginai tutto ciò che diceva.
“Ti andrebbe di venire con me? Potremmo arricchirci di conoscenze e vedere persone che non sapevamo esistessero.” Disse lui. io mi ripresi e versai della zuppa nella ciotola che mi aveva dato.
“Bellissimo, ma non posso.” Dissi io.
“E perché?” chiese lui.
“Devo lavorare al castello laggiù.” Dissi io indicando il castello di padron Hiroshi. Dalla finestra che Aki aveva vicino si riusciva a vedere benissimo.
“Beh, non puoi non andarci per un po’ di tempo?” mi chiese Aki. Ma io non risposi.
“Capisco… Forse detto così velocemente non hai avuto il tempo di ragionarci. Quindi ti lascio due giorni per pensarci e decidere. Quando verrò la volta prossima vorrei sapere da te una risposta definitiva. Accetterò sia un sì sia un no, ma pensaci attentamente.” Disse lui. mentre lo diceva io lo guardai attentamente, ma poi notai che lui si mise a guardarmi intensamente e a lungo con la testa appoggiata alla mano. Dopo un po’ sbadigliò.
“Scusami ma sono quasi tre giorni che non dormo. Posso riposare un po’?” chiese lui.
“Ah… sì. Dietro quella porta c’è la mia camera. Mettiti pure sul letto, io dormirò per terra.” Risposi io indicando la porta.
“Grazie.” Disse lui. poi se ne andò. Io invece rimasi lì e pulii la mia e la sua ciotola pensando a ciò che aveva detto. Lui ormai se ne era andato via.
“Che strana persona…” dissi tra me e me a bassa voce. Una volta finito misi da parte le ciotole, appoggiai su una sedia la divisa di uniforme che avevo indosso e poi andai a dormire coricandomi per terra e coprendomi con un lenzuolo che avevo messo da parte.
   
 
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