Si
sta come d’autunno sugli alberi
Celeste è questa
corrispondenza
d’amorosi
sensi.
(Ugo
Foscolo)
02 – Fogliesecche
“È morto PASQUALE CARUSO di anni 78. Ne danno il triste annuncio i
figli Giacomo, Tiziano, Valerio e Anna; i nipoti Luca, Chiara, Valentina; gli
amici tutti; i colleghi del consorzio.”
Vittorio si era fermato a leggere
quel manifesto di lutto mentre, proprio fuori la chiesa di San Domenico
Maggiore, da lì a poco sarebbero giunti i parenti, gli amici, i conoscenti di
quel signore morto qualche giorno prima. Sebbene fosse poco più che un
tirocinante, Vittorio aveva avuto la spiacevole sorte di confutare e dichiarare
molti decessi, forse troppi; non che non fosse un bravo medico, anzi: era
ritenuto brillante per la sua giovane
età, sempre in pari con gli esami, presente ad ogni turno, educato, gentile,
adorato anche dai pazienti, ma i turni al Pronto Soccorso prevedevano scontri
con casi gravi e quasi senza speranza.
Eppure quella volta successe
qualcosa di diverso. Il signor Pasquale Caruso era stato portato
dall’autombulanza con codice rosso, aveva perso molto sangue, era già reduce da
un intervento alle coronarie, con un’anamnesi che indicava diversi interventi e
diverse patologie, forse troppe per potersela cavare anche quella volta.
Vittorio era stato in sala operatoria con il primario di cardiochirurgia per
assisterlo e, secondo il primo chirurgo, avevano fatto il possibile.
“Avevano fatto il possibile,” pensò, accendendosi una sigaretta. Chi
era a stabilire la linea tra possibile e impossibile?
Perché aveva dovuto arrendersi, perché non aveva potuto provare nuovamente ad
aspirare il sangue in eccesso?
Queste erano le domande che
Vittorio si era posto nelle sere successive; si era chiesto se avesse potuto
fare qualcosa di più del possibile in
maniera tale che il nonno di quel ragazzino potrebbe essere ancora vivo e non
ci sarebbe stato quel manifesto incollato su quel muro. Il rimorso di non aver
fatto tutto o di non aver potuto fare di meglio l’aveva tenuto in un loop per due
giorni e, infine, aveva deciso di prender parte ai funerali contro ogni
consiglio dell’etichetta medica.
Le esequie erano fissate per quel
giorno e Vittorio entrò in chiesa solo quando questa fu piena e il cortile,
poco tempo prima pieno di parenti del defunto, sgombro. Riconobbe subito quel
ragazzino che gli era svenuto davanti agli occhi: era impossibile non
riconoscerlo. Luca era bello, con quei capelli corvini e gli occhi chiari, le
labbra carnose e l’aria di chi è lì per caso, distratto da qualche pensiero.
Il prete fece un bel discorso che
commosse i figli del signor Pasquale, e, un po’, anche Vittorio.
Durante la celebrazione qualcuno
ascoltava il parroco, altri osservavano l’architettura della chiesa, qualcun
altro, invece, piagnucolava e poi c’era Luca. Il ragazzo aveva gli occhi chiusi
e le sue ciglia erano inumidite dalle lacrime versate in precedenza; aveva le
mani poggiate sul banco e picchiettava con le dita sul legno lucido dei banchi
della chiesa. Inizialmente quella sequenza di gesti sembrava puramente casuale
mentre, in realtà, Luca ripassava mentalmente quel maledetto spartito che non
aveva mai imparato.
“Mi,
mi bemolle, mi, mi bemolle, mi, mi bemolle, si, re, do, la; do, mi, la, si, mi,
la bemolle, si, do, mi…” a questo pensava Luca, mentre il prete chiedeva chi volesse dire
due parole. Luca non aveva parole, ma note, per ricordare suo nonno.
Da lontano Vittorio sembrò notare
quella strana combinazione e vide le labbra del ragazzo incurvarsi in un
sorriso.
