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Autore: Old Fashioned    06/10/2018    16 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Resen-Lhaw 4 Salve gente,
un altro capitolo del mappazzone! Ovviamente ringrazio tantissimo tutti quelli che sono passati per di qui, che mi hanno letto o messo in qualche lista, ma soprattutto chi è stato così gentile da lasciarmi il suo parere. Grazie a tutti, vi adoro!




Capitolo 4

L’alba giunse come una linea di luce lattiginosa all’orizzonte. I fuochi erano da tempo spenti, anfore e cesti erano sparsi qua e là assieme a resti di cibo. I soldati giacevano dov’erano caduti, alcuni con recipienti mezzi rovesciati in mano. Uno o due dovevano essersi soffocati con dei bocconi che non avevano fatto in tempo a inghiottire.
Comparve il principe Dewrich, in armatura completa e con la spada in pugno. Si avvicinò ai soldati dormienti e per un po’ li osservò muto. Ne spinse uno con la punta del piede, ottenendo in risposta solo un basso grugnito.
Notò che un altro si stava rialzando pesantemente e subito si mosse in quella direzione. Gli andò alle spalle e gli piantò la spada nella schiena, facendogli uscire un fiotto di sangue dalla bocca. Estrasse poi la lama e l’uomo si accasciò nuovamente, questa volta per rimanere immobile.
Si avvicinò al fratello e lo scosse, ma il ragazzo non reagì in alcun modo. Si raddrizzò e scrutò l’orizzonte, quindi adocchiò l’aquila, che era posata su una cresta di roccia. “Va’,” le disse, “avvisa il tuo padrone che può venire.”
Il rapace volò via con uno strido.
Dewrich si recò poi nella tenda principale, rimase dentro per un po’, quindi uscì con in mano un involto di stoffa che ripose con cura in una delle bisacce della sua sella.
A quel punto l’aria cominciò a vibrare come per effetto di un terremoto. Al tremore si unì dopo poco anche un rombo cupo, che andava via via aumentando.
Facendosi schermo con la mano, il principe scrutò di nuovo l’orizzonte e rimase fermo a contemplare qualcosa. Sul volto gli comparve un sorriso di soddisfazione.

Dal suo rifugio, Res azzardò uno sguardo nella stessa direzione: stava arrivando al galoppo una torma di cavalieri. Si avvicinavano rapidamente, quindi in breve fu in grado di riconoscerli come predoni di As’del: i capelli bianchi, le elaborate armature pettorali, i calzoni larghi e i mantelli di colori sgargianti erano tipici di quel popolo fiero e vanitoso, appassionato di monili preziosi e bei cavalli.
I cavalieri, non meno di una cinquantina, dilagarono su tutto il campo, rovesciando le tende dell’accampamento, scrutando sotto i teloni dei carri e girando intorno ai soldati ancora stesi a terra. Di tanto in tanto si voltavano verso il loro capo, evidentemente aspettando che questi desse l’ordine di smontare di sella e cominciare il saccheggio.
Dal gruppo dei nuovi arrivati si staccò un cavaliere che montava un morello con una stella bianca in fronte e aveva un’aquila sulla spalla. Poteva avere una trentina d’anni. Era alto, per essere un uomo di As’del, e molto muscoloso. I capelli bianchi gli arrivavano fin sotto le spalle. Aveva due spade legate sul dorso e indossava un mantello scarlatto.
L’uomo procedette fino a fermarsi di fronte a Dewrich, quindi smontò di sella e si inchinò.
Il principe rispose al saluto e disse: “Ho fatto ciò che mi chiedevi, Jeisym Khan.”
L’altro si guardò intorno e rispose: “Lo vedo, principe. Sono tutti lì?” Con un gesto della testa indicò gli uomini dormienti.
Dal primo all’ultimo. Potete farne quello che volete.”
E il principe?”
Se non è già morto, ammazzatelo. Non voglio vedermelo tornare a Dyat, magari con un esercito, fra qualche anno.”
L’altro annuì. “Certo, dici il giusto. Farò in modo che questo non possa accadere.” A voce più alta diede un ordine nella lingua di As’del. I suoi uomini emisero un tonante grido di gioia e smontarono da cavallo, quindi si gettarono sui dormienti e cominciarono a scannarli uno dopo l’altro, cacciandosi nel frattempo in bocca pezzi di pasticcio o torta avanzati, e intascando tutto ciò che trovavano interessante.
Uno sollevò il principe esanime per le braccia e lo trascinò da una parte, dandosi poi a spogliarlo degli abiti preziosi. Quando ebbe finito, tirò fuori il pugnale per ucciderlo, ma qualcosa lo distrasse ed egli se ne andò disinteressandosi di lui.
A denti stretti, tremante, col sudore che gli ruscellava sul viso, il soldato assisteva impotente al massacro e al saccheggio dell’accampamento. Più di una volta aveva preso in seria considerazione l’idea di palesarsi, per condividere il fato dei suoi compagni, ma sempre il buon senso aveva prevalso, facendogli capire che un simile sacrificio sarebbe servito solo ad appagare la sua necessità di espiazione, senza peraltro apportare alcun elemento positivo alla situazione contingente.
Mentre l’orgia di massacro era in pieno svolgimento, Dewrich andò a prendere il cavallo da guerra, montò in sella e disse a Jeisym Khan: “Non appena giungerò a Dyat, la tua aquila ti avvertirà. Allora tu mi raggiungerai al monastero di Voldas e io ti darò la seconda metà di quello che ti ho promesso.”
L’altro si inchinò. “Che il tuo dio ti accompagni nel cammino, futuro re del Daishrach.” Detto questo, si rialzò e lo fissò negli occhi, quindi soggiunse: “E per far sì che tu raggiunga Dyat sano e salvo, i miei due uomini migliori, Nys e Den’en, verranno con te.” Diede un ordine nella sua lingua e subito due robusti cavalieri abbandonarono quel che stavano facendo, montarono in sella e lo raggiunsero.
Jeisym Khan sorrise e disse: “Questi, principe, sono i miei uomini migliori, non ci sono guerrieri come loro in tutte le steppe di As’del. I loro cavalli galoppano come il vento, la loro vista è acuta, il loro braccio è poderoso e il loro cuore è intrepido. Da ora e fino a che non ci rivedremo, essi saranno la tua ombra.”
Ti ringrazio, Khan,” rispose Dewrich a denti stretti.
Non devi ringraziarmi. L’affetto e la stima che ho per te mi spingono a vegliare sulla tua incolumità.”
Non corre rischi, Khan, comunque ti ringrazio. Perlomeno avrò qualcuno con cui parlare mentre attraverso queste steppe.”
Per chi sa ascoltare, le steppe parlano. Hai mai udito la brezza gentile che sussurra sull’erba? O le pietre ghiacciate che gemono al mattino, quando vengono scaldate dal primo sole?” Rivolse gli occhi all’immensità ondulata e con tono ispirato soggiunse: “Oppure il grido aspro del falco, e il sibilo del vento di maestrale?”
Ho sentito tutto questo, Khan,” confermò Dewrich sbrigativo.
E allora come puoi dire che la steppa non parla, principe? Essa parla al cuore dell’uomo nobile, lo commuove e lo esalta allo stesso tempo.”
Indubbiamente, ma ora devo andare. Vorrei raggiungere Dyat prima possibile.”
L’altro assentì. “Certo, ti capisco. Ma Nys e Den’en saranno sempre al tuo fianco, non dovrai preoccuparti di nulla.”

