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Autore: Carlos Olivera    12/07/2009    3 recensioni
Oggi sono qui, accanto a voi, per raccontare una storia.
La storia di un conflitto antico, risalente alle origini della vita, che vede un manipolo di valorosi guerrieri confrontarsi fra di loro in duelli all'ultimo sangue.
Ognuno di loro ha la propria storia, le proprie emozioni, e ognuno è speciale. Tuttavia, solo uno di loro, colui che si eleva su tutti, possiede dentro di sè la forza necessaria per arginare, una volta ogni due secoli, un potere sconosciuto ed oscuro, che fin dalla notte più antica brama di ritornare in questo mondo per portare a termine il suo operato.
Sono stato testimone del passaggio di un epoca. Ho conosciuto guerrieri di grande valore, e ho ammirato il loro coraggio. Lasciate che vi racconti... la loro storia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Millennium War'
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EPILOGO

EPILOGO

 

 

Otto mesi dopo

Aeroporto di Narita

 

Il momento era dunque arrivato.

  Per i quattro inseparabili amici che insieme avevano affrontato ogni sorta di prova, vivendo la più grande delle avventure, era tempo di cercare ognuno il proprio posto nel mondo, e sapevano che prima o poi avrebbero dovuto fare i conti con l’inevitabile distacco.

  Takeru aveva ormai deciso di entrare a tutti gli effetti nell’Afterlife, mettendo le conoscenze e le tecnologie dell’azienda di famiglia che un giorno avrebbe guidato al servizio dell’organizzazione, e Izumi si era detta pronta ad appoggiarlo nell’ingresso e nell’inserimento tra le file degli ammazza-demoni.

  Shinji e Keita avevano incominciato da poco l’università, rispettivamente nelle facoltà di Giurisprudenza e di Medicina, trasferendosi in un appartamento di Tokyo e conseguendo già importanti successi che rendevano estremamente fiere le rispettive famiglie.

  Nadeshiko, invece, durante le vacanze di natale, si era recata a Parigi per sostenere l’esame di ammissione al conservatorio nazionale, esame che aveva dato esito positivo e che le aveva permesso di compiere il primo passo verso la realizzazione del suo grande sogno.

  Gli ultimi mesi erano stati per lei carichi di emozioni contrastanti, perché se da una parte vi era la felicità per l’essere riuscita a raggiungere un traguardo così a lungo sperato dall’altra vi era la tristezza che le veniva dal pensiero di dover abbandonare, senza sapere neppure per quanto, i suoi migliori amici, quegli stessi amici che l’avevano seguita assieme alla sua famiglia fino all’aeroporto di Tokyo per darle l’ultimo saluto prima della definitiva partenza.

  C’erano proprio tutti: Keita, Shinji e Takeru, ma anche Johan Von Karma, che dopo le vacanze estive aveva fatto ritorno in Giappone per ultimare gli studi e che subito dopo aveva preso in mano le redini di quella famiglia alla quale era determinato a dare nuova vita.

  Fermi davanti alla grande vetrata panoramica che dava sulle piste, i ragazzi si guardavano tra di loro, e alcuni a stento trattenevano le lacrime di emozione.

  «Beh.» balbettò Nadeshiko distogliendo lo sguardo «E così ci siamo.»

  «Non essere così tesa.» disse Shinji sorridendo e sollevando il pollice «Dopotutto, sei la Dea della Fortuna. Cosa mai può andare storto?»

  «Mi raccomando, fatti onore.» disse Keita «Qui facciamo tutti il tifo per te».

  Lei sorrise, poi abbracciò calorosamente i suoi amici uno per uno.

  «Grazie. Grazie per tutto quello che avete fatto per me.»

  «Non dirlo neanche.» rispose Keita «A cosa servono gli amici se non a sostenersi l’un l’altro?»

  «Qualunque cosa accada, se vorrai tornare, noi saremo qui ad aspettarti.»

  «La mamma ha ragione. Ma comunque vada, siamo tutti immensamente fieri di te».

  Sua sorella Seika le si avvicinò, guardandola, poi le diede un buffetto sulla fronte come erano solite fare fin da piccole.

  «Alla fine ci sei riuscita. Chi l’avrebbe mai detto?

