A
Marghe,
per La Gioia di quest’estate.
Cap. 34 Blood of my blood, Bone of my bone
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è amore,
tenace come gli inferi la passione.
Cantico dei Cantici
Dopo l’annuncio del ritiro dalle scene politiche da parte
del Primo Ministro Shacklebolt non erano state ancora presentate candidature
ufficiali. Negli articoli delle diverse testate giornalistiche del paese si
accennavano nomi, più o meno altisonanti, si iniziavano a ipotizzare le prime
mosse strategiche, o al massimo si delineavano possibili schieramenti, ma
nessuno fino a quel venerdì di inizio aprile aveva ancora fatto la prima mossa.
Quando gli occhi di Albus intercettarono il cognome
Schatten in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta nell’articolo accanto all’editoriale
si strozzò col porridge. Grazie a un paio di colpi di tosse riuscì a liberare
le vie aeree.
Prima di affrontare il contenuto dell’articolo prese
un sorso dalla propria tazza, ma subito dopo notò anche la fotografia dell’uomo
che stringeva la mano dell’inconfondibile William Danes, barbuto e affascinante,
lo Stregone Capo del Wizengamot.
“Danes appoggia
la candidatura ufficiale di Kurt Shatten.” Recitava il trafiletto sotto la
foto animata dei due uomini sorridenti. Gli andò di traverso pure il caffè.
“Albus stamattina fai più pena del solito.” La voce di
Scorpius era molto strascicata, per questo si poteva dedurre la compiacenza
delle sue constatazioni para-scientifiche sul risveglio del Potter domestico.
Al gli mise sotto il naso l’articolo mentre ancora
tossiva, aiutato dalle pacche tra le scapole offertegli generosamente da
Octavius, che quasi gli spezzarono la colonna vertebrale.
Un sopracciglio di Scorpius scattò in alto e Martha
seduta accanto a lui si sporse per leggere.
“Oh.” Lei alzò subito gli occhi per cercare i suoi.
“Per questo a Natale…?”
Non finì la frase, non ce ne fu bisogno. Eppure Al
apprezzò moltissimo la rapidità con cui la ragazza aveva ricollegato gli
eventi.
“Sicuramente. Quale modo migliore per consolidare
un’alleanza se non un matrimonio?! Cristo, sembra di essere tornati al
Medioevo, mi fanno venire da vomitare.” L’amarezza delle proprie parole gli
invase il palato come fiele.
La passione per la politica spesso lo poneva di fronte
al quesito se ciò che gravitava attorno a quel mondo avesse prima o poi
richiesto il prezzo della sua integrità. Se per cambiare effettivamente le cose
avrebbe dovuto scegliere sempre i mali minori e corrompere la sua anima per
asservirla a uno scopo più grande. E di fronte a Schatten e Danes che si
stringevano fraternamente la mano, banchettando sul cadavere della libertà di
Derek, non seppe darsi una risposta.
La mano di Martha si allungò attraverso il tavolo e
afferrò la sua, intrecciando le dita.
“Ci sono ancora un sacco di mesi prima delle elezioni,
sicuramente si faranno avanti candidati migliori. Vero?”
Il candore e la speranza delle sue parole spinsero Al
a sorriderle con tenerezza.
Scorpius per tutta risposta sollevò anche l’altro
sopracciglio, in un’espressione curiosa, tra il dubbioso e il divertito.
“Difficile trovare un uomo migliore di Schatten agli
occhi della comunità magica: ha riguadagnato il patrimonio di famiglia dopo che
suo padre lo aveva sperperato, ha una solida posizione nell’Ufficio del
Trasporto Magico, ha una moglie devota e una bella famiglia, è amico di
moltissimi uomini politici. È il garante perfetto delle ideologie e delle
aspirazioni dei conservatori. Senza contare che ora gode dell’appoggio di Danes
e ti posso garantire, Martha, che non è poco.” Spiegò il giovane mentre apriva
il giornale e scorreva rapidamente le informazioni contenute nell’articolo.
“Ma è un mostro! Picchiava suo figlio e lo
terrorizzava… Ha costretto Derek a fare cose orribili.” boccheggiò lei indignata.
“Certo, ma niente di tutto ciò è pubblico. Si è sempre
tutelato in modo perfetto perché la verità non venisse a galla. È scaltro.” Intervenne
Al.
Gli occhi grigi di Scorpius si alzarono dalla pagina e
incrociarono i suoi. In essi brillava una luce che lui conosceva benissimo, la
mente del giovane Malfoy si era appena immersa nelle macchinazioni politiche
che la mossa di Schatten implicava.
Che cosa avrebbe fatto Draco Malfoy a questo punto?
Come avrebbero pianificato le prossime mosse?
Martha lasciò la sua mano per passarsi i palmi sulle
braccia frizionando un paio di volte il tessuto del maglione. La sua fronte era
aggrottata in un’espressione preoccupata, che ricalcava le ombre sorte nei suoi
occhi color cioccolato durante quella conversazione.
“Non mi piace quell’uomo. Mi fa venire i brividi.”
Sussurrò infatti lei guardando male la prima pagina della Gazzetta del Profeta.
Albus le versò un’altra tazza di tè ben zuccherata
sorridendo davanti alla sua espressione stupita per quel semplice gesto.
Martha aveva la capacità di prendersi cura di chiunque
con una generosità quasi spropositata, eppure appena qualcuno le dedicava una
piccola attenzione se ne stupiva genuinamente, come se non si aspettasse di
valere tanto.
Lei che valeva tutti i brandelli di cuore che si
trovava a raccattare ogni volta che gli sorrideva.
Aveva cercato di non far trapelare quanto le
rivelazioni fatte a inizio settimana da Martha lo avessero preoccupato e
sconvolto. Rimaneva la sua Martha, nulla in lei era cambiato ai suoi occhi, ma
sentiva anche dentro di sé l’urgenza di trovare una soluzione.
Una soluzione come aveva promesso a tutti per capire
che cosa fosse accaduto a Elena e un’altra, più intima, per comprendere come
poterla aiutare a dominare il suo potere di veggente.
Avrebbe tanto voluto parlarne con Angelique, chiedere
il suo aiuto per cercare qualche informazione, ma, conoscendola, quando aveva
scoperto che si trattava di chiaroveggenza e non di epilessia aveva scartabellato
tutti i volumi al riguardo della biblioteca.
Forse bisognava cercare nella sezione più divertente,
come amava definire lei il Reparto Proibito…
Non seppe come ma in quel preciso istante un
ingranaggio dentro di lui scattò finalmente, mettendo in moto tutti gli altri.
Il pungolo che aveva sentito sin da quando avevano
ritrovato Elena incosciente e sanguinante, che lo ossessionava senza
manifestarsi chiaramente ogni volta che ripensava a quella vicenda,
quell’ignoto fattore che sapeva di star dimenticando e che nonostante tutto non
riusciva a identificare gli si presentò. E fu tanto semplice e banale che
scoppiò a ridere per la propria stupidità.
Scorpius guardò l’orologio che portava al polso e
commentò:
“Ecco, infatti, è passata l’ora del risveglio.”
“La biblioteca!” esclamò sentendo le proprie labbra
aprirsi in un sorriso.
Tre paia di occhi confusi si posarono su di lui. Non
fu semplice parlare mentre la sua mente rielaborava febbrilmente le intuizioni
appena avute, eppure ci provò per spiegare ai tre che cosa si fossero persi
fino a quell’istante.
“Erano giorni che continuavo a pensarci e non riuscivo
a capire che cosa mi sfuggisse! Nana ha passato un sacco di ore in biblioteca
nei giorni prima dell’aggressione, vi ricordate che cosa ci ha raccontato
proprio qui, a tavola?”
“Arthemius Copper.” Rispose inaspettatamente Octavius.
Ci fu un attimo di silenzio in cui lo osservarono
allibiti per quell’intervento.
“Mi piacciono i racconti dell’orrore.” Borbottò il
ragazzo stringendosi nelle spalle.
“Bravo Octavius! Elena stava facendo ricerche sui
Cavalieri di Santa Brigida. Sappiamo che la mattina in cui l’hanno attaccata
era stata in biblioteca e il corridoio in cui l’abbiamo trovata è sullo stesso
piano.”
Albus riprese fiato mentre la fronte di Scorpius si
corrugava, sotto la spinta dei suoi pensieri.
“È da lì che dobbiamo partire, vedere quali libri ha
consultato e chi li ha consultati dopo di lei. Magari ne ha preso uno in
prestito…”
“Non c’era nulla nella sua cartella.” Martha scosse la
testa dubbiosa.
“Beh, comunque rimane la migliore opzione per
ricostruire i suoi ultimi spostamenti. Sento che dobbiamo andare lì.” Replicò
lui deciso.
“Guarda Al, che se lei diventa una merluzza, tu non
diventi automaticamente un veggente.” Scherzò Scorpius rivolgendogli uno dei
suoi ghigni sardonici.
“Oh taci!” lo rimbeccò Martha e gli assestò al polso
uno dei suoi colpetti secchi e decisi, facendogli cadere il biscotto nel caffè.
“Andremo in biblioteca Al.”
***
Molto tempo addietro tra le mani riluttanti di Lucy
Weasley era capitato un libro di Babbanologia, materia studiata con fervore da
sua sorella Molly, l’unica in grado di poter parlare per ore con nonno Arthur del
mondo non magico.
