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Autore: NPC_Stories    06/10/2018    2 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: Il loro futuro


Daren se ne stava seduto sulle radici di un albero, chiedendosi come facessero gli elfi a star seduti sulle radici e trovarle comode. No, ci doveva essere qualcosa di intrinsecamente sbagliato nel vivere in una foresta. Forse respirare la stessa aria di tutti quegli alberi faceva strani effetti al cervello. Si spostò leggermente, trovando una posizione un pochino migliore.
O forse in realtà era solo nervoso. Come si era lasciato convincere a farsi portare a Myth Dyraalis? Non era il suo posto. Ci erano voluti vent’anni anche solo per far accettare la sua presenza nella foresta, insieme alle pattuglie dei ranger. Ma andare in mezzo ai civili? Una follia.
Tazandil e alcuni altri l’avevano preceduto. Il vecchio ranger, la druida, lo gnomo e quel loro chierico supponente si trovavano in città già da tre giorni. Anche Filvendor e la ragazza ranger, quella che si vociferava sapesse fare cose folli con arco e frecce. Con lui erano rimasti solo Johel e il suo scontroso amico Nelaeryn.
Raerlan per qualche motivo sembrava sparito nel nulla.
Era in missione segreta da qualche parte? Tazandil lo aveva bandito dalla foresta per le sue menzogne? Daren non lo sapeva. L’alicorn aveva parlato per ore con Filvendor, poi aveva salutato tutti, aveva augurato buona fortuna a Daren e poi… era andato. Semplicemente, andato via. Una cosa strana, dopo che aveva organizzato l’intero piano, dopo che aveva - non c’è un altro modo per dirlo - manipolato tutti per fare in modo di giungere a quel risultato. Come se Sarenestar e le vicende dei suoi amici fossero la cosa più importante per lui. E poi invece se n’era andato, come se tutti loro non fossero altro che una singola pagina della sua vita.
Daren non se l’era presa. Be’, forse un pochino.
Sì, un pochino sì, perché a causa delle azioni e dei complotti di Raerlan adesso lui si trovava in quella sgradevolissima posizione. Seduto fuori dalla Sala del Consiglio. Dove probabilmente alcuni elfi importanti stavano parlando di lui.
Se ne stava lì, seduto su una scomoda radice, con mille occhi intimoriti che lo osservavano (alcuni di nascosto, ma li sentiva su di sé). Johel era in piedi accanto a lui, ma nessuno dei due aveva voglia di chiacchierare. Sarebbe sembrata una cosa forzata, per rassicurare la gente. E poi nessuno dei due voleva parlare con l’altro. Si erano chiariti, più o meno, ma Johel gli teneva ancora il broncio per la sua decisione imprudente di andare da solo a salvare Filvendor.
Che cosa stavano pensando gli elfi e gli gnomi di Myth Dyraalis? Quanta paura avevano di lui, anche se era disarmato?

Qualcuno non aveva paura. Oh, sì, in realtà l’aveva, ma fingeva di no. I ragazzini. Dopo una mezz’ora di attesa silenziosa fuori dalla Sala del Consiglio, un branco di bambini elfi aveva iniziato sfrontatamente ad avvicinarsi.
Un moccioso che dimostrava nove o dieci anni se ne stava in piedi a circa venti passi da lui, gli altri erano leggermente più indietro. Nessuno di loro gli aveva rivolto la parola, nessuno di loro osava guardarlo. Daren aveva capito il gioco: si erano sfidati a vicenda ad avvicinarsi a lui il più possibile. Nessuno di loro voleva ammettere di avere paura, eppure con quel gioco lo stavano chiaramente dimostrando.
Per ora, il piccoletto moro con abiti troppo grandi stava decisamente vincendo la sfida. Un ragazzino un po’ più grande, forse sui dodici anni, raccolse tutto il suo orgoglio e fece qualche passo avanti, portandosi alla stessa altezza dell’altro. Si scambiarono uno sguardo nervoso. Sollevarono entrambi un piede, per fare un altro passo avanti.
Daren decise che ne aveva abbastanza.

I drow hanno la capacità innata di creare globi di oscurità. Un effetto innocuo, ma tutte le creature di Superficie hanno istintivamente paura del buio. Daren sapeva che avvolgere i bambini nell’oscurità sarebbe stata una mossa meschina e li avrebbe spaventati a morte, quindi fece in modo che la sfera di buio perfetto comparisse nello spazio vuoto fra lui e loro.
