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Autore: Crilu_98    26/10/2018    1 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Sattias procedeva da solo, pancia a terra, sul terreno reso umido dalla pioggia: aveva iniziato a cadere nella notte, rendendo inutile ogni loro tentativo di accendere un fuoco. La nebbia che era calata insieme a quelle gocce leggere e fastidiose rendeva difficoltoso orientarsi nella foresta sconosciuta.
Perciò Sattias aveva ritenuto più saggio seguire l’idea di Manlios. Liberatisi delle sacche e delle armi che li impacciavano, i quattro ragazzi ed Hiccia erano andati cautamente in avanscoperta, sperando di non imbattersi nei guerrieri sconosciuti o in altri pericoli. Ognuno di loro procedeva senza mai svoltare lungo una diversa direzione: ripercorrendo all’indietro i loro passi sarebbero tornati da Etrilia, posta a guardia dei loro averi.
Il sole era ormai alto dietro le nubi e Sattias sapeva di dover tornare indietro o non avrebbe mai raggiunto i suoi compagni prima dell’arrivo del buio; tuttavia era teso e fremente come un falchetto in procinto di buttarsi fuori dal nido per la prima volta. Si rimproverò, dicendosi che era solo una suggestione dettata dalla strana calma in cui la pioggia aveva gettato il bosco, ma nel suo cuore sapeva che stava per succedere qualcosa di straordinario. Qualcosa che avrebbe cambiato la sua vita e quella dei suoi compagni per sempre e che si stava avvicinando ad ogni istante, volteggiando sopra al suo capo…
Un grido di donna ruppe ogni equilibrio. Acuto, inconfondibile eppure sconosciuto, si levò dal folto degli alberi, seguito ben presto da altre grida, più roche, sguaiate e crudeli.
“I guerrieri!” pensò il ragazzo, tremando di paura. Con sé aveva solo l’arco e il coltello e Hiccia non aveva avuto molta fortuna con quelle armi…
Quando però udì la donna gridare di nuovo, molto più vicina alla sua postazione di quanto pensasse, non poté ignorarla:
“Forse è Sabidia!” si disse, speranzoso, anche se la voce non gli risultava familiare.
Scattò in piedi, sforzando la sua debole vista per scorgere qualcosa tra i profili nodosi e contorti degli alberi. Intravide una figura guizzante volare su un sentiero incolto alla sua destra: una ragazza stava tentando di arrampicarsi su una vecchia quercia ma le sue mani continuavano a scivolare, facendole perdere la presa. Gli inseguitori non si vedevano da nessuna parte, ma le loro urla riempivano l’aria.
Sattias non esitò un istante di più, corse verso la sconosciuta ed afferrandola per i fianchi la buttò fuori dal sentiero battuto dagli uomini e da altri predatori.
Rotolarono avvinghiati lungo un breve pendio, mentre lei ringhiava e soffiava come un animale selvatico: il ragazzo mugolò quando con le unghie affilate gli impresse sulla guancia quattro graffi a forma di mezzaluna.
“Buona!” sbraitò, afferrandola per i polsi e spingendola a terra, sulla schiena. “Sta’ buona, per tutti gli dei!”
Lei non diede segno di aver capito, anzi, si dibatté più forte, arricciando le labbra in una smorfia di minaccia e rivelando la dentatura più spaventosa che Sattias avesse mai visto sulla faccia di un essere umano: tutti i denti erano stati meticolosamente limati per renderli triangolari ed affilati, così che ora il sorriso della ragazza pareva il ghigno astuto di una faina.
E quando lasciò scorrere gli occhi sul resto del suo corpo minuto, per qualche istante il ragazzo si chiese se non avesse catturato una creatura sovrannaturale: la pelle era molto più chiara della sua, pallida e brillante come la luna; i capelli, nonostante la sporcizia e il sudore di cui erano ricoperti, avevano la stessa sfumatura dell’oro e gli occhi erano azzurri, limpidi ed insondabili. Sattias ebbe l’impressione di star fissando il cielo terso di un pomeriggio di primavera, prima che un colpo improvviso lo facesse cadere all’indietro: la sconosciuta aveva fatto scattare il capo in avanti, rifilandogli una potente testata sul naso, che infatti prese subito a sanguinare.
La ragazza strisciò lontano da lui, barcollando nel tentativo di rimettersi in piedi proprio mentre lui udiva i nemici fermarsi sopra le loro teste: perciò artigliò con mano ferma la sua caviglia, facendola inciampare, le tappò la bocca con una mano e si stese sopra di lei sul manto erboso, ritrovandosi a pregare con sincero fervore qualsiasi divinità potesse venirgli in aiuto.
“Reitia, pothnia theron, madre delle acque e delle selve, nascondici dagli occhi nemici… Dioues Ouersores, guida i loro passi lontano da noi… Tu, Mamerte, e tu, Pico, proteggete il re che avete scelto…”
Qualcuno tra gli dei lo ascoltò, perché dopo minuti che durarono secoli una voce secca ed imperiosa richiamò indietro i guerrieri che stavano esaminando il sentiero: dopo qualche altro fruscio e rumore di terra smossa, Sattias rilassò i muscoli con un sospiro di sollievo.