Tuttavia non lo aveva riposto subito nella libreria
come avrebbe fatto in qualunque altro caso, con la repulsione che sempre la
coglieva davanti ai libri alti più di due centimetri.
Attratta dalla copertina lo aveva aperto e si era
immersa nella lettura di “Storia delle popolazioni celtiche”, un brillante
testo in cui venivano esposte in modo scorrevole e preciso le informazioni pervenute
su uno dei ceppi linguistici e culturali più importanti d’Europa.
Si era innamorata perdutamente dell’animo celtico,
della percezione dell’energia della vita, dell’intensità della loro fede, della
tenacia nei secoli delle lingue gaeliche, di quell’identità impossibile da
sradicare dai popoli che ne custodivano la memoria in Gran Bretagna.
Le formule dei giuramenti vibravano fin nelle ossa di
chi li pronunciava. Lucy le percepiva vere e profonde in un modo che era
parallelo e fin troppo simile agli incantesimi di magia.
Quel venerdì sera, mentre le sue labbra trovavano
quelle di Benjamin senza nemmeno bisogno di cercarle e le sue mani affondavano
nei muscoli delle sue spalle, continuava a pensare alle stesse parole.
Sangue
del mio sangue, ossa delle mie ossa…
Serrò le labbra per non lasciarsele sfuggire, mentre
il suo corpo nudo sovrastava quello di Benji, arreso sotto di lei in una muta
meraviglia, che lo rendeva tanto bello da ferirle gli occhi.
Il torace ampio, gli avvallamenti del suo addome, le
braccia dalle curve armoniche, le linee della sua schiena, tutto in lui le era
noto come i palmi delle proprie mani, non per questo la gioia del poterlo
chiamare “suo” si era fatta meno intensa.
Si chinò su di lui e depositò un casto bacio sul lato
sinistro del petto, dove il suo cuore pulsava frenetico.
Ti
dono il mio corpo, così saremo una cosa sola…
A quel gesto gli occhi di lui si illuminarono come una
candela in una stanza buia, di quel tipo di luce intima e sensuale che più che
svelare protegge, il bagliore cupo delle sue iridi paglierine perfettamente
intonato al silenzio della notte.
E le sorrise. Semplicemente, un sorriso tutto per lei.
Il corpo di Lucy fu percorso da un tremito. Nonostante
fosse a cavalcioni sul bacino di Benji, le sue ginocchia si ridussero a
gelatina e il cuore si fermò per un istante prima di pulsare forte, quasi
dolorosamente, dentro la sua gabbia toracica.
Ti
dono il mio Spirito, finché l’Anima Nostra non sarà resa.
Lucy, stordita da quello che provava, sentì le sue
labbra schiudersi, nell’ormai inevitabile confessione. Benji colse qualcosa sul
suo viso perché si tirò su a sedere, fino a toccare con la propria pelle nuda
il suo seno e per un istante si vide riflessa nel suo sguardo.
Occhi scuri spalancati, membra tremanti e labbra
sull’orlo del precipizio.
Ma anziché parlare e lasciare che il suo cuore si
aprisse finalmente, per liberare tutte quelle parole incastrate a metà tra il
cervello e l’anima; anziché dirgli che lo amava, si mosse verso di lui, verso
il suo sesso teso che le premeva contro il ventre. Lo accolse, conducendolo dentro
di sé con la propria mano, osservando i tratti del suo viso sciogliersi al
compiersi di quell’incastro perfetto.
Un suono rauco scaturì dalla gola di Benjamin. L’uomo
seppellì il viso contro il suo collo e le sue mani le afferrarono i fianchi per
affondare dentro di lei ancor di più.
Sangue
del mio sangue, ossa delle mie ossa…
Sconvolta, si lasciò andare tra le braccia di Benji,
scegliendo di annegare ogni riflessione, perché i suoi pensieri erano come
spilli nel cuore.
Quelle erano le parole di un voto nunziale.
***
“In che senso sparito?” chiese lentamente Angelique
guardando i propri amici.
“Sparito, andato, scomparso, disperso, eliminato,
introvabile. In questo senso.” Scorpius si sedette elegantemente sulla poltrona
della Sala Comune di Serpeverde e accavallò le gambe.
“La Pince ha avuto un ictus suppongo.”
“Sì… Sembrava che le si fossero troncate di botto
tutte le sinapsi.” Commentò Martha accomodandosi sul divano.
“Poi ha iniziato a urlare.” Aggiunse Octavius
rabbrividendo visibilmente al ricordo.
Al continuò a camminare in silenzio davanti al camino,
con le mani intrecciate alla base della schiena e la fronte visibilmente
corrugata.
Quando era arrivata dall’Infermeria quella mattina,
dove era stata per un qualche minuto con Nana prima delle lezioni, Al le aveva
spiegato i propri sospetti. Anche lei aveva trovato una buona idea indagare
nell’ultimo luogo in cui l’amica era stata, ma non aveva potuto accompagnarli
perché quel pomeriggio oltre all’abituale “punizione” in infermeria aveva anche
lezione con James.
Tuttavia i suoi amici avevano avuto una spiacevole
sorpresa: il registro dei prestiti dei libri di marzo era sparito.
Lo avevano chiesto alla bibliotecaria con l’intenzione
di iniziare a capire quali fossero state le ricerche di Elena, ma quando la
donna si era girata per guardare nel proprio archivio aveva trovato solo un
buco dove prima era ospitato il faldone.
Questo ultimo sviluppo aveva trasformato i sospetti in
timori veri e propri.
“Pensate… Pensate che chi ha aggredito Nana abbia
preso anche il registro?” domandò Angie.
“Forse. Oppure qualcuno ha fatto uno scherzo alla
Pince e ci stiamo andando di mezzo noi.” Disse Scorpius stringendosi nelle
spalle.
I toni di Scorpius da qualche giorno a quella parte
erano decisamente freddi e indolenti, segno lampante che il ragazzo era
parecchio turbato.
“A questo punto è completamente inutile stare qui a
fantasticare, semplicemente quel maledetto registro non era al suo posto. Non mi
importa nemmeno più vedere punito chiunque abbia quasi ucciso la nostra Elena.
Vorrei solo che si svegliasse. Vorrei solo…” ma la voce di Berty si spense,
lasciando in sospeso quelle due parole, e tutti rimasero ammutoliti.
Vorrei
solo…
Angelique guardò Berty, che si reggeva con un
avambraccio all’architrave del camino. Lo strazio interiore si irradiava da lui
in modo tangibile, tanto che qualunque parola di conforto sembrava inadeguata e
banale.
Quelle parole che il ragazzo, tanto riservato e
introverso, non avrebbe mai pronunciato erano stampate sui tratti del suo viso,
scolpite nell’agonia di vedere sull’orlo della morte la persona amata.
Vorrei
solo guarire le ferite che ce la stanno portando via.
Vorrei
solo averla protetta.
La
mia
Elena.
Vorrei
solo avere l’occasione di dirle che l’amo, da sempre.
“Nana si sveglierà. È monitorata e curata dai migliori
medimaghi del paese, si è stabilizzata e ogni giorno che passa il suo corpo
recupera forze. Le siamo accanto tutti i giorni, lei sa che la stiamo
aspettando.” Disse Angie dopo quello che parve un silenzio infinito.
Lo pensava davvero, soprattutto quando si sedeva al
capezzale della giovane e le accarezzava i corti capelli azzurri. Sentiva che,
in qualche angolo della sua mente ferita e frammentata dall’Oblivion, Nana
rideva dei suoi resoconti della vita scolastica e le chiedeva di leggere ancora
le fiabe norvegesi che tanto le piacevano.
Berty annuì distrattamente, lasciandosi scivolare
addosso quelle parole che recavano fin troppa speranza per lui. Si scusò e li
avvisò che probabilmente non si sarebbe recato in Sala Grande per cena, e si
allontanò dalla stanza senza altre parole. Al, la crocerossina di tutti i suoi
amici, dopo qualche istante si dileguò per andare dall’amico.
Scorpius si alzò stiracchiandosi dalla poltrona su cui
era rimasto fino a quel momento.
“Io vado al campo da Quidditch. Ho bisogno di fare un
paio di tiri.” disse con il tono da nobile risorgimentale, annoiato dalla vita.
Octavius come telecomandato da una molla interiore si
alzò a sua volta e seguì l’amico fuori dalla Sala Comune.
Il fatto che il giovane avesse deciso di andare a
giocare a quidditch dopo che avevano appena scoperto del registro ad Angie non
parve affatto irriguardoso. Scorp rielaborava molto lentamente le proprie
emozioni e molte volte gli costava grande fatica scendere a patti con esse.
L’apparenza fredda e distaccata era una difesa indispensabile a quel nucleo
sensibile che raramente riusciva dimostrare. La sua uscita di scena così
distaccata era quindi un’ulteriore prova che ci fosse dell’altro oltre allo
stato di Elena a turbare il giovane Malfoy.
Finché non fosse stato lui a decidere di aprirsi non
gli avrebbe cavato una sillaba nemmeno sotto tortura.
Angelique si lasciò andare contro i cuscini del
divanetto accanto a Martha e con un gemito di soddisfazione si tolse le scarpe.
Per qualche istante le due ragazze si limitarono a guardarsi in silenzio,
godendosi quel frammento di pace tra loro.
