Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: blackjessamine    19/10/2018    7 recensioni
Dudley Dursley non si è mai ritenuto un uomo particolarmente intelligente, ma quando si ritrova legato come un salame in quella che è evidentemente una stanza per gli interrogatori, si rende conto che qualcosa, nel suo piano, deve essere andato storto. Soprattutto perché le stelle dipinte sul soffitto sembrano pulsare e risplendere di luce propria, e i suoi aguzzini attraversano indenni fiamme violette.
A trentacinque anni, Dudley Dursley non è un uomo particolarmente intelligente, ma non è nemmeno il ragazzino arrogante e viziato che per anni aveva chiuso gli occhi davanti alle ingiustizie perpetrate sotto il suo stesso tetto.
Dopo dieci anni di vita perfettamente normale, e tante grazie, Dudley Dursley non avrebbe mai pensato di dover affrontare di nuovo quelle persone armate di bacchette e parole buffe, ma sembra che la vita gli abbia giocato un meschino scherzo del destino, costringendolo ad affrontare i suoi rimorsi e i silenzi che minacciano di soffocare la sua coscienza.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dudley Dursley, Ginny Weasley, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Si è addormentata”, sussurrò Norah, voltandosi a guardare la sagoma placida di Rachel abbracciata al suo delfino di peluches.
Dudley annuì, spegnendo il motore dell'auto, e cercando di non sentirsi soltanto un estraneo, davanti alla porta d'ingresso di quella palazzina.
“Amore, svegliati, siamo arrivate...” sussurrò la donna, allungando una mano per sfiorare il braccio della bambina. Per tutta risposta, Rachel si limitò a emettere un versetto pigro, voltandosi dall'altra parte. Dudley e Norah si scambiarono un'occhiata un po' rassegnata: Rachel era una dormigliona di prima categoria, e se decideva che era per lei arrivato il momento di dormire, niente avrebbe potuto farle cambiare idea. Dopo un attimo di esitazione, Norah fece un profondo respiro, e, fissando seriamente Dudley negli occhi, disse:
“Hai voglia di darmi una mano a portarla su?”
Per un attimo, Dudley ebbe la curiosa sensazione che la donna avrebbe voluto dire anche qualche altra cosa, o per lo meno infondere un significato diverso a quella domanda, ma decise di non perdere troppo tempo a riflettere su cose che avrebbe sicuramente frainteso. Non era bravo ad interpretare i significati nascosti nei gesti della gente, e le parole di Norah lui le aveva fraintese fin troppe volte. Si limitò così a scendere dalla macchina e ad armeggiare con la cintura di sicurezza di Rachel. Fra uno sbuffo e l'altro, finalmente Dudley riuscì a sollevare la bambina ancora semi addormentata dall'auto, prendendola fra le braccia e seguendo lentamente Norah dentro la vecchia palazzina dove lei e la bambina abitavano.
Dudley conosceva quella casa, era venuto spesso a prendere Rachel lì, qualche volta si era fermato anche a cena, per festeggiare un compleanno o qualche altra occasione speciale, ma non riusciva mai a togliersi dalla testa l'idea di essere solo un intruso, al pari del postino o dell'idraulico.
Rachel e Norah abitavano in un bell'appartamentino al secondo piano, un appartamento ordinato e pieno di colore, proprio come lo era stato la casetta dove Rachel era nata ed aveva vissuto per tre anni assieme ai suoi genitori. Norah era così: con pochi gesti, sapeva lasciare la sua impronta gioiosa e inconfondibile in ogni luogo in cui soggiornasse più a lungo di una settimana.
Norah fece strada a Dudley accendendo le luci, conducendo lui e la bambina fino alla cameretta di Rachel, una stanza piccola e piena di giocattoli e libri per bambini.
“Forza, tesoro, a nanna!” mormorò Norah, cercando inutilmente di convincere la bambina assonnata a lasciare il suo nido fra le braccia di Dudley. Con un sospiro rassegnato, Norah si limitò a toglierle scarpe e calze mentre la bambina era ancora sospesa per aria, e poi ci fu una complicata danza fatta di sbuffi e aggiustamenti per riuscire a sfilarle anche la salopette. Dudley, che iniziava a non sentirsi più le braccia, si ritrovò a pensare a quando Rachel era piccina, e lui e Norah cercavano inutilmente di coordinarsi per cambiarla e prepararla nel minor tempo possibile. Di solito finivano col perdere ancora più tempo, e Norah allora, accaldata e spettinata, scoppiava a ridere, e rideva così tanto che quasi le venivano le lacrime agli occhi.