Quando la funzione fu terminata la
chiesa si svuotò in pochi secondi; solo due persone erano rimaste nel grosso
androne, seduti sui banchi.
Luca rimase lì adagiato anche quando
il prete si fu allontanato e aveva lo sguardo rivolto verso un grosso crocifisso
alle spalle dell’altare, sembrava apprezzare la solitudine e il profumo
d’incenso; Vittorio, invece, aveva fatto una preghiera per l’anima del defunto
ed era rimasto seduto qualche banco più dietro ad osservare il ragazzo. Dava l’impressione
di essersi ripreso da quel giorno pur conservando quell’aria malinconica e
stanca. Senza nemmeno rendersene conto, Vittorio si scoprì ad osservarlo con
più attenzione del previsto, tant’è che seguì i suoi movimenti con la coda
dell’occhio anche quando si alzò per lasciare il luogo sacro.
Luca si era seduto su una colonna
di pietra recisa e guardava la gente entrare e uscire dalle gelaterie; la
chiesa era nel pieno centro storico e un viavai di persone sorridenti gli
passavano davanti. Cos’avevano da essere tanto allegri tutti quanti?
Aveva bisogno dell’empatia del
mondo, Luca, che aveva perso quanto di più caro avesse al mondo e si trovava
lì, senza un posto in cui andare, senza nessuno da abbracciare, senza nessuno
che potesse dirgli che sarebbe andato tutto bene.
- Hey… -
Luca sollevò lo sguardo e fu
sorpreso nel ritrovarsi di fronte quella testa riccia. Lo avrebbe riconosciuto
tra mille, come poteva dimenticarsene? Gli aveva detto che suo nonno non ce
l’aveva fatta, dando vita al proprio trauma. Il ragazzo aveva sognato ogni
notte quel dottore venirgli incontro in quel corridoio e dirgli “tuo nonno sta
bene, deve riposare un po’”, ma questo non aveva cambiato la realtà dei fatti.
- Ciao. – borbottò stiticamente.
- Mi dispiace per… Sai… Tuo nonno.
–
- Mh-h.
Anche a me. –
- Sì, lo so. Volevo solo dirti
che… Era una brava persona. – Vittorio abbassò gli occhi, giocherellando
distrattamente con un sassolino che era finito sotto la scarpa.
- E che ne sai tu, eh? – rispose
Luca, in maniera piuttosto irriverente, - Lo conoscevi? Sapevi chi era? Sapevi
che non era solo un pezzo di carne su un tavolo? –
- Capisco che tu possa essere
arrabbiato, anche io lo sarei al tuo posto, ma non credo che rispondermi male
potrà sanare le cose. Vedi, io sicuramente non conoscevo tuo nonno come e
quanto te, ma lui è stato il primo signore che ho visitato in reparto, il mio
primo giorno in ospedale. Mi ha tanto parlato dei suoi nipoti, della sua vita,
era molto carino ed elegante. Mi è dispiaciuto non aver potuto fare qualcosa
per tenerlo in vita. –
- Sì, certo, come no. Vorrei poter
dire “la prossima volta ci affideremo ad uno più bravo”, peccato che non potrà
esserci una prossima volta. – Luca lo fissò ad occhi sottili carichi d’odio e
risentimento. Probabilmente una parte remota del suo cervello sapeva che non
era stata colpa di Vittorio se suo nonno non ce l’aveva fatta, ma i sentimenti
gli avevano tanto offuscato il senno e non riusciva a comportarsi in maniera
razionale e obiettiva.
- Io spero che tu non ti debba
ritrovare in questa situazione, ma se proprio dovesse capitare, mi auguro che
ci sia uno più bravo. –
La risposta che il medico gli
aveva appena dato spiazzò Luca che abbassò lo sguardo, fissando i lacci
colorati che aveva abbinato alle scarpe di tela nere. Il ragazzo arricciò il
labbro e, qualche attimo dopo, si rimise in piedi e, per quanto possibile vista
la differenza d’altezza, sollevò lo sguardo verso l’altro.