“Allora com’è andata oggi?” le chiese Martha mentre un
sorriso prendeva forma sulle sue belle labbra. Angie dal canto suo ricordando
l’ora precedente sbuffò sonoramente.
“Come vuoi che sia andata?! Al solito. Più cerco di
non pensarci, più continuo a produrre fantasie che scandalizzerebbero persino
Nana.”
“Addirittura?”
Aveva immaginato in ordine: di pomiciare con Potter in
mezzo al corridoio, di pomiciare molto intensamente con Potter contro la porta
della loro aula degli esercizi, di togliere i vestiti a Potter, di venire messa
a sedere sui banchi mezzi sgangherati e distruggerli del tutto in modo molto
più dilettevole dei soliti Bombarda. E variazioni sui temi precedenti che
vedevano coinvolti il pavimento e la cattedra.
“No beh, forse Nana no. Non credo esista nulla al
mondo in grado di scandalizzarla.” Rettificò riflettendo meglio sulle proprie
fantasie.
“Lei approverebbe di sicuro questo strano sviluppo.” Il
sorriso sornione di Martha di tinse di una strana nota malinconica.
La mancanza dell’amica in qualunque gesto quotidiano
era lacerante. Mancavano le sue battute, i suoi occhi enormi ed espressivi, i
suoi disegni sparsi dovunque nella stanza, gli animali selvatici introdotti
illecitamente in dormitorio, l’allegria che riusciva a portare con sé dovunque
andasse. Elena mancava loro, ogni istante di ogni singolo giorno.
“Non c’è alcuno sviluppo. Non deve essercene nessuno.
Prima o poi mi passerà.” Esclamò Angelique incupendosi.
“Certo. Oppure prima o poi gli salterai addosso
davanti a trecento persone perché gli ormoni ti avranno fatto saltare per aria
il cervello.”
“Grazie Martha. No, davvero grazie, non so come farei
senza il tuo incredibile ottimismo.”
“Ti sto solo facendo riflettere su che cosa potrebbe
succedere se continuassi a ignorare i tuoi istinti. Fino a prova contraria io
sono un’autorità in questo campo.”
“Cos’è, un nuovo modo per dire che sei un’autorità in
fatto di frustrazione sessuale?!”
Angie non riuscì a schivare lo schiaffo che Martha le
elargì sul polpaccio mentre già entrambe stavano ridendo.
Quando la settimana prima era arrivata in camera con
lo sguardo spiritato e le mani che non ne volevano sapere di restare ferme. Martha
aveva impiegato parecchio a capire quale fosse il problema. Probabilmente
perché appena apriva bocca, non riusciva a terminare una frase senza
inframmezzarla di “Non è possibile.” “Come posso essere così stupida.” “Ma
perché?”. Oppure perché nemmeno con
tutte le sue capacità di Veggente, Martha avrebbe mai potuto immaginare che a
lei, Angelique Joy Girard Dursley, piacesse James Sirius Potter.
A lei piaceva Potter.
Aveva iniziato subito a esporre le innumerevoli
ragioni per cui avrebbe dovuto smettere di prendere ripetizioni da Potter, ma Martha
l’aveva bloccata con un gesto perentorio della mano.
“Non se ne parla neppure. Per la prima volta in vita
tua stai imparando qualcosa di Trasfigurazione, senza contare che tra poco più
di due mesi di sono i GUFO. Non hai alcuna speranza di passarli con i voti che
ti servono senza di lui.” Le aveva detto senza alcuna pietà.
Quindi Angelique si era piegata alle istruzioni di
Martha e nelle due lezioni che aveva ricevuto quella settimana aveva cercato in
ogni modo di non far trapelare la propria attrazione per lui. Era abbastanza
sicura di esserci riuscita, anche se James le aveva chiesto più di una volta se
avesse bisogno di un tè per rilassarsi.
Era profondamente imbarazzata con sé stessa per ciò
che la Piaga d’Egitto le suscitava.
Si distraeva a fissarne il profilo dritto, si scopriva
a tendersi come una corda di violino nell’attesa di un suo tocco fugace e a
provare un sollievo intollerabile quando poi la loro pelle si sfiorava davvero.
Si rendeva conto di cercare la sua figura alta nella folla di studenti ai cambi
d’ora.
Rideva alle sue battute.
A lei piaceva Potter.
Di conseguenza era molto grata per il fatto che
l’indomani non sarebbe stata in giro per Hogsmeade, col rischio di trovarselo
davanti avvinghiato a una delle tante ragazze che cadevano ai suoi piedi.
E quando la fastidiosa vocina dentro di lei, che aveva
il timbro di Martha, le faceva notare che anche lei era parte di quell’esercito
di pere cotte, cascate rovinosamente davanti a James, Angie si inalberava.
Non avrebbe mai ceduto.
James non avrebbe mai saputo.
Non sarebbe mai successo nulla.
Mai.
“Si vede lontano un miglio quando pensi a lui.”
Angelique si voltò inorridita verso Martha. Non voleva
sentirle dire una delle classiche cose sdolcinate che si attribuiscono delle
persone infatuate: gli occhi che si perdono nel vuoto, le espressioni da ebete,
i sorrisi improvvisi e tutti gli altri sintomi dell’attrazione incoercibile.
“Ti si dipinge in faccia la stessa espressione di
quando esplode una Mimbulus mimbletonia in una stanza senza finestre.” Le
rivelò Martha imitando la sua espressione ripugnata.
Ne fu profondamente sollevata.
***
“Quindi devo bere più acqua?”
“Oh sì, vedrai subito la differenza anche sulla pelle.
L’idratazione è il primo passo per ritrovare il proprio equilibrio. Se prendessi
anche della malva per fare un decotto sarebbe perfetto.”
“Che caz… Ehm… Che cos’è la marva?”
“No caro, si chiama malva, ha effetti emollienti.”
“Emoche?”
“E-m-o-l-l-i-e-n-t-i! Significa che rende morbido qualcosa.
Nel tuo caso è particolarmente indicata, se hai quel problemino.”
“Vi prego ditemi che sto immaginando tutto e Dominique
non sta davvero facendo lezioni di trucco al Guercio.” Lucy aveva dipinta i
viso un’espressione più che sconsolata.
“A meno che gli elfi abbiano drogato i nostri porridge
a colazione, la risposta è no, Leda. Non stai immaginando nulla, è tutto
reale.” Commentò Lily appoggiandosi con la spalla alla cornice di legno
consunto della porta.
“Credo che più che altro gli stia consigliando come
risolvere la stitichezza.” Disse Angie inclinando il capo mentre osservava da
lontano la scena.
Le altre emisero simultaneamente un verso disgustato.
Dominique, elevata dagli immancabili tacchi e vestita
con miniabito di jersey beige, intratteneva un sempre più perplesso Oswald, che
da parte sua non sapeva se continuare ad ascoltare la visione celestiale che
gli stava elargendo consigli preziosi sul suo tratto intestinale, oppure scappare
a gambe levate. Come fossero giunti a quel punto rimaneva un mistero
“Puah, preferivo immaginarmelo con uno dei rossetti
del Generale!” Esclamò Lily con un’espressione di puro ribrezzo stampata sul
viso lentigginoso.
“Noto con piacere che come sempre sono l’unico a
lavorare.”
Si voltarono tutti verso le scale cigolanti da cui
stava salendo gli ultimi gradini Benji con una delle casse di alcolici tra le
braccia.
“Oh avanti Benjamin, per una volta in cui muovi quel
tuo adorabile sedere non farlo pesare a tutti.” Sbuffò Lucy entrando nella
stanza in cui Dominique stava ancora tenendo in ostaggio il Guercio, seguita
dalle risate e dai passi delle sue amiche.
Allucemonco borbottò qualcosa di incomprensibile
mentre entrava per ultimo, ma subito dopo che ebbe posato la cassa per terra,
Lucy sgusciò al suo fianco. Rose li osservò con la coda dell’occhio e notò che le
dita di Lucy si allungarono per un istante a sfiorare quelle di Benji, il quale
le restituì un’occhiata lunga e intensa.
Come concordato la settimana precedente, si erano
ritrovati alla Stamberga Strillante sfruttando la gita ad Hogsmeade che avrebbe
concesso alle giovani l’alibi perfetto. Avrebbero consegnato il pagamento a
Benji, nascosto il malloppo per tornare a prenderlo col favore della notte, poi
avrebbero lasciato la Stamberga a coppie prendendo direzioni diverse.
Rose si sentiva particolarmente tesa, anche perché era
stata una sua idea organizzare lo scambio con quella modalità. Da quando
avevano messo piede ad Hogsmeade aveva una fastidiosa sensazione alla bocca
dello stomaco, che non centrava nulla col fatto di aver visto Scorpius Malfoy
entrare ai Tre Manici di Scopa in compagnia di una Serpeverde del quarto anno.
Dominique non aveva perso l’occasione di chiederle se avesse ingoiato un
moscerino, proprio nell’istante in cui lui si era accomodato accanto alla ragazza.
Impossibile comprendere come una persona tanto miope
potesse vedere tutte quelle cose.
“Bene, quindi che cosa ci avete portato questa volta?”
chiese Lara strofinando le mani minute, i suoi occhi nocciola erano animati
dallo sguardo cupido che solo i nuovi guadagni le sucitavano.