Non c'erano risate sulle labbra di Norah quando Rachel si rifiutò di farsi infilare da lei la casacchina del suo pigiama rosso, stringendo il braccio di Dudley e biascicando qualcosa che poteva assomigliare ad un “No, voglio il papà!”.
Con le labbra tese e un'espressione vagamente addolorata, Norah uscì piano dalla stanza, lasciando a Dudley il compito di finire di infilare la bambina nel suo pigiama e di rimboccarle le coperte.
Quando Dudley le posò un bacio sulla fronte, Rachel era già ripiombata nel mondo dei sogni.

Dudley era pronto a salutare rigidamente Norah e rimettersi stancamente alla guida, quando Norah emerse dalla cucina luminosa con due tazze fumanti strette fra le mani.
“Dud, hai voglia di fermarti qualche minuto?”
Dudley si arrestò, paralizzato. Una parte di lui avrebbe voluto gridare a Norah che sì, voleva fermarsi un minuto, un'ora, o anche tutta la notte, se questo fosse servito a cancellare quella distanza che i due anni di separazione avevano scavato tra di loro. Ma d'altro canto, quelle erano solo le speranze di un uomo disperato e stanco, terribilmente stanco, che doveva ancora affrontare un'ora e mezza di viaggio, prima di raggiungere il suo tanto agognato letto, dove con ogni probabilità avrebbe trascorso almeno due ore a girarsi e rigirarsi in preda ad un'angoscia che nemmeno lui riusciva bene a spiegarsi.
“Non credo sia il caso... devo ancora guidare tanto, e... insomma, magari un'altra volta, con più calma?”
Dudley sperò solo che Norah non interpretasse quelle sue parole nel modo sbagliato, come se lui in realtà stesse solo cercando una scusa per non doversi fermare con lei.
Norah abbassò il capo, annuendo, ma quando tornò a guardarlo, nel suo viso c'era un'espressione così guardinga, così spaventata, che Dudley avrebbe voluto rimangiarsi tutto, subito.
“Io... credo che invece dovresti fermarti. Lo so che hai ancora tanta strada da fare e sarai esausto, ma ho bisogno di parlarti, e se non lo faccio ora, forse non avrò più il coraggio di farlo.”
Dudley si sentì gelare il sangue nelle vene: forse Norah aveva davvero trovato un nuovo compagno, forse era di questo che voleva parlargli. Magari questo nuovo compagno abitava lontano da Londra, e lei stava pensando di trasferirsi da lui con Rachel... oppure si trattava dell'America, del luogo in cui aveva trascorso la sua adolescenza e aveva mosso i suoi primi passi da adulta, il luogo dove ancora viveva parte della sua amata famiglia, quel richiamo oltreoceano che Dudley temeva potesse risultarle irresistibile. Strinse i pugni, pronto a lottare: non voleva impedire a Norah di rifarsi una vita felice, anche se l'immagine di un altro uomo senza volto accanto a lei gli faceva venir voglia di vomitare, ma non le avrebbe mai permesso di portare Rachel lontano da lui, a costo di rovinare per sempre quel poco di buono che era rimasto tra loro.
Annuì brevemente, con un sospiro rassegnato, e si apprestò a seguire Norah in cucina. Quando la donna si richiuse premurosamente la porta alle spalle, Dudley deglutì rumorosamente: Norah aveva davvero paura che avrebbero litigato tanto da rischiare di disturbare il sonno di Rachel? Era davvero tanto brutta, la cosa di cui voleva parlargli?
Si ritrovarono ben presto seduti l'uno di fronte all'altra al tavolo di legno chiaro, stringendo fra le mani tazze da cui nessuno dei due sembrava intenzionato a bere.
Norah si tormentava il polsino della camicetta, guardando ovunque tranne che verso Dudley. Dudley non l'aveva mai vista così esitante e preoccupata, nemmeno nei momenti peggiori del loro matrimonio.
“Norah? Va tutto bene?” si ritrovò a chiedere, incerto. La donna sussultò, continuando a evitare il suo sguardo, ma annuì.
Il silenzio si protrasse a lungo, tanto a lungo che Dudley cominciò a sentirsi a disagio. Non era da Norah esitare così tanto, e Dudley cominciava ad essere davvero preoccupato. Possibile che Norah avesse davvero intenzione di portarsi via Rachel?
Alla fine, dopo quello che a Dudley parve un momento infinito, Norah si limitò a sussurrare:
“Non è facile, ma credo sia arrivato il momento di parlare di Rachel. Io credo...”