“Se ne sono andati!” bisbigliò con fare rassicurante all’orecchio della ragazza. Ormai era certo che non potesse capirlo, ma sperava che la dolcezza del tono sopperisse al suono estraneo delle parole sconosciute.
Con sua immensa soddisfazione, la giovane smise di lottare contro di lui e Sattias poté osservarla con più calma: era molto magra e la carnagione pallida le dava un aspetto estremamente fragile; abituato alle forme rotonde e morbide delle donne della sua gente, non riusciva a trovare attraente quel corpo fatto di spigoli e lineamenti taglienti. Con gesti leggeri e cauti scostò un poco la pelliccia di lupo che la ragazza portava sulle spalle: sotto indossava solo una fascia di lana grezza stretta attorno al petto e una tunica di pelle di lepre legata in vita, tenuta insieme da un filo spesso e grossolano; i piedi erano avvolti da stivali di pelliccia alti fino al polpaccio.
“Ha i seni troppo piccoli” commentò tra sé “E fianchi troppo stretti. Morirà al primo tentativo di dare alla luce un figlio e se anche sopravvivesse non riuscirebbe ad allattarlo.”
Eppure si scoprì incapace di distogliere lo sguardo da lei, o di staccare le dita dalle sue braccia. La sconosciuta, infastidita da quell’esame troppo approfondito, cercò di spingerlo via e Sattias, docile, si mise a sedere a qualche passo di distanza, senza mai perderla di vista mentre si riassettava le vesti e sfilava qualche foglia che era rimasta incastrata tra i lunghi capelli.
“Quanti anni hai? Dodici, tredici? Da dove vieni? E perché quei guerrieri ti hanno inseguito fin qui?”
Non poter ottenere risposta per quelle domande lo infastidiva.
All’improvviso si ricordò dei compagni e si alzò in piedi, ma si fermò dopo pochi passi, titubante, perché vide che la ragazza non si era mossa.
“Non posso lasciarla qui, quegli uomini potrebbero tornare! Ma come faccio a spiegarglielo e a convincerla a seguirmi?”
Sospirò e gli occhi cerulei della giovane si piantarono nei suoi, scavando nelle sue iridi come se fosse alla ricerca della sua anima; a tratti, pensò il ragazzo, era davvero una creatura inquietante.
Ciò nonostante si inginocchiò davanti a lei e si poggiò la mano con le dita aperte sul petto, dove batteva il cuore.
“Sattias” scandì, ripetendo il suo nome un paio di volte nella speranza che lei comprendesse.
“Sattias” ripeté la sconosciuta dopo un po’, con una voce che ricordava il gorgoglio di una fonte.
“Bene!” mormorò il ragazzo, portando la stessa mano sul cuore di lei nel tentativo di farsi dire il suo nome. Ottenne però solo un lamento ed uno schiaffo: a quanto pareva, la giovane non gradiva essere toccata sul seno.
Sattias strinse i denti e le labbra quando comprese, almeno in parte, ciò che doveva essere successo.
Si rialzò e fece qualche passo nella direzione in cui era venuto, voltandosi più volte a guardarla e muovendo le braccia per invitarla a seguirlo: si sentì stupido, ma la ragazza non si perdeva nessuna delle sue mosse ed infine concluse che, dato che l’aveva protetta dai suoi inseguitori, non era una minaccia. Quando gli si affiancò, Sattias vide che era alta più di lui e che quegli stessi arti che sul terreno gli erano parsi sproporzionati e giganteschi diventavano improvvisamente aggraziati mentre la sconosciuta saltellava sul sentiero con un’agilità insospettata.
Procedettero in silenzio, con le orecchie tese per captare qualsiasi rumore sospetto che indicasse un pericolo o un’imboscata e Sattias si meravigliò della facilità con cui riuscivano ad intendersi senza parole: condividevano lo stesso istinto e questa era la prova definitiva che aveva di fronte una donna e non uno spirito.
 
“Per tutti gli dei!”
A dare voce ai pensieri del gruppo era stato Hostius, che fissava stralunato la pallida figura con cui Sattias era emerso dal folto del bosco.
“Ti davamo ormai per morto!” borbottò invece Manlios, a metà tra il sollievo e il rimprovero, ma il suo commento cadde inascoltato mentre gli altri si accalcavano attorno alla sconosciuta.
Lei, per contro, soffiò arrabbiata e si strinse contro il fianco del giovane re.
“Chi è, Sattias?” domandò Hiccia, girandole attorno con curiosità.
“Che cos’è, piuttosto!” esclamò Pileius, avvicinando il viso a quello della giovane e ritraendosi di scatto quando lei mostrò i suoi denti aguzzi.
“E’ una donna, mi pare chiaro!” replicò l’arciera, seccata.
“Ma hai visto la sua pelle? E gli occhi, i denti… Mettono i brividi!”
