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Autore: Lady Snape    13/10/2018    4 recensioni
"Guess Monster, erano soliti chiamarlo così sul campo da gioco, per via della sua capacità di indovinare chi avrebbe schiacciato e in quale direzione. Satori Tendou era un ragazzo fuori dall’ordinario. Intanto, detestava tutta quella formalità nel doversi chiamare per cognome. Lui era l’unico che avesse l’ardire di chiamare per nome l’asso della Shiratorizawa. Non l’aveva mai chiamato Ushijima e nemmeno Ushiwaka, ma subito, dal loro primo incontro era stato Wakatoshi-kun. In secondo luogo, la sua fisicità era qualcosa che non andava molto d’accordo con il suo ruolo di centrale: era secco e lungo, piuttosto flessibile. A inquietare però l’avversario sapeva essere il suo sguardo, con quelle iridi che più che marroni, assumevano dei sinistri toni rossicci, come i suoi capelli. In terzo luogo, era un dannatissimo otaku..."
Una storia in cui Tendou è un ragazzo normale alle prese con problemi tipici dell'adolescenza: gli amici, i primi batticuore e una piaga, quella del bullismo, che striscia nella sua vita e in quella di altre persone.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tendo Satori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci per la seconda parte. Ce la farà il nostro eroe? 
Buona lettura!





I metodi che Satori aveva trovato per poter capire se la sua amica fosse interessata a qualche bell’imbusto erano piuttosto banali. Si dividevano tra domande esplorative lanciate a lei di tanto in tanto a tentativi piuttosto inquietanti di attaccare bottone con qualcuna delle sue amiche.

Una mattina, prima delle lezioni, ne sorprese un paio a chiacchierare nel cortile della scuola. Si avvicinò loro alle spalle, con fare sospetto, e fece prende un colpo a una delle due per la faccia seria che aveva, gli enormi occhi spalancati e le labbra serrate.

«Oh, chiedo scusa, non volevo spaventarti! Gomen, gomen!» ammise, inchinandosi per scusarsi, una mano a grattarsi la nuca per l’imbarazzo.

«Avrei bisogno di farvi un paio di domande, ma vorrei che non diceste nulla a Riko-chan, è un piccolo segreto tra noi» e sorrise sincero. Alla fine Satori era un ragazzo estremamente gentile.

«O-ok… credo» disse la più coraggiosa delle due, dai capelli legati in una lunga treccia.

«Bene, bene… vi ringrazio. Da dove comincio? Ah, sì!» e si schiarì la voce «Sapete se sta con qualcuno o le piace qualcuno?» chiese a bruciapelo.

«Beh, Riko non parla molto di queste cose. So che probabilmente qualcuno le piace, ma solo perché di tanto in tanto è piuttosto distratta e scarabocchia sul suo diario qualcosa. Abbiamo provato a chiederglielo, ma l’unica reazione che otteniamo è che arrossisce e cambia discorso» disse l’altra, che voleva vederci chiaro pure lei, a quanto pareva, e scambiarsi informazioni con quello che sapeva essere il suo migliore amico era un’ottima strategia.

«Mmm, interessante» commentò il centrale, provando a calmare il battito accelerato del suo cuore. Chi mai poteva essere? «Se doveste scoprire qualcosa, me lo direste? Io farei lo stesso con voi e, se vi piace qualcuno della squadra, posso presentarvelo senza problemi!» a queste parole la ragazza con la trecca arrossì di colpo. Bingo!

Si congedò con tutta calma e prese a camminare verso la sua classe. Qualcuno c’era, ma scoprire chi fosse, sarebbe stato un po’ più difficile. Un po’ la cosa gli dispiaceva e il cuore gli martellava ancora nel petto; dubitava fortemente che potesse essere lui, ma d’altro canto almeno poteva scoprire se rivelarsi sarebbe stato controproducente. Aveva provato a sondare il terreno con lei, approfittando del fatto che due loro compagni di classe si fossero messi insieme proprio quella settimana, ma era stata piuttosto vaga. Quando Tendou entrò in classe, la trovò al suo banco. Si sedette dietro di lei e attese che Riko si voltasse per fare quattro chiacchiere prima delle lezioni. In effetti la ragazza si voltò con le sopracciglia aggrottate e uno sguardo serissimo.

«Come mai parlavi con Akane e Nabiki?»

Tendou si tradì un po’, perché restò a bocca aperta, non si aspettava di certo una domanda del genere e non pensava di essere stato scoperto. Probabilmente aveva sottovalutato la situazione. Ingoiò a vuoto, nel tentativo di prendere tempo prima di rispondere. Si passò la lingua sulle labbra e si mise dritto sulla sedia, invece di stravaccarsi come al solito. Stava per imbastire una risposta, quando entrò il professore, salvandolo da una possibile discussione. Mai in vita sua avrebbe pensato di essere in debito con Hichiro “Dattebane” Haruno.

Riko era piuttosto sospettosa. Non era mai successo che Tendo si avvicinasse alle sue amiche in modo così diretto per chiedere qualcosa, molto probabilmente. Avrebbe voluto mandare un messaggio ad Akane, per sapere cosa si erano detti, ma il prof “Dattebane” aveva un radar speciale per i cellulari in funzione e dovette rimandare. La reazione di Satori era stata strana e aveva evidentemente preso tempo: le stava nascondendo qualcosa.