§

Jeisym Khan rimase per qualche istante a guardare il principe che si allontanava seguito dai suoi uomini. Non lo considerava particolarmente infido, non rispetto alla media degli abitanti di As’del, perlomeno, però suo padre gli aveva sempre ripetuto che la fiducia è bene, ma il controllo è meglio.
Shaar!” chiamò. Si udì uno strido acuto, poi l’aquila arrivò in volo e gli si posò sull’avambraccio. Volse verso di lui lo sguardo grifagno.
Shaar, amica mia,” disse Jeisym, “segui il principe Dewrich. Sii i miei occhi e le mie orecchie.”
L’aquila emise un secondo strido, quindi prese il volo e si allontanò con lenti battiti d’ala.
In quel momento, un guerriero si avvicinò a lui. Portava un camiciotto senza maniche fatto di pelliccia, aveva le braccia ornate di monili d’oro e un’alta cintura d’argento e pietre dure. I capelli bianchi erano legati in una treccia che gli arrivava a metà schiena. Jeisym si voltò verso di lui. “Che cosa c’è, Therved?” gli chiese.
Volevo solo dirti che tutto procede secondo i tuoi ordini, Khan.”
Molto bene. Dì agli uomini che possono prendere quello che vogliono, ma non devono entrare nei templi. Non ho intenzione di farmi nemico questo dio.”
L’uomo si inchinò. “Come tu comandi, Khan.” Fece per andarsene, ma l’altro lo fermò.
Portami il ragazzo,” ordinò.
Come tu comandi, Khan.”
L’uomo si allontanò e poco dopo fece ritorno assieme a un altro. In due sorreggevano, uno per le ascelle e uno per le caviglie, il giovane Herich ancora privo di sensi. Lo deposero a terra.
Jeisym si chinò su di lui, gli prese il mento fra le dita e gli voltò la testa da una parte e dall’altra, poi gli sollevò una palpebra e gli aprì la bocca per controllare i denti.
Peccato per quel segno rosso sull’occhio, Khan,” constatò Therved alle sue spalle.
Ti sbagli, questo ne aumenta il valore. È come l’impronta del pollice di Halmaikah, che fa raddoppiare il prezzo dei purosangue.”
L’uomo si limitò ad annuire.
Fallo caricare su un carro,” disse allora il Khan, “mettigli una coperta addosso, che non si ammali, e bada che nessuno lo rovini. Deve arrivare intatto a Perechyra.”

