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Autore: Koa__    01/10/2018    4 recensioni
Il principe Sherlock vive tutto il giorno tra le quattro mura del suo grande castello, senza mai uscire. Un giorno, però, poiché è troppo annoiato, decide di andare a vedere il mondo. Trascorsi tre giorni e passate tre notti, per nascondersi dai soldati Re Grasso che lo cercano ovunque, il principe annoiato si rifugia in casa di un uomo. Un soldato zoppo di nome John Watson.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II.
 


 
 
          Da quel primo incontro erano passati più di tre mesi e, durante tutto quel tempo, i soldati non avevano smesso di cercare il principe scomparso. Da est a ovest, così come da nord sino ai territori caldi del sud, non c’era angolo del regno che non avessero passato al setaccio. Costui, però, era ancora introvabile. E più giorni passavano, più il re diventava intrattabile. Aveva smesso di mangiare e non dormiva la notte. Aveva dato ordine ai soldati di intensificare le ricerche, di modo che suo fratello potesse tornare sano e salvo. Per questa ragione, ogni villaggio veniva preso d’assalto, i soldati entravano di forza nelle case mettendo tutto quanto in disordine senza preoccuparsi di vecchi e bambini. Alcuni di loro erano prepotenti, altri violenti e nessuno aveva mai il coraggio di opporsi. Finire in prigione per una cosa simile è da sciocchi, pensavano tutti abbassando il capo. Le guardie avevano il compito di trovare il principe e lo avrebbero fatto a discapito di chiunque. Nessuno era al sicuro.
 


          Sherlock Holmes, nella piccola abitazione di John Watson, non si sentiva più protetto dalla buona sorte. Fino a quel momento erano riusciti a evitare di farsi scoprire, ma per quanto ancora sarebbero stati fortunati? Ormai le perquisizioni avvenivano a tutte le ore, non c’era mattino in cui non sentissero bussare alla porta e notte durante la quale dormissero tranquilli. Presto o tardi lo avrebbero scoperto e a quel punto che ne sarebbe stato di loro? John non temeva la morte, né la prigionia. La sua più grande paura era che il re tarpasse nuovamente le ali a Sherlock, rinchiudendolo in quell’ala del castello di cui gli aveva tanto parlato. Di certo ne morirebbe, pensava nei momenti in cui vedeva il suo amato principe entusiasmarsi per sciocchezze come le interiora di un fagiano o il chiarore delle stelle. John non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via, neppure al Re Grasso. E neanche se costui era suo fratello. Al contrario, il principe non temeva per se stesso. Si sarebbe gettato da una rupe, pur veder salva la vita John Watson. Conosceva Mycroft e sapeva che non avrebbe mai fatto volontariamente male a qualcuno, così come era sicuro che, se glielo avesse chiesto, lo avrebbe addirittura lasciato vivere nelle sue stanze. Ma i nobili e i dignitari che popolavano la corte non gli avrebbero creduto facilmente, pur di ottenere qualcosa avrebbero potuto incolpare John di aver rapito il principe. Nessuno di loro sarebbe stato ad ascoltare le sue preghiere e il suo soldato sarebbe stato imprigionato o mandato a morte. Se fosse successa una cosa simile, Sherlock non se lo sarebbe mai perdonato. No, non potevano proprio andare avanti in quel modo.
 