Fu comunque abbastanza impressionante. Dal basso dei loro tre o quattro piedi di altezza, i bambini si trovarono davanti quell’enorme parete di oscurità. E loro avevano già un piede a mezz’aria, pronti a cascarci dentro.
Daren non poteva più vederli, ma fu gratificato da un’esplosione di grida infantili. I marmocchi partirono a razzo in tutte le direzioni, urlando per la paura, e corsero a cercare i loro genitori o la sicurezza della loro casa. Anche alcuni elfi adulti si allarmarono per il tafferuglio e corsero a vedere cos’era successo, alcuni ranger misero mano all’arco, ma quelli che avevano assistito alla scena si limitarono a ridacchiare nervosamente. Tranne Johel. Lui stava ridacchiando di gusto, e arrivò anche a tirare una pacca dietro la testa all’amico drow.
“Hai spaventato i bambini.” Lo rimproverò in lingua elfica.
“Diamine, era proprio quello lo scopo!” Rispose a tono Daren, agitando le dita come un prestigiatore. “Preferisco che i vostri bambini continuino ad avere paura dei drow, se non ti dispiace. Il contrario sarebbe molto diseducativo.”
“Oppure ti davano solo fastidio.”
Daren ghignò e fece dissolvere il globo di oscurità con un gesto della mano.
“Una cosa esclude l’altra?”

Johel sapeva che il drow non l’aveva visto. Un altro piccolo astuto aggressore si stava avvicinando lateralmente, per nulla impressionato dall’oscurità magica. L’elfo dei boschi decise all’istante che Daren doveva continuare a non vederlo.
“Hai ragione.” Continuò quella conversazione solo per tenere il focus del guerriero su di lui. “Mi dispiace, non dovrebbero trattarti come se tu fossi un animale raro e pericoloso, ma purtroppo all’inizio sarà un po’ così. La gente non è abituata a te.”
Daren scrollò le spalle.
“Esistono trattamenti peggiori.” Ammise tranquillamente. “Spero comunque di non dover restare a lungo in questa città, mette a disagio sia me che i suoi abi… ehi!”
Il drow abbassò lo sguardo, allarmato, perché qualcosa l’aveva appena afferrato per un gomito. Incontrò gli occhi grandi e curiosi di un bimbetto elfo.
Navar Enlee aveva solo undici mesi. Era troppo piccolo per avere paura.
Daren lo capì all’istante, quando incrociò lo sguardo di quel botolo che era arrivato gattonando. E cominciò, lui, ad avere paura.

“Johel, toglimelo.” Ordinò, con una punta di isteria nella voce.
Il piccolo si aggrappò meglio al suo gomito e usò quell’appiglio per tirarsi in piedi. L’altra manina si appoggiò alla gamba di Daren, e il drow capì con orrore che il marmocchio stava per arrampicarglisi addosso.
“No.” Soffiò il ranger, in tono leggero.
“Non sto scherzando, Johel. Non posso toccare un bambino elfo! Come… qual è la procedura in questi casi?”
“Non abbiamo mai avuto un drow a Myth Dyraalis.” Intervenne una voce femminile e pacata. I due guerrieri si voltarono, e in quel momento videro Merildil uscire dalla Sala del Consiglio. “Non c’è una procedura.”
“Ma di solito” intervenne Johel “non è permesso interferire con le esplorazioni dei bambini piccoli.”
Cosa?
Il piccolo adesso era riuscito a sistemarsi in grembo al drow.
“Oh, sì, è vero.” Rincarò la druida, stando al gioco. “I bambini sono sacri. Sono il nostro futuro, e tu sai quanto poco siamo fertili. Gli deve essere lasciata la possibilità di esplorare.”
Da qualche parte, davanti a loro, una voce di elfa gridò. Un urlo privo di parole, ma colmo di orrore. Daren avrebbe giurato che fosse la madre.
Udì dei passi avvicinarsi, ma non poteva vedere niente perché adesso la testa tonda di un piccolo invasore occupava il suo campo visivo. Daren provò a guardarlo male, sfoggiando la sua migliore espressione minacciosa. Non ottenne nulla.