§

Res uscì dal tempio solo quando fu certo che i predoni fossero già scomparsi all’orizzonte e per un po’ si aggirò in silenzio nella devastazione che essi avevano lasciato. A parte i due principi, gli altri erano stati uccisi tutti. Il chierico giaceva supino, l’avevano spogliato prima di sgozzarlo, per far sì che i paramenti ricamati non si imbevessero di sangue. Le dita erano state tranciate per portare via gli anelli.
I soldati erano tutti morti, la maggior parte delle armi e delle armature, e in generale tutto ciò che poteva avere un valore, era stato saccheggiato. Il capitano Arahad era stato decapitato nel sonno, il volto conservava l’espressione atarassica conferita dall’assunzione di tau’zeel. Probabilmente l’ufficiale non aveva mai fatto uso prima della droga, quindi l’effetto era stato più potente che mai. Gli dispiacque: Arahad era un buon capitano.
Emise un sospiro: ecco che si trovava di nuovo, unico superstite, a contemplare la distesa dei compagni morti.
Per un istante lo prese l’impulso di buttarsi a grufolare fra i corpi alla ricerca di qualche anfora che contenesse ancora un fondo di vino con il tau’zeel, ma le impronte di ruote che si perdevano all’orizzonte ebbero il potere di riportarlo in modo brutale alla realtà contingente: quello non era il momento di piangersi addosso, il principe Herich era nelle mani dei predoni, suo fratello Dewrich stava correndo a Dyat per usurpare il trono e solo lui, per quanto indegno, per quanto disonorato, poteva fare qualcosa.
È ora di tornare a combattere,” disse fra sé e sé.

Raccolse in giro le poche cose utili rimaste: un otre d’acqua, un mantello pesante, qualche provvista. Tra i resti del banchetto erano disseminate anfore di vino drogato, per cui evitò di avvicinarsi a quelle vivande, preferendo raccogliere gallette e carne secca da dove i predoni le avevano con spregio buttate.
Si congratulò con se stesso per aver tenuto con sé le poche monete che possedeva, avrebbero potuto tornargli utili.
Le loriche e gli elmi erano stati rubati, ma recuperò da sotto un mucchio di cadaveri una buona spada con anche il fodero e se l’affibbiò in cintura. Non aveva cavallo, ma i predoni si erano impadroniti dei carri ed erano carichi di bottino, quindi per forza di cose avrebbero tenuto un’andatura lenta. Doveva solo evitare di avvicinarsi troppo, altrimenti in quella pianura senza rilievi si sarebbero accorti di lui, poi avrebbe potuto comodamente seguirli tenendo come riferimento le tracce che si lasciavano dietro.
Si mise in marcia. Dopo essere rimasto nel tempio per tutta la notte si era quasi abituato alla potente carica magica del luogo, tuttavia man mano che se ne allontanava si sentiva meno affaticato e il suo umore si faceva meno plumbeo. Quando il vento riprese a soffiare sulla pianura lo accolse quasi con sollievo, anche se era ghiacciato e lo faceva rabbrividire, perché gli dava una sensazione di vitalità che da tempo non provava più.
Nel tempio aveva fatto un sogno: aveva visto Dras, un uomo imponente, seduto su un trono nel mezzo di un paesaggio innevato e roccioso, con addosso un’armatura da generale. Aveva stretto un patto con lui. “Sarà l’ultima cosa che faccio,” disse a mezza voce, “Ma è giusto che sia così.”