“Ci sono quaranta bottiglie di Firewhisky, otto di
Acquaviola e una piccola aggiunta che piacerà molto a Dominique. Mi ha detto
Lucy che la stavi aspettando da un po’.” E Benji sogghignò in direzione della
bionda. I grandi occhi turchesi di lei rimasero vacui per qualche istante, e
poi si illuminarono insieme al suo sorriso entusiasta.
“Ho sempre saputo che eri un ragazzo di solidi
principi morali. Di che colore me l’hai presa?” chiese avvicinandosi come se
stesse fluttuando sul pavimento lercio della Stamberga.
Benji assottigliò gli occhi dorati.
“Pensavo esistesse solo di un colore…” disse con
circospezione.
“Stai scherzando? Madama Mcclain aveva almeno tre
gradazioni di beige, spero che tu non mi abbia preso quell’orrore rosso che
c’era in vetrina.”
I presenti si scambiarono occhiate profondamente
perplesse. Dom sbatté un paio di volte le palpebre con quel fare impassibile,
che si solito significava che non stava pensando assolutamente a nulla.
“Dominique, che cosa centra Madama Mcclain con la
marjuana?” chiese Angelique dando voce ai pensieri di tutti.
“Ah… Quindi non mi hai preso la sciarpa di cashmere in
saldo?” la delusione nella voce di Dom era tanto intensa che Benji la guardò
mortificato.
“Ehm, no. Ti ho portato la droga.” Ribatté lui
passandosi imbarazzato una mano tra i capelli scuri.
“Oh! Beh, è comunque una cosa molto carina da parte
tua. Grazie caro.” E gli elargì uno dei suoi splendidi sorrisi da mille watt di
luminosità.
“Generale, solo tu al mondo potresti pensare che dei
contrabbandieri facciano shopping per te a Hogsmeade.” Lily aveva gli occhi
fuori dalle orbite per lo sconcerto.
Rose, che quando cercava di capire i percorsi tortuosi
della mente della cugina si ritrovava dispersa in lande di delirio, passò in
rassegna le espressioni dei presenti che oscillavano tra l’ilarità e la
parplessità, rispecchiando perfettamente anche la sua condizione.
“Bene, torniamo a noi. A quanto ammonta il conto?”
chiese a Benji recuperando dal mantello una piccola agenda su cui segnarsi le
varie spese durante le uscite ad Hogsmeade.
“Sono ottanta galeoni, come vi avevo anticipato.”
“Non credo proprio.” Lily si fece avanti con estrema
naturalezza.
“Oh cielo no, per favore.” Sussurrò Angelique
sconfortata.
“Come sarebbe a dire? Questo è il conto che dovete
pagare se volete gli alcolici.” Insistette lui mettendole sotto il naso un
foglio di pergamena con tutti i calcoli scritti.
Lily gettò un’occhiata fugace alle cifre e poi gli
rivolse uno sguardo sereno e risulto.
“Sono sicurissima che l’ultima volta le bottiglie di
Firewhisky ce le hai messe a quindici falci in meno.”
“Ma non è vero!” si difese Benji guardandola allibito.
Rose sospirò. Il povero diavolo non si era reso conto
fino a quel momento che la confidenza di Lily significava dover scendere a
infinite trattative anche per un solo zellino. E mentre i due continuavano a
discutere in una trattativa che vedeva Allucemonco sempre più confuso e
spaesato dall’atteggiamento di Lily, Rose percepì la tensione aumentare dentro
di lei.
Le sue braccia erano percorse da piccoli brividi
nonostante l’aria mite di aprile, ogni rumore di quella casa pericolante la
metteva sull’attenti.
Voleva andarsene.
Voleva andare a dare due schiaffi a quel cretino di
Scorpius Malfoy che era uscito con un’altra ragazza, una bella ragazza.
Voleva tornare in Sala Comune per piangersi un po’
addosso e mangiare cioccolata, al sicuro sulla sua poltrona preferita.
“Lara smettila di fare la tirchia. Pagali e
andiamocene, maledizione!” Sbottò con tono severo interrompendo la concitata
discussione tra i due.
Lily si zittì all’istante e la guardò con gli occhi
spalancati. Dopo un paio di secondi, afferrò prontamente da dentro il mantello
la sacca col denaro e la lanciò a Benji senza nemmeno guardarlo. L’uomo ancora
più confuso da quel cambio repentino di atteggiamento riuscì a malapena ad
afferrare il malloppo.
“Rosie Rose va tutto bene?” chiese la Potter con quel
tono pacato che in lei era segno di allarme.
Rose sentì gli sguardi dei presenti attraversare lo
spazio polveroso della stanza e posarsi su di lei. Intercettò quello verde e
affilato di Angie e parlò col filo di voce che le restava.
“Vorrei andarmene il prima possibile.”
Le Menadi recuperarono in un istante la serietà che
riservavano ai momenti più gravi. C’era tra loro quella speciale connessione
che capita di trovare poche volte nella vita, per cui se una sola di loro era
in difficoltà le altre riuscivano a comprendere e ad agire per il meglio senza
bisogno di spiegazioni. E Rose fu immensamente grata alle sue cugine che si
mossero come coordinate da fili invisibili disponendosi attorno a lei.
“Da ora in poi seguiamo il piano senza distrazioni.
Rose e Lily, voi andrete per prime e uscirete dal territorio della Stamberga in
direzione di High Street. Dom e Angie userete il passaggio che porta sotto al
Platano. Io andrò per ultima, con Benji, verso la parte vecchia del villaggio.
Andrà tutto bene, siamo preparate ad ogni evenienza. Ci ritroveremo stasera
nella Sala della Memoria a festeggiare.” La voce roca di Lucy riuscì ad
armonizzarle al punto che si distesero visibilmente.
Rose le sorrise commossa. Pensò che la sua evoluzione
dall’inizio dell’anno era stata incredibile, la metamorfosi, che la stava
portano ad una luce e una sicurezza sempre maggiori, aveva la spontaneità di un
qualsiasi fenomeno naturale, come lo sbocciare di un mandorlo a primavera, ma
non per questo risultava meno miracolosa.
Lily con un gesto completamente inusuale per lei la
prese per mano e la condusse verso l’uscita, prima di imboccare le scale però
si voltò verso Benji con un sorriso sardonico.
“Ciao Allucemonco. Vedi di non consumarmela troppo che
altrimenti stasera non riesce a stare sveglia.” E poi fece l’occhiolino al
Guercio.
Benji scoppiò a ridere mentre Lucy arrossiva fino alla
radice dei capelli.
Rose posò i propri piedi in fila l’uno all’altro, il
legno scricchiolò sotto di essi nel consueto cigolio. Arrivata a metà scala
ebbe l’istinto di voltarsi un’ultima volta e vide Benji e Lucy che le
osservavano.
La mano bruna dell’uomo era posata sulla spalla
sinistra della ragazza, un fiotto di luce entrava dalla finestra del
pianerottolo facendo brillare la polvere turbinante nell’aria, i capelli di
Lucy sembravano lingue di fuoco.
Qualcosa nel modo in cui i loro corpi rimanevano vicini
pur sfiorandosi appena, nei loro volti con le medesime espressioni serie ma
distese, le fece pensare per la prima volta che sua cugina avesse trovato un
degno compagno, nonostante la professione poco consona.
Benji era il giusto incastro di Lucy.
Alzò la mano e li salutò, prima di raggiungere Lily
già arrivata ai piedi della scalinata.
Quando uscirono dalla Stamberga Strillante uno
splendido sole primaverile investì il viso delle giovani. Rose socchiuse gli
occhi dandosi un’occhiata attorno, tuttavia la radura che segnava il confine
col bosco e il sentierino fangoso per Hogsmeade erano deserti.
Finalmente imboccando la strada del ritorno quella
fastidiosa sensazione che la perseguitava dalla mattina si dissolse. La ragione
le suggeriva che lasciandosi alle spalle l’incontro con i criminali di
Hogsmeade, dove era andato tutto bene, avesse finalmente trovato il modo di
distendersi.
Eppure una piccola parte di lei, che chiaramente
cercava di ignorare, le stava suggerendo con una certa soddisfazione che era
una balla. Faceva fatica a descrivere che cosa avesse provato vedendo Malfoy
entrare in un pub in compagnia di un’altra. Un miscuglio di emozioni violente
le si era aggrovigliato tra i polmoni, rendendole doloroso il respiro, per poi
sedimentarsi nella pancia, dove aveva continuato a pulsare in modo persistente
per tutto il tempo.
In quel momento aveva assaggiato una parte
infinitesima del dolore a cui Angelique era sottoposta ogni giorno, vedendo
Derek e Celia camminare mano nella mano per i corridoi del castello.
Era come se un organo vitale avesse preso fuoco dentro
di lei.
Gelosia.
Rabbia.
Delusione.
Immersa nei suoi pensieri, aveva camminato accanto a
una Lily stranamente silenziosa per il breve tragitto fino il recinto che
segnalava il divieto di accesso alla Stamberga.
Lo oltrepassarono e si immisero nel boschetto ben
curato che portava al villaggio.
Fu quando sollevò il viso verso le cime degli alberi,
per godersi il panorama, che comprese che la sua ragione in quegli anni si era
guadagnata a buon diritto il primato sul cuore.
Il suo istinto le aveva urlato fin dall’inizio che
qualcosa sarebbe andato storto.
Infatti proprio in quel momento un gruppo di figure
ammantate di scuro si stava facendo avanti nel folto della foresta, con le
bacchette spianate verso loro due.