La fortuna del ragazzo però sembrò continuare imperterrita, perché quando suonò la campanella della pausa pranzo, Wakatoshi in persona venne a chiamarlo, prima che Riko potesse formulare una nuova domanda da porgli che le morì in gola, portando Tendou a elargirle una comica alzata di spalle.

«Mi hai salvato la vita, Wakatoshi-kun!» disse al suo eroe personale.

«Come mai?» chiese Semi, sbucato dal nulla dietro di loro.

«E tu da dove spunti? Hai imparato a teletrasportarti?»

«No, idiota, ero con Ushijima, mi sono fermato alla fontana, mentre lui è entrato in aula» specificò.

«Comunque, sono stato pizzicato da Riko a chiedere informazioni alle sue amiche, mi mangerà vivo appena lo scoprirà. Dubito che quelle due mi proteggeranno…»

«Sono passate settimane da quando ti ho detto che dovresti semplicemente chiederle di uscire… non ascolti mai!» Semi iniziò a scuotere il capo con vivo disappunto.

«Guarda che non è così semplice! E’ mia amica, mia amica, capisci? Non è una che voglio rimorchiare e se mi dice di no, non ci sarebbero conseguenze!» iniziava ad essere offeso da quel comportamento così noncurante del compagno di squadra.

«Però così non arrivi da nessuna parte» questa volta era stato Ushijima, sorprendentemente. Lui di relazioni sentimentali non sapeva una beneamata mazza. Era un malato della pallavolo e, pure se molte ragazze si erano a lui dichiarate (e pure un paio di ragazzi), aveva risposto a tutti che era concentrato su altro.

La semplice constatazione di Wakatoshi lo mise di pessimo umore, ma il suo umore peggiorò quando gli arrivò un messaggio su Whatsapp.

*Riko-chan* Come hai potuto?!

Ecco, ora era nella merda.

 
*
 
Tendou sospirò ancora una volta, sdraiato sul letto, le mani penzoloni dai lati. Si rigirò di fianco e diede uno sguardo al cellulare. Riko non rispondeva a nessun messaggio, non visualizzava nemmeno i suoi mille tentativi di raggiungerla tramite qualunque social possibile e immaginabile. L’aveva fatta grossa. Erano ormai due settimane di silenzio e si sentiva vuoto.

Fu alla fine delle lezioni di quel giorno, in cui aveva approcciato le sue amiche, che Riko lo affrontò.

«Non ci credo che sei andato da Akane a Nabiki a chiederle una cosa così privata!» era davvero arrabbiata, le mani che stringevano convulsamente la maniglia della sua borsa, tanto da far diventare le sue nocche bianche. Lo sguardo era fermo e le guance arrossate e probabilmente calde, pensò il ragazzo.

«Lasciami spiegare!» la implorò Tendou, cercando invano di prenderle la mano.

«Bene, spiegati!» disse lei scostandolo e lo fissò dritto negli occhi.

Non poteva farcela, Tendou non poteva dirle che era innamorato di lei, era arrabbiata talmente tanto che probabilmente qualunque cosa avesse detto sarebbe risultata sbagliata. E poi no, non poteva rischiare, anche se, a occhio, la loro amicizia si sarebbe incrinata.

«Ok, ok… un mio compagno di squadra, che non posso rivelarti chi è, mi ha detto che sei carina, per cui cercavo di sondare il terreno per…»

«Bugiardo! Sei un bugiardo, Tendou-kun!» lo conosceva talmente bene che odorava le sue bugie. Ogni tanto gliene aveva rifilate, perché non poteva o non voleva rivelare qualcosa, ma in questo caso si trattava di lei, di qualcosa di personale e intimo. Non riusciva a crederci che continuasse ad usare una condotta così disdicevole.

«Questo non è vero!»

«Invece sì, so quando menti e non credevo che lo avresti mai fatto per una cosa così personale!»

«E tu, invece, da quando mi spii di nascosto? Ti sei messa a seguirmi, a vedere cosa faccio se non sono con te, bell’amica!» appena finì di dirlo, si morse la lingua. Era stato messo all’angolo e, prima che il suo cervello potesse ragionarci su, il suo istinto aveva preso il sopravvento.

«Non ti stavo spiando!» si difese lei.

«Allora spiavi Nabiki e Akane? Il concetto non cambia, sei sleale!» chiese con un tono stridulo talmente irritante che chiunque gli avrebbe lanciato oggetti contro. Ormai non riusciva a fermarsi, stava recitando la parte dell’offeso senza ritegno, pur morendo dentro.

«Come ti permetti?!» Riko aveva gli occhi lucidi, non pensava che Tendou potesse dirle cose del genere. Lei non stava spiando proprio nessuno, anzi, non aveva nemmeno notato che i tre stessero avendo una conversazione, ma fu un compagno di classe che prendeva di mira Satori dal primo liceo che aveva fatto una battuta cattiva su di lui e sul tentativo di rimorchiare qualcuno. Riko si era avvicinata alla finestra e aveva riconosciuto le amiche. Non aveva pensato assolutamente nulla di male, era solo sinceramente curiosa di conoscere la ragione di quello strano approccio, ma la strana reazione di Tendou a una domanda innocente l’aveva messa in allarme. Solo in pausa pranzo aveva mandato un messaggio alle amiche per sapere cosa stesse succedendo. Ci volle poco a farle capitolare e si sentì tradita dal fatto che Tendou stesse macchinando qualcosa alle sue spalle. Qualcosa però non quadrava, sentiva puzza di bugie in tutta quanta la faccenda.