§

La prima cosa di cui Herich si accorse nel riprendere i sensi fu che nell’aria c’era un penetrante odore di spezie esotiche. Era un aroma greve, sensuale, con pesanti note di resine e fiori, che inebriava e stordiva.
Si rigirò su un fianco e realizzò di trovarsi su pellicce talmente folte che quasi ci affondava dentro.
Bentornato tra noi,” disse qualcuno fuori dal suo campo visivo.
Herich sussultò. La voce era quella di un giovane uomo ed era appesantita da un accento straniero che non riuscì a definire. Non apparteneva a nessuno di sua conoscenza.
Fu attraversato da un’ondata di paura. “Dove sono?” mormorò con voce incerta.
Non ha importanza.”
Il ragazzo deglutì, cercò senza successo di alzarsi. “Chi sei?”
Il padrone della voce si spostò nel suo campo visivo, rivelandosi un predone di As’del che indossava ricchi abiti di seta e aveva monili su entrambe le braccia. La sua muscolatura poderosa contrastava stranamente con i lineamenti, che invece erano talmente delicati da risultare quasi femminei.
Chi sei?” ripeté Herich, “Dove sono gli altri?”
Intendi quelli che erano con te?”
Sul volto del ragazzo si accese una luce di speranza. “Sì, loro! Mio fratello Dewrich, il chierico Cresdan e gli altri. Dove sono?”
A parte tuo fratello, morti.”
Herich sbiancò. “Cosa?” Si puntellò su un gomito per sollevarsi.
L’altro avvicinò il viso al suo, e lo fissò con aria di compatimento. “Povero stupido,” gli disse, “tuo fratello ti ha tradito.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. “Non è vero!”
Il predone annuì con aria grave. “Oh, sì che è vero. E pensa che se non fosse stato per me e per uno dei miei guerrieri, ora anche tu saresti morto.”
Herich deglutì. “Che… che significa?” Balbettò incerto, facendo guizzare tutt’intorno lo sguardo spaventato.
L’espressione dell’altro divenne quasi di degnazione. Con un sospiro, rispose: “Significa che tuo fratello ha aspettato che tu ricevessi la corona, poi ha drogato te e tutti gli altri, e mentre noi saccheggiavamo il tuo accampamento e toglievamo di mezzo scomodi testimoni, lui è tornato a Dyat, dove dirà al re vostro padre che la spedizione è stata assaltata e lui è l’unico superstite.”
A quelle parole, il labbro inferiore del ragazzo cominciò a tremare, e grosse lacrime gli rotolarono lungo le guance. “Non è vero...” singhiozzò, “non è possibile. Avrete ucciso o catturato anche lui e non me lo volete dire.”
Tuo fratello vale molto meno di te, per noi. Tu almeno puoi essere venduto come schiavo al grande mercato di Perechyra.” Gli prese una ciocca di capelli e delicatamente se la fece scorrere tra le dita. “Sei vergine?” gli chiese, come un altro gli avrebbe chiesto se sapeva leggere e fare di conto.
Ma cosa ti viene in mente?” sbottò il ragazzo.
Quelli vergini li pagano di più,” fu la disinvolta risposta, poi il predone soggiunse: “Cos’è quel segno che hai sul viso?”
Herich sospiro. “Dicono che sia il segno della benevolenza di Dras.”
Il vostro dio?”
Il capo degli dei. Mi è comparso quando sono entrato nel Grande Tempio a Dyat. La mattina mio fratello mi aveva ferito con la spada, e poi la ferita è diventata così.”
Forse il tuo dio stava cercando di dirti qualcosa, allora.”
Il ragazzo si limitò ad alzare le spalle. Si guardò intorno: si trovava in una tenda circolare, arredata con cassapanche di legno intarsiato e vasellame prezioso. Dovunque erano abbandonate ricche stoffe dai colori sgargianti, pellicce e cuscini.
Mio padre ti coprirà d’oro, se mi riporti da lui.”
Il predone scosse la testa. “Troppo pericoloso. Inoltre, tuo fratello mi ha già coperto d’oro, e lo farà ancora, perché io non ti riporti indietro, e Jeisym Khan dell’Aquila Bianca ha una sola parola.”
Un predone di As’del che attribuisce valore alla parola data?”
Il suo interlocutore gli sorrise sprezzante. “Meriteresti che ti frustassi, per quello che hai detto,” replicò duro, e sogghignò quando vide un’espressione spaurita comparire sul volto del prigioniero. “A voi del Waerund fa comodo pensare che gli As’vaan siano tutti ladri, traditori e predoni.”
Herich distolse lo sguardo senza rispondere.
Con lo stesso tono sprezzante, l’altro proseguì: “Presso il nostro popolo, la parola data è più sacra di qualsiasi cosa. Anche più della vita.”
Passò qualche tempo, l’unico suono che si udiva era il sibilo del vento all’esterno. Alla fine il ragazzo chiese: “Cosa vuoi fare di me?”
Te l’ho detto, sarai venduto al mercato di Perechyra. Sei bello, inoltre suppongo che tu sia istruito e abbia buone maniere, essendo un principe.”
Verranno a riprendermi.”
Non credo proprio, visto che non abbiamo lasciato in vita nessuno.”
A quelle parole, le lacrime ricominciarono a scorrere sul viso del ragazzo: se avevano ucciso tutti, significava che anche Res era morto. Si sentì invadere dalla disperazione: per qualche irrazionale motivo, aveva sperato che proprio Res sarebbe arrivato a salvarlo.
È inutile piangere.” La voce dell’As’vaan lo riportò bruscamente alla realtà. “Non ti servirà certo a riavere la tua vita di prima. Puoi solo adattarti a questa, e prima lo farai, meglio sarà per te.”
Si alzò dal giaciglio, sul quale si era seduto per parlargli, e aggiunse: “Il mio nome è Jeisym Khan, comando il clan dell’Aquila Bianca. Nell’accampamento sei libero, puoi andare dove vuoi, ma non ti consiglio di provare a scappare, perché da solo nella steppa non sopravviveresti nemmeno un giorno.”
Si inchinò brevemente e uscì. Mentre scostava il telo che chiudeva la porta, Herich fece in tempo a intravedere una pianura ondulata che si perdeva all’orizzonte assumendo in lontananza i toni del grigio e del viola.