La donna si interruppe di nuovo, come se la voce le fosse venuta meno. Dudley, allora, che non poteva più sopportare oltre quel tormento, decise di intervenire:
“Ascolta, Norah, non mi importa se decidi di far conoscere a Rachel il tuo nuovo compagno. Se sei certa che si tratta di una storia importante, capisco che sia giusto così. Ma non ho intenzione di stare a guardare mentre porti Rachel a vivere dall'altra parte del mondo, questo, mi dispiace, ma non ho intenzione di lasciartelo fare.”
Gli occhi di Rachel si spalancarono così tanto che Dudley si chiese se le stessero facendo male. E poi, improvviso come era sempre stato, il suo ampio sorriso salì ad illuminarle tutto il viso.
“Ma cosa...? Oh, Dudley, ma no, non hai capito niente! Non ho nessun compagno, e di certo non ho la minima intenzione di far trasferire Rachel ancora più lontano da te di quanto già non sia!”
Ascoltando la risata appena trattenuta di Norah, Dudley si sentì un perfetto idiota. Ma certo che Norah non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ma con chi pensava di essere stato sposato? Sì, decisamente, Dudley era un idiota. Ma un idiota improvvisamente molto sollevato, e incapace di trattenere uno stupido sorrisetto.
“Io pensavo... be'... ma certo che non hai intenzione di farlo. Scusami.”
Norah scosse ancora la testa, sorbì lentamente un piccolo sorso di tè, e lasciò che il sorriso abbandonasse le sue labbra, assumendo di nuovo quell'espressione guardinga e preoccupata di poco prima.
“E allora che cosa c'è?” domandò Dudley, finalmente più sollevato. Di certo, qualsiasi notizia Norah avesse da dargli non poteva essere peggiore di ciò che si era immaginato.
Norah fece un altro profondo respiro, ma quando parlò, lo fece con voce salda:
“Hai presente mio fratello? Kevin?”
Dudley corrugò la fronte: certo che aveva presente Kevin Whitby, il gemello di Norah che viveva a Los Angeles e che spediva sempre una quantità di regali a dir poco esagerata a Rachel. In realtà Dudley aveva visto di persona quell'uomo solo due volte: la prima volta era stato in occasione del loro matrimonio, quando Kevin era tornato in Inghilterra per stare vicino a Norah, ed era rimasto fino al momento del parto. Kevin aveva lo stesso sorriso gentile di Norah, si era sempre comportato in maniera molto amichevole con Dudley, e si era sinceramente commosso quando lui e Norah gli avevano presentato la piccola Rachel. Dudley ricordava ancora il lunghissimo, struggente abbraccio nel quale i due fratelli si erano stretti, prima che Kevin salisse sul taxi che lo avrebbe riportato in aeroporto. La seconda volta che si erano visti, era stato qualche mese dopo la separazione di Dudley e Norah: Kevin era tornato in Inghilterra per trascorrere le feste di Natale con Norah e la loro madre, e Dudley aveva trascorso in loro compagnia un pomeriggio dicembrino. Anche questa volta Kevin era stato gentile, lo aveva trattato amichevolmente e con rispetto, senza portargli alcun risentimento per la fine del suo matrimonio con Norah (la stessa cosa non poteva dire della sua ex suocera, purtroppo).
“Ecco... sai quando dico che Rachel mi ricorda in tutto e per tutto lui? Lo dico a ragion veduta.”
Norah aveva parlato lentamente, fissando intensamente Dudley negli occhi. Era evidente che stesse cercando di fargli capire qualcosa senza essere troppo esplicita, ma Dudley era troppo confuso. Forse era la stanchezza, o la fame, o chissà che cosa, ma quella conversazione non aveva il minimo senso, per lui: era ovvio che Rachel ricordasse Kevin, lui e Norah erano gemelli. E, d'accordo, Dudley lo sapeva che maschi e femmine sono gemelli eterozigoti, ma per la miseria, Norah e Kevin erano praticamente identici, e Rachel era identica a Norah, quindi era ovvio che assomigliasse anche a Kevin!
“Non ti seguo, Norah. Rachel è come te, che sei come lui, quindi...”
Norah scosse la testa, chiudendo gli occhi e massaggiandosi vigorosamente la fronte.
“No, lei non è come me... è come Kevin...”
Quando Norah tornò a guardare Dudley, aveva ritrovato la sua espressione più decisa e determinata. Improvvisamente, come se avesse deciso di cambiare del tutto argomento, Norah esclamò:
“Quanto conosci tuo cugino?”