I passi smisero di avvicinarsi, la voce femminile scambiò alcune rapide frasi con una maschile. Daren capiva l’elfico, ma loro avevano parlato troppo in fretta.
“È tutto perché possano fare esperienza del mondo” spiegò Johel, ignorando completamente la preoccupazione dell’elfa. “Sviluppare la loro naturale curiosità. A meno che non ci sia una situazione di pericolo, non bisogna assolutamente dissuaderli da quello che stanno facendo.”
“E quindi non si può semplicemente prenderli in braccio e portarli via.” Concluse Merildil, annuendo.
Daren si sentì tirare i capelli quando il bambino afferrò la sua treccia per reggersi, e l’altra manina gli si schiaffò in faccia.
“Voi state mentendo, sua madre è terrorizzata, portatelo via… Sta cercando di afferrarmi un occhio!” Protestò. Ora che il piccoletto non gli teneva più il gomito, allargò le braccia cercando di assumere una posa innocua.
“Tranquillo, non ha la forza di strappare un bulbo oculare.” La druida gli diede un’amichevole pacca sulla testa. “È solo un bimbetto.”
“Mi state prendendo per i fondelli! Tutti e due! Siete persone orribili.” Protestò, o almeno ci provò, perché quella manina sulla sua faccia gli stava sfregando vigorosamente una guancia.
Navar smise di smanacciargli la faccia e si guardò il palmo della mano, stupito che non fosse sporco di nero. Poi si guardò intorno e vide Merildil. Le rivolse un sorriso luminoso e alzò le braccia chiedendo di essere sollevato. La druida, ai suoi occhi, assomigliava abbastanza a sua madre.
Lei sorrise dolcemente al bambino, lo prese in braccio al volo prima che si sbilanciasse e cadesse all’indietro, e lo portò dalla sua vera madre.
“Penso che i capi clan abbiano finito di discutere.” Osservò Johel, riferendosi al fatto che Merildil era già uscita dalla sala.
“Spero che all’ordine del giorno ci fosse anche la proposta di cambiare questa stupida legge sui bambini.”
“Quella legge non cambierà mai.” Gli promise l’elfo, divertendosi alle sue spalle. “Devi imparare a rispettare la nostra cultura.”
“La vostra cultura è stupida.”
“La tua faccia è stupida.”
“Oh, sul serio? Prima Raerlan con quella cosa del mignolino, e ora anche tu ti comporti come un moccioso?”
“Quale cosa del mignolino?”
Daren gli fece cenno di lasciar perdere. Stava per aggiungere Te l’ho detto, la vostra cultura è stupida, ma si fermò appena in tempo perché aveva udito dei passi dentro la Sala del Consiglio. Infatti, poco dopo uscirono alcuni elfi dall’aria importante. Daren riconobbe Tazandil e Solaias, anche se il chierico restava nelle retrovie, dietro ad un elfo vestito da sommo sacerdote che probabilmente era il suo superiore.
“Il Consiglio vi riceverà, ora.” Annunciò uno di loro, uno dall’aria importante.
L’elfo dei boschi indossava splendide vesti cerimoniali blu e oro, che sembravano uno strano ma elegante miscuglio fra un abito ed un’armatura. I bracciali erano incisi di simboli che parevano composti da alcune lettere dell’alfabeto elfico intrecciate insieme.
“Io sono lord Fisdril, capoclan degli Arnavel. Tu devi essere Daren. Ti do il benvenuto a Myth Dyraalis, la città protetta. Le stelle brillino sul nostro incontro.”
Il drow si alzò in piedi, stupito davanti a quell’approccio così formale. Non era preparato all’etichetta elfica, con Johel le cose erano sempre state un po’ più… colloquiali. Nel corso degli anni si erano scambiati insulti, minacce di morte e parole di amicizia, ma mai quel genere di convenevoli.
Piegò il busto in un inchino, pensando che fosse un gesto universalmente valido.
“Vi ringrazio. La vostra città è splendida, e spero che la mia presenza non arrechi disturbo.”
“I cittadini erano stati avvisati.” Spiegò lord Fisdril, ma non negò quella supposizione. “Prego, entrate. Abbiamo molte cose di cui discutere.”