          L’occasione per cambiare tutto quanto gli si prospettò una sera. Era da poco passato il tramonto e stavano rientrando da un pomeriggio in cerca di funghi da cucinare per cena. Si erano divertiti tantissimo nella foresta: avevano fatto il bagno, parlato e giocato in abbondanza. Mentre si avviavano sulla via di ritorno, Sherlock aveva iniziato a spiegare quanto straordinari fossero i funghi. Stava giusto per dar vita a un elogio sulla loro capacità di trovare i migliori, quando in lontananza notarono che la porticina della loro dimora era aperta. John capì alla svelta che si trattava dei soldati. Erano stati lì soltanto il giorno precedente ed erano tornati per mettere tutto quanto a soqquadro, di nuovo. E se avessero visto il violino? Non credeva di ricordare dove fosse nascosto. Come avrebbe potuto giustificare la presenza di un oggetto del genere in casa di un soldato zoppo che faceva il medico? Avrebbero potuto accusarlo d’aver rubato o, peggio, li avrebbero scoperti. Tutti al villaggio conoscevano la musica del principe Sherlock, era tutto quel che di lui la gente sapeva con esattezza. Il fratello di sua maestà faceva della musica stupenda e che suonava da uno strumento rarissimo, tanto che nessun altro nel regno poteva dire di possederlo. Spaventato, il soldato zoppo intimò al principe di restare fermo dove stava e di nascondersi.
«Non farti vedere» gli disse, prendendo il cestino dalle sue mani e correndo più veloce che poteva.
«Che succede?» chiese al comandante d’uno di loro, una volta che li ebbe raggiunti. «Cosa cercate in casa mia?» A quel punto, un uomo alto e magro dall’aspetto arcigno gli venne incontro. Portava una barba molto folta e in viso aveva un’espressione incattivita. * Il suo nome era Anderson, in paese lo conoscevano tutti per la sua perfidia. Si era guadagnato i gradi di sergente ed era al comando del drappello di guardie più violente del reame. Di lui tutti dicevano che fosse ambizioso, molto sgarbato e che non meritasse la fortuna che gli era capitata. Anni prima, infatti, come ricompensa per il coraggio mostrato durante la guerra, il re gli aveva concesso di prender moglie. Ma alla gioia per l’aver sposato l’amata Sally, si era presto sostituita l’insoddisfazione. La sua pretenziosa sposa era assai difficile da accontentare. Desiderava ori e ricchezze, cibo prelibato e abiti tessuti con sete pregiate. Tutte cose che, per un misero sergente, era molto difficile ottenere. Riuscire ad avere un grado più alto significava avere denaro a sufficienza per accontentare Sally. Perciò si stava dando tanto da fare, era certo che il re lo avrebbe promosso a capitano, pagandogli una grossa ricompensa, se avesse trovato quel mostro di suo fratello. Avrebbe fatto di tutto pur di riuscire a scovarlo, ovunque egli si nascondesse. E non gliene importava di quegli stupidi del villaggio che non facevano che lamentarsi delle case distrutte e delle botteghe messe a soqquadro, lui faceva semplicemente il suo lavoro. Avrebbe puntato la spada al collo di quello zoppo, se si fosse rivelato necessario.
«Cerchiamo Sua Maestà il Principe Sherlock» disse con aria tronfia.
«Beh, non lo troverete qui!» esclamò il medico con vigore, «io vivo solo e ora andatevene.»
«Decido io quando ce ne andiamo, villico e ora fatti da parte» gli disse, entrando in casa e sbattendo la porta tanto da far scricchiolare i cardini. E mentre li osservava buttare all’aria ogni cosa, John temette davvero che non ce la facessero a scamparla. Pensieroso, lanciò uno sguardo in direzione della foresta. Sherlock non era poi tanto distante. Se i soldati fossero andati da quella parte lo avrebbero certamente notato, accucciato dietro a un cespuglio. Come avrebbero potuto salvarsi da tutto quello? John lo amava come non aveva mai fatto con nessuno. Col passare del tempo aveva iniziato ad apprezzare non soltanto la sua conoscenza o la grande intelligenza che possedeva, ma anche i modi gentili che gli riservava. Certamente era un uomo strano, a cui piaceva quello che la gente di solito disprezzava, ma lui lo trovava comunque affascinante. Aveva una critica per chiunque e un’opinione schietta e sincera che, il più delle volte, faceva arrabbiare i bottegai o i pazienti dai quali si recava a far visita, i quali finivano con lo scacciarlo senza pagarlo. Ciononostante, il soldato zoppo non si arrabbiava mai. Il suo principe era non soltanto bellissimo, ma anche molto divertente. Vivere con lui significava avere un’avventura al giorno. Aveva un carattere bizzarro, questo era vero. Però John, di lui, amava persino i difetti. Era possessivo, geloso e sapeva diventare più pericoloso di una tempesta le volte in cui diceva di annoiarsi, ma neanche di questo gli importava. Voleva vivere al suo fianco per sempre e se il re si fosse messo in mezzo, per loro sarebbe certamente finita. John inspirò lentamente, tentò di combattere di desiderio di andare immediatamente da lui e serrò i pugni. Avrebbero dovuto fare qualcosa al più presto.