- Senti, mi dispiace. Non volevo
risponderti così. –
- Non preoccuparti. È un periodo
difficile per te. So com’è perdere qualcuno di prezioso. –
Luca sorrise debolmente e annuì;
in un secondo momento si voltò verso la madre che, da lontano, lo chiamava a
voce alta per dirgli che dovevano andare.
- Io vado allora… Grazie per
essere venuto, - farfugliò rapidamente, quasi avesse voglia di scappare.
Vittorio non ebbe neanche il tempo
di rispondere a quei saluti, o ad offrirgli il proprio supporto morale che il
ragazzo era già scomparso. Non seppe spiegarsene il motivo ma si era convinto
che i loro destini dovevano essere collegati. Non si era mai sentito così.
•
• •
Vittorio era seduto nella stanza
degli specializzandi; stanza poi, era uno sgabuzzino con una brandina d’emergenza,
un paio d’armadietti e una scrivania. Il ragazzo era seduto proprio sopra quest’ultima
mentre mangiava un sandwich rinsecchito farcito con della maionese e una
fettina di prosciutto, ossia tutto quello che gli era rimasto in frigo, il che
gli aveva ricordato che avrebbe dovuto fare la spesa. Vittorio guardava fuori
da quella finestra sporca mentre diede un morso al panino quando si accorse che
il cielo si era imbrunito e l’aria raffreddata. Era da
qualche giorno che si sentiva così, con il freddo dentro, come cullato da una
strana apatia. Forse era vero, pensò, quello che diceva Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi / le
foglie”.
Nonostante la sicurezza di un
lavoro fisso e ben retribuito, un monolocale arredato e la cena sempre servita,
Vittorio non riusciva a trovare pace. C’era qualcosa che non andava, si sentiva
svuotato da quell’ingenuità che l’aveva sempre caratterizzato, era diventato
diffidente e malpensante. Questo l’aveva portato a chiudersi in sé stesso e
diventare schivo con gli altri, riducendo le sue interazioni sociali solo ai
fini lavorativi almeno fino a quando Luca non gli era svenuto davanti. Quando l’aveva
visto perdere i sensi aveva avvertito il bisogno di stargli accanto; Luca aveva
risvegliato il lato di sé che aveva sempre apprezzato: quello umano. Quello
dove i pazienti “non sono solo carne da macello” ma nonni amorevoli, sorelle
simpatiche, cugini collaborativi.
La pioggia cadeva sempre più
forte, le gocce erano talmente grosse che sembravano sassolini lanciati contro
quei vetri tanto spessi e appannati. In quel momento avrebbe voluto avvolgersi
in un morbido plaid davanti ad un camino, mangiare un cornetto caldo e bere
cioccolata calda quando il proprio cercapersone iniziò a squillare.
Vittorio si ficcò il resto del
pranzo in bocca e deglutì neanche fosse una compressa quando lesse sul display
del dispositivo “emergenza in pronto soccorso” e, di conseguenza, iniziò a
correre fino a raggiungere il piano terra dell’ospedale, saltando qualche
gradino di tanto in tanto.
- Dottor Salvemini, mi scusi per
aver badgato lei, ma gli altri erano in pausa e… -
- Non si preoccupi Leonida, mi
dica pure! –
- C’è un ragazzino di diciott’anni,
dolore intercostale forte, casi cardiopatici in famiglia, è arrivato qui con un
codice giallo! -
- ECG? –
- Irregolare, è così giovane… -
- Dobbiamo muoverci! – Vittorio si
catapultò letteralmente di sotto, trovando il ragazzo indicato dall’infermiera.
Alzò gli occhi verso di lui quando, con rammarico, scoprì che si trattava
proprio di Luca Caruso.
•
• •
Note a margine
Eccomi, con il mio ritardo fisiologico, con il secondo capitolo di questa
storia.
Che ne pensate? Io personalmente credo che, impegnandomi, forse potrebbe
uscire qualcosa di decente.
Per il resto attendo, come al solito, i vostri pareri! ♥