«Tra tutte le persone che conosco, tu eri l’ultima che avrei mai pensato potesse prendermi in giro» disse alla fine Riko, zittendo gli ultimi tentativi di Satori di difendersi, inventando balle sempre più grosse.

Tendou boccheggiò per un attimo, prima di dire la cazzata più grossa della serata.

«E io non pensavo di poter essere disprezzato in questo modo da te, considerando che ti ho difesa e protetta ogni volta che ho potuto. Non ne valeva la pena» voleva uccidersi per le cattiverie che stava sparando a raffica contro la persona che per lui era la più importante in assoluto, ma uno strano istinto di protezione lo aveva attanagliato, proprio come quando qualcuno dei bulli che lo perseguitavano partiva all’attacco.

«Non rivolgermi più la parola» disse infine la ragazza, trattenendo a stento la voce rotta e mentre si voltò per andare via, una lacrima scivolò, rigandole la guancia e facendo annegare Satori, sempre più distrutto.

Più pensava a quella sera, più Tendou si dava del cretino, dell’idiota, del demente e dello stronzo di dimensioni colossali. L’aveva persa, irrimediabilmente, senza appello. Alla fine non le aveva detto la verità, che l’amava più di tutto, che per lei avrebbe fatto qualunque cosa, che gli sarebbe andato bene poter essere anche solo suo amico, se proprio non ci fosse stato altro sentimento per lui. E ora non aveva nemmeno la possibilità di poterle parlare.

In classe la tensione si tagliava con un coltello. Tutti si erano accorti che tra i due qualcosa andava storto e c’erano due correnti diverse tra i bulli: c’era chi non trovava divertente tormentare gente che aveva già l’umore sotto le scarpe e chi amava rigirare il coltello nella piaga.
Satori passava le ore a fissare la nuca di Riko, il collo candido scoperto dal taglio corto del caschetto, ne rimirava l’osso che sporgeva, quando piegava la testa in vanti, ne spiava il movimento delle mani piccole e delicate, quando prendeva qualcosa dalla borsa. Aveva provato a lanciarle anche dei bigliettini, sperando che potesse rispondere almeno per iscritto alla sua richiesta di parlarne ancora, di chiederle scusa, ma la ragazza li buttava via senza leggerli. Una volta al suono della campanella si arrischiò a sfiorarle la spalla per provare a metterla alle strette e ricevette uno sguardo di puro odio che lo fece desistere.

Mise la testa sotto il cuscino e soffocò un grido di frustrazione, lasciando che la stoffa assorbisse anche le lacrime che gli sgorgarono ribelli.

 
*

Erano sotto Natale, ci sarebbero state le vacanze invernali a breve e Tendou non era ancora riuscito a recuperare l’amicizia con Riko. I suoi voti scolastici erano calati leggermente. Aveva provato a distrarsi con gli allenamenti della selezione dei primini migliori del volley, ma poi era tornato nella sua frustrata quotidianità, quando le lezioni erano riprese, e Riko era tornata e frequentare gli stessi suoi ambienti: stava diventando tutto molto soffocante.

Si era fatto sordo alle provocazioni dei suoi fastidiosi compagni di classe, che erano tornati a mettergli strane sostanze maleodoranti nel suo armadietto, a lasciargli stupidi messaggi sul banco, messaggi che non trovava quando Riko entrava in classe prima di lui, si rese conto un giorno. Uno spiraglio c’era, ma aveva detto delle cose davvero cattive, da puro stronzo, per pensare che per farsi perdonare ci volesse poco.

 
*
 
Riko era indecisa: da un lato sentiva profondamente la mancanza delle chiacchiere infinite con Satori, della sua risatina, del calore che emanava il suo corpo e delle sue premure. Era vero però che lui avrebbe dovuto prima scusarsi del suo comportamento, delle bugie che le aveva rifilato. Perché non le diceva la verità? Cosa c’era di così tremendo da non poter essere semplicemente ammesso?

Scarabocchiò qualcosa sul suo diario, poi lo mise da parte, aveva un test per il giorno seguente e conveniva ripassare un po’ per evitare che l’ultima verifica del trimestre fosse un fallimento. Anche i suoi voti erano calati e doveva rimettersi in carreggiata, perché presto avrebbe dovuto cimentarsi negli esami di ammissione all’università. Mentre ripassava un brano tratto dall’Amleto di Shakespeare, fece qualcosa che si era vietata con decisione fino a quel momento. Mandò un messaggio a Tendou.

*Riko-chan* Come va il ripasso per il test?

Satori non credeva alle parole che aveva appena letto sul display. Gli occhi erano increduli e spalancati, la bocca socchiusa in un ‘o’ di stupore. Ok, ora doveva cercare di non rovinare tutto scrivendo una boiata delle sue e doveva fare in modo che la conversazione andasse avanti. Ci pensò parecchio prima di scrivere una risposta che definì a posteriori idiota.

