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Autore: NPC_Stories    13/10/2018    2 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1289 DR: Il loro amico (Parte 1)


Erano passati due anni da quando Daren e il mago gnomo Valni Wilhik avevano iniziato a mappare il sottosuolo della foresta di Sarenestar. Dopo un momento di panico iniziale, in cui gli elfi avevano in tutta fretta recuperato e distrutto gli oggetti che i drow si erano lasciati dietro, le cose erano tornate stranamente tranquille. Non c’era traccia di elfi scuri in quei cunicoli sotterranei, non sembrava che volessero riprovare così presto a infiltrarsi nel territorio degli elfi.
Nelle gallerie, il drow e lo gnomo avevano trovato una gran varietà di creature, alcune pericolose, altre innocue. Spesso si erano ritrovati a dover combattere, anche se in quel caso era il guerriero a svolgere la maggior parte del lavoro. Valni poteva aiutarlo con i suoi incantesimi, ma non ne conosceva molti e le pergamene erano troppo preziose per essere sprecate con nemici di poco conto.
Di solito la loro procedura era molto schematica: Daren scendeva per primo ad esplorare una porzione dell'immenso dedalo di cunicoli e grotte sotto la foresta, mentre il mago godeva di un po’ di riposo in Superficie. Dopo che il drow si era fatto un’idea della disposizione delle gallerie e si era liberato delle creature più pericolose, lo gnomo scendeva a sua volta e mappava la zona. Questo era un lavoro che richiedeva diversi giorni, perché Valni doveva tracciare dei glifi magici visibili solo a lui per non perdere l’orientamento, poi doveva misurare diverse volte le distanze e le altezze, e solo alla fine tracciava su pergamena una riproduzione in scala delle caverne e delle gallerie. Poi passavano ad una zona adiacente, ma dopo molti mesi tornavano sui loro passi per verificare che fosse possibile orientarsi grazie alle mappe dello gnomo, senza fare affidamento sulla memoria. Talvolta era necessario correggere qualche dettaglio, quindi il lavoro era molto lungo.
A volte Johel li accompagnava, per brevi periodi. Daren in quei momenti si sentiva un po’ sollevato, la compagnia dell’amico elfo era una boccata di aria fresca, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Non era piacevole passare il tempo solo con uno gnomo inquieto e paranoico; il drow capiva il disagio di quel poveretto, ma comunque non era molto di compagnia. La paura lo rendeva irritabile, bizzoso, e quindi insopportabile. Era come avere appresso un ragazzino umorale e pure saputello.
A parte qualche occasionale incontro con i mostri del sottosuolo, fu un periodo noioso. Daren capiva l’importanza di procedere in modo schematico (e se non l’avesse capita, ci avrebbe pensato Tazandil a fargli cambiare idea), ma saperlo non rendeva quel compito più divertente o più eccitante.

“Non so se ti abbiamo mai ringraziato per esserti proposto per questo lavoro.” Gli disse un giorno Johel, mentre scendevano per l’ennesima volta sotto terra dopo un periodo di pausa per fare rapporto in Superficie.
“Non serve nessun ringraziamento, e non mi ricordo nemmeno se mi sono proposto.” Tagliò corto Daren. “Io ero la persona più indicata per farlo, quindi dovevo farlo. Ho accettato questo compito per buon senso, come il povero Valni che ha la sfortuna di essere il miglior cartografo della foresta.”
“Però non ci devi niente. Non sei nemmeno… ufficialmente uno di noi.” Mormorò Johel, sentendosi in colpa mentre lo diceva. Quello per lui era da anni un motivo di amarezza, gli sembrava che il suo clan stesse sfruttando le capacità e la disponibilità del suo amico senza dare nulla in cambio.
“Ah. Dillo a tuo padre che continua a chiamarmi recluta. Sono qui da due anni e so combattere meglio della maggior parte dei suoi ranger, ma per lui sono una maledetta recluta. Però, in un certo senso, significa che mi considera uno di voi.”
Proseguirono in silenzio fino al primo bivio, perché per Johel era sempre strano e inquietante il modo in cui la sua voce rimbombava contro le pareti di pietra.
“Per me è importante.” Rivelò infine Daren, sottovoce. “È la tua foresta, il tuo clan, la tua famiglia. Per te, tutto questo è importante e quindi lo è anche per me. Se vi accadesse qualcosa di male, e io non avessi fatto tutto il possibile per impedirlo, sarei un pessimo amico. E tu sei… praticamente il mio unico amico.”
Johel per poco non inciampò nei suoi piedi. Sapeva che Daren era mosso da simili motivazioni, ma non glie l’aveva mai sentito ammettere. Però fino a quel momento non aveva mai capito fino in fondo l’importanza che lui stesso aveva nella vita dell'elfo scuro. Johel aveva sempre avuto intorno molte persone positive; i suoi genitori, i suoi zii, tutti i suoi amici. Non aveva mai realizzato che Daren invece aveva pochissime persone davvero vicine, nella sua vita. E Johel era stato il primo ad accettarlo e ad aiutarlo, in Superficie. Era lui il motivo per cui un drow era stato accettato in una foresta di elfi.