La Sala del Consiglio era bella da mozzare il fiato. Sembrava una torre, ma non era costruita con pietra o legno: le sue pareti erano alberi. In qualche modo, gli alberi erano cresciuti così vicini fra loro da poter costituire i piloni portanti di quel luogo. Fra i tronchi era stato fatto crescere un fitto sottobosco, e dove terminavano le siepi cominciavano i rami, abilmente intrecciati fra loro. L’unica cosa che appariva artificiale era lo splendido portone a due ante, ma riflettendoci bene si poteva intuire che una simile architettura non potesse essere naturale: i druidi di Sarenestar dovevano essersi impegnati parecchio per far “crescere” quel palazzo.
Era vasto, ma all’interno sembrava un auditorium. C’erano delle panche sistemate su file a diverse altezze, che giravano intorno lungo il perimetro interno della sala, formando dei gradoni dalla pendenza ripida. A dispetto della vastità del luogo, che avrebbe potuto contenere tutti gli abitanti di Myth Dyraalis e forse anche di più, questa era una riunione per pochi eletti. Daren stava cominciando a distinguere intuitivamente i loro abiti, e contò quattro probabili capiclan, tre sacerdoti, un vecchio ranger scontroso, due maghi gnomi, uno gnomo vecchissimo vestito in modo normale, e… una druida, ora che anche Merildil era tornata.
Ci fu un breve giro di presentazioni e Daren scoprì che la dama che aveva scambiato per un capoclan in realtà era la madre di Johel. Prese nota mentalmente che gli elfi non avevano capi secolari di sesso femminile. Una cosa strana, ai suoi occhi di drow.
Al centro di quell’auditorium c’era una specie di pedana. Su quella pedana, qualcuno aveva portato un tavolo e delle sedie. Daren non sapeva cosa aspettarsi da quell’incontro. Pensava che sarebbe stato interrogato, o qualcosa del genere. Invece si scoprì che gli elfi avevano qualcosa di molto più concreto da offrirgli, oltre a belle parole di accettazione: un lavoro.
Passarono tutto il pomeriggio e buona parte della sera a pianificare le prossime mosse. C’era da recuperare ciò che i drow avevano abbandonato nel sottosuolo, perché la grande cassa di armi che Daren aveva visto poteva essere stata portata lì in preparazione ad un'invasione. Gli elfi non sapevano quanto quell’invasione fosse prossima, ma non volevano lasciare nessuna arma che i drow potessero usare contro di loro, compresi eventuali oggetti magici che erano appartenuti a quel piccolo gruppo di spie. Per fortuna Filvendor non aveva parlato, non aveva rivelato l’ubicazione di Myth Dyraalis.
Daren aveva avuto fin dall’inizio il sospetto che non si trattasse di una semplice prigionia, ma di un vero e proprio interrogatorio. Se quei drow avessero preso un elfo solo per divertirsi, non l’avrebbero tenuto in vita così a lungo. Il fatto che Filvendor avesse resistito per così tanti mesi la diceva lunga sulla sua tempra, e Daren non intendeva ammetterlo ma segretamente era molto impressionato.
Adesso era necessario fare in modo che tutti i suoi sacrifici non fossero vani; bisognava smantellare la base che i vhaerauniti avevano creato. Dopo quel lavoro urgente, il secondo passo sarebbe stato esplorare le gallerie sotto la foresta, di cui gli elfi ignoravano l’esistenza, e mappare tutto il mappabile. Daren poteva mettere a disposizione le sue competenze di esploratore, ma non sapeva nulla del lavoro del cartografo. Di quello si sarebbe occupato il mago gnomo, mastro Wilhik, con l’aiuto di quell’altro gnomo vecchissimo che aveva detto di essere La Memoria. Daren non aveva idea di cosa fosse La Memoria e del perché fosse una persona, ma tutti avevano reagito come se fosse normale, quindi lui aveva scelto di non chiedere.
L’ultima fase del piano era senza dubbio la più rischiosa, e nessuno glie l’aveva imposta. In realtà, nessuno glie l’aveva nemmeno chiesta, ma l’idea era lì che aleggiava come un gigantesco roc nella stanza. Zeerith aveva detto qualcosa come “le nostre comunità sulle montagne”. C’erano dei drow, numerosi drow, che vivevano ai confini di Sarenestar. Questa informazione non era stata divulgata, avrebbe creato solo inutile panico.