§

L’acqua gorgogliava piano scorrendo tra sassi lisci e ricoperti di muschio. Res, che da più di un giorno aveva prosciugato l’otre, si buttò faccia a terra lungo la riva del fiume e per un po’ non fece altro che bere con avidità, incurante del fatto che l’acqua fosse ghiacciata. Solo dopo essersi parzialmente dissetato, si sollevò ansante sugli avambracci e rotolò di lato a occhi chiusi.
Le gambe gli facevano talmente male che gli sembrava di avere due tanroth-ath, uno per parte, che gliele azzannavano. La schiena era dura come un pezzo di legno, la testa gli doleva e le orecchie gli fischiavano.
Nonostante l’urgenza di non perdere le tracce della carovana, doveva riposarsi. Erano più di tre giorni che camminava ininterrottamente, facendo pause solo per concedersi qualche ora di sonno, mai più di due alla volta, e ormai aveva un disperato bisogno di ritemprare l’esausto fisico.
Si rialzò con una smorfia di dolore e camminò un po’ lungo la riva alla ricerca di un punto in cui l’acqua fosse più profonda.
Una volta che lo ebbe trovato, si disfò degli abiti e incurante del freddo si immerse. Si adagiò sulle pietre lisce del fondo e per un po’ rimase semplicemente immobile, lasciando che la corrente lo accarezzasse, poi si accovacciò e cominciò a strofinarsi con forza con un sasso piatto, assaporando la sensazione di vigore che l’acqua gelida conferiva alle sue stremate membra.
Si asciugò con un lembo del mantello pesante. Si guardò, mentre lo faceva: il suo corpo era ancora il fascio di muscoli che ricordava. Un po’ appesantito dagli anni, magari, ma pur sempre in grado di servirlo fedelmente. Percorse con lo sguardo le cicatrici bianche che lo segnavano: ognuna di esse aveva una storia e si portava dietro un carico di dolore, paura, esaltazione e orgoglio.
Chinò la testa. Orgoglio.
Non aveva più molti motivi per essere orgoglioso, ormai.
Ancora avvolto nel mantello si lasciò cadere sulla rena e chiuse gli occhi, cercando di scacciare le immagini che stavano affiorando dalla sua memoria.

Si riprese qualche ora dopo. Stava calando il sole e sulla pianura aveva preso a soffiare il vento. Incassato nel letto del fiume, però, Res era relativamente riparato e non sentiva troppo freddo. Tirò fuori quello che gli era rimasto da mangiare, ovvero desolatamente poco: aveva ancora qualche pezzo di carne secca e alcune gallette, una quantità di cibo che anche razionata nel modo più rigoroso non sarebbe durata più di due giorni.
Prese una galletta, e visto che era vicino al fiume si concesse il lusso di ammorbidirla in acqua, poi tagliò una striscia di carne e cominciò a masticarla. Nella luce che andava scemando, seguì con lo sguardo il corso d’acqua: doveva trattarsi del Phorean, ovvero il confine naturale che separava il Waerund dalle steppe di As’del. Le tracce della carovana lo oltrepassavano e si perdevano verso nord est. Posto che in quella distesa desolata non avrebbe avuto senso non seguire una linea retta per raggiungere la propria destinazione, l’unico luogo di una certa importanza che si trovava in quella direzione era Perechyra, ovvero la città da cui passavano tutte le vie carovaniere più importanti. Pensò che probabilmente i predoni stavano andando là per vendere tutto ciò che avevano razziato, compreso il principe Herich, che con la sua acerba bellezza e i suoi modi raffinati, in mano a un buon banditore avrebbe fruttato non meno di ventimila pezzi d’oro.
A quel pensiero fu tentato di rimettersi in marcia immediatamente e solo forza di volontà e buon senso lo costrinsero a rimanere sdraiato per una notte di sonno. Con un sospiro di frustrazione, si rannicchiò avvolgendosi nel mantello e chiuse gli occhi.