Dudley, che in quel momento aveva deciso di bere un sorso di tè, per poco non si soffocò. Tossendo e sputacchiando, fissò spaventato Norah: che cosa importava adesso Harry? Perché Norah voleva parlare di Harry? Lei non aveva mai fatto nessun commento su di lui, nessuna domanda... perché a distanza di settimane chiedeva di lui? Forse che Rachel le aveva raccontato qualcosa di quel pomeriggio al parco?
Sentendo una crescente nota di panico salire a scaldargli le viscere, Dudley balbettò:
“Mio... mio cugino? Che cosa...”
“Sì, tuo cugino” lo interruppe bruscamente Norah, parlando velocemente e a voce bassissima “Non hai mai parlato di lui, ma immagino che per invitarlo da te proprio nel giorno in cui puoi stare con Rachel devi conoscerlo abbastanza bene. Quanto conosci Harry Potter?”
Cercando di riflettere velocemente, Dudley provò a prendere tempo:
“Be', sì, diciamo che negli ultimi anni ci siamo un po' persi di vista, però... è una situazione un po' complicata, ma siamo praticamente cresciuti assieme, quindi... ehi!”
Dudley si interruppe bruscamente, improvvisamente folgorato da una rivelazione quasi incredibile.
“Io non ho mai detto qual è il suo cognome!”
Norah annuì piano, sorridendo appena.
“Lo so. Ma, se davvero sei cresciuto con lui, credo tu sappia perché alcune persone non hanno bisogno di farsi presentare Harry Potter, per riconoscerlo.”
Dudley era paralizzato. Sentiva le dita rigide attorno alla sua tazza di tè, mentre cercava invano di analizzare le parole di Norah. Norah conosceva Harry. Norah, così simile a Rachel, conosceva Harry Potter.
Ma non era possibile. Dudley avrebbe dovuto accorgersi di qualche cosa... con Rachel, ad un certo punto, le prove erano state evidenti. D'accordo, Norah era una donna adulta, probabilmente era in grado di controllarsi, ma davvero era possibile che per tre anni loro avessero vissuto sotto lo stesso tetto senza che Norah si tradisse? Non c'erano stati scoppi luminosi, non c'erano state lettere consegnate da gufi, nessuno aveva mai usato il loro caminetto per spostarsi da un luogo all'altro, non c'erano fotografie che si muovevano... come poteva Norah aver nascosto tutto questo così bene?
Alla fine, davanti al sorriso mesto di Norah, Dudley si ritrovò a balbettare:
“Tu... tu sei... anche tu... sei una strega?”
Il sorriso sul viso di Norah si fece un po' più malinconico, mentre scuoteva piano la testa.
“Io non sono una strega, Dudley.”
La prima cosa che Dudley provò fu un immenso sollievo. Non aveva vissuto per tre anni accanto ad una donna senza nemmeno comprendere i tratti più evidenti della sua natura, allora. Ma comunque la cosa non aveva il minimo senso: se Norah non era una strega, come poteva conoscere Harry Potter?
Osservando attentamente il suo viso confuso, la donna si scostò dalla fronte un ricciolo ribelle, e sussurro:
“Io non lo sono, ma c'è del sangue magico, nelle mie vene.”
Ah, ma certo, ora era tutto chiaro. Kevin. Norah aveva sempre insistito sulla somiglianza fra Rachel e Kevin... ora Dudley capiva che cosa volesse dire.
“Tuo... tuo fratello?”
Norah annuì lentamente, e poi, con un sussurro, aggiunse:
“E anche mio padre.”
Dudley rimase di stucco: da quando conosceva Norah, non l'aveva mai sentita parlare di sua spontanea iniziativa di suo padre. Quando le aveva domandato qualcosa su di lui, lei aveva sempre risposto soltanto che era morto quando lei e Kevin erano adolescenti, per poi cambiare subito argomento, con un'espressione addolorata a sfigurarle il volto.
“Oh.”
Dudley sapeva che quella non era esattamente la reazione migliore con cui accogliere una rivelazione del genere,ma si sentiva del tutto confuso e spaesato. Guardò i grandi occhi di Norah, che ora erano posati sulla superficie del liquido ambrato nella sua tazza, e lo scrutavano come se questo bastasse a trasportarla lontano da lì, e si domandò quante altre cose non sapesse dell'unica donna che avesse mai amato.
“Dudley...” la voce di Norah era esitante, come quando cercava di tranquillizzarlo mentre era sull'orlo di una crisi di rabbia.
Dudley cercò di fare un respiro profondo: non aveva intenzione di urlare, né di arrabbiarsi con Norah. Ma aveva bisogno di capire, di capire a fondo.
