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Autore: Vago    26/10/2018    2 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Quanto tempo pensi serva a Razer per rischiare la prossima morte?

L’armatura bronzea alzò lo sguardo celato dall’elmo verso est, in silenzio.
La sua mano rinfoderò in un gesto fluido la spada, nascondendo quella lama iridescente ai raggi del sole.

Un minuto e ventiquattro.

Quanto sarà morto in quel momento?

Sarà alla portata della spada nera.

Dannazione, speravo di avere più tempo, mi sarebbe piaciuto togliere di mezzo almeno uno di quei due leccapiedi.

Sono solo due mortali, impiegheremo più tempo a raggiungerli che ad ucciderli.

Mi preoccupa la sfortuna. Uno di loro ha un’armatura divina e, anche con queste armi, dovremmo perforarla, prima di colpire il suo possessore. E non voglio credere che l’altro sia venuto fin quassù con un manipolo di Demo e null’altro.

Allora concentriamoci entrambi sul riappropriarci di quell’armatura.



Armatura e spettro si mossero assieme in direzione di Sarah Dan Rei, che addosso ancora portava l’ultima polvere di roccia dovuta al crollo del cunicolo in cui poco prima si era trovata.
L’armatura che indossava continuava però a scintillare nonostante lo strato grigio che la ricopriva, così come gli antichi glifi che si intrecciavano sulla piatta piastra pettorale rimanevano ostinatamente visibili, nonostante non ci fosse più nessuno in grado di comprendere cosa dicessero.
Lo spettro aggiustò la presa sull’arma che gli era stata affidata, i piedi avvolti nella coltre di nebbia impattavano appena contro il suolo e i suoi occhi luminosi erano fissi sul suo obbiettivo, in cerca di un’imperfezione da sfruttare in quel lavoro divino.
- Finiamo qui questa messinscena. Mi occuperò io di tutto . –

Cosa?

Lo spettro si fermò di colpo, voltando il suo sguardo verso il gruppo principale di mortali, dalla quale erano arrivate quelle parole.
Johanne Fenter fece un passo avanti, preparando la spada a tagliare qualunque cosa passasse sul suo cammino.
- Lascia che mi occupi io di loro, Johanne. – le disse da dietro l’uomo snello dai capelli bruniti perfettamente ordinati, sfilandosi dalle spalle la pregiata giacca che lo proteggeva dall’aria montana.
- Non sarà il caso, principe, non vorrei farti rovinare quei capi ora, quando la tua incoronazione a re è così vicina. –
- Come preferisci. –
Il Giudice Maggiore si lasciò alle spalle il principe dei draghi, con la giacca del suo abito smeraldo ancora tra le mani.
I suoi occhi erano gelidi e non uno dei suoi capelli dorati sfuggiva all’acconciatura per intaccare la sua vista.
La lama della spada che impugnava vibrava, emettendo un suono cupo e ovattato che poteva essere definito il canto di quell’arma.

Epica, non credo avrai tempo per giocare con quella.
A quanto pare il pezzo grosso non ha voglia di aspettare il nostro arrivo nella sala del trono.

Commedia, di cosa stai parlando? Di quale sala del trono?

È un riferimento al fatto che…
Fa nulla.
Non importa.
Comunque il tuo minuto e ventiquattro si sarà appena dimezzato.

Le narici della donna ispirarono a fondo l’aria montana mista alla particolare essenza che quella spada emetteva, poi si permise un sorriso.
Aveva letto tanto su quell’arma. Aveva letto tutto.
Leggende di viaggi attraverso l’aria e forza disumana, della caccia alle Muse e dell’ombra della spada, che seguiva chiunque la impugnasse.
Tutti fatti che potevano essere accaduti o meno, ma che visti attraverso degli uomini che poi li avevano trascritti dovevano aver preso sfumature fantastiche.
Non c’era nessun’ombra a seguire quella spada.
Non c’era nessuna forza sovrumana né forma di spostamento dovuta ad essa, per quanto avesse sperimentato.
Ma la caccia alle Muse, quella era avvenuta, e se degli umani erano riusciti a tener testa a decine di creature come il Viandante, allora, lei non avrebbe avuto problemi a sconfiggere, da sola, quelle quattro formiche che le si erano parate davanti nella sua continua scalata.
La lama nera si levò nel cielo serale, cantando il suo inno.

La senti?

Si, ma onestamente non mi ricordo se all’epoca facesse lo stesso.

Per me, quell’epoca era ieri.
E no. Non cantava.

Sembra stia risuonando con qualcosa.
Epica, ricordati che Follia non è morto, è solo imprigionato in una pietra sanguigna o quel che sia quella roba.
Non vorrei che, essendoci una parte di lui in quell’arma, possa liberarlo.
Io non l’ho sconfitto, l’ultima volta, neanche lontanamente, non voglio pensare cosa possa fare ora che è incazzato con me e che è rientrato in possesso della sua spada.
Ma, soprattutto, ora che è incazzato nero con me.