          Così come avevano programmato, Sherlock rimase dove stava per un buon paio di altre ore. Per loro fortuna i soldati non avevano trovato né violino, né botola segreta e, dopo aver capito che nessuno si nascondeva in quella casa, avevano preso la porta e se n’erano andati.
«Non possiamo più vivere così» se ne uscì uno stanco John, molte ore dopo. Avevano cucinato i loro funghi, ma non li avevano mangiati con gusto. Avevano troppe preoccupazioni per la testa. In quel momento stavano dividendo il letto come facevano ogni notte e, uno tra le braccia dell’altro, tentavano di darsi un po’ di conforto. Sapevano che correre nella foresta quando le cose si mettevano male, non era una soluzione. La loro casa, per quanto confortevole fosse, era troppo vicina al castello. E anche se le perquisizioni avvenivano in tutto il regno, il principe era sicuro che, nei villaggi limitrofi, queste fossero più frequenti. Re Mycroft era convinto che il fratello non fosse andato troppo lontano, ma che stesse nascosto da qualche parte nei dintorni, pronto a tornare a casa nel momento in cui il mondo avrebbe iniziato a deluderlo. Perciò dovevano fuggire e andare lontano, in un luogo in cui, del re, neanche se ne sentiva parlare.
«Io ho una soluzione, ma non ti piacerà» mormorò in risposta, stringendoselo al petto.
«Non importa, basta che ci conduca via di qui sani e salvi. E poi abbiamo forse altra scelta? A me basta stare al tuo fianco, mio amore.»
«E così sarà, ma per poter avere la libertà che tanto bramiamo dobbiamo chiedere l’aiuto dell’Incantatrice. Soltanto lei ha il potere che ci serve.»
«Ma avevi detto di non credere nella magia e che soltanto la logica e la ragione sono importanti nella vita di un uomo.» Lo ha detto eccome, pensò ridendo. In effetti non faceva altro ogni benedetto giorno che proclamare il proprio non credere a leggende, storie su lupi dall’aspetto umano e quant’altro di ridicolo. Il fatto che volesse rivolgersi a una ben nota strega, non solo era buffo, ma faceva capire quanto fossero disperati. E, soprattutto, quando lo stare insieme contasse molto più di credenze e convinzioni.
«Lo so ciò che ho detto, ma per te io farei qualunque cosa.»
«Non potremmo semplicemente scappare?»
«Mio fratello continuerebbe a cercarci. Quando si convincerà che non mi trovo nelle vicinanze del castello, andrà più lontano e poi più distante ancora. Lei è la nostra unica possibilità. Che ne pensi?» chiese subito dopo. «Accetti di lasciare la tua casa e scappare con un principe dal pessimo carattere? Accetti di vivere con me per il resto dei tuoi giorni?» A quella domanda, il soldato zoppo non rispose. Le parole erano di troppo e quindi si limitò ad annuire, dando il proprio consenso a quell’idea folle. Non si fidava dell’Incantatrice e nessuno avrebbe mai dovuto farlo, ma aveva invece tanta fede nel suo amato. Sapeva che non avrebbe gettato entrambi in un pericolo mortale. Di questo ne era assolutamente sicuro.
 
 