“Capisco la vostra preoccupazione.” Daren aveva preso la parola. “Ma presumibilmente sono lì da decenni, forse da secoli, e non se n’era mai sentito parlare finché non hanno rapito Filvendor. D’accordo, stavano cercando di prendere la vostra città, e questo è un atto di guerra, non si può negare. Però, ci sono due considerazioni che voglio sottoporvi…” l’elfo scuro aveva incrociato lo sguardo dei presenti, uno alla volta. “La prima, è che se intendete muovergli guerra non potete farlo alla cieca. Avete bisogno di informazioni sulle loro forze e sull’ubicazione delle loro città. La seconda… ci sono altre cose interessanti che hanno detto. Hanno parlato di una città drow nelle profondità, una città che non è loro alleata. Anzi, è in mano ai fedeli di Lolth. Pare che le sacerdotesse di quel luogo, Guallidurth, abbiano l’abitudine di condurre razzie contro questi vhaerauniti.”
“E quindi?” Tazandil l’aveva fissato con sguardo duro, come se lo sfidasse a dire quelle parole.
Daren lo guardò negli occhi e raccolse la sfida.
“E quindi, se si esclude la sparizione di Filvendor, quanto tempo è passato dall’ultima volta che c’è stata una razzia drow a Sarenestar?”
Le sue parole furono accolte dal silenzio. Silenzio che durò quasi per dieci secondi, finché:
“L’ultima volta fu nell’anno del Pugnale Insanguinato. Secondo il Calendario delle Valli, l’anno 459. Invero, più di ottocento anni fa.” Li informò il vecchio gnomo. La sua voce era come un sussurro, sembrava che nemmeno muovesse le labbra.
Daren cominciò a capire come mai fosse chiamato La Memoria.
“Io conosco le usanze della mia razza. Di solito non passano nemmeno cinquant’anni senza che al mondo di Superficie venga ricordata la sgradita presenza delle città drow sotterranee.” Di nuovo passò lo sguardo su ciascuno di loro. “Non ho nessun interesse a proteggere quella gente, il loro prete Zeerith mi ha quasi ucciso, e il loro culto è nemico del mio. Ma ora vi sto dicendo la verità: distruggere le comunità delle Montagne del Cammino eliminerebbe un comodo cuscinetto fra voi e Guallidurth. Le sacerdotesse di Lolth si sentono in dovere di distruggere gli eretici prima di tutto, nella loro frenesia religiosa.”
“E dovremmo lasciare che i torturatori di Filvendor la facciano franca?” Sbottò un altro dei capiclan, un elfo straordinariamente alto che gli era stato presentato come il rappresentante del clan Gysseghymn. Poco prima quell’elfo lo aveva ringraziato, ma in modo piuttosto freddo. A Daren non importava della sua opinione, tanto più che odiava i ringraziamenti.
“I torturatori di Filvendor sono già morti.” Replicò pacatamente.
“Loro, sì. Ma i mandanti…” insisté l’elfo.
“I mandanti sono una questione da approfondire.” S’intromise Tazandil. “Possiamo parlare di guerra, ma farlo adesso è prematuro. La recluta drow ha ragione. Dobbiamo raccogliere informazioni su di loro.”
“Che, aspetta? Sono una tua recluta, adesso?”
Tazandil gli scoccò uno sguardo di avvertimento.
“Dipende da quante flessioni vuoi fare.”
“Sono una tua recluta.” Decise saggiamente Daren. “E qualunque cosa decidiate di fare… è la vostra foresta. Io vi ho dato la mia opinione, ma questa è la vostra casa e tocca a voi decidere in che modo proteggerla.”
“Non hai finito di darci la tua opinione.” Lord Fisdril appoggiò le mani sul tavolo, spostando le cartine che rappresentavano varie parti della foresta, e fece scivolare quella che ritraeva le Montagne del Cammino sotto gli occhi di Daren. “Una volta che ci avrai procurato informazioni su quei drow, una volta che avremo mappato il sottosuolo, se tu dici che distruggerli sarebbe controproducente… che cosa consigli di fare?”