*Tendou* Potrebbe andare meglio

Sì, era una delle sue risposte cazzone. Riko sorrise, pensando a quanto fosse imbranato in determinate circostanze quel ragazzone. Vide che stava digitando altro, ma evidentemente scriveva per poi cancellare tutto e ricominciare, così aggiunse…

*Riko-chan* Ti va se più tardi ci vediamo per ripassare insieme?
*Tendou* Aula studio alle 20.00??
*Riko-chan* Ok!


«Aaaaaahhhhh!» sospirò lasciandosi andare indietro sul letto. Grazie al cielo quella ragazza era più sveglia di lui. E più coraggiosa, meno orgogliosa, più pragmatica e tante altre cose. I Kami solo sapevano come mai le facesse piacere essere sua amica. Colto da una certa consapevolezza, decise che era il caso farsi una doccia prima di vederla: aveva trascurato sé stesso per la malinconia in cui era caduto in quel periodo.

 
*
 
Aveva ancora tempo prima di recarsi all’appuntamento, per cui Riko decise di passare dalle macchinette automatiche e recuperare qualche snack sano per quel senza fame di Tendou. Di tanto in tanto si preoccupava che mangiasse abbastanza, considerando che diventava sempre più alto, ma non aumentava mai di peso. Non era incline alle schifezze, a parte il suo favorito gelato al cioccolato, per cui non c’era nemmeno il rischio che mettesse su peso a causa degli zuccheri superflui ingeriti. Armeggiava con il portamonete, quando dei passi alle sue spalle la fecero voltare.

A posteriori avrebbe preferito far finta di niente, perché si ritrovò faccia a faccia con i due capobanda della sua classe: Akira Tomiya e Miki Nobunaga. Loro due erano i molestatori peggiori che si potessero incontrare, erano stati capaci anche di coinvolgere nelle loro malefatte alunni di altre classi, facendo in modo che quando lei e Satori fossero in giro, a volte in mensa, in biblioteca, nei corridoi, qualcuno che rompesse loro le scatole lo avrebbero trovato sempre.

«Ciao Date-san! Non si saluta?» chiese Miki avvicinandosi pericolosamente a lei. Riko mise in borsa anche l’ultima confezione presa dalla macchinetta e li affrontò.

«Ciao ragazzi, devo andar...» non riuscì a finire la frase, che Akira si parò davanti a lei.

«Dove scappi? Ci siamo appena incontrati!»

«Già, già, ultimamente non ci siamo molto… parlati… in realtà tu non parli praticamente con nessuno in classe, nemmeno con il Guest Monster. Cos’è? Nemmeno lui vuole più la tua compagnia?» chiese malignamente la ragazza, ravvivandosi le lunghe chiome a boccoli e mettendo su un ghignetto poco rassicurante.

«Però fai anche qualcosa che mi dà molta noia, togli i messaggi che lascio per il nostro amico. Vedi, quelli non sono cazzi tuoi e devi imparare fin dove puoi spingerti, Riko-chan» Akira era grande e grosso, faceva parte del club di judo, quindi sapeva anche come menare le mani e farti molto male. Sapeva che non doveva utilizzare le tecniche apprese nelle arti marziali fuori dal tatami, ma tutti avevano imparato anche che non era molto incline a seguire certe regole.

Riko avrebbe voluto rispondergli che poteva ficcarseli su per il culo i suoi messaggi o avrebbe potuto anche fintamente scusarsi, pur di toglierseli di torno, ma non ebbe il tempo materiale di parlare, quei due parlavano a lei, ma quasi ignorandola, facendo finta che non potesse intervenire nel discorso e nel frattempo stavano macchinando qualcosa, lo vedeva dagli sguardi che si lanciavano.

«Credo sempre che le azioni valgano più di mille parole!» disse infatti Miki, con fare da saccente, dito indice verso il cielo.

«Giusto, per cui spiegarti certe cose non servirebbe a nulla, stupida come sei» continuò lui, questa volta spingendo Riko verso l’angolo tra il distributore e il muro. La prese da sotto il mento, stringendo talmente forte che Riko lasciò cadere la borsa, pur di cercare di togliere quella mano che Akira le aveva messo addosso. Invano.

«Ti tocca una punizione!» le soffiò in faccia, lo sguardo cattivo di chi prova piacere nell’umiliare il prossimo.

«Un bel castigo!» Miki era quella subdola del duo. Ad Akira sarebbe andato bene picchiarla, ma la ragazza aveva un’idea migliore. Lì vicino c’erano i locali della caldaia dell’Accademia Shiratorizawa. Quel giorno c’era stata manutenzione e la porta non era stata chiusa facendo scattare la serratura, difettosa per la ruggine. C’era un bell’avviso sulla parete che chiedeva di non entrare e di non chiudere la porta sollevando la maniglia.

Miki aprì l’uscio. Dentro c’era la caldaia e mille tubi che prendevano direzioni diverse. Macchie di umidità erano qui e là, mentre l’aria era calda e a tratti irrespirabile.
Riko fu trascinata per un braccio verso il locale.