***
Per non aver ancora compiuto sedici anni, Martha
pensava di avere una buona esperienza coi ragazzi.
Sin dal terzo anno aveva ricevuto molti inviti ad
uscire da parte di ragazzi più grandi, aveva accettato solo quelli dei più carini
e intelligenti, ne aveva baciati ancor meno e solo con un numero molto
ristretto aveva deciso che la frequentazione potesse proseguire.
Queste occasioni le avevano dato modo di sviluppare quelli
che lei chiamava gli “anticorpi da appuntamento”.
Gli anticorpi da appuntamento le consentivano di non
lasciare che le emozioni o il nervosismo prendessero il sopravvento durante la
giornata, facendole dire cose inappropriate o fare cose imbarazzanti. Erano
l’ingrediente fondamentale del suo famoso contegno, di quell’aria sempre a
proprio agio, che aveva capito da un pezzo piacere molto ai ragazzi.
Aveva dunque immaginato, nelle sue elucubrazioni
lunghe anni, che se mai fosse
riuscita a uscire da sola con Albus, avrebbe sfoderato la propria immunità
all’eccessiva sudorazione, alle mani tremanti e alle gaffe, stregandolo col
proprio fascino.
Se fosse stata minimamente più realista, avrebbe
dovuto prevedere che gli anticorpi avevano funzionato solo perché non era mai
stata innamorata di nessuno dei suoi corteggiatori. Il suo cuore era sempre
stato di quella testa di capelli neri spettinati che ora la stava conducendo
tra le corsie di Mielandia.
Di comune accordo avevano deciso di passare la
giornata da soli. Nessuna intromissione esterna, nessun ritrovo con gli amici,
che d’altra parte non avevano nemmeno accennato a tale prospettiva. Martha sospettava
che ci fosse lo zampino di Angie nell’omertà che era scesa sul gruppo riguardo
alla gita ad Hogsmeade.
Sin da quando aveva visto Albus attenderla in Sala
Comune, aveva sentito il cuore balzarle in gola con uno strappo violento. Le
aveva sorriso e l’aveva presa per mano, senza lasciarla mai in tutto il
tragitto fino al villaggio, nonostante le occhiate maliziose degli altri
studenti, ghiotti di nuovi pettegolezzi.
Mentre lei arrossiva, consapevole della propria vulnerabilità,
lui aveva mantenuto la sua aria serena.
“Non ti dà fastidio?” gli aveva chiesto dopo qualche
minuto indicando col mento un gruppo di Corvonero, che li aveva appena
sorpassati squadrandoli da capo a piedi.
“No. Quando nasci con un cognome ingombrante impari
presto a lasciarti scivolare addosso quel genere di sguardi. So che non è
facile all’inizio.” Le aveva risposto e poi le aveva sorriso con dolcezza,
decretando un ulteriore sobbalzo del suo povero cuore.
Nelle ore che erano seguite era riuscito a farle
scordare il resto del mondo e le angosce degli ultimi tempi. Le aveva
raccontato degli aneddoti sulla storia di Hogsmeade mentre passeggiavano tra le
vie più antiche. Le aveva passato un braccio attorno alle spalle e l’aveva
attirata più vicina mentre chiacchieravano, con spontaneità, come se l’avessero
fatto mille altre volte. Aveva selezionato alcuni posti dove mangiare e aveva
lasciato a lei la scelta finale.
E lei, che si era tanto ripromessa di sfoderare le sue
tecniche collaudate di riservatezza e aria sostenuta, invece si era sciolta
come gelato al sole. Rideva e si lasciava trasportare dall’entusiasmo
fanciullesco di Al, sentiva il calore diffondersi dentro di lei quando
intrecciavano le loro dita, quando il braccio di lui le cingeva la vita nel
mezzo della folla di studenti.
In quel momento, dentro il negozio di Mielandia, il
profumo dei dolci appena sfornati si combinava con quello di Albus, un odore
fresco e pulito, che le faceva venire una fame che col cibo aveva ben poco a
che vedere.
“Prendiamo anche i confetti al cioccolato!” esclamò il
ragazzo mettendo nel sacchetto già stracolmo altri dolci.
“Albus quando pensi di mangiare tutta questa roba?!”
gli chiese dando uno sguardo sconcertato ai suoi acquisti.
“Oggi. Con te.” Rispose lui serafico e si dileguò
verso la cassa.
Martha lo vide mettersi in coda dietro gli altri
studenti, e si fermò ad osservarlo in disparte. Le piaceva prendersi la libertà
di guardarlo con sfacciata insistenza, finché lui non si accorgeva di essere
oggetto dei suoi sguardi. A quel punto di solito lui abbassava il viso per un
attimo e sorrideva, per poi rialzarlo con un luccichio malandrino negli occhi
verdi. Altre volte, come quella, era distratto e non se ne rendeva conto.
Albus sorrise con cortesia al commesso e gli porse il
sacchetto. Il commesso strabuzzò gli occhi mentre pesava il contenuto, Al per
tutta risposta gli sorrise ancor di più scrollando le spalle. Anche Martha sorrise
divertita per lo scambio silenzioso tra i due.
Era in un negozio con Albus, a comprare schifezze
insieme, ad attendere che lui tornasse a prenderla per mano e condurla nella
prossima tappa del loro primo appuntamento.
Quasi non voleva crederci. Per la prima volta da
quando Elena era finita in coma, si sentiva euforica al punto da sfiorare
l’ebrezza.
Una volta usciti dal negozio si misero alla ricerca di
una panchina un po’ defilata dal traffico di studenti. Ne trovarono una vicina
alla parte vecchia del villaggio, scaldata dal timido sole di Aprile e perfetta
per la loro sosta. Si sedettero uno accanto all’altra iniziando subito a
pescare dal sacchetto delle meraviglie.
“Assaggia questo.” disse Al passandole un quadratino
glassato di bianco.
Martha addentò il dolce e subito si sparse nella sua
bocca un morbido caramello, aromatizzato con una leggera essenza di rosa.
“Com’è?”
“Uhm… Non male, ma preferisco cose più semplici.”
“Ci avrei scommesso.” Sogghignò lui.
“Allora perché me l’hai fatto assaggiare?” chiese
leggermente contrariata mentre con l’indice rovistava nella loro scorta di
glucosio.
“Per poter fare questo.”
Una mano di Al si posò sulla sua nuca e la trasse
verso di sé. Martha alzò gli occhi sorpresa, ma immediatamente Al chinò il capo
verso di lei.
Le labbra del ragazzo si posarono sulle sue per la
prima volta in quella giornata.
Il caldo e morbido tocco del suo bacio furono una
liberazione per Martha. Sentì sciogliersi la tensione accumulata per tutta la
gita, la soddisfazione di potersi finalmente perdere dentro il suo bacio le fece
frizzare ogni nervo. La mano di Al si insinuò nei suoi ricci, sciogliendo il
raccolto con cui aveva tentato di imbrigliare i propri capelli.
Inclinò il viso per dischiudere le labbra e sentì
sulla lingua il sapore del suo palato.
Croccante alle mandorle.
Si scostò leggermente per guardare interrogativa il
ragazzo.
“È ancora il tuo preferito no?” sussurrò Al con un
sorriso.
Aveva mangiato apposta il suo dolce preferito perché
potesse sentirlo nella sua bocca. Martha trovò quel pensiero dolce e sensuale,
sentì accendersi dentro di lei un calore che trovò il proprio sfogo nel
gettarsi nuovamente sulle labbra di Albus.
Baciò il suo sorriso e gustò il sapore delle mandorle
e quello di Albus, finché non capì più quale fosse quello che preferiva.
***
“E con questo abbiamo fatto.”
Lucy nascose anche l’ultima cassa nello sgabuzzino e
ne chiuse la porta. Angie si fece avanti per tracciare con ampi gesti della
bacchetta gli incantesimi di occultamento, in modo che nessuno avesse potuto
trovare la merce anche se avesse ispezionato la stanza centimetro per
centimetro. Avevano iniziato a usare questo metodo quando si erano rese conto
che a volte gruppi di giovani impavidi si introducevano nella Stamberga per
provare il proprio coraggio, spinti dalla fama sinistra che l’edificio
manteneva anche dopo cinquant’anni dalla sua costruzione.
Dominique osservò l’orlo del mantello di panno
leggero, con un sorriso beato pensò a quando avrebbe potuto smettere tutto il
guardaroba invernale per passare a quello estivo. Chiffon, lino, seta, tulle, cotone,
organza, tessuti delicati e chiari che le avrebbero accarezzato la pelle come
nubi raccolte attorno alle sue membra.
Angelique le passò accanto e le rivolse uno sorriso
interrogativo.
“Pensavo all’estate.” Le rispose scrollando le spalle.
I tratti dell’altra si illuminarono, probabilmente per
i ricordi legati alla Tana: le cene in giardino, i tuffi nello stagno vicino a
casa, i giochi folli organizzati da Lily, Lucy e occasionalmente Roxanne, la
quiete dei pomeriggi afosi… Quell’estate ci sarebbe stato anche il matrimonio
di Vic e Teddy, un trionfo di perfezione a cui lei avrebbe dato vita.
“Ragazze, è ora di andare.” la voce graffiante di Lucy
la riscosse dalle sue visioni di organza e bomboniere.