          Il mattino seguente il sodato zoppo si levò di buon ora. Il bel principe non si destava mai troppo presto, pertanto scelse quei momenti di tranquillità per mettere in ordine l’intera dimora. Rassettò la stanza, pulì qua e là, rimise a posto le sue erbe e infine si decise per fare un po’ di acquisti in paese. C’era giusto un delizioso profumo di focacce che arrivava fin lì, sarebbe stato magnifico accompagnarle con della carne secca. Stava per andare ad avvertire il dormiglione, quando un bussare alla porta attirò la sua attenzione. Che siano i soldati? Si domandò guadando in direzione dell’uscio con fare spaventato. No, non poteva essere. Il rumore arrivava da più in basso dell’altezza di un uomo e poi il suono era stato irregolare. Oh, tempo prima non avrebbe mai notato tanti particolari. Era stato Sherlock a insegnargli a capire chi poteva esserci oltre la porta, per dedurre con esattezza se si trattasse o meno delle guardie reali. Adesso era capace di intuire altezza, prestanza fisica o se si trattava di una donna invece che di un uomo.
«Chi è là?» domandò, titubante.
«Apri e lo scoprirai, soldato zoppo.» A parlare era una voce bassa e melliflua. Non sembrava propriamente maschile, ma nemmeno femminile. Di certo è strana, pensò facendosi avanti di un passo.
«Voglio sapere chi sei» insistette.
«Sono ciò tu che il tuo amato principe avete chiesto.»
«È lei!» proruppe Sherlock d’improvviso.
«L’Incantatrice?» John dubitava che fosse venuta di persona, se si fosse avvicinata i soldati avrebbero cercato di catturarla per condurla dal re. Non la ritenevano così stupida da spingersi oltre il bosco, che avesse mandato un messaggero? E come aveva fatto a sapere che desideravano ricevere il suo aiuto? Il principe non aveva alcun dubbio, era sbucato da dietro la tenda che divideva il letto dal resto della casa e ora fissava la porta ancora chiusa.
«Apri, John» ordinò e il soldato zoppo obbedì.
 


          E oltre l’entrata, alto e nobile, c’era un bellissimo cavallo bianco con una criniera che sembrava d’argento. Era stato lui a parlare, compresero senza nascondere la meraviglia. ** Sherlock conosceva la magia, aveva letto tantissimi libri e alcuni parlavano proprio di maghi e streghe. Ma assistere a un prodigio di persona era molto diverso. Gli sembrava incredibile, eppure quella creatura aveva una propria intelligenza (e anche un discreto senso dell’ironia). Sapeva tutto quanto di loro, come si chiamavano e addirittura che si volevano bene.
«Muovetevi» ordinò l’animale, abbassandosi quel tanto da permettere a entrambi di montare in groppa. E una volta che lo ebbero fatto, il destriero partì alla volta della foresta.
«Dove stiamo andando?» domandò il soldato zoppo poco più tardi, reggendosi stretto al suo principe.
«Non fare domande sciocche, John. Stiamo andando dall’Incantatrice. Non è vero… cavallo?» chiese, indeciso sul nome da usare.
«Mi chiamo Billy» rispose questi accelerando il trotto proprio mentre stavano per oltrepassare il limitare del bosco «e gradirei che voi altri non vi muoveste troppo là sopra, grazie. Tzé, umani!» concluse, con aria di superiorità. Una volta che ebbe detto questo l’animale tacque e riprese a passo deciso. John Watson, seduto sul suo dorso, si guardava attorno con fare spaesato. Le mani erano saldamente ancorate alla vita di Sherlock e più procedevano, avventurandosi in una zona che nessuno dei due conosceva, più la stretta diventava forte. Aveva visitato il bosco in lungo e in largo, per anni, ma era certo di non aver mai visto alberi alti come quelli e di non essere passato accanto a una quercia dal tronco così rugoso. Che l’Incantatrice nascondesse con la magia la propria casa?
«Stai pensando il vero, soldato zoppo» gli disse il cavallo, dando prova di avere fenomenali poteri. Riusciva a leggere nel pensiero e a capire che cosa dimorasse veramente nel loro cuore. Facevano domande curiose e quel principe notava particolari a cui, in genere, nessun altro badava. Però erano onesti e gentili. L’Incantatrice gliel’aveva detto: quelle anime sono troppo pure per non essere aiutate.
«La mia Signora cela questo luogo agli occhi di chi non lo cerca. E ora smontate che siamo arrivati.» Sherlock non si chiese come avesse fatto quell’animale a leggere nelle loro menti, la magia era tale ovvero priva di alcuna spiegazione sensata. Ma John, una o due domande, le azzardò in direzione del destriero. Questi però non rispose e, dopo aver nitrito con fastidio in sua direzione, gli mostrò il didietro. Adesso non è importante, si rese conto stringendo la mano del suo amato.
 