“Non è vero!” intervenne Sattias, lasciando scorrere una mano sulle spalle della ragazza per impedirle di voltar loro le spalle e scappare. Era già stato abbastanza difficile convincerla ad avvicinarsi al fuoco, ma ora i suoi compagni la stavano spaventando.
“Indietro, idioti!” sbottò Etrilia e i ragazzi si scansarono al suo passaggio “Non vedete che è terrorizzata, stanca ed affamata? Probabilmente non capisce neanche ciò che stiamo dicendo!”
“E’ vero!” confermò Sattias “Era inseguita dai guerrieri, ma non sembra comprendere né noi né loro. Credo che fosse una prigioniera che è riuscita a scappare…”
“Beh, per tutti gli dei, questa sì che è una notizia!” mormorò Hostius “Un esserino pelle e ossa come lei è riuscito a sfuggire ai nostri nemici, nonostante le loro armi e i loro cavalli? Sattias, dobbiamo trovare il modo di farci dire come ci è riuscita!”
“Dopo” sentenziò Etrilia, sospingendo gentilmente la ragazza verso il focolare su cui era stata messa a cuocere la tenera carne di una pernice.
“Ora deve riposarsi e mangiare.”
La sconosciuta sembrò apprezzare il calore ed il cibo ed iniziò a guardarli con occhi curiosi e non più ostili; tuttavia, l’unico che voleva avere vicino era Sattias.
Manlios mimò con le dita una corsa, poi afferrò la spada e simulò un grido di battaglia; Etrilia, di solito impassibile, si lasciò sfuggire una risatina, ma l’altra sembrò comprendere, piegando il capo verso l’alto mentre rifletteva.
Raccolse dal terreno un ramoscello verde su cui il fuoco non aveva attecchito e con il piede spazzò il terreno davanti a lei, illuminato a giorno dal focolare anche se ormai era sera inoltrata.
“Che cos’è questa cosa?” domandò Hostius, strabiliato.
“Sta disegnando un territorio! Guardate, quello è un fiume e questa è la cima di un monte!”
Sotto gli occhi affascinati del gruppo prese vita il disegno della foresta e poi delle montagne, con accanto un lungo solco; oltre quella linea, spiegò la ragazza a gesti, c’era una grande distesa di acqua. In cima a tutto disegnò quella che venne interpretata come una casa che poggiava su lunghi pali.
Sattias ne seguì il contorno con la punta di un dito, poi alzò lo sguardo verso la giovane:
“E’ da qui che vieni?”
Le lacrime nei suoi occhi furono una risposta sufficiente. Il terreno venne spazzato di nuovo e dalla punta del ramoscello presero vita le figure alte e minacciose dei guerrieri sui loro cavalli, che rapivano una ragazzina e la portavano vicino alla grande acqua…
“E’ una foglia?” chiese Pileius. Etrilia sbuffò:
“Non vedi che ci sono delle persone, sopra? E’ una barca, una di quelle costruzioni con cui i popoli della costa attraversano il mare ad ovest!”
Tra di loro c’era un uomo temibile, un gigante. Nel tratteggiarlo la mano della sconosciuta tremò violentemente:
“Diomedas!” balbettò.
“Diomedas…” ripeté Sattias, assorto. “E’ la prima volta che sento questo nome!”
Hostius assentì:
“E’ vero, non è di queste parti… Ma non sappiamo quali popoli vivano a nord delle montagne.”
Quando infine accanto a Diomedas la ragazza disegnò sé stessa Sattias fu invaso dalla rabbia: era stata rapita e donata al loro re come un trofeo, per essere battuta e violentata… Con un gesto istintivo e colmo di disprezzo cancellò il profilo del guerriero dalla terra. Gli occhi verdi brillavano di una luce feroce:
“Non gli permetteremo di farti ancora del male. Sei al sicuro con noi, ti proteggeremo da Diomedas e da tutti i suoi uomini!”
“E’ fiato sprecato, Sattias!” ridacchiò Hiccia “Non vedi che non capisce neanche una parola?”
Ma Sattias era convinto del contrario, gli era bastato quel lampo di speranza e riconoscenza che aveva illuminato le iridi della ragazza. Manlios si grattò il capo, confuso:
“Almeno un nome ce lo avrà, questo animaletto selvatico?”
Sattias provò di nuovo ad indicarle il petto e lei si agitò nel tentativo di comunicare:
“Sattias!” esclamò, tutta fiera. Gli altri scoppiarono a ridere, mentre il giovane sentì una vampata di fuoco scaldargli il petto ed il collo, come se avesse bevuto troppo idromele.  
“Sattias…” ripeté lei, più incerta, con tono lamentoso e sommesso.
“No, quello è il mio nome!” replicò lui, imbarazzato “Non puoi averlo, capisci?”
“Sattias!” borbottò di nuovo, ostinata.
“No! Ma insomma… Tu non sei Sattias, tu sei... Laktéa. Laktéa, sì? Va bene? Ti si addice.”
“Sembra piacerle!” osservò Pileius mentre la ragazza faceva scorrere sulla lingua quelle sillabe dal significato a lei sconosciuto.
“E’ deciso, allora. D’ora in avanti, sarà questo il tuo nome.”
   
 
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