§

Jeisym affiancò il proprio morello alla puledra grigia di Herich e disse: “Copriti bene, se provassi a venderti con la tosse e il moccio al naso, avrebbero la pretesa di pagarti di meno.”
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo freddo. “Cosa pensi che me ne importi se ricaverete meno dalla mia vendita?”
Il Khan gli rivolse un sorriso di degnazione. “Povero stupido. Chi paga di più è più ricco, quindi vive meglio e come ovvia conseguenza, anche i suoi schiavi vivono meglio. Hai tutta questa voglia di finire in un bordello di lusso invece che nella casa di qualche nobile?”
Herich non rispose, si limitò a far vagare lo sguardo sulla pianura. Il sole stava calando, ombre viola avanzavano silenti. Piegata dal vento, l’erba dura della steppa prendeva un colore verde argentato che ricordava le foglie dei gattici.
Non l’avrebbe mai pensato, ma anche quella pianura desolata gli stava diventando cara, soprattutto perché rappresentava l’ultimo sorso di libertà che gli veniva concesso. Emise un sospiro.
Al suo fianco, Jeisym Khan gli chiese: “Che c’è?”
Il ragazzo lo fissò. “E me lo domandi?”
L’altro annuì. “Sì, te lo domando. In fin dei conti non ti è stato fatto alcun male, sei sempre stato trattato con gentilezza.”
Solo perché mi volete vendere come schiavo.”
E allora ringrazia il tuo dio che ti ha donato tanta avvenenza, altrimenti ti avremmo ucciso come tutti gli altri.”
Herich si avvolse la pelliccia intorno al collo e spronò la puledra, distaccando Jeisym di alcuni passi.
Passò qualche minuto, poi l’As’vaan lo raggiunse e disse: “Quella cavalla mi sembra veloce. Che ne dici di fare una corsa?”
Il ragazzo scosse la testa. “Ci ho già provato con mio fratello. Non voglio finire schiavo, ma non voglio finire nemmeno con le ossa rotte.”
Jeisym lo fissò critico. “Allora non sai galoppare.”
Lo so fare perfettamente.”
In un maneggio, forse. Galoppare nella steppa è una cosa che si impara da piccoli.”
Herich si voltò verso di lui e non poté fare a meno di notare la sua espressione orgogliosa. Nonostante fossero alla fine di un lungo giorno di marcia, egli si ergeva dritto sulla sella e i suoi occhi dorati scintillavano. “Ti insegno,” disse.
No, io...”
Devi imparare. Un uomo non è un uomo, se non sa galoppare nella steppa.”
Herich avrebbe voluto fargli notare che di lì a poco non sarebbe interessato a nessuno, se era uomo o no, e che anzi avrebbe potuto ritenersi fortunato se trovava un padrone che non lo faceva evirare, ma nonostante la sua cortesia, quel Jeisym continuava a dargli poco affidamento e aveva paura di contraddirlo. Si limitò a fissarlo in silenzio.
Devi imparare,” ripeté convinto il Khan. “La prima cosa è essere tutt’uno con il cavallo, solo così potrai guidarlo come faresti con le tue gambe, e più sarete insieme, più lui si fiderà di te e ti servirà bene.”
Così parlando si era avvicinato, e gli stava sistemando l’assetto e le redini. “Devi far sì che i suoi movimenti diventino i tuoi.”
Alla fine della spiegazione chiese: “Sei pronto?”
Il ragazzo deglutì. Ormai era il crepuscolo, la pianura si estendeva apparentemente inoffensiva a perdita d’occhio, ma chi gli garantiva che non ci fossero un sasso, una tana di coniglio o qualsiasi altra cosa in grado di far cadere il suo cavallo?
Come se gli avesse letto nel pensiero, l’altro gli disse: “Non temere: Halmaikah vede attraverso gli occhi dei cavalli. Non succederà niente.” Tirò le redini del morello, che aveva capito cosa stava per succedere, e nonostante la stanchezza anelava a lanciarsi al galoppo, quindi chiamò: “Therved!”
Subito si avvicinò il guerriero. “Khan?”
Fa approntare l’accampamento, mentre io e il principe facciamo una galoppata in questa magnifica sera.”
Come tu comandi, Khan,” rispose l’uomo inchinandosi.
Jeisym si rivolse al ragazzo: “Al mio via!”
Herich si limitò a stringere le ginocchia. Fece scendere una mano sul garrese, ad afferrare un ciuffo di criniera, e chiuse gli occhi.
Non così,” lo rimproverò il Khan. “Devi godere della cavalcata, non subirla.” Poi, dopo una pausa: “Vieni con me.”
Partirono affiancati al trotto. “Lo senti?” gli chiese Jeisym dopo un po’, “Lo senti che vuole correre?”
In effetti, la puledra fremeva in preda all’aspettativa, tanto che Herich faceva fatica a mantenerla tranquilla.
Lo senti?”
Sì, Khan.”
Sono il Khan per i miei uomini, non per un mio pari. Per te sono Jeisym.”
Il ragazzo si limitò ad annuire.
Ora allenta le redini, falle capire che vuoi che corra come il vento sulla pianura.”
Herich non avrebbe saputo dire com’era successo, ma un attimo dopo si trovò lanciato al galoppo, con l’aria gelida che gli frustava il viso e gli occhi che gli lacrimavano per la velocità. Accanto a lui c’era l’As’vaan, e il suo morello doveva faticare per tenere l’andatura della puledra, che invece scivolava sull’erba argentea rapida come il pensiero.
Herich pensò dapprima che quella corsa sfrenata sulla pianura immersa nel crepuscolo gli faceva paura, poi subito dopo pensò che era la cosa più bella che avesse mai fatto, che era come volare. Si sorprese a incitare la puledra perché andasse ancora più veloce.