  Vai, e fargli vedere di che cosa sei capace

  «Onee-sama…»

  «Ultima chiamata! I passeggeri del volo AirFrance 126 diretto a Parigi sono pregati di presentarsi al checkin!»

  «Beh… è il mio volo.»

  «In bocca al lupo.» disse Johan

  «Grazie. Grazie a tutti.»

  «Non essere così avvilita.» disse Keita «Ci terremo in contatto tutti i giorni. Vedrai che non ti sentirai sola.»

  «Ne sono felice. Beh… ora sarà meglio che vada».

  Nadeshiko raccolse la propria valigia, avviandosi verso i cancelli, e i ragazzi continuarono a salutarla finché non la videro sparire sotto la scala mobile, poi, mentre suo padre e sua sorella cercavano di frenare la tristezza della madre, che mai era stata lontana da una delle due figlie per più di un mese, salirono sulla terrazza panoramica per veder decollare l’aereo, che decollò di lì a poco.

  «Mi è sembrata piuttosto serena.» disse Takeru, in disparte assieme a Shinji

  «Forse. Ma non ha smesso di sperare.»

  «Ne sei sicuro?»

  «Ho avuto modo di sentire una certa conversazione».

 

La consegna dei diplomi era sempre un evento molto emozionante, e questo era particolarmente vero per il liceo di Uminari, dove si tendeva a far sembrare quello il momento di un nuovo inizio piuttosto che di una triste fine.

  Uscire dal liceo significava riconoscere di essere diventati adulti, e questo i maturandi lo sapevano bene: molti di loro sarebbero andati all’università, altri, ma molto pochi, avrebbero intrapreso una carriera professionale, altri ancora puntavano addirittura alle facoltà oltremare.

  Durante il discorso nella palestra il direttore ebbe a dire che non era mai stato tanto soddisfatto dell’esito degli esami finali come in quell’occasione, e chiamò sul palco quattro ragazzi che più di tutti si erano distinti tanto nei suddetti esami quanto nelle strade che avevano deciso di intraprendere una volta usciti di lì, quegli stessi ragazzi che fino a poco prima erano bollati come asociali e da evitare, e che ora invece venivano indicati a modello per tutti coloro che sarebbero venuti dopo di loro: Keita e Shinji, che ancor prima di terminare gli studi avevano superato a pieni voti i difficilissimi esami di ammissione alle rispettive facoltà, Takeru, il futuro padrone della città, e Nadeshiko, la prima ragazza giapponese dopo tanto tempo ad essersi guadagnata l’ingresso al prestigioso Conservatoire de Paris, e sicuramente la prima che Uminari avesse mai avuto.

  Al termine della cerimonia Shinji si era immediatamente visto attorniato da un esercito di ex matricole del primo anno, oggi quasi tutte promosse al secondo, che di colpo lo avevano trovato interessante e degno di compagnia e lo avevano sommerso di domande di ogni sorta, soprattutto attinenti alla sua prossima carriera universitaria. Liberatosene, non senza qualche difficoltà, aveva deciso di salire sulla terrazza, per poter ammirare un’ultima volta quello spettacolare panorama che molto difficilmente avrebbe potuto trovare nella caotica Tokyo e che tante volte gli aveva arrecato conforto, ma raggiunta la porta d’ingresso l’aveva trovata socchiusa, e sentendo provenire da oltre di essa due voci famigliari si era appiattito contro la parete per poter sentire cosa si stessero dicendo.

  «Io lo aspetterò.» disse Nadeshiko guardando verso il mare «Fino a che avrò la certezza che è vivo, non smetterò di sperare.»

  «Non temere, Nadeshiko.» rispose Keita «Vedrai, prima o poi ritornerà. Lo ha promesso.»

  «Lo so che ritornerà. Ne ho la certezza. Perché, finalmente, mi sono ricordata.»

  «Di che cosa?»

  «Di quello che mi disse quella volta Yuko, quando ero ancora imprigionata nel pendente. Mi disse tuttavia, anche quando finalmente vi ritroverete, il destino deciderà di separarvi di nuovo.

  Io le chiesi perché, e per quanto tempo, e lei rispose un grande futuro attende entrambi. Difficile dire quanto tempo starete lontani, ma come è destino che vi dobbiate separare è destino anche che vi dobbiate riunire.