“Rachel... lei è...”
“Sì”, lo interruppe Norah “Rachel è una strega. Credo di averne avuto la certezza prima che compisse sei mesi”.
Sei mesi. Dudley aveva iniziato ad avere dei sospetti solo verso il primo compleanno della loro bambina, ma del resto lui non se lo aspettava, non se lo aspettava minimamente, dunque non era stato teso in cerca di indizi, come probabilmente lo era stata invece Norah.
“Oh”, si ritrovò a ripetere, maledicendosi per la sua incapacità di articolare più di un pensiero alla volta.
“Io non avevo idea che tu potessi sapere qualcosa di questo mondo, non potevo sapere che tu e Harry Potter foste cugini.”
Improvvisamente, Dudley sentì un moto di vergogna salire ad imporporargli le guance. Solo poche ore prima si era ritrovato a pensare a tutto quello che aveva fatto per cercare di aiutare Rachel, e si era detto con rammarico che quella era la parte migliore di lui, e che Norah non l'avrebbe mai conosciuta. Adesso, però, quando Norah si trovava ad un passo dal conoscere tutta la verità, si ritrovò a pensare che sì, Norah avrebbe conosciuto quella parte di lui. E per farlo, avrebbe anche dovuto conoscere che cosa l'aveva portato ad allontanarsi da Harry. Dudley non era certo di essere in grado di sopportare lo sguardo di biasimo e rigetto che Norah gli avrebbe rivolto, una volta conosciuto l'adolescente che era stato.
“Norah, ascolta, la situazione tra me e Harry è davvero complicata. La mia famiglia... be', conosci i miei genitori, non accettano te perché hai la pelle di un colore diverso rispetto a loro, puoi immaginare come abbiano trattato un bambino strambo.”
Norah sollevò una mano per fermarlo, e sussurrò:
“Fermati un attimo, Dudley... noi dobbiamo parlare. Io... insomma, probabilmente non avrei mai dovuto tenerti nascosto tutto questo, non dopo che mi sono resa conto che questa parte della mia vita, inevitabilmente, sarebbe dovuta tornare a galla, vista la natura di Rachel.”
Dudley rimase in silenzio per un attimo, fissando intensamente il viso di Norah. La curva piena delle sue guance, il denti candidi e forse appena un po' troppo larghi, l'ombra delle sue lunghe ciglia... no, non era cambiato niente nel suo viso, ora che Dudley sapeva la verità.
Nel silenzio che riempiva la cucina, Dudley si ritrovò a pensare affannosamente a qualche cosa da dire per cercare di superare quel momento carico di imbarazzo. Alla fine, con sua grande sorpresa, si ritrovò ad ascoltare la sua voce che chiedeva:
“Ma davvero tu non sei una strega? Il tuo gemello è un mago, e tu non sei una strega?”
Norah annuì lentamente, con un sorriso mesto.
“Davvero davvero, Dudley. Può succedere, sai? Papà era un mago, figlio a sua volta di una strega e di un babbano, mentre la mamma è babbana, e insomma, io e Kevin siamo un po' un pasticcio genetico, mi sa.”
Dudley cercò di ricordare quel poco che aveva imparato a scuola di genetica e caratteri ereditari, ma in quel momento era troppo stanco per fare dei ragionamenti concreti. Immaginava che però che avesse senso... sempre che la magia si trasmettesse come il colore dei capelli.
“Ok. Quindi Rachel ha preso dallo zio Kevin, non dal lato di mia zia...”
Era sempre un po' difficile, per Dudley, considerare la sorella di sua madre come zia. Non aveva mai conosciuto quella donna, di lei sapeva solo quello che Dedalus gli aveva raccontato, e sua madre non aveva mai parlato di lei come una zia. Ma quello era il grado di parentela che li univa, e da quando aveva iniziato a riflettere su Rachel, aveva anche cominciato a sforzarsi di pensare in questo modo alla madre di Harry.
“Oh mio Dio,” esclamò Norah, portandosi una mano alla bocca “non avevo ancora realizzato di aver fatto una figlia con il nipote di Lily Potter”.
Dudley fissò a lungo l'espressione confusa di Norah, cercando di richiamare alla mente le parole di Dedalus. Sapeva che i Potter erano piuttosto famosi nel mondo magico per aver combattuto valorosamente e per essersi sacrificati per il loro figlio, permettendogli così di avere un'arma in più per sconfiggere quel Voldemort - no, com'è che lo aveva chiamato Harry? Tom Riddle.
“Non sapevo che loro fossero così famosi anche in America.”