Tornarono al campo che era già buio, guidati dalle voci e dai fuochi. La tenda circolare era stata innalzata al centro dell’accampamento e già si sentiva l’odore dei cibi messi a cuocere.
I due abbandonarono i cavalli schiumanti e per un po’ rimasero a contemplare la sottile striscia di luce aranciata che scorreva lungo l’orizzonte a occidente. Il Khan mise la mano sulla spalla a Herich e gli chiese: “Ora che mi dici delle cavalcate nella steppa?”
Il ragazzo si limitò a socchiudere gli occhi inspirando l’aria pura e gelida. “Sei crudele,” disse dopo un po’.
Perché?”
Perché mi fai assaporare tutto quello che sto per perdere. Se la mia prigionia fosse orribile, allora potrei forse anelare a un padrone buono che mi accogliesse nel suo harem e mi desse bei vestiti e buon cibo… ma così?”
Lo faccio per cortesia nei tuoi confronti.”
Una cortesia crudele, come quella di nutrire un maiale solo con le ghiande migliori.”
Detto questo, il ragazzo gli girò le spalle ed entrò nella tenda.
Passò qualche minuto, poi il Khan lo raggiunse. Dopo di lui entrarono due uomini con dei bacili d’acqua, li deposero sul pavimento e uscirono.
Jeisym si spogliò completamente, quindi si avvicinò a uno dei bacili e cominciò a lavarsi come se niente fosse. Era già successo altre volte, ma Herich non riusciva ancora ad abituarsi a quella disinvoltura nell’esibire la nudità. Generalmente non lo guardava mentre si lavava e aspettava che il Khan fosse uscito per lavarsi lui stesso. Se proprio Jeisym non se ne voleva andare, allestiva con una tenda un angolo nascosto alla vista e si lavava lì.
Quella volta invece rimase a guardarlo. Notò che aveva una cicatrice biancastra e leggermente incavata sotto la scapola destra. “Cos’è quel segno che hai sulla schiena?” gli chiese.
Jeisym gli rivolse un sorriso. “Io lo chiamo Benevolenza di Halmaikah,” rispose. “È il segno di un colpo di spada che avrebbe dovuto uccidermi, ma non l’ha fatto. Sul petto ho il suo gemello.” Si raddrizzò e si voltò verso il ragazzo: sotto il pettorale destro aveva una cicatrice uguale a quella della schiena.
Ti ha trapassato,” constatò Herich.
È così.”
Quando è successo?”
Nella Guerra Orientale.”
Herich alzò stupefatto lo sguardo fino a incontrare il suo. “Tu hai combattuto nella Guerra Orientale?”
L’altro assentì. “Avevo appena l’età per portare le armi, ma la sconfitta era imminente, e anche i ragazzi venivano reclutati per l’estrema difesa.”
Capisco.”
Devo la mia vita al Leone Rosso, lo sai?”
All’udire quel nome, il ragazzo letteralmente sussultò. “Davvero?”
Mi trovò sul campo di battaglia con una spada che mi passava da parte a parte. Disse che ero troppo giovane per morire e mi affidò ai suoi guaritori.”
Tu… l’hai visto?”
Il Khan emise un sospiro. “Sì, e posso dirti che era un grande eroe. Persino i nostri poeti cantano ballate su di lui. Mi donò una bandiera su cui era ricamata la sua insegna, il Leone Rosso, e io la porto sempre con me.”

§

Dewrich fermò il destriero, i due guerrieri che lo accompagnavano fecero altrettanto. Dall’altura su cui si trovavano si vedevano bene le Cascate Grandi, ovvero un semicerchio naturale dei monti Kelis dal quale si riversava, in maestosi salti d’acqua, tutta la portata dell’enorme Edayr.
La strada per entrare a Dyat passava attraverso quelle immense cateratte, su un antico ponte di pietra sempre lucido di umidità.
Il rombo delle cascate era così forte che anche a pochi passi di distanza ci si poteva parlare solo urlando.
Più oltre svettava, incastonata nella vegetazione, la massa candida del palazzo reale. Fin da quella distanza si vedevano bene l’alta costruzione ottagonale che ospitava la sala del trono e più in basso il lungo colonnato che cingeva il resto dell’edificio, con archi, cupole, lesene e modanature.
I vessilli rossi garrivano al vento.
Da qui in poi è meglio che vada da solo,” disse senza distogliere gli occhi dall’edificio, “voi vi presenterete al tempio di Voldas come pellegrini e mi attenderete là.”
Si fece avanti Den’en, il più vecchio dei due As’vaan e probabilmente anche il più esperto. “Il Khan ha detto di accompagnarti,” rispose categorico.
Il principe lo fissò con degnazione. “Ragiona: come potrà mio padre credere che sono stato assalito e sconfitto dagli uomini di As’del, se proprio due di loro mi accompagnano come se fossero i miei servitori?” Notò con soddisfazione che l’ultima parola aveva fatto passare un’ombra nello sguardo dei due.
L’As’vaan però replicò: “E noi come possiamo fidarci quando dici che parlerai con tuo padre e poi tornerai da noi? Cosa ti impedirebbe di chiuderti nella tua città e farci scacciare come comuni ladri di polli?”
Dewrich assunse un’espressione costernata: “La parola che ho dato al vostro Khan.”
Il Khan è lontano, principe.”
L’altro annuì grave, poi replicò: “Tuttavia non vi è altra scelta. Pensateci: non correreste gli stessi rischi, forse addirittura maggiori, se entraste in città con me? Cosa mi impedirebbe in quel caso di farvi catturare e gettare nelle segrete? Sarete anche i guerrieri più valorosi di tutto l’As’del, ma cosa credete di fare contro un intero esercito?”
Den’en annuì, poi si rivolse all’altro parlando in lingua As'vaan. I due si scambiarono qualche rapida considerazione. Il principe capiva abbastanza di quell'idioma da riuscire a seguire il dialogo, che verteva sul rischio di essere traditi assassinati, ma rimase impassibile
Infine l’As’vaan gli disse: “Saremo al monastero di Voldas tra sette giorni. Se non avremo tue notizie, torneremo dal Khan.”
Dove starete nel frattempo?”
Nella steppa, principe. Siamo abituati agli spazi aperti, il monastero sarebbe troppo angusto per noi.”
Dewrich annuì. “Può andare bene,” si limitò a dire. Evitò di chiedere cosa sarebbe successo nel caso non si fosse presentato: gli As’vaan erano un popolo orgoglioso, fiero ma anche ferocemente vendicativo. Jeisym avrebbe aspettato decenni, forse, ma alla fine gliel’avrebbe fatta pagare.
Se fosse stato in vita, chiaramente.
Salutò e spronò il cavallo verso il sentiero che dall’altura conduceva al ponte di pietra.