Deve poter cadere anche lui.

Gli dei cadono?
Io, lui l’ho visto solo precipitare.



La spada ridiscese verso il terreno, accompagnata dall’ennesimo passo avanti di Johanne Fenter.
Il corpo di Razer le era di fronte, con la fronte imperlata e gli occhi stretti.  Nelle sue iridi scure non pareva essere più presente alcun pensiero. Quegli arti si muovevano meccanici, ogni muscolo ripeteva le azioni che aveva imparato, uccisione dopo uccisione, prima e dopo ogni fiammata di ritorno che aveva provocato.
Non si accorse neppure della mezzaluna di morte che lo voleva incontrare.
La spada nera cantò più forte, spandendo cristallino quel suono cupo e tramante per diversi metri attorno a sé.
Un artiglio di melassa l’aveva raggiunta, conficcandosi sul suo filo, pochi centimetri sopra la larga guardia che proteggeva la mano di chi la brandiva dalla sua bramosia di sangue.
La sostanza nera si ricontrasse, ma non parve voler lasciare la presa che si era conquistata. Richiamò invece a sé l’altra estremità con tutto quello a cui era legata.
Noir si trovò improvvisamente coinvolto in un tiro alla fune, dove il suo stesso petto, da cui era nato quel lungo artiglio che serpeggiava nella piana, gli lottava contro.
Le gambe, stanche e piene di tagli, cedettero, incapaci di sostenere ulteriormente quello sforzo.
Il trentenne non poté far altro che urlare in cerca di aiuto mentre cadeva a terra, per poi venir trascinato verso il luogo in cui già si avvertiva la tensione di uno scontro imminente.
Nelle sue vene, in quel momento, era rimasta così poca melassa che a stento riusciva a proteggerlo dai sassi più grossi sui quali veniva fatto strisciare, ma, come una lenza da pesca, il suo corpo la stava recuperando velocemente. O forse era lei che gli ci si gettava dentro a forza.
Rotolò sulla terra, sui sassi e sulla polvere, rimbalzando a ogni dosso o imperfezione del terreno e lottando disperatamente per, se non fermarsi, almeno riuscire a rimettersi in piedi.
L’artiglio di melassa lo trascinò verso l’alto, consegnando il suo peso sulla lama a cui era avvinghiato e facendolo gravare sul braccio del Giudice Maggiore.
Johanne Fenter guardò con disprezzo l’estroflessione nera e il corpo ai suoi piedi che cercava di rialzarsi. Le avevano impedito di uccidere immediatamente l’assassino di draghi. L’avevano sfidata.
Smise di contrastare il desiderio dell’arma di calare, assecondandola.
La lama della spada nera tranciò l’aria, si fece strada come nel burro caldo attraverso la corazza che era nata per proteggere il proprio ospite e affondò nella spalla di quel corpo a stento inginocchiato, penetrando fino a raggiungere l’altezza del cuore.
Noir alzò gli occhi spenti dall’elsa che gli perforava il petto, alle sue spalle la punta che gli bucava la schiena gettava la sua lunga ombra sul terreno come un’immensa meridiana.
La spada lanciò un inno nel vento montano.

Non gli sarebbe successo niente, vero?
Dannazione, quando mi ascolterai?
Io volevo portarlo via di qui!
Lui è solo l’ennesimo che ci crepa per colpa nostra! E non doveva succedere!

Commedia, cerca di calmarti.

Calmarmi?
Io dovrei calmarmi?
Volevo fare una cosa veloce e pulita qui. Ma no, dovevi voler far avverare i sogni suicidi di Razer contro quel maledetto drago.
Dannazione!

Risolveremo tutto.
Abbiamo ancora le armi degli dei.

Non mi interessano le maledette armi degli dei. Sono dei dannati reperti da museo.
Lui mi interessava. Questa maledetta Spada del Fato poteva anche spezzarsi nel momento in cui mi è stata consegnata, non me ne sarebbe fregato nulla, ma quel Buco della Trama non si meritava questo, non dopo quello che ha passato.

Commedia, non sei lucido, rimani in disparte, per il tuo bene.

Dovrei rimanere in disparte? E per cosa?
Per vedere anche Razer venire ucciso a caso per colpa di una guerra a cui non dovrebbe partecipare?

L’armatura non rispose, limitandosi a lasciarsi alle spalle lo spettro e spostarsi verso la spada nera, perdendo interesse nell’armatura di cui voleva rientrare in possesso.
- Sharadan, in realtà potrei aver bisogno di essere alleggerita da un peso. – disse a labbra strette la giovane donna bionda, mentre il suo braccio si contraeva ritmicamente nel tentativo di liberare la sua spada dal corpo in cui era piantata.
Il drago sorrise compiaciuto, increspando appena la sua pelle chiara. La giacca smeraldo cadde a terra lieve, mentre il petto del suo possessore veniva percorso da spasmi violenti e i suoi lineamenti si facevano più spigolosi.
   
 
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