Daren sostenne lo sguardo di pietra del capoclan degli Arnavel. La cortesia di lord Fisdril faceva supporre che fosse più morbido di suo fratello Tazandil, ma Daren in quel momento comprese a fondo il suo coraggio. Stava considerando la possibilità di lasciar vivere dei drow, dietro consiglio di un drow. Gli stava concedendo un’enorme fiducia, ma in cambio gli chiedeva di avere altrettanto coraggio e di prendersi un’enorme responsabilità.
Daren pensò a quei bambini che avevano paura di avvicinarsi a lui. Se adesso stava sbagliando nella sua valutazione, le loro vite potevano essere a rischio.
“Suggerisco di mantenere una posizione difensiva. Occorre conoscere e padroneggiare le gallerie sotto la foresta così come ne conoscete i sentieri. Il mio consiglio vi potrà sembrare insoddisfacente, ma assaltare degli avamposti drow infiltrandosi in casa loro è la ricetta per una rovinosa disfatta. Al contrario, essere consapevoli della minaccia senza che loro lo sappiano, preparare trappole e chiudere alcune gallerie, pianificare imboscate, questo spezzerebbe le loro fila quandunque decidessero di attaccarvi. Lasciare che si infiltrino qui in casa vostra e poi schiacciarli potrebbe essere l’unico modo per ucciderne un gran numero.”
“E soprattutto lo faremmo solo se fossero loro ad attaccarci per primi.” Osservò il capoclan Gysseghymn, sillabando lentamente e senza nascondere il suo disappunto.
“L’obiezione di Daren però rimane valida.” Intervenne il terzo capoclan, che rappresentava gli elfi della regione meridionale della foresta. “Attaccarli in casa loro sarebbe un suicidio. Siamo abbastanza numerosi da poterci permettere delle perdite?”
L’elfo alto spostò il suo sguardo irato sull’ultimo che aveva parlato. “Tanto non è il tuo clan ad essere il più vicino a quei drow, vero, lord Ailmar?”
“Non sappiamo dove siano, le Montagne del Cammino costeggiano buona parte della foresta.” Rispose quest’ultimo, nello stesso tono freddo.
“Signori, vi prego. Non mi sembra sensato litigare fra noi, con un nemico così pericoloso alle porte.” Lord Fisdril cercò di pacificarli, ma ottenne l’effetto opposto.
“Appunto! Nemici potenti, praticamente sotto i nostri piedi, e noi stiamo qui a discutere come vecchi tremebondi. Tazandil, mi aspettavo che tu appoggiassi la mia linea.”
“Io sono un guerriero.” Rispose lui, irrigidendosi. “Un guerriero con molta esperienza, e non si arriva alla mia età senza aver appreso un po’ di buonsenso. So riconoscere una guerra che possiamo vincere da un’incognita potenzialmente letale. Non mi esprimerò finché Daren non ci avrà procurato maggiori informazioni.”
L’elfo li guardò tutti uno alla volta, soffermandosi in particolare sul drow. Daren capì all’istante che non sarebbero mai andati d’accordo.
“E tutti voi vi fidate di lui.” Sibilò, scuotendo la testa.
“Anche tu hai convenuto che è affidabile.” Replicò Tazandil.
“È stato prima che si rifiutasse di dirci come distruggere i suoi simili!” Quasi gridò.
“Mi sono offerto di andare a spiarli, anche se non è una cosa priva di rischi, nemmeno per me.” Sbottò Daren, al limite della pazienza. “Scusate tanto se non ho una sfera di cristallo.”
Quell’osservazione buttata lì quasi per sfida portò tutti a voltarsi simultaneamente verso Hinistel.
“Oh, non guardate me.” La veggente alzò le mani. “Negli ultimi due giorni ci ho provato. Sono protetti contro la divinazione.”
Posso dirvi come finirà questa conversazione, pensò la dama, abbassando lo sguardo. Ma non lo farò. Diventerebbe una profezia autorealizzante.
“Molto bene, allora.” Il capoclan dei Gysseghymn li guardò con disprezzo per l’ultima volta. “Lord Fisdril, se pensi di avere il diritto di decidere per conto del mio clan, prenditene anche la responsabilità! Guarda in faccia quelle persone spaventate e digli che non intendi fare niente! Che Filvendor, uno di noi, non sarà vendicato!”
Si sganciò una spilla d’argento dalle belle vesti violette e la lanciò sul tavolo, davanti al Fisdril.