«No! Fermi!» provò a fare resistenza, a puntare i piedi per sottrarsi, ma il ragazzo le rifilò un ceffone senza proferire verbo. La botta fu molto forte, tanto da averla stordita, impedendole di proteggersi con le mani quando rovinò a terra, letteralmente lanciata con astio sul pavimento.

«La borsa? Che ne facciamo?» chiese la perfida, rovistando all’interno. Rubò letteralmente il portamonete, alcuni degli oggetti che erano dentro e tolse il cellulare dalla tasca interna «caso mai ti venisse in mente di chiamare qualcuno». La borsa, o quel che ne restava, le fu scaraventata addosso. Il cellulare fu rotto da Akira e buttato nel cestino accanto ai distributori. Lo scatto della porta chiuse il sipario su quella umiliazione.

 
*
 
Era in ritardo. Riko era in ritardo e per Satori era qualcosa che pareva impossibile. Prese di nuovo il cellulare dalla tasca, cercò il suo numero in rubrica e avviò la chiamata.

Il numero selezionato è al momento irraggiungibile…

Dove diavolo era per avere il telefono incapace di agganciare la rete? In quella scuola avevano praticamente il wifi ovunque, pure nel cesso, ma nemmeno chiamandola su Messenger o Whatsapp riuscì a risolvere la faccenda. Il telefono era staccato. Satori rimise tutto nella borsa e decise di andare a cercarla, percorrendo in lungo e in largo l’intera scuola.

Di lei non c’era nessuna traccia. Aveva provato nei dormitori, causando un leggero parapiglia nell’area femminile, ma non era lì, la sua compagna di stanza non l’aveva più vista dalle 19.30, ora in cui, probabilmente, si era avviata verso l’aula studio. Aveva fatto un salto alla redazione del giornale scolastico, ma nemmeno lì aveva avuto fortuna, anzi, non la vedevano dal primo pomeriggio. Era strano, maledettamente strano.

 
*
 
Aprì gli occhi lentamente, con un mal di testa martellante che le dava il tormento. Aveva perso conoscenza. Lo stordimento iniziale le aveva impedito di proteggersi durante la caduta, finendo per battere la testa sul pavimento.  Si sollevò lentamente facendo forza con le mani e del sangue gocciolò dalla sua fronte. Con una mano andò a toccarsi l’arcata sopraccigliare, spaccata. Cercò un fazzoletto nella tasca e tamponò la ferita. Iniziò a mettere i pezzi al loro posto, i ricordi di quello che era successo. Si toccò il mento e lì doveva avere dei lividi, vista la fitta di dolore che la percorse. Era tutta la faccia a farle male, però, compresa la guancia sinistra, dove si era beccata il rovescio di Akira. Era la prima volta che usava le mani su di lei. Lo aveva beccato a picchiare altra gente, ma non pensava fosse così doloroso. Cercò di sedersi poggiandosi alla parete. Per il momento alzarsi in piedi ed avvicinarsi alla porta era fuori discussione: tutto girava intorno a lei, considerando che doveva avere una commozione cerebrale. L’unica sua speranza era Satori. Lui la stava aspettando da qualche parte… nell’aula studio, certo, e non vedendola arrivare sarebbe andato a cercarla. Come fare per dirgli dove fosse? Cercò nella borsa, ma sapeva che Miki non era stupida, e infatti il suo telefono non c’era. C’erano però ancora penne e quaderni e forse avrebbe potuto far strisciare un foglio con una richiesta di aiuto sotto la porta, se solo tutto avesse smesso di girare così vorticosamente. Un capogiro più forte le provocò una forte nausea che si concluse con un rigurgito sul pavimento.

L’umiliazione che provava in quel momento era difficile da contenere e una parte in fondo al suo cuore non voleva che Satori la vedesse così, in quello stato pietoso, sporca di vomito, bava e con il viso tumefatto. Le lacrime iniziarono a sgorgare lente dapprima, poi sempre più veloci, tanto da portarla a singhiozzare.

 
*
 
«Mi serve aiuto!» Satori era piombato all’improvviso nella stanza di Semi, con il fiato corto per essersi fatto le scale di corsa. Lui era quello serio e saggio, avrebbe saputo cosa fare.

«Ciao anche a te!» il pinch server aveva iniziato a rimproverarlo, ma lo sguardo atterrito del centrale gli impedì di andare avanti «Cosa è successo?»

«Non trovo Riko… da nessuna parte! E’ sparita! Ho provato a chiamarla una ventina di volte, il cellulare è staccato e lei non lo fa mai, non spegne mai il telefono» era letteralmente disperato, la voce incrinata.

«Sei andato dalle sue amiche?» chiese Semi, alzandosi dalla scrivania e recuperando la giacca. Fuori c’erano 2 gradi.

«Sì, ma non l’hanno vista e la sua compagna di stanza mi ha detto che è uscita alle 19.30. Le è successo qualcosa, me lo sento» disse Satori, passandosi le mani nei capelli, come per sbrogliare i pensieri che nelle corse per la struttura si erano ingarbugliati.

«Va bene, mando un messaggio agli altri e ti diamo una mano a cercarla. Nel frattempo pensa a tutti i posti abituali che frequenta, vedrai che la troviamo» e strinse la spalla di quel ragazzone che ora sembrava un bambino spaventato.