Entrò in città a briglia sciolta, abbandonò il destriero ai piedi della scalinata che conduceva al palazzo reale, estrasse dalla bisaccia l’involto che vi aveva tenuto nascosto per tutto il viaggio e salì di corsa.
Padre!” gridò, non appena fu sulla terrazza colonnata. “Padre mio, dove sei?”
Attirati dai clamori, sopraggiunsero cortigiani e soldati.
Mio padre!” ripeté il principe, “Devo parlare assolutamente con lui, devo riferirgli cose della massima importanza.”
Fu mandata una guardia a chiamare il sovrano.
Quando re Evertas sopraggiunse, Dewrich gli corse incontro e subito esclamò: “Padre, è successa una cosa terribile!”
Il re lo fissò allarmato. “Che cosa, figlio? È forse accaduto qualcosa a Herich?”
Andiamo nella sala del consiglio, padre. Devo riferirti cose della massima importanza.”
Il re fece portare una coppa di vino per il figlio, poi serrarono le porte e si sedettero al grande tavolo di quercia. “Parla,” lo esortò a questo punto Evertas.
Dewrich chinò la testa. “Siamo stati assaliti,” disse dopo un lungo silenzio. “Predoni di As’del. Hanno aspettato che la cerimonia fosse compiuta, poi col buio sono piombati sull’accampamento e hanno ucciso chiunque.”
Il re letteralmente sbiancò in volto. “Herich?” chiese, prendendolo per le spalle e costringendolo a fissarlo negli occhi.
Il principe distolse lo sguardo come se il peso di ciò che stava per dire gli risultasse troppo gravoso. “L’hanno ucciso. Ho salvato solo la sua corona e ora la consegno a te.” Spinse verso di lui l’involto di stoffa.
Il re lo fissò costernato, poi riluttante lo prese e lo soppesò fra le mani. “È la sua corona, padre,” ripeté Dewrich.
Non mi interessa la corona,” rispose amaro il sovrano, “non se chi avrebbe dovuto portarla è stato ucciso.” Fissò gli occhi in quelli del figlio. “Com’è successo? Come hanno fatto i predoni ad avvicinarsi così tanto senza essere notati? Perché i nostri soldati non li hanno respinti? Erano tutti veterani esperti, com’è possibile che si siano fatti sorprendere così?”
Il principe chinò la testa. “Comprendo il tuo dolore, che è anche il mio, padre, ma sei ingiusto. I soldati sono morti dal primo all’ultimo per difendere Herich.”
E tu, figlio, dov’eri?”
A combattere con loro. Herich è stato ucciso sotto i miei occhi.” Si alzò bruscamente in piedi, si diresse verso una delle finestre. “Pensi che io non abbia sofferto, padre?” ringhiò. “Pensi che non mi sia chiesto ogni attimo del viaggio che ho compiuto per tornare qui se avrei potuto fare qualcosa di diverso, se avrei potuto magari sacrificare me stesso per far vivere lui? Pensi che non me ne importi nulla di quello che è successo?”
Calò un silenzio greve.
Alla fine giunse la voce di re Evertas: “No, non penso questo. Scusami.”
È stato terribile, padre.”
Il re si alzò a sua volta e lo raggiunse. Gli mise una mano sulla spalla e disse: “Saranno proclamati dodici giorni di lutto per la morte dell’erede al trono, ma subito dopo muoveremo guerra a quell’ignobile accolta di ladri e razziatori e faremo pagare loro amaramente l’odioso delitto che hanno commesso. Voglio che sia tu a comandare l’esercito.”
Dewrich si voltò fino a fissarlo negli occhi, quindi si inchinò. “Come comandi, padre.”
Avvisa il generale Kierev e manda dispacci al generale Odras e al generale Xarey. Voglio che venga approntato un esercito in grado di spazzare via quella feccia una volta per tutte.”
Come comandi, padre. Se me lo concedi, trascorrerò il periodo di lutto presso il monastero di Voldas ad allenarmi nell’uso della spada.”
Preferirei averti qui, Dewrich, e sono sicuro che anche la regina tua madre sarà del mio parere, ma tutto ciò che servirà a distruggere quei maledetti è ben accetto, quindi va pure ad allenarti nell’uso delle armi.”


   
 
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