Norah si limitò a scuotere la testa, sorridendo piano.
“Non lo sono così tanto, infatti. Certo, anche lì sanno qualcosa della guerra e di Voldemort, ma non con questa abbondanza di dettagli. Ti ricordo che noi siamo inglesi, e che a Los Angeles ci siamo finiti solamente quando io e Kevin avevamo quattordici anni.”
Dudley annuì, e poi un pensiero si fece strada nella sua mente. Un pensiero spaventoso, che lo spinse a fissare seriamente Norah negli occhi, in cerca di qualche conferma ai suoi timori - come se avesse potuto leggere una cosa del genere sul viso di una persona.
“Quando avevi quattordici anni... Norah, quello è stato il momento peggiore della guerra, qui, vero?”
Il sorriso, ora, era del tutto scomparso dal viso di Norah. La donna annuì tristemente, senza mai guardare Dudley, e disse:
“Papà lavorava al Ministero, sai? Era un uomo buono... ha sempre avuto troppa fiducia negli altri. Non ha mai voluto arrendersi all'idea che le cose sarebbero davvero precipitata, credeva che ci sarebbero sempre state più persone ragionevoli che Mangiamorte, e così è restato al Ministero fin quasi alla fine.”
Norah stava parlando, ma sembrava che non si stesse rivolgendo a nessuno in particolare. Dudley, dal canto suo, non osava interrompere quella confessione che a stento lasciava le labbra tese di Norah, anche se temeva di sapere dove sarebbe arrivata.
“Quando Kevin avrebbe dovuto iniziare il suo quarto anno a Hogwarts, era evidente che la situazione fosse irreparabilmente precipitata, e solo allora papà si è deciso a cercare un modo di lasciare l'Inghilterra. Suo fratello e il nonno erano già scappati a Los Angeles il Natale precedente, e ci avrebbero dato una mano, appena arrivati lì. Papà si fece aiutare da un collega di cui si fidava ad ottenere una Passaporta Internazionale illegale che ci avrebbe permesso di arrivare a Francoforte, dove ci saremmo imbarcati su un volo per New York.”
Norah fece una piccola pausa, prendendo fiato, e per la prima volta da quando aveva iniziato quel lungo racconto alzò gli occhi a cercare quelli di Dudley. I suoi grandi occhi gentili erano colmi di lacrime, mentre si mordeva il labbro inferiore e cercava di trovare il coraggio di proseguire il suo racconto.
“Non avrebbe mai dovuto fidarsi di quel collega. Quando mancavano solo pochi minuti alla partenza, in casa nostra fecero irruzione degli uomini incappucciati ed armati di bacchetta...” Norah dovette fermarsi di nuovo, e Dudley avvertì il familiare morso gelido della paura artigliargli lo stomaco. Sapeva fin troppo bene che cosa si provasse a dover fronteggiare quegli uomini incappucciati senza avere la minima possibilità di opporsi a loro. Istintivamente, allungò una mano sul pianale del tavolo che li separava, avvolgendo fra le sue dita quelle piccole e fredde di Norah. Credeva che la donna lo avrebbe allontanato con un gesto brusco, ma Norah non fece niente di simile: con un sorriso triste, ricambiò la stretta di Dudley.
“Papà ci ordinò di non staccare per niente al mondo le mani da quel vecchio giornale stropicciato, e cominciò a combattere contro di loro. La mamma tenne così stretto Kevin che gli slogò un polso, per riuscire a trattenerlo... lui avrebbe voluto aiutare papà, ma era solo un ragazzino... non avrebbe potuto fare niente...”
Ora il viso di Norah era solcato da due luccicanti scie di lacrime, e Dudley sentì il suo stomaco contorcersi dolorosamente. Norah si era tenuta dentro quegli orrori per così tanti anni senza mai confidargli niente, che ora lui avrebbe voluto alzarsi e stringerla a sé, ma sapeva che sarebbe stato un gesto del tutto fuori luogo.
“Papà tenne testa ai Mangiamorte per il tempo necessario affinché la Passaporta si attivasse e noi venissimo trasportati lontano da lì. Scoprimmo che il suo cadavere era stato rinvenuto nel nostro vecchio soggiorno solo quattro mesi dopo la fine della guerra...”
Tutto questo era orribile: Dudley sapeva che la guerra era stata sanguinosa ed era costata un alto numero di vite, ma pensare che fosse arrivata a ghermire così nel profondo la quotidianità di persone comuni era un pensiero quasi insostenibile.
“Norah... mi dispiace tanto...”
Norah sorrise appena, asciugandosi il viso con la mano che aveva libera.