Dom alzò lo sguardo e colse l’espressione con cui
Benji osservava Lucy dare le ultime istruzioni ad Angelique sul punto di
ritrovo. Gli occhi dorati erano un turbine di preoccupazione e di ammirazione
per la sua donna, celavano un impeto così ben ammansito da non trasparire quasi
mai, ma che vibrava in lui come una melodia antica. Sangue latino, che
vorticava nelle sue vene, rendendolo scaltro e contemporaneamente troppo fragile
nei suoi sentimenti.
Benjamin si accorse di essere osservato e
immediatamente quell’espressione che lei aveva avuto il privilegio di spiare si
dissolse, lasciando posto ad una molto più fredda.
E fu proprio nel momento in cui lei sorrise a Benji
con fare complice, in cui Angelique la chiamò per scendere insieme verso il passaggio
segreto, in cui lo scambio si era concluso, che un boato scosse la Stamberga
Strillante fino alle sue fondamenta. Qualcosa che non provava da molto tempo, precisamente
da quando si era resa conto di amare Teddy, le si riversò nel sangue come acido.
Il panico.
Incrociò lo sguardo atterrito di Lucy e scattarono
verso le scale, ma Benji fu più rapido di loro. L’uomo si frappose fra le
ragazze e la porta, rimanendo al sicuro dietro l’intelaiatura, lanciò uno
sguardo verso il piano inferiore.
Un lampo di luce scarlatta sfiorò di pochi centimetri
il naso di Benji e si andò a schiantare contro la finestra, facendola esplodere
in mille frammenti. Si chinarono tutti verso il pavimento, il rumore del vetro che
andava in frantumi coprì solo in parte le loro grida di spavento.
Benjamin invece rimase impassibile al suo posto e con
un movimento fulmineo lanciò uno Schiantesimo verso il basso, mirando
attraverso la ringhiera. Si udì un tonfo, seguito un brusio lievissimo, che se
non avessero avuto tutti i sensi in allerta sarebbe stato impossibile da udire.
Erano il segno che l’incantesimo aveva trovato il proprio bersaglio.
Questo concesse all’uomo il vantaggio di potersi
sporgere appena, per osservare finalmente chi avesse fatto irruzione nella
Stamberga attaccandoli.
Quando ritirò la testa, aveva l’espressione più
tremenda che Dom gli avesse mai visto.
Era la fusione di rabbia, frustrazione e paura
distillate negli occhi da felino. Dominique intuì chi fossero i gentili signori
al piano terra prima ancora che l’uomo parlasse; non pensava esistessero molte
cose in grado di farlo uscire tanto dai gangheri.
“Auror.” Ruggì lui stingendo le labbra in una linea
feroce.
Le ragazze si rimisero in piedi e si mossero
silenziose in un angolo riparato della stanza, mentre il Guercio raggiunse
Benji dall’altro lato della cornice della porta.
“Questo è potenzialmente un problema.” Bisbigliò Dominique.
“Il passaggio è occultato in fondo alle scale.” Gli
occhi di Angelique si sbarrarono nella consapevolezza di essere in trappola.
Lei stava cercando di riportare alla mente tutte le
stanze che avevano ispezionato prima della festa di Halloween. Era sicura che
ci fosse un punto del piano superiore connesso alle cucine, ma non ricordava se
fosse la stanza accanto al bagno o quella di fronte.
“Come hanno fatto a entrare? C’erano gli incantesimi
di invalicabilità!” esclamò Lucy e nonostante provasse a stare calma, i suoi
occhi erano specchi scuri di terrore.
“Sono Auror, Lucy! I vostri incantesimi da GUFO sono poco
più che giochi di prestigio per loro.” Sibilò Benjamin lanciando un altro
Schiantesimo.
Questa volta si udì il rumore del legno che si
sbriciolava nell’impatto con l’incantesimo.
“Allucemonco sei circondato! Arrenditi e non ti verrà
fatto alcun male.” Esordì una voce di donna dal fondo delle scale.
“Ah! Come se fosse la prima volta.” Il tono beffardo
con cui rispose ben si accordava al ghigno sulle sue labbra.
L’uomo fece levitare un’ingombrante cassa di legno
massiccio attraverso la stanza e con un colpo secco del polso la mandò a
schiantarsi al piano inferiore. Qualcuno eresse uno scudo difensivo che
polverizzò il mobile, ma l’uomo sfruttò quel momento per iniziare a tempestare di
Schiantesimi e Maledizioni la pattuglia di Auror, il Guercio alla sua destra
gli diede man forte.
In pochi secondi precipitarono nel caos. Gli Auror
disponevano di forze nettamente superiori, così che per quanto fosse ristretta
la soglia della porta, continuavano a piovere lampi di incantesimi che stavano
distruggendo la stanza. Lo spazio libero per contrattaccare era troppo esiguo
perché le ragazze potessero aiutare efficacemente i due uomini.
Lucy in una mossa spontanea le aveva attirate entrambe
verso di sé, circondandole con le proprie braccia. Osservava impotente l’uomo
che amava lottare in uno scontro impari, contro qualcuno che se li avesse catturati
li avrebbe sbattuti tutti in galera.
In galera avevano quel dress-code orribile grigio topo,
informe, peggio ancora della divisa scolastica, davano da mangiare schifezze e
soprattutto non le avrebbero mai concesso di portarsi tutte le sue creme.
Dominique Weasley non sarebbe mai finita in prigione.
E nemmeno le sue cugine, anche a costo di corrompere Lucifero in persona.
Gli oggetti attorno a lei esplodevano in
continuazione, il corpo sottile di Lucy scattava ad ogni rumore più vicino.
Angie si era posizionata davanti a loro, nel tentativo di neutralizzare gli
incantesimi che sorpassavano le difese di Benji e Oswald.
Dovevano uscire da lì prima che crollasse l’intero
palazzo.
“C’è una stanza collegata alla cucina.” Disse a Lucy.
“Solo che non sono sicura di quale sia.”
Lucy sbatté un paio di volte le palpebre guardando la
scena davanti a sé. Oswald era stato ferito a un braccio, che sanguinava
attraverso la camicia, la cornice della porta dietro cui si stavano riparando
era completamente distrutta, Angelique riusciva a stento a difendersi dalla
pioggia di maledizioni, Benjamin sembrava stremato dallo sforzo.
Poi la scostò da sé lentamente e la prese per le
spalle.
Si guardarono negli occhi per un attimo e quando
quelli di Lucy si velarono di lacrime, Dominique scosse freneticamente la
testa.
“NO. No, scordatelo!”
“Ascoltami, Dom…”
“Ho detto di no! Tu non sai truccarti, non sai
vestirti decentemente, non sai farti la manicure. Non ti lascerò qui. No.” E
per la prima volta in vita propria sentì che avrebbe potuto incenerire il mondo
intero. Non avrebbe lasciato Lucy ad affrontare la prigione senza di lei, si
sarebbe ridotta in modo pietoso, con le unghie rotte e le labbra screpolate.
“Dominique ascoltami: Oswald reggerà ancora per poco e
poi gli Auror saranno qui. Io e Benji possiamo creare un diversivo per coprire
la vostra fuga.” E le mostrò una busta di Polvere Buiopesto Peruviana, che
portava con sé durante gli incontri di affari delle Menadi.
“Vieni con noi, ti prego.”
“Dominique!” Lucy affondò le dita nei muscoli delle
sue spalle. Il dolore fisico le restituì la lucidità necessaria ad affrontare
quello che stava davvero per succedere. “Non c’è più tempo.” Aveva
perfettamente ragione, non avevano più tempo.
“Vi ho promesso che nessuna di voi sarebbe finita nei
guai. Io posso affrontare le conseguenze di tutto questo solo se so che siete
al sicuro. Devi portare via Angelique e Oswald. Se non puoi farlo per te
stessa, fallo per Angie, per il suo futuro. Fallo per James.”
Sapeva che Lucy avrebbe usato qualunque arma pur di
convincerla, ma un colpo così basso non se lo sarebbe mai aspettato. Forse,
dopotutto, qualcosa era riuscita davvero ad insegnargliela.
Dominique le accarezzò uno zigomo spigoloso.
“Sei una vacca. Hai imparato dalla migliore.”
Le diede le spalle, inghiottendo il dolore e
stampandosi in faccia il sorriso che da anni copriva la superficie spezzata
della sua anima.
Lucy con uno scatto felino si portò dall’altro lato
della stanza accanto ad Oswald, evitando per un soffio il lampo scarlatto che
andò a neutralizzarsi contro il Protego di Angelique. Dominique invece si
acquattò accanto ad Angie, mettendole una mano sulla spalla per attirare la sua
attenzione.
“Lucy ha un piano. Dobbiamo uscire più in fretta
possibile quando lei e Benji ci daranno la copertura dagli incantesimi. Guercio
tu verrai con noi, inteso?” la sua voce risultò chiara e forte nonostante il
fracasso.
Gli occhi di Benji lampeggiarono allarmati verso la
sua ragazza. Nello sguardo duro e pieno di determinazione che lei gli restituì
trovò la spiegazione che cercava. Imprecò scagliando un incantesimo
violentissimo contro un Auror, che in quel momento era uscito allo scoperto per
coglierli finalmente di sorpresa. Lo prese in pieno petto e quello si accasciò
svenuto sui gradini.
“Ragazzina, non ci provare nemmeno!” sbraitò lui.
“Sta’ zitto, Allucemonco. È l’unico modo.” Ribatté la
rossa, scostando definitivamente Oswald e prendendo il suo posto nella difesa.