 
          L’Incantatrice viveva in un posto a dir poco orribile, lo era secondo il principe annoiato, il quale non mancò di farlo presente a voce ben alta. Al suo fianco, il soldato zoppo si era invece convinto che non fosse un’idea brillante contestare le decisioni di una donna che sapeva far parlare persino gli animali. E ciò, nonostante avesse tutte le ragioni nel dire che non era un bel posto in cui costruire una casa. In quel punto la foresta era molto fitta, tanto che i raggi del sole faticavano a oltrepassare la fitta coltre di alberi. Il prato sopra al quale stavano camminando era di un verde molto scuro ed era puntellato di funghi velenosi e spinosi rovi. C’era poca luce e faceva piuttosto freddo.
«Di certo è un ottimo posto per vivere se ti vuoi nascondere dai soldati. Riflettiamoci, John, nessuno mai ci troverebbe qua dentro.»
«Ma te lo scordi che vengo a vivere con te qui» rimbrottò il dottore, incrociando le braccia al petto «non c’è sole e il sole fa bene agli uomini, li rende sani e robusti. Però so che tu lo ameresti, è pieno di cose stran…» Non aveva fatto in tempo a concludere la frase, perché ciò che si era ritrovato davanti al naso era riuscito a far tacere persino il principe loquace. Poco lontano, infatti, c’era la casa della strega. Era una dimora come ce n’erano molte altre da quelle parti: piccola e modesta, con un comignolo sopra al tetto dal quale usciva del fumo. John avrebbe detto che somigliava alla sua, se solo non fosse stato per le due gigantesche zampe di gallina sopra le quali poggiava. ***
«Che io sia dannato» sbottò il soldato zoppo, volgendo il naso all’insù e stringendo ancora più forte la mano del suo principe.
«Beh, insolito non c’è che dire» se ne uscì questi, facendo un altro passo o due in avanti. Era l’abitazione più curiosa che avesse mai visto in tutta la vita, decisamente più interessante del noioso castello dentro al quale era cresciuto. Chissà come fanno a muoversi quelle zampe, pensò mentre oltrepassavano un tronco d’albero dall’aspetto ben poco vivo. Fu allora che giunsero appena sotto la porta. Questa stava a diversi piedi d’altezza e John non aveva idea di come avrebbero fatto a raggiungere la maniglia.
«Per poter entrare, c’è una parola da indovinare» urlò Billy, parlando in rima, dopo essersi accucciato a terra come fosse stato un cane. Che strano cavallo, rimuginò senza però dargli ulteriore retta.
«E adesso come facciamo a indovinarla?»
«A me pare fin troppo semplice, John. Avresti potuto impegnarti di più, strega» disse parlando a voce ben alta «ma usare il mio nome per aprire le tue porte, è quantomeno ridicolo.»
«Il tuo che?» azzardò a domandare il geloso soldato.
«Sherlock» pronunciò e, dopo che lo ebbe detto, entrambi furono trasportati dentro l’abitazione. Infine, erano giunti al cospetto dell’Incantatrice.
 