“E' stato un brutto periodo, sì... soprattutto per Kevin. Io e la mamma ci sentivamo in colpa per aver spinto papà a sacrificarsi per noi, ma Kevin ha fatto davvero molta fatica ad accettare di non essere rimasto accanto a papà a combattere insieme a lui.”
Dudley scosse la testa: che cosa avrebbe potuto fare un ragazzino di quattordici anni contro un gruppo di Mangiamorte? Solo farsi ammazzare, probabilmente.
Rimasero in silenzio a lungo, le loro mani intrecciate sopra il piano di legno chiaro del tavolo, senza avere il coraggio di interrompere quel fragile momento di comunione che li aveva legati.
Alla fine, fu Norah a sciogliere l'intreccio delle loro dita con un movimento delicato e pieno di gentilezza, per poi sussurrare:
“Mi dispiace di non aver mai avuto il coraggio di parlarti di Rachel. Avrei dovuto farlo, perché, anche se non potevo sapere che tu conoscevi già questo mondo, prima o poi la sua natura ti sarebbe stata evidente, e tu avevi tutto il diritto di sapere.”
Dudley annuì, e si ritrovò a pensare a tutte quelle volte in cui a Rachel era accaduto qualcosa di strano, e lui aveva cercato di farlo notare a Norah, e lei si era irrigidita in un mutismo ostinato, fingendo di non vedere... finivano sempre con l'essere nervosi e discutere, in quelle occasioni. Dudley credeva che il rifiuto di Norah nascesse dalla paura e dalla risoluzione a non ammettere che nella loro bambina ci fosse qualcosa di strano, e lui si adirava, perché non voleva che qualcuno, nemmeno Norah, si permettesse di maltrattare Rachel per qualcosa che non poteva controllare. E invece probabilmente Norah, in quelle occasioni, si era ritrovata sull'orlo di un baratro, terrorizzata all'idea che Dudley potesse scoprire la verità e pensare qualcosa di male di lei e Rachel.
“Oh, Dio... e lo stesso avrei dovuto fare io. Avevo così tanta paura... sai, non sono fiero di come sono andate le cose tra Harry e me. I miei genitori... li conosci, lo hanno sempre trattato come un pazzo, un appestato, un peso pericoloso da cui stare alla larga, e da giovane anche io non sono stato proprio un esempio da seguire. Ma con Rachel... io volevo solo che lei non dovesse mai subire quello che noi avevamo fatto passare a Harry, e così sono rimasto zitto. Avrei dovuto saperlo che, in ogni caso, tu non saresti mai stata come noi, e avresti amato Rachel in ogni condizione.”
Norah chiuse gli occhi, e senza guardare Dudley, sussurrò:
“E io credevo che tu potessi non accettarlo, o arrabbiarti perché su tante cose del mio passato non ero stata sincera... e più il tempo passava, più era difficile parlartene, perché avrei dovuto giustificare anche quei mesi di esitazione, e poi quegli anni...”
Dudley, nonostante sentisse la testa che girava come se si trovasse al secondo bicchiere di rum, nonostante fosse confuso e anche leggermente sconvolto, nonostante avesse voglia di gettarsi sotto una doccia calda e al tempo stesso di infilare la testa nel freezer per cercare di schiarirsi le idee, si sentiva anche sollevato. Si sentiva immensamente, tremendamente sollevato.
Prima che potesse rendersi conto di quello che stava facendo, domandò:
“Norah... ma tu davvero davvero non sei una strega?”
Norah, di nuovo, annuì.
“Ma allora... quando ci siamo conosciuti, il giorno dell'incidente... tu non ti sei fatta neanche un graffio, e tutti hanno detto che era un miracolo!”
Norah annuì, e dopo aver fatto un profondo respiro, sussurrò:
“Non sono una strega, ma c'è del sangue magico, nelle mie vene, te l'ho detto. Non abbastanza perché io possa compiere intenzionalmente degli incantesimi, ma in situazioni particolarmente gravi mi succede qualcosa... come accade ai bambini. Non è mai stato abbastanza affinché venissi ammessa a Hogwarts, né lo è stato per entrare ad Ilvermorny, una volta giunta in America, ma immagino di non essere nemmeno una babbana fatta e finita.”
Dudley non aveva idea di che cosa fosse questa Ilvermorny, ma non aveva la forza di domandarlo. Era troppo impegnato a ragionare, e sapeva che, in quel momento, doveva essere paonazzo.
“Ok. Quindi non sei del tutto una strega, ma hai qualcosa di magico...”
Norah annuì di nuovo.