Tutti i ragazzi del terzo anno si unirono alle ricerche, compreso Wakatoshi che, nonostante le apparenze, era davvero un buon amico per Tendou.

«Ok, vediamo di escludere i posti già perlustrati. Via redazione, dormitorio, aula studio, dove sappiamo non essere mai arrivata» Leon era pragmatico e disegnò una rudimentale pianta dell’Accademia, decisamente un luogo enorme in cui perdersi «Tendou, che strada pensi possa aver preso per arrivare da qui» e segnò il dormitorio femminile «a qui?» e mise una croce sull’aula studio.

«Io non lo so» era nel panico, al cervello non arrivava più ossigeno, non riusciva più a riflettere.

 
*
 
Strisciando Riko era riuscita a spostarsi vicino alla porta. Non riusciva a mettere a fuoco tutto o, se ci riusciva, era questione di pochi secondi, poi tutto diventava confuso. Un occhio funzionava meglio, l’altro aveva difficoltà. Mentre cercava di organizzare i pensieri, sentì dei rumori dall’altro lato della porta. Qualcuno stava passando da lì. Provò ad alzare la voce, ma non riuscì ad articolare decentemente una parola e la voce non voleva saperne di uscire. Così aprì in fretta il quaderno, strappò un foglio e provò a scrivere qualcosa. Una fitta più forte alla testa le fece cadere la penna di mano e sentì le persone che erano lì allontanarsi.

«No… pe…r … favore!» ma la sua voce era troppo flebile, provò a battere un pugno sulla porta, ma la caldaia aveva iniziato a girare a pieno regime, facendo anche un discreto rumore, che copriva ogni tentativo di attirare l’attenzione, scoppiettando di tanto in tanto.

Tirò un sospiro per concentrarsi, doveva riuscire a scrivere un messaggio in modo che si capisse. Doveva scriverlo più e più volte, perché, se un foglio per terra poteva essere considerato una cartaccia che non aveva centrato il cestino, un mucchio di fogli avrebbero attirato il sospetto di qualcuno, che incuriosito avrebbe letto cosa c’era scritto.

 
*

«Mi si sono congelate le mani» Ohira sfregò un palmo contro l’altro, mentre con un Satori agitato e in panico totale, girava per l’ennesima volta intorno a quell’edificio. Non l’aveva mai visto così e non avrebbe mai più voluto ritrovarlo in quelle condizioni «Prendiamo qualcosa di caldo da bere» propose, tirando fuori dalla tasca qualche moneta. C’era un distributore di bibite lì vicino, potevano prendersi una pausa, dovevano riordinare le idee.

Ushijima era andato a parlare con il direttore dei dormitori per raccontare quanto accaduto, nonostante le proteste di Satori. Erano arrivati a prendere questa decisione, perché il centrale aveva loro assicurato che era certo che Date-san non era uscita dall’Accademia Shiratorizawa senza autorizzazione e, visto che non risultava essere fuori dando uno sguardo ai registri, doveva essere ancora all’interno della scuola. Non era qualcosa che dei ragazzi potevano risolvere da soli, non più. La ricerca si era protratta ed era quasi mezzanotte ormai.

Leon si avvicinò al distributore per prendere del caffè in lattina. Tendou si poggiò alla parete accanto, le mani affondate nel giaccone e lo sguardo basso. Prese la lattina che il suo compagno di squadra gli allungò, ma non la aprì. Aveva lo stomaco chiuso e avrebbe vomitato se avesse provato a ingerire una qualunque sostanza. Ohira invece scolò in fretta il liquido nero a caldo, sentendosi meglio. Lanciò la lattina verso il cestino della differenziata, ma sbagliò direzione e finì in quello accanto. Sbuffando, tuffò una mano per recuperarla, ma le sue dita incontrarono uno strano oggetto rettangolare. Incuriosito lo tirò fuori e si rese conto che era uno smartphone distrutto.

«Sembra ci sia passato sopra un trattore. Guarda qua!» Leon attirò l’attenzione di Satori che ebbe un infarto. Riconobbe la cover arcobaleno, riconobbe il cellulare e con uno sguardo allarmato cominciò a guardarsi intorno, spaventando Ohira che, inutilmente gli chiedeva cosa diavolo gli prendesse.

Satori si spostò di qualche passo e solo allora notò di star camminando su una distesa di fogli dalla scrittura incerta e piena di errori. Ne sollevò uno da terra per leggere meglio.

Aiuto…

Non gli servì altro. Le altre parole erano superflue. Iniziò a battere sulla porta alle sue spalle, quella del locale caldaie.

«Riko! RIKO!»

La ragazza aveva abbandonato la testa da un lato, le scoppiava da impazzire e non riusciva più a mettere a fuoco nulla.

«Ten..dou…» era un sussurro, solo questo, quindi cercò di prendere fiato, di ignorare che ogni movimento del viso la uccideva e tirò fuori la voce «TENDOU!»

«E’ qui!» disse rivoltò a Leon, che subito mise mano al cellulare per chiamare i rinforzi «Sono qui, ti tiro fuori!» ma la porta era bloccata. Lo schiacciatore accorse per aiutare Satori a tirare quella porta incastrata. Puntarono i piedi contro il muro laterale e al tre diedero uno strattone con tutta la forza che avevano. Rimbalzarono all’indietro, ma la porta si aprì e Satori si precipitò all’interno. Non la vide subito, ma quando la vide gli si frantumò il cuore.