“Ma come…” Angelique con la fronte aggrottata tentò di
esprime la propria perplessità, ma Dom la interruppe.
Fallo
per James.
“Non preoccuparti, loro due ci raggiungeranno subito
dopo. Dobbiamo raggiungere la stanza accanto al bagno.”
Il Guercio osservò interrogativo e calmo il suo Capo. Benji,
con una faccia da funerale, annuì seccamente, approvando il piano di Lucy.
Entrambe le bionde si calarono il cappuccio del
mantello sopra la testa, imitate subito dopo dal Guercio.
Attesero con i nervi a fior di pelle il segnale di
Lucy che, dopo aver allontanato dalla scala l’ennesimo Auror che tentava di
salire, fece loro un cenno del capo. La giovane lanciò oltre la balaustra la
polvere scura e immediatamente si sparse una cortina nera e densissima fin
quasi al loro piano. La squadra doveva essere molto ben addestra, perché non si
udì il benché minimo verso di stupore.
Benjamin fu il primo a fiondarsi fuori dalla stanza,
scagliando incantesimi a raffica. Lucy lo seguì subito dopo e attivò
immediatamente lo scudo protettivo, che si rivelò essenziale, perché passato il
primo momento di panico gli Auror iniziarono a contrattaccare.
Avevano i secondi contati prima che l’effetto della
Polvere si esaurisse e gli Auror costringessero alla ritirata Lucy e Benji.
Dominique sospinse Angie verso l’uscita e agguantò per
il mantello il Guercio, facendogli capire che non gli avrebbe consentito di
rimanere accanto al suo capo. In quelli che dovettero essere pochi secondi
uscirono dalla stanza, passarono dietro i due che li stavano proteggendo e
raggiunsero illesi la loro meta. Eppure per Dominique fu un tempo lunghissimo, dilatato
in modo innaturale. Il terrore per Lucy le riempì il cuore e si focalizzò su James
per non tornare indietro ad ogni passo.
Doveva riportare Angie da lui, doveva proteggere
quella flebile scintilla che si stava accendendo tra loro, doveva mantenere la
concentrazione sui piccoli passi che li avrebbero condotti fuori dalla
trappola.
“Angelique, controlla se accanto all’armadio c’è uno
sportello nel muro.” Ordinò la Weasley chiudendosi la porta alle spalle e sigillandola
con un Colloportus senza farsi vedere dagli altri due.
Aiutò Oswald a sedersi, il quale emise un flebile
gemito strizzando gli occhi per il dolore. Dominique si chinò e gli scostò il
mantello con delicatezza. Vide che la macchia si era allargata moltissimo sulla
camicia sporcando di sangue anche parte del costato.
“Sì… è come un piccolo ascensore! Ma è troppo stretto
per Oswald o Benji, probabilmente lo usavano per il cibo.” Le disse Angie alle
sue spalle.
“Allora allarga il passaggio.”
“Oh certo, e poi trasfiguro quella sedia in un drago.”
“Sarebbe senza dubbio carino, ma poco pratico per una
fuga defilata. Tu concentrati e fa’ come ti ho detto.”
Dirigere le azioni altrui in un frangente simile
l’aiutava davvero. Le dava l’illusione di avere qualcosa sotto controllo,
mentre fuori dalla porta continuavano i rumori della battaglia. Il Guercio era
visibilmente pallido e respirava affannosamente, doveva evitare che si
dissanguasse prima che Angelique avesse finito con il carrello.
Tagliò il tessuto dell’altra manica con la bacchetta
ed eseguì una fasciatura con un “Ferula” attorno all’arto dell’uomo, che
inspirò violentemente.
“Fatto?” chiese
alzandosi.
“Più o meno… Probabilmente ho fatto evanescere anche
qualche muro portante.” Angelique abbozzò un sorriso che si ghiacciò sulle sue
labbra quando sentirono un urlo sovrastare il fracasso degli incantesimi.
Era la voce di Lucy. Angelique si slanciò verso l’uscita
ma Dominique le sbarrò la strada. La Dursley sgranò gli occhi stupita per
quella mossa e la osservò come se fosse impazzita.
“Dobbiamo andare ad aiutarli.” Disse Angie.
“No. Altrimenti sarà stato tutto inutile.” Rispose e
si voltò per lanciare un “Muffliato” contro la porta. Ci mancava solo che li
trovassero gli Auror perché stavano litigando.
“Dominique…” Angie sussurrò il suo nome con un tale
smarrimento che gli occhi le si inumidirono. Ma non aveva tempo per piangere.
Non aveva tempo per provare confusione e smarrimento, doveva solo scappare.
“No. Ascoltatemi bene, tutti e due: quello che
dobbiamo fare noi è uscire il prima possibile da questa topaia e dare il via
alle misure di sicurezza.” Disse guardando prima uno e poi l’altra, che le
restituì un’occhiata ribelle.
“Angelique, ragiona! L’unico modo che abbiamo per
aiutarli è dall’esterno. Abbiamo un protocollo per le emergenze e dobbiamo
applicarlo. Non fare sciocchezze.”
La bionda distolse lo sguardo e si morse il labbro
inferiore, combattuta tra il fare di testa propria e il darle ascolto.
“Non hanno mai avuto intenzione di seguirci.” Concluse
con un tono triste e rabbioso allo stesso tempo.
“No infatti, ma non avreste mai accettato senza
perdere un mucchio di tempo. Forse un giorno mi perdonerete, o forse no, non mi
importa. Ora entrate nel passaggio e…”
Non riuscì a concludere la frase perché la voce le venne
meno. Una vera e propria carica di passi fece tremare il pavimento, mentre
dall’altro capo del corridoio le urla disperate di Lucy si moltiplicarono unite
a quelle di Benjamin.
“Benji. No! Lascialo, lurido bastardo, NO!”
Se anche le fosse rimasto un briciolo di cuore per
vivere da quel giorno in poi, morì nell’istante in cui la sentì urlare in quel
modo. Un silenzio innaturale scese sulla casa mentre gli Auror portavano via
Lucy e Benji.
Sarebbero tornati entro pochi minuti per ispezionare
la Stamberga.
“Guercio, tu sai che cosa fare una volta uscito da
qui?” Gli chiese immaginando che pure gli uomini della Taverna delle Lucciole
avessero un piano in caso in cui il loro capo fosse stato catturato. Oswald con
espressione grave annuì.
Angie si avvicinò all’uomo per analizzare il bendaggio
che aveva fermato l’emorragia. Annuì assorta, approvando il suo lavoro, e poi
aiutò l’uomo a rimettersi in piedi.
“Vado io. Se ci sono altri Auror in giro, meglio che
me ne sbarazzi prima di farvi scendere.” Disse Oswald e Dom si rese conto che erano
le prime parole che gli sentivano dire da quando era scoppiato quel macello.
L’apertura nel muro era appena sufficiente per
consentirgli di infilarvisi, ma all’interno lo spazio era decisamente più
agevole. Oswald entrò e loro con un colpo di bacchetta avviarono il meccanismo
del carrello.
Angelique evitava di guardarla negli occhi e si
muoveva con fare meccanico, quasi che fingesse di essere sola. E il pensiero
che, dopo tutto quello che era successo, Angelique fosse arrabbiata con lei le
fece ribollire il sangue, proprio perché lei per prima si stava flagellando
interiormente.
“Non pensare nemmeno per un istante che per me sia
stato facile. Mentre li lasciavamo in quella stanza, io sapevo che li avrebbero
persi. Mentre ti salvavo il culo, io sapevo che stavamo condannando Lucy.
Quindi, per favore, evita di essere incazzata con me.” Sibilò afferrandola per
un braccio.
Gli occhi di Angie finalmente si fissarono nei suoi, con
una dolcezza spiazzante.
“Oh Dom… Non potrei mai essere arrabbiata con te. Hai
fatto ciò che doveva essere fatto, anche se era la cosa più difficile.” Angie
si interruppe alzando gli occhi verso il soffitto per ricacciare indietro le
lacrime. “Stavo solo pensando che Benji ci aveva avvertite e noi lo abbiamo
ignorato. Potevamo tirarci indietro quando le cose hanno iniziato a
complicarsi, ma siamo state delle sciocche presuntuose. Ora Lucy ne pagherà le
conseguenze.”
“Se abbiamo una sola speranza di limitare i danni
dobbiamo raggiungere Rose il prima possibile. Corri Angie. Corri come se avessi
il diavolo alle calcagna.”
***
Le avevano scoperte.
Rose saliva le scale continuando a ripetersi quelle
parole.
Gli Auror, le squadre addestrate da zio Harry e suo
padre, avevano arrestato Lucy e Benjamin. La famiglia intera sarebbe stata
coinvolta in quella faccenda.
Erano davanti a qualcosa di irreparabile.
Lei e Lily avevano incrociato nel bosco di Hogsmeade
gli Auror. Dopo un primo momento di sorpresa uno di loro era stato incaricato
di riaccompagnarle verso il villaggio, perché, avevano spiegato loro, quella
zona non era sicura. Rose non aveva quindi potuto inviare nessun Patronus alle
cugine per avvisarle del pericolo.
Una volta liberatesi dell’Auror tanto zelante erano
corse al castello, attendendo le altre vicino alla Sala d’Ingresso, il punto di
ritrovo stabilito all’inizio, col cuore in mano per l’agitazione.