  Per questo so che lui un giorno ritornerà da me. Dovessi trascorrere tutta la mia vita guardando il cielo, perché lì sono certa che lui si trovi ora, da qualche parte fra le stelle, io non smetterò di attendere il suo ritorno».

 

«Lei non ha perso la speranza.» disse Shinji terminato il racconto «E non smetterà di aspettarlo, qualunque cosa accada».

  Mentre l’aereo cominciava la sua rapida ascesa Nadeshiko, seduta accanto al finestrino, prese dalla borsetta da viaggio che aveva con sé una fotografia che lei e gli altri avevano scattato in Piazza San Marco il giorno prima di lasciare Venezia. C’era anche Toshio, in piedi sul lato sinistro, accanto a Keita, che pur mantenendo quella sua espressione seria e quasi oscura lasciava trasparire parte della sua infinita dolcezza e determinazione.

  «Ce l’ho fatta, Toshio. Ho realizzato il mio sogno, e attenderò con ansia il momento in cui potremo finalmente ritrovarci. Fino a quel momento, non temere, ti aspetterò».

  Nello stesso momento, sulla terrazza dell’aeroporto, facevano la loro comparsa Tadaki e Souma, che da qualche tempo avevano cominciato a vivere insieme in una villetta vicino Londra, dove Tadaki aveva cominciato ad insegnare arte del restauro nella locale università, ma che di recente erano tornati in Giappone per sovrintendere all’allestimento di una importante mostra sul mondo celtico organizzata a Tokyo dal British.

  «Ragazzi.» disse Keita «Non vi aspettavamo.»

  «Non potevamo certo perderci questo momento.» disse Souma

  «Come procedono le cose?»

  «Benissimo.» rispose Tadaki «I nostri villaggi hanno appianato del tutto le proprie divergenze siglando una pace perpetua. Inoltre, molti di loro si sono aperti al mondo. Atarus sta portando nuovo lustro al clan dei McLoan, e Ilya è salita ufficialmente al trono.»

  «E Kazumi come sta?» chiese Shinji

  «Bene. Si è trasferita da poco a New York per frequentare l’università.»

  «Allora è davvero tutto finito.» disse Takeru

  «Sì, decisamente

  Subito prima di uscire i ragazzi incontrarono anche qualcun altro, qualcuno di completamente inatteso, e che ora, a differenza del passato, poteva permettersi di girare in pubblico senza alcun timore.

  «Ecco, lo sapevo! Siamo arrivate tardi!»

  «Aria! Lotte!» disse Shinji «Che sorpresa!»

  «Non ve l’aspettavate, vero?» disse Aria «Volevamo venire a salutare Nadeshiko, ma questa sorella degenera ci ha fatto perdere tempo, come al solito.»

  «Come sta Sanak?» domandò Keita

  «È un buon re. Il migliore che Nepthys abbia mai avuto. Akunator sarebbe fiero di lui.»

  «Lo immagino. Ora però andiamo, o perderemo l’autobus.» e, a quel punto, tutti si misero a correre in direzione delle uscite.

 

Stati Uniti

Montana

Glacier National Park

 

Hank Landry e Betty Hill erano due coniugi felicemente sposati che abitavano a New York, nel Queens, ma che dopo anni di fatiche e sacrifici erano riusciti a mettere da parte i soldi per acquistare un cottage all’interno del famoso Glacier National Park, nel Montana, sulle rive di McDonald Lake, dove erano soliti trascorrere le loro estati e ogni possibile periodo di ferie, tra lunghe passeggiate nei boschi, piacevoli momenti di relax e tranquilli pomeriggi di pesca.

  Entrambi avevano superato da poco la cinquantina; Hank, corpulento e dal portamento fiero, era sergente di polizia, ma puntava a raggiungere il ruolo di capitano prima di andare in pensione, Betty, afroamericana originaria di Boston, invece faceva la pediatra.

  Malgrado fossero due persone gentili e cordiali non avevano figli, non potevano averne, ma li avrebbero voluti più di qualsiasi altra cosa, per questo alcuni anni prima avevano tentato di proporsi come coppia a cui destinare bambini in affido; la loro richiesta, però, era stata respinta, a causa delle carriere lavorative di entrambi che li tenevano spesso fuori casa, così l’unica consolazione erano stati i due figli gemelli della signora Hill, sorella di Betty, Michael e Shon, che però ormai erano cresciuti.