“Io, Llaemryl Gysseghymn, rinuncio alla mia carica di capoclan. Nomino lord Fisdril Arnavel mio successore. I due cuori della foresta settentrionale ora sono uno, possano le stelle guidare la tua saggezza, possa il mio popolo esserti caro quanto la tua famiglia.” Recitò, in tono aspro.
Nel clan Gysseghymn era tradizione che la carica di capoclan non si tramandasse di padre in figlio, ma il nuovo capoclan veniva nominato da quello vecchio quando egli era in punto di morte o decideva di abdicare. In caso di morti improvvise o demenza senile si procedeva per votazione. Spesso il successore veniva scelto comunque in seno alla famiglia, ma lord Llaemryl non aveva figli. Era molto tempo che buona parte del suo clan vociferava della possibilità di diventare un protettorato del clan Arnavel, più grande e più potente. Llaemryl era stanco di combattere contro tutto questo, e ora aveva contro gli altri capiclan anche in una questione di vita o di morte.
“Mio caro amico, suvvia, stai esagerando, non dire cose simili mentre sei in collera.” Fisdril cercò di restituirgli la spilla.
“No.” L’elfo alto gli fece cenno con la mano di non avvicinarsi. “Sono stanco, Fisdril, e più vecchio di quanto non sembri. Il mio clan vuole da tempo questa fusione, anche se non me lo hanno detto apertamente perché non volevano rinunciare alla mia guida. Ma io non posso essere in contrasto con il resto della foresta. Fate quello che volete, io mi unirò a Filvendor nel suo viaggio verso Evermeet. Ma sappiate che gli elfi del clan Gysseghymn ora sono una vostra responsabilità.” Minacciò, passando lo sguardo su tutti i presenti. “Se queste scelte da codardi spezzeranno una sola delle loro vite, possa quella morte gravare sulla vostra coscienza e impedirvi di ascendere ad Arvandor.” Concluse, con parole vibranti, come se stesse davvero lanciando una maledizione.

Dopo quell’uscita così pesante, la riunione fu sciolta. Si sarebbero riuniti il giorno dopo per decidere ulteriori dettagli, ma per quella sera erano tutti provati e turbati. L’incombenza di unire due clan poi era solo l’ennesimo compito che si aggiungeva sulle spalle di lord Fisdril.
Daren era un po’ giù di morale per tutto il trambusto che aveva involontariamente causato, e nonostante la sua espressione neutra Johel probabilmente se ne accorse.
“Su, coraggio!” Gli diede un’amichevole pacca sulla spalla. “Sei qui da dieci minuti e hai già causato uno scisma. Pensa cosa potresti fare in un giorno intero!”
Daren gli scoccò un’occhiata velenosa, ma presto il suo malumore cominciò a sgretolarsi davanti al sorriso di Johel.
“Dimmi che non sono stato l’unica causa di questo disastro politico.” Sospirò.
“No, ci sono sempre delle cause pregresse quando succedono queste cose.” Gli spiegò con pazienza l’elfo dei boschi. “Ma se ti fa sentire meglio, è in gran parte colpa tua, sì.”
“Non mi fa sentire meglio!” Sbuffò Daren. “Cretino.”
“Be’, visto che ormai la frittata è fatta, tanto vale che tu sia nostro ospite stanotte.” Lo invitò Johel. “All’inizio mio padre non voleva per non farci sembrare troppo di parte, sai, con la faccenda che lui è il fratello del capoclan. Ma l’alternativa era che tu dormissi nella Casa degli Scapoli, e tutti gli altri avventori sarebbero scappati fuori.”
“E che diamine è la Casa degli Scapoli? Sembra un luogo di malaffare” rise Daren.
“Ah...no. È una locanda fondata da uno gnomo, ma è anche a misura elfica. Serve a coloro che vogliono passare una notte lontani dalla famiglia. Sai… liti coniugali, genitori che rompono…”
“Uh, quindi hai passato lì buona parte della tua giovinezza?” Lo punzecchiò il drow.
“Sono ancora giovane!” Rispose Johel, fingendo di essersi offeso. “E non parlare così di mio padre, visto che dovrà mandare giù il fatto che io ti abbia invitato.”
Daren rise ancora, ma scosse la testa.
“Meglio che mi mostri questa Casa degli Scapoli.”

           

   
 
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