Il viso di Riko era coperto di sangue e lividi, era stanca e la maschera carmina era rigata di lacrime. Si inginocchiò davanti a di lei, spaventato dal fatto di poterle fare male, se l’avesse toccata nel modo sbagliato.

«Oddio, Riko…» gli sfuggì una lacrima, ma ricacciò indietro le altre dalla rabbia: chiunque fosse stato, lo avrebbe ammazzato di botte.

Fu lei a sporgersi verso di lui e a cercare il suo abbraccio. Era come acqua nel deserto, era come lasciarsi riscaldare dal sole di maggio. Aveva bisogno di quel profumo che sapeva di casa, perché quelle ore erano state umiliazione e inferno e non voleva pensare più, voleva lasciare tutto agli altri. Non aveva più le forze. Perse conoscenza e il panico di Satori salì alle stelle. 

 
*
 
L’odore di disinfettante non le era mai piaciuto, ma, supponeva, probabilmente non piaceva a nessuno. Accanto a lei, sul comodino, facevano bella mostra dei tulipani gialli, portati da Akane a Nabiki il giorno prima, quando erano passate a trovarla. Nella scuola, le avevano raccontato, c’era un grande scompiglio. Il direttore aveva preso dei provvedimenti estremamente pesanti, quando aveva scoperto chi c’era dietro quell’orrendo atto di bullismo. I due responsabili, Akira Tomiya e Miki Nobunaga, furono espulsi dalla scuola. Poteva sembrare un gesto estremo, ma il buon nome dell’Accademia Shiratorizawa non poteva assolutamente risentire del comportamento criminale di due alunni. I due ragazzi furono denunciati e probabilmente avrebbero dovuto pagare, almeno economicamente, enormi danni non solo a lei, ma anche alla scuola che aveva deciso di costituirsi parte civile nella contesa.

Riko aveva un ricordo piuttosto vago del ritrovamento ad opera di Satori. Era certa che fosse stato lui a trovarla, la sua voce l’avrebbe riconosciuta tra mille e la sua sagoma anche. Aveva ancora problemi con l’occhio destro, che non riusciva a mettere a fuoco decentemente, ma i medici erano ottimisti. Si trattava di una condizione momentanea dovuta al trauma cranico e ad un ematoma, per fortuna non molto esteso, che premeva sul nervo ottico. Per precauzione l’occhio era bendato. Fatto sta che Satori non si era visto. Lei aveva perso conoscenza quando era stata ritrovata, sapeva che era arrivata un’ambulanza e che era stata portata in ospedale. Al suo risveglio i suoi genitori erano lì, al suo capezzale, con sua madre, nervosa, che minacciava azioni legali da manuale, e suo padre che cercava di rassicurarla, anche se forse era lui ad averne bisogno, a dover rendersi conto che sua figlia era viva e vegeta, per fortuna.
Aveva ricevuto fiori dalle sue amiche, biglietti di incoraggiamento e pronta guarigione dalla redazione, persino un cesto di frutta dal club di volley, ma di Tendou nessuna traccia.

 
*

«Entra in quel cazzo di ospedale!» era raro che Semi dicesse parolacce e pure Ushijima si voltò con il viso contratto in un’espressione di stupore.

Tendou aveva lo sguardo perso e continuava a far cenno di no con il capo. Era arrivato fino all’ingresso, i suoi compagni di squadra lo avevano accompagnato, perché era vittima di indecisione acuta: un attimo prima pareva tutto risoluto ad andare a trovare Riko, un attimo dopo diceva che era meglio di no.

«E cosa le dico?!» chiese disperato.

«Come sta, magari?» disse Yamagata con un’alzata di spalle.

«Dille quello che ti pare, ma va’ a trovarla. Si starà chiedendo come mai non sei lì a vedere come se la sta cavando, non credi?» il pinch server era contrario al tono accomodante usato dagli altri. Quell’idiota andava preso a schiaffi a due a due fino a che non fossero diventati dispari, per provare a far funzionare quei quattro neuroni che dovevano essergli rimasti.
Semi perse la pazienza definitivamente e, aiutato da Wakatoshi lo accompagnarono fino al corridoio, minacciando che, se non fosse entrato, se la sarebbe dovuta vedere con lui. A quel punto non ebbe scelta e bussò alla porta della camera.

Riko fu piacevolmente stupita dalla testa rossiccia che sbucò dallo stipite, quando concesse di entrare.
Tendou, dal canto suo, aveva il respiro mozzato e un nodo alla gola. Riuscì a malapena a mormorare un ‘ciao’ e poi restò sulla soglia, dopo aver chiuso l’uscio dietro di sé.
La ragazza fece cenno di avvicinarsi e di sedersi sul letto accanto a lei. Satori obbedì, togliendosi il giaccone e posandolo sulla sedia vicina al letto. In quella clinica si soffocava di caldo. Tenne gli occhi su di lei, constatando, ancora una volta, che quello stronzo di Akira meritava di essere preso a calci.

«Grazie» mormorò Riko «per avermi trovata» aggiunse, dopo che gli occhi di Satori erano schizzati fuori dalle orbite. Ma non doveva essere lui a consolarla?!