“In realtà, posso contare sulle dita di una mano le volte che sono riuscita a fare delle magie vere e proprie: mi sono salvata miracolosamente dopo essermi buttata in mezzo ad una strada ad alto scorrimento a sette anni, sono uscita illesa da un frontale che avrebbe dovuto come minimo spezzarmi qualche osso, e quando sono svenuta sulle scale con Rachel in braccio sono riuscita a non farmi troppo male e a proteggerla.”
Dudley ricordava quell'episodio: Rachel aveva solo quattro mesi, e Norah avrebbe scoperto di avere una brutta influenza. Si era sentita male in cima alle scale, ed era rotolata per due rampe con la piccola stretta fra le braccia. Miracolosamente, Norah si era solo fratturata una caviglia, mentre Rachel non aveva riportato nemmeno un piccolissimo livido.
Solo ora Dudley si rese conto che di miracoloso, in tutto quello, non c'era stato proprio niente.
Norah sorrideva, ora, un sorriso fioco e un po' colpevole, ma comunque il primo sorriso sereno che Dudley avesse scorto sul suo viso da settimane. Da quando la donna aveva trovato Rachel impegnata a giocare con i figli di Harry Potter, in effetti.
“Avevo immaginato di cominciare a spiegare la verità a Rachel quest'estate, portandola da Kevin e facendole conoscere i suoi cuginetti, che a quanto dice mio fratello sono due maghetti fatti e finiti... ma mi sa che sono arrivata tardi.”
Questa volta, anche Dudley sorrise.
“In realtà, io e Harry non le abbiamo ancora detto niente. L'abbiamo solo fatta giocare a palla con l'aiuto della magia insieme a Lily, ma credo ci siano ancora tante cose da spiegarle... e tu sicuramente ne sai molto più di me.”
Fu Norah, questa volta, ad allungare di nuovo la mano lungo il tavolo, posandosi delicatamente sopra a quella di Dudley.
“Forse sì, ma credo che la cosa migliore sia farlo insieme. Vuoi?”
Se lo voleva? Dudley sentì il cuore esplodergli nel petto, mentre stringeva la mano di Norah.
“Ma certo. Insieme.”

Note:
Eccoci.
Siamo arrivati al punto: come ho detto nelle note dei primi capitoli, so bene che il nucleo centrale di questa storia (ovvero un figlio magico per Dudley) è quanto di meno originale si possa pensare, ma volevo anche io dare la mia versione dei fatti. Da sempre, però, a prescindere dalla nota della Rowling sui geni respingi-magia dei Dursley, io mi sono immaginata che il povero Dudley avrebbe avuto a che fare, inconsciamente, con qualcuno che la magia già la conosceva. Sarebbe stato difficile, però, farlo innamorare e convivere con una strega senza che niente venisse a galla: va bene che non è mai stato un campione d'intelligenza, ma insomma, una strega deve tradirsi, in qualche modo, a meno di rinnegare completamente il mondo da cui proviene. E a me non andava di disegnare una Norah completamente tagliata fuori dai suoi amici d'infanzia e dal mondo in cui era cresciuta, e così ho immaginato questo compromesso.
Ora, un paio di note su Maghinò ed ereditarietà: non so se quello che ho immaginato io abbia senso, però, fin dalle prime volte in cui ho letto Harry Potter, ho sempre immaginato che la magia non fosse proprio una qualità esclusiva. Nella mia mente, senza un motivo preciso, ho sempre immaginato che la si potesse possedere in quantità diverse, dunque un Magonò non per forza doveva essere del tutto privo anche del più piccolo barlume magico. Del resto, la signora Figg vede i Dissennatori, cosa che i babbani invece non possono fare. Oltretutto, anche la storia (francamente un po' assurda, ma va be') della piuma e del libro che c'è su Pottermore fa capire che un bambino può possedere, sì, qualche capacità magica, ma non in quantità sufficiente ad entrare a Hogwarts (e dunque a fare magie consapevolmente). Infine, lo stesso Neville dice che, dopo aver compiuto per la prima volta una magia davanti ai suoi parenti, loro temevano comunque che lui non fosse abbastanza magico da essere ammesso a Hogwarts. Da qui, dunque, la mia decisione di lasciare qualche minuscolo sprazzo di magia a Norah, pur non rendendola una strega fatta e finita. Spero che tutto questo abbia senso.
Bene, queste note sono infinite, e avrei voluto aggiungere qualche altra cosa, ma direi che lascio altre riflessioni per il prossimo capitolo, o mi mandate giustamente a quel paese.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: blackjessamine