          La casa era calda e molto accogliente. Non ricca quanto il castello di un re, ma a detta di John Watson sembrava esserci tutto quanto il necessario. Certo che ce ne sono di stramberie, pensò dando un’occhiata attorno a sé. E non si riferiva tanto al camino acceso e scoppiettante o ai mobili con intarsi che richiamavano fiori e alberi, quanto a intrugli e stregonerie sistemate sui ripiani della cucina e a quel grande specchio, appeso a una parete, del quale l’Incantatrice si serviva per le sue divinazioni. Sebbene non le avesse dedicato troppe attenzioni, Sherlock la trovava affascinante e piena di oggetti curiosi. Mi piacerebbe conoscere il nome di tutte le cose che vedo, mormorò parlando fra sé e sé, domandandosi che cosa bollisse in quel paiolo. Subito dopo aver formulato quel desiderio, però, le sue attenzioni vennero distolte e tutto ciò che si ritrovò a fare, fu di spalancare la bocca e rimanere allibito. L’Incantatrice se ne stava distesa su un sofà, completamente spogliata degli abiti. Sonnecchiava, incurante della loro presenza. È una donna, si rese conto Sherlock. Non aveva mai visto una femmina senza vestiti prima di allora e non sapeva che fossero fatte in quel modo. I libri non sono così accurati, pensò guardando meglio le sue nudità come se fosse stata un insetto da sezionare. Non credeva che le sembianze di una giovane e bellissima ragazza fossero il suo vero aspetto, eppure era splendida. Aveva pelle bianchissima, lunghi capelli neri e labbra rosse come petali di rosa.
«Il principe annoiato e il soldato zoppo» proruppe l’Incantatrice a un certo punto, stendendo le braccia fin sopra la testa «vi attendevo con impazienza. Vedete? Ho indossato il mio abito migliore.»
«Potreste farmi il favore di vestirvi, madama?» ribatté invece John. Era molto teso, ma non erano i poterei di lei a inquietarlo. Non capisco perché Sherlock gli riservi quelle occhiate, borbottò incrociando le braccia al petto con gelosia. Quindi gli diede una poderosa gomitata nel fianco, facendolo sobbalzare. Fu allora che il principe si risvegliò dall’incanto che lo aveva colto. Il suo soldato era piuttosto arrabbiato, ma non capiva quale fosse la ragione. Era la nudità della strega a turbarlo tanto? È come quando porto in casa gli insetti e lui si arrabbia, si ritrovò a pensare prima di decidersi a far del bene al suo soldato. Lesto e senza porsi ulteriori domande, si levò la mantella che indossava e la offrì all’Incantatrice. Lei accettò il dono con piacere.
«Come ci puoi aiutare?» chiese poi il principe. John aveva tantissime domande da fare a quella donna, voleva capire come facesse la strega a sapere che avevano bisogno del suo aiuto, quali poteri possedesse e se il cavallo fosse sempre stato un cavallo, ma invece che parlare restò zitto. Sherlock aveva fatto la domanda più saggia, in effetti l’unica sensata. «Ma soprattutto, cosa vuoi in cambio?»
«Oh, nulla di che» se ne uscì lei «esigerò il mio pagamento al re in persona e lui sarà ben felice di accontentarmi.»
«Che cosa dobbiamo fare?» le chiese un John visibilmente teso. Ora, alla gelosia si era unita l’apprensione, che tipo di pagamento voleva? Il re avrebbe dovuto sborsare molto denaro per accontentarla? Sperava solo che non fosse tutto quanto un sotterfugio, un pretesto per far spodestare il Re Grasso dal proprio trono così da favorire Re Moriarty.
«Devi tornare al castello» disse lei, con fare pacato mentre John si tendeva ancora di più. «Indossa la tua mantella» proseguì l’Incantatrice porgendo al principe quel manto di stoffa grezza, donatogli da John perché le sue vesti pregiate non dessero nell’occhio, che gli aveva offerto. «Ora è incantata e nessuno ti potrà vedere. Entra nelle stanze del re e quando sarai giunto al suo cospetto, levati gli stivali e lasciali lì. Poi, scalzo come sarai, torna alla dimora del tuo soldato zoppo. Prenderete ciò che vi appartiene e, in sella al vostro destriero, vi recherete nel villaggio di Baker, Madama Hudson già attende la vostra venuta. In quel luogo tu, soldato zoppo, potrai esercitare i tuoi servigi di medico mentre tu, principe annoiato, potrai mettere a frutto le tue conoscenze e la tua intelligenza. Sarete benvoluti da tutti e vivrete per sempre felici e contenti. Così ho visto e così sarà.»
«Ma noi non ce l’abbiamo, un destriero» si lamentò John, il quale non riusciva a farsi piacere quella donna.
«Sta parlando di Billy, il cavallo bianco» spiegò invece Sherlock, il quale aveva invece capito tutto quanto. «Cosa chiederai a mio fratello? Voglio saperlo, Incantatrice.»
«Ricchezze» mormorò questa, sorridendo melliflua. «Sua Maestà è molto danaroso, ben più di qualsiasi altro re di qualsiasi altro regno che io conosca.»
«Eppure non dai l’impressione di essere interessata al denaro, quanto al potere che esso può esercitare. È questo ciò che vorrai da lui? Il potere di controllarlo?»
«Mio ingenuo principe» disse la strega, baciandolo dolcemente su una guancia e facendo vibrare John di gelosia «io ho già tutto il potere di cui ho bisogno. Devi sapere che per tutta la durata della tua vita ti ho guardato attraverso il mio specchio. Conosco ogni cosa che ti riguarda, ogni pensiero, turbamento, paura… sentimento d’amore» aggiunse, dando una rapida occhiata al bel soldato zoppo e quindi stirando un sorrisino furbo. «Se avessi voluto distruggere il tuo re mi sarebbe bastato farti catturare da una delle mie creature, quando eri solo un bambino. Mycroft avrebbe dato il regno per la tua salvezza. Io desidero solamente aiutarti così come ti ho aiutato per tutta la vita, impedendoti di morire quando sei caduto da quel ramo, spaventando così tanto tuo fratello. Ora tu giungi al mio cospetto a fianco del tuo innamorato e mi chiedi un favore, ed è ciò che ti sto dando.»
«Bada a te che non ci incanti» minacciò il soldato.
«Qualsiasi cosa crediate d’aver intuito, ormai è tardi per tornare indietro. Il gioco è iniziato.» E una volta che ebbe detto questo, Sherlock e John si ritrovarono sbalzati fuori dalla casa. Ora non si trovavano più al cospetto dell’Incantatrice, ma davanti alle enormi zampe di gallina sopra le quali poggiava l’intera abitazione. Il prodigio avvenne allora. Tutta la casa si animò e, come preda di una fretta senza nome, si mise a correre nel bosco. Poco dopo, già era sparita. Il principe e il soldato non sapevano se essere preoccupati oppure felici per la vita meravigliosa che la strega aveva predetto loro. Dovevano solo fare come lei aveva detto e sarebbero stati liberi. Sarebbe andata bene, si disse John montando in groppa al cavallo bianco.
 