Ma quando aveva visto arrivare solo Angie e Dominique,
stanche e stravolte, aveva capito che quella volta erano state scoperte.
Nessuna di loro aveva pianto, avevano ingoiato tutte
quante le lacrime che bruciavano negli occhi e si erano coordinate per salvare
Lucy e sé stesse. A lei era toccato il Quartier Generale.
Prima di dividersi erano passate dalla Sala d’Ingresso
e lì avevano trovato un folto gruppo di studenti in fermento. Dominique, con
una faccia di bronzo incredibile, aveva chiesto informazioni a un suo compagno
di corso: era appena passata una squadra di Auror con due prigionieri
incappucciati.
Ad ogni passo che macinava, pensava a che cosa fosse
accaduto a Lucy, alla reazione di sua madre se avesse saputo in che cosa era
stata coinvolta, alla possibile espulsione, ai GUFO, ai MAGO di Lucy. Sperava
di svegliarsi da un momento all’altro nel suo letto e scoprire che era tutto un
incubo, ma il terrore che la pervadeva era troppo reale per illudersi.
Si arrovellava pensando a quando avessero commesso il
passo falso che le aveva condotte lì. Pensava così intensamente a tutte le
scelte fatte fino a quel momento, che non si accorse di essere inseguita finché
qualcuno non le toccò la spalla.
Si voltò di scatto sfoderando la bacchetta e si trovò
davanti lo sguardo esterrefatto di Scorpius Malfoy. Il giovane alzò
immediatamente le mani in aria.
Ci mancava solo Scorpius Malfoy sul suo cammino.
“Weasley, ti sto rincorrendo da cinque minuti. Non mi
hai sentito?”
“No. Sparisci Malfoy, ho da fare.” Disse abbassando la
bacchetta e ricominciando a camminare.
Impossibile sperare che almeno una cosa in quella
giornata andasse per il verso giusto, ovviamente Scorpius non le diede retta e
la bloccò ancora.
“Rose va tutto bene?”
Gli occhi grigi del ragazzo erano seri e pieni di una
comprensione che Rose non desiderava. Voleva restare sola e portare a termine
il proprio compito, prese un profondo respiro per evitare di esplodere appena
avesse aperto bocca.
“No. È tutto un gran casino, ma tu comunque non puoi
fare nulla. Quindi dammi retta Malfoy, sparisci e non farti coinvolgere.”
“Vengo con te.”
A quel punto fu troppo. La calma con cui aveva cercato
di affrontare tutto crollò miseramente e si lasciò travolgere da quello che
provava, dal tumulto indistinto di emozioni che facevano a pugni tra loro. Il
senso di colpa, il sollievo di potersi sfogare su qualcuno, la frustrazione, la
rabbia, la sconveniente felicità di vederlo interessato a lei, la paura.
“NO! Possibile che tu non riesca a capire una semplice
parola? Vattene!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola e sentì le lacrime
salirle agli occhi, per poi scendere sulle guance.
Oh Merlino, come era liberatorio concedersi finalmente
di piangere un po’. Anche se lo stava facendo davanti al ragazzo che le piaceva
e che le aveva annebbiato il cervello per settimane, la probabile causa della
perdita della sua famosa intelligenza.
“Scordatelo. Sei nei guai, non ti lascio sola.” Disse
risoluto Malfoy scuotendo la testa.
Rose si mise le mani nei capelli esasperata. Perché?
Perché tra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare era capitato sul suo
cammino qualcuno di tanto testardo e ostinato? Mentre piangeva e pensava a come
liberarsi di lui, Scorpius si avvicinò. Con un gesto cauto le prese una mano
nella propria. Aveva la pelle morbida e tiepida.
Alzò gli occhi verso di lui, confusa da quel contatto
delicato, datole in risposta alla rabbia con cui lo aveva attaccato.
“Non mi devi spiegare nulla, Rose. Basta che tu mi
dica come posso aiutarti.”
Malfoy che aveva fatto dei sotterfugi uno scopo di
vita, stava tentando in ogni modo di convincerla a dargli fiducia, nel momento
più difficile della sua vita. Quel ragazzo aveva un tempismo di merda.
“Rose, posso aiutarti. Fidati di me.”
Il tono basso, sincero, che scaturì dalle sue labbra
la fece cedere. Perché aveva bisogno di condividere con qualcuno la colpa che
le gravava sul cuore, aveva un bisogno disperato di non sentirsi sola di fronte
ai propri errori. Per una volta, una sola, doveva fidarsi di qualcuno.
“Giurami che non farai domande e non parlerai a
nessuno di quello che vedrai.” Mormorò Rose.
“Lo giuro.” Rispose immediatamente il ragazzo e,
quando lei riprese a camminare verso il Quartier Generale, lui non le lasciò la
mano.
***
Li avevano disarmati, avevano legato le loro mani,
coperto i loro volti con cappucci scuri, li avevano costretti a camminare al
buio lungo una strada accidentata e poi li avevano separati.
Benjamin era certo che avessero portato via la sua
Ragazzina, perché a un certo punto aveva smesso di sentire il suono dei suoi
respiri affaticati e quello dei suoi passi accanto a sé.
L’avevano ferita a una gamba durante lo scontro,
avevano osato mettere le loro sudice mani sul suo corpo e ora l’avevano portata
chissà dove. Che Dio li proteggesse, se avesse trovato il modo di recuperare la
sua bacchetta.
Maledizione! Se solo Lucy, per una fottuta volta, lo
avesse assecondato e li avesse lasciati a cavarsela, non le sarebbe successo
nulla. Non sapeva se era più arrabbiato con gli Auror o con lei. Probabilmente
con lei, perché aveva scelto di restare al suo fianco.
Quando lo avevano disarmato, aveva cercato di opporre
resistenza, più per abitudine che per reale convinzione di poter scappare. Un
Auror grande e grosso lo aveva atterrato con un pugno nello stomaco. Lui si era
arrabbiato ancor di più e aveva tentato di colpirlo da terra, con scarsi
risultati. In compenso aveva ottenuto un calcio nel costato e, quando lo
avevano rimesso in piedi, un manrovescio che gli aveva spaccato il labbro
inferiore.
Aveva sentito le urla di Lucy e visto il suo sguardo
terrorizzato, così aveva smesso di lottare, lasciando che lo legassero. Altro
motivo per essere arrabbiato con la sua donna.
A giudicare dal dolore che ogni respiro gli causava
doveva avere qualche costola fuori uso. Sulla bocca sentiva ancora il bruciore
della ferita che si mescolava a quello dell’ultimo bacio che si erano dati,
prima che gli Auror li raggiugessero. Le mani sul viso, le bocche fameliche,
una sull’altra per poco più di una frazione di secondo.
Forse era giunto il momento di pagare il prezzo di ciò
che si era preso dalla vita.
La propria libertà, tesori dagli abissi degli oceani, alcune
case, oggetti lussuosi, un mucchio di galeoni su un conto non rintracciabile,
Lucy.
La Ragazzina era stato il suo peccato più grande, ciò
che aveva rovesciato gli equilibri cosmici e decretato la sua rovina.
Non avrebbe dovuto trascinarla in quel mondo squallido
e violento, non avrebbe dovuto contaminare una cosa così bella, lo aveva sempre
saputo. Eppure, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, non avrebbe
cambiato assolutamente nulla.
I pochi mesi che gli erano stati concessi con lei
erano valsi gli anni di Azkaban che lo attendevano.
Sentì dei passi avvicinarsi e dopo qualche secondo gli
levarono il cappuccio. I suoi occhi furono feriti dalla luce della stanza, così
fu costretto a chiuderli infastidito.
Quando li riaprì una fila di figure in divisa marziale
era schierata davanti a lui. Al centro svettava sugli altri un uomo molto alto
e magro, con una veste da mago del Ministero. Aveva corti capelli rosso carota.
Benji fissò il proprio sguardo su di lui, sul suo
naso, sui tratti taglienti e gli occhi chiari dietro la montatura di corno. Sul
suo petto era ricamata in argento la W del Wizengamot.
“Lei è il Signor Richardson?” gli chiese l’uomo con
tono severo.
Benjamin annuì in silenzio.
“Io sono il Magistrato Weasley, sono il responsabile
delle indagini.”
Benji rimase immobile per un paio di secondi e poi
scoppiò a ridere in faccia a tutti gli Auror, che si guardarono completamente
spiazzati. Rise col capo rovesciato indietro finché non gli vennero le lacrime
agli occhi.
Pur nella disgrazia doveva ammettere che la sua vita
aveva sempre avuto un certo umorismo.
Era appena stato arrestato da suo suocero.
Note
dell’Autrice:
Ehm… Diciamo che sono passati alcuni mesi, quindi magari molte persone avranno perso la speranza
di vedermi aggiornare. E invece non dovete mai perdere la speranza! Soprattutto
con me, che sono lenta (lo ammetto), ma prima o poi raggiungo sempre i miei
obiettivi.
Finirò questa storia, voglio finirla, solo con i miei
tempi.
Detto ciò, spero che il capitolo sia stato di vostro
gradimento e che il prossimo non mi costi altrettanti mesi di gestazione.
Un grazie speciale a chi dieci mesi fa ha lasciato la
recensione al cap. 33, quindi: Cinthia988,
leo99, vale_misty, carpethisdiem_ e
Kill_your_darlings.
Vi mando un abbraccio e tanti baci.
Bluelectra.