«Non dirlo nemmeno per scherzo!» aveva ritrovato la parola, almeno «Avrei dovuto arrivarci prima… non lo so come, ma avrei dovuto, senza contare che quei due pezzi di merda ci stavano dando il tormento da troppo tempo»

«Il comportamento di quei due non è una tua responsabilità»

«Forse no, ma avrei dovuto denunciare la cosa al preside ben prima. Purtroppo quando avevo parlato con il professor Yagami e aver visto che a questi non importava nulla di quello che succedeva nell’istituto, ho mollato. Non avrei dovuto» Satori aveva denunciato il bullismo subito fin dal primo anno a quello che, fino all’anno prima, era stato il loro coordinatore di classe, ma l’aria di sufficienza di questi, il suo liquidare la faccenda come qualcosa di poco conto lo avevano fatto desistere dal proseguire con il coinvolgimento dei docenti nei problemi della classe.

Riko prese la mano di Tendou, che si sciolse in un piccolo sorriso. Le era mancata tanto, tantissimo e voleva che tornasse a scuola presto.

«Per adesso i medici vogliono tenermi sotto controllo. Ho un ematoma che deve riassorbirsi e non posso sforzare troppo occhi e testa»

«Quindi resterai in ospedale ancora per molto?» Satori mise su un’espressione molto preoccupata.

«Vogliono che resti qui almeno una settimana, poi rifaranno la tac e verificheranno lo stato delle cose: se non verrà riassorbito da solo, c’è la possibilità che debbano intervenire»

«Capisco» Satori a quel punto intrecciò le dita con quelle della ragazza. Stranamente dopo aver scambiato quelle quattro chiacchiere e aver appreso quanto grave in realtà fosse la situazione, qualcosa si era sbloccato dentro di lui. Era come se avvertisse quanto fragile potesse essere la vita, poco importava se avevi appena diciotto anni e, in teoria, almeno altri sessanta o settant’anni da vivere. Tutto poteva finire senza che avessi il tempo di realizzarlo pienamente nel cervello. I rimpianti dovevano essere evitati a tutti i costi, così fece qualcosa che di sicuro l’avrebbe sorpresa, ma non poteva farci davvero niente.

Si avvicinò lentamente dapprima, riuscendo a scorgere il rossore che si faceva strada sulle guance di lei e le iridi nocciola spalancate. Poi, con uno scatto repentino, appoggiò le labbra sulle sue. Erano calde e morbide e forse un po’ screpolate per via del caldo eccessivo di quel posto. Non si era sottratta, quindi provò ad inumidirle appena, premendo maggiormente. Fu qui che il suo cuore perse un battito, quando la mano di lei andò a posarsi sulla sua guancia e contemporaneamente socchiuse la bocca. Non ci credeva! Non poteva essere vero…?
Fece scivolare le sue lunghe dita sulla vita di Riko e con lentezza la sua lingua andò ad esplorare territori sconosciuti. Non aveva mai baciato nessuno e aveva una vaga, vaghissima idea su come si dovesse svolgere la cosa. Gli sfuggirono un paio di gemiti fuori controllo che fecero ridere Riko e si ruppe un po’ la magia, ma alla fine era la magia di Satori e quel fuoriprogramma ci stava tutto.

«Quanto sono stupido?» chiese sussurrandolo, visto che erano rimasti fronte contro fronte in una intima riflessione sulla loro amicizia.

«Non sei il solo» ammise lei, sollevando un attimo lo sguardo «eravamo un po’ troppo spaventati… credo» ed alludeva al fatto che se il sentimento non fosse stato corrisposto da uno dei due, l’amicizia si sarebbe inevitabilmente incrinata.

«Se lo dico a Semi, mi ammazza» allo sguardo interrogativo di Riko si sentì in dovere di spiegare «Mi ha detto da mesi di dirtelo e basta, ma non ho mai trovato il coraggio, fino ad ora e lui e gli altri mi hanno praticamente accompagnato fin dietro quella porta»

«Quindi devo ringraziare lui?» chiese, prendendolo in giro.

«Possiamo immaginarlo vestito da Cupido. Farebbe un figurone!» e se la sghignazzò per bene «All’inizio avrei voluto solo chiederti di uscire, quando ti avrebbero dimesso, un appuntamento in piena regola, però alla fine ho scommesso pesante, come mio solito»

«Eh già, è più nel tuo stile»

«Vero?»

Rimasero lì a parlare senza lasciarsi la mano e Satori aveva preso gusto a strapparle baci qui e là, come se dovesse recuperare il tempo perduto.


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Mettiamoci una bella parola "fine" su questa storia. Mi è venuta così, un po' romantica, un po' su tematice serie come il bullismo. Questo è dovuto alla serie di vignette dove il piccolo Tendou viene chiamato "mostro" da compagni che non lo vogliono in squadra e poi anche alle medie, quando comunque quel nomignolo continua ad essere utilizzato impunemente. E' diverso dagli altri, è un otaku, ha quegli strani capelli rossicci, tutte cose che lo fanno risaltare in mezzo alla folla. Tutto questo gli fa avere un posticino nel mio cuore e ho voluto fargli un regalo.
Spero vi sia piaciuta e ci si vede!

Lady Snape
   
 
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