 
          Quello che l’Incantatrice aveva detto successe di lì a pochi giorni. Nessuno aveva scoperto il principe mentre questi si era addentrato lungo i corridoi del castello, dato che la mantella magica lo aveva tenuto al sicuro dalle guardie. Una volta giunto al cospetto del re aveva fatto quanto gli era stato detto: si era levato gli stivali e li aveva lasciati accanto al letto di sua maestà. Dopo aver portato a termine il proprio compito, era sgattaiolato fuori allo stesso modo di come era entrato. E quella notte stessa, in sella al loro bianco destriero, il principe annoiato e il soldato zoppo si allontanarono dal paese. Il villaggio di Baker, ovunque esso si trovasse, li stava aspettando. Per loro fortuna Billy, il cavallo, sapeva esattamente in quale direzione andare.
 
 
 
 

Continua
 
 
 

*Nel “gay pilot”, l’attore che interpreta Anderson porta la barba.
**In molte favole, il cavallo parla con voce umana, consiglia i personaggi e ha capacità divinatorie (o magiche). Il suo ruolo viene identificato con la saggezza. Fonte.
***Il nome non viene citato, ma tutto ciò che ho scritto fa riferimento a Baba Jaga, strega appartenente alla tradizione slava e russa. Si tratta di un’incantatrice che vive nel bosco, abita in una casa che posa su zampe di gallina e che cammina da sola. Alla casa si può accedere soltanto dopo aver indovinato una parola magica o una formula. Baba Jaga nelle favole ha un duplice ruolo, spesso è vista come nemica altre volte invece aiuta l’eroe. Ho scelto Irene Adler perché la ritenevo la più adatta, ma dovete tenere in considerazione che l’impressione che ha Sherlock, ovvero che quello non sia il suo vero aspetto, corrisponde alla realtà. La tradizione, infatti, vuole Baba Jaga come una donna molto anziana.
 
Note: Ringrazio Nirvana_04 che letto in anteprima, corretto e dato pareri e suggerimenti sempre utili, e ovviamente anche tutti coloro che l’hanno letto e recensito. Voglio sottolineare che questa è la primissima volta (dopo più di cinque anni che scrivo qui) che uso il personaggio di Irene Adler.
   
 
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