  Nonostante ciò però i coniugi Landry cercavano di godersi pienamente la vita e l’amore che li univa, e che mai li avrebbe separati, e le brevi gite a Glacier li aiutavano a dimenticare almeno per un po’ il dispiacere per la mancata paternità.

  In un’assolata mattina di giugno Hank stava rientrando al cottage dopo una notte spesa a pescare, una pesca purtroppo poco abbondante, e come spesso accadeva trovò la moglie Betty ad attenderlo seduta al tavolino sotto il portico dove erano soliti fare colazione quando vi era bel tempo.

  «Buongiorno caro.»

  «Buongiorno a te.» disse lui dandole un bacio per poi sedersi

  «Allora, com’è andata?»

  «Nottata magra. Solo pesciolini.»

  «Ti rifarai la prossima volta.»

  «Lo spero. Ormai sono tre giorni che vado a vuoto.»

  «Caffè?»

  «Sì, grazie.»

  «Mi ha telefonato mia sorella stamattina presto.» disse mentre il marito sorseggiava il suo caffè «Michael ha passato gli esami di ammissione alla St.John.»

  «Ottimo. E Shon?»

  «Sta ancora studiando. Il suo esame è tra due settimane».

  In quella Hank, girando casualmente lo sguardo verso il lago, ebbe come l’impressione di scorgere qualcosa di scuro a ridosso dell’isolotto che sorgeva ad una cinquantina di metri dalla riva.

  «Quello che cos’è?» disse alzandosi in piedi e mettendosi la mano sulla fronte per poter vedere meglio

  «Non lo so. Forse è solo un tronco galleggiante.»

  «Per favore, prendimi il binocolo».

  Betty entrò in casa, uscendone pochi secondi dopo un binocolo da esploratore, lo stesso che Hank usava per fare bird watching durante le sue passeggiate nel bosco, e lo porse al marito, che tornò a rivolgere il suo sguardo sull’isolotto.

  La massa in questione poteva effettivamente sembrare solo un detrito, uno dei tanti che cadevano nel lago, ma mettendo bene a fuoco il sergente vide qualcos’altro, qualcosa che lo fece saltare per la preoccupazione: una mano, una mano che sembrava muoversi debolmente, come a chiedere aiuto.

  «Oh, maledizione! È un uomo!»

  «Che cosa!?»

  «Non è un tronco! È una persona!».

  Veloce come un fulmine Hank raggiunse il pontile a cui era legata la sua piccola barchetta da pesca e partì a razzo in direzione dell’isolotto, raggiungendolo in trenta secondi e issando velocemente a bordo il misterioso naufrago, privo di sensi ma, almeno a prima vista, in buone condizioni.

  Era un ragazzo, non doveva avere più di diciassette o diciotto anni, capelli argentei corti e fluttuanti, la pelle di un bel colore vivo e i lineamenti delicati, quasi fanciulleschi; indossava un abito molto strano, una sorta di grosso cappotto nero con un cappuccio, e lo stato in cui era, pieno di lacerazioni e di strappi, per un attimo fece temere ad Hank l’attacco di un orso, un evento che capitava di tanto in tanto in alcuni campeggi del parco o lungo i sentieri per escursionisti, ma non vi era traccia alcuna né di sangue né di ferite.

  Rapidamente lo portò a riva, quindi, con l’aiuto della moglie, lo distese sul pavimento ligneo del portico, iniziando a praticargli un massaggio cardiaco.

  Per fortuna, dopo poco, il ragazzo riaprì gli occhi, due splendidi zaffiri, sputando fiotti d’acqua per poi guardarsi attorno con aria spaesata.

  «Ehi, ragazzo.» disse Hank «Tutto bene? Senti la mia voce?»

  «YuYumi…» mugugnò prima di cadere addormentato.

  Si risvegliò solo molte ore dopo, sul far del tramonto, ritrovandosi disteso nel letto della stanza degli ospiti; la testa gli faceva male, gli bruciavano gli occhi e sentiva dolore in varie parti del corpo.

  «Ah, sei sveglio.» disse Hank entrando con in mano una tazza fumante «Stai meglio adesso?»

  «Io… sì…»

  «Bevi questo. È tè alle erbe. Ti aiuterà a rimetterti in sesto».