Johel non era abituato a vedere le relazioni come dinamiche di potere. Per i drow era naturale che fosse così, nella loro società non esisteva il concetto di amicizia disinteressata, quindi per Daren era stato molto difficile ammettere che, sostanzialmente, nella loro amicizia era Johel ad avere il coltello dalla parte del manico. L’elfo però non aveva i mezzi per leggere la sua confessione in quella chiave, e Daren lo sapeva. Il ranger avrebbe recepito quel discorso solo come una dichiarazione di amicizia, forse di bisogno, ma non di inferiorità, e questo era l’unico motivo per cui il drow aveva osato parlare così apertamente.
“Questo è… è il tuo modo di dimostrare affetto, vero? Proteggere le persone, intendo. Anche senza essere amichevole o gentile, o senza seguire le regole.” Estrapolò Johel.
“Esiste un altro modo?” Daren lo guardò come se fosse un alieno. “Anche un nemico può fingersi gentile o rispettare le regole. Solo le azioni, i fatti, rivelano la verità.”
Johel ci pensò su per un momento, poi sorrise. “Essere gentile ti riesce così difficile?”
Daren rispose al sorriso, ma con un ghigno ironico. “È faticoso. Inutilmente faticoso. Se qualcuno non riesce a sopportarmi, non ne vale la pena.”
“E il povero Valni Wilhik? Riesce a sopportarti?”
Il sorriso di Daren si spense in una smorfia di fastidio.
“Ci sopportiamo a vicenda. Io apprezzo il sacrificio che sta facendo impegnandosi in questo lavoro, ed è l’unica cosa che mi spinge a trattarlo come un adulto. D’altra parte, non so cosa sto facendo per irritarlo, ma qualcosa starò facendo. Sono certo che mi reputa insopportabile.”
Johel soppresse una risata, perché di recente aveva avuto modo di parlare con lo gnomo.
“Trova intollerabili i tuoi ritmi di marcia e la tua scarsa pazienza.”
“Oh, che peccato. Non me ne frega un cazzo. Se andassimo ai suoi ritmi non finiremmo mai, invece manca solo un ultimo controllo e avremo terminato. Fine della storia, ognuno per la sua strada.”
Johel si fermò e afferrò Daren per un braccio, in modo tanto repentino da mettere in allarme il drow che si guardò intorno pensando che ci fosse un pericolo.
“Dove ti porterà, la tua strada?”
Il drow si sentì invadere dal sollievo, ma anche dalla collera.
“Mannaggia a te, stupido elfo! Non afferrarmi più in questo modo, pensavo che fosse successo qualcosa!”
“Dove?” Insistette Johel, in tono grave.
“Lo sai dove. C’è almeno una comunità drow sotto le montagne, forse più di una, devo indagare su questa faccenda.”
“È molto pericoloso. Non sai se hanno scoperto la verità sulla morte dei loro esploratori. Potrebbero sapere già chi sei e ucciderti nel momento stesso in cui metterai piede lì. Potrebbero aver resuscitato i loro morti!”
“Vorrà dire che andrò laggiù sotto mentite spoglie.”
“Avranno certamente degli incantatori capaci di vedere oltre qualsiasi inganno…”
“Sei un gatto attaccato alle palle, Johel.” Lo interruppe Daren. “E questo atteggiamento è esattamente il motivo per cui due anni fa non ti ho detto che volevo andare a cercare Filvendor. Sono l’unico che ha qualche speranza di scoprire qualcosa, quindi devo andare. Te l’ho detto, non posso ignorare che sulla tua foresta incombe un simile pericolo. Non ho molte altre cose da fare. Le uniche cose che mi aiutano a passare il tempo sono la tua amicizia e i dettami della mia dea, e questa missione adempie ad entrambi i miei obblighi.”
Le cose che ti aiutano a passare il tempo? Pensò Johel, ripetendosi nella mente quelle parole assurde. O le uniche cose che danno un senso alla tua vita? Perché non ti fai una famiglia, maledetto idiota? Perché non ti trovi un lavoro, o un hobby?
Ma questo non poteva certo dirglielo, perché era un pensiero stupido. Una famiglia, un lavoro, erano tutte cose semplici e accessibili per qualcuno che fosse inserito in una società; Daren però non apparteneva a nessun luogo, a nessun popolo. Non poteva stare con i suoi simili, nemmeno con gli altri seguaci di Eilistraee, anche se non gli aveva mai spiegato il perché. Non era stato completamente accettato nemmeno a Sarenestar. Aveva una sorella, che viveva in mezzo agli umani, ma quella vita tranquilla non era capace di dargli soddisfazione. Forse nessuna vita tranquilla gli avrebbe dato soddisfazione.
Daren era un’anima inquieta, in qualche modo doveva essere correlato al fatto che fosse un senza-ombra, una persona dal passato oscuro. C’era una parte della sua vita di cui Johel non era a conoscenza, non vi era stato… ammesso.
“Non voglio che tu vada.” Mormorò, cocciutamente.
“Ci sono un sacco di cose che io non voglio, ma la vita se ne frega di quello che vogliamo.” Daren aveva un tono paternalistico, come se stesse parlando ad un bambino capriccioso. “E anch’io me ne frego di quello che tu vuoi.”
Quello che vogliamo di solito è l’esatto opposto di quello di cui abbiamo bisogno, pensò il drow per farsi forza.
Sapeva che Johel avrebbe protestato, ma alla fine avrebbe capito. Gli aveva appena dato tutti gli estremi per poter capire.
Poteva essere una missione pericolosa, ma Daren doveva farlo.
Era l’unico modo in cui sapeva dimostrare amicizia.

           

   
 
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