  Lui, timidamente, prese la tazza, bevendone un sorso; era forte, molto forte, ma se non altro sentì da subito il freddo divenire meno intenso.

  «Grazie.»

  «Non c’è di che».

  Hank attese qualche minuto, per dare al ragazzo il tempo di calmarsi un po’, poi cercò di rompere il ghiaccio.

  «Io mi chiamo Hank. Hank Landry».

  Il ragazzo lo guardò con aria ancor più spaesata di prima; sembrava un bambino che vede per la prima volta il mondo con i suoi occhi.

  «Dove… mi trovo?»

  «Nella nostra casa. Ti abbiamo trovato nel bel mezzo del lago. Sei fortunato ad essere ancora vivo.»

  «Il lago?»

  «Sì, McDonald Lake.» rispose Hank indicando una grande foto appesa al muro «Quello».

  Passarono un altro po’ di tempo, durante il quale Hank tentò di usare la propria esperienza di agente di polizia per tentare di carpire qualcosa dalle espressioni e dai comportamenti del ragazzo, ma per quanto ci provasse non riusciva a leggere assolutamente nulla in quegli occhi azzurri, non perché non ci fosse niente da leggere, ma perché c’era come una barriera invisibile che lo ricacciava indietro.

  «Ascolta, so che potrebbe essere difficile e doloroso, ma hai voglia di raccontarmi quello che è successo?»

  «Quello che è successo?»

  «Come sei finito nel lago? Sei caduto da una barca? Stavi pescando?».

  Il ragazzo si mise una mano sulla fronte, come a voler cercare di richiamare a sé quanti più ricordi possibile, ma la sua espressione affranta e spaventata lasciava intendere che non ci stava riuscendo.

  «Io… non me lo ricordo. Non… non mi ricordo niente.»

  «Non ti ricordi niente? Neanche da dove vieni, quanti anni hai? Ricordi almeno il tuo nome?»

  «Io… non ci riesco. È tutto così confuso. Mi gira la testa.»

  «Va’ bene, rilassati. Non c’è bisogno che ti sforzi a ricordare.

  Hai indubbiamente subito un forte shock, e questo può aver causato un’amnesia. Devi solo avere un po’ di pazienza, e vedrai che con il tempo i ricordi ritorneranno.

  Nel frattempo, puoi restare qui tutto il tempo che vuoi.»

  «Davvero?»

  «Abbiamo già avvisato la guardia forestale per segnalare quello che è successo. Se qualcuno dovesse denunciare la tua scomparsa ci avviseranno subito.»

  «Grazie. Lei è molto gentile.»

  «Figurati. Ora riposa. Ti chiamerò quando sarà pronta la cena. Immagino che avrai fame.»

  «Un pochino».

  Hank a quel punto si alzò dal letto e si diresse verso la porta, ma all’ultimo secondo la voce del ragazzo lo richiamò.

  «Erik.»

  «Come?»

  «Erik. Il mio nome. O almeno credo.»

  «Beh, è già un inizio.» rispose sorridendo il sergente prima di uscire.

 

 

Commenti Finali

Eccomi qua!^_^

E così, siamo giunti alla fine di questa lunga esperienza, che in realtà costituisce solo la prima parte di una narrazione assai più lunga ed intricata di quanto si possa immaginare.

Molti enigmi rimangono aperti, molte storie devono ancora essere raccontate, e le strade dei vecchi, ma soprattutto dei nuovi protagonisti sono ancora lunghe e costellate di avventure.

Voglio ringraziare chiunque abbia anche solo letto questa mia fiction, senza dubbio una delle migliori che abbia mai scritto.

Ringraziamenti particolari vanno a chi l’ha inserita tra i preferiti, Targul, Shakuma e Andrea83, a Frefro, per averla seguita, ma soprattutto alle mie appassionate recensitrici, Akita, Selly, Cleo e Levsky.

Grazie a tutti voi!

Presto, molto presto, come già detto in precedenza, riprenderà la narrazione di Millennium War – Rebirth, ma lascerò a chi vorrà tenersi al passo un po’ di tempo per leggere i capitoli già inseriti, inoltre cercherò per quanto possibile di lavorare parallelamente ad un episodio ponte tra le due storie, Millennium War – Threeten Days.

Ciao, e a presto!^_^

Carlos Olivera

  
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