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Autore: BabaYagaIsBack    02/11/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Il respiro generale si mozzò nell'esatto istante in cui il rumore della carta strappata cessò. Il tempo intorno a Noah parve fermarsi e lasciarlo sospeso nella consapevolezza che precede la tragedia, ma nulla accadde. Quando il suo primo battito di ciglia ebbe concluso il movimento non venne investito da alcun dolore, men che meno da una qualsiasi sensazione che potesse ricordare una reazione allergica. Vi fu solo silenzio. Neppure il battito del suo cuore riuscì a penetrare lo strato di attesa e confusione. Forse si stava muovendo velocemente, troppo per far sì che il veleno o i sigilli citati da Colette potessero attivarsi; eppure i secondi passavano, le sopracciglia delle Chimere si corrugavano di più e niente succedeva. Forse, invece, Colette si era sbagliata.
Deglutì forte, rompendo la stasi. Lo sforzo fu tale che gli parve di udire l'eco della sua saliva rimbombare dentro la casa, tra i corridoi fino alla sua stanza, tra i sassi e i fili d'erba lì attorno - poi respirò. Con titubanza guardò la busta, i bordi frastagliati che si erano rotti in modo discontinuo rivelando qualcosa al suo interno, come un foglio, una lettera destinata alla famiglia.

Non era certo fosse il caso di esultare, eppure dentro di sé sentì una certa soddisfazione bollire come l'acqua che si prepara per il té. Non era morto e, anche se non si poteva ancora dichiarare salvo, non aveva nemmeno permesso a una delle sue creature di subire un qualsivoglia effetto collaterale. Era incolume Lo erano tutti.

«Beh... direi che è andata piuttosto bene, no?» la domanda di Alexandria arrivò come il fischio del bollitore e altrettanto fastidiosamente sul suo viso si delineò una smorfia beffarda indirizzata poco oltre la spalla di Noah; non fu difficile immaginare a chi si stesse rivolgendo.
L'altra non rispose. Forse non si accorse nemmeno che si stava riferendo a lei. L'ansia che Colette stava provando pareva ben più importante di qualsiasi screzio vi fosse tra loro - magari, se si fosse voltato giusto di qualche grado, l'Hagufah avrebbe visto con la coda dell'occhio che tutta l'attenzione della donna era rivolta in un unico punto: la porzione di lettera che spuntava dalla busta. Era lì, nelle sue mani, e li chiamava entrambi, forse addirittura tutti e cinque - e la curiosità prese a mordergli le dita. Cosa li stava attendendo? Quale messaggio si nascondeva oltre quel misero strato di carta ingiallita? Avrebbero trovato finalmente il nome del mittente? Li avrebbe rincuorati o, al contrario, messi ancora più in allerta? Noah non ne aveva idea. Dubitava persino che una sola delle sue Chimere potesse dire diversamente; così allungò l'altra mano, strinse un angolo della lettera tra pollice e indice, scongiurando il peggio.
Si scoprì tanto preoccupato quanto bramoso e, in un ultimo movimento avventato, sfilò il foglio. Gli artigli di Colette gli agguantarono le spalle con lo stesso impeto con cui lui compì quel gesto, provando a penetrare tessuto e pelle e allontanarlo in caso di pericolo, come se da un momento all'altro la busta avesse dovuto scoppiargli tra le mani - neanche stavolta successe qualcosa.
Il viso della Chimera-corvo si fece vicino, Noah potè sentirne il calore accanto all'orecchio. Aveva il fiato dolce, corto e incredibilmente bollente. I suoi boccoli scuri gli solleticarono il collo facendolo quasi rabbrividire e, quando parlò, quasi gli si torse lo stomaco: «Leggi ad alta voce, okay?» Averla addosso era tutto fuorché rassicurante, ma non l'allontanò, avvertendo il bisogno di entrambi di avere un supporto.
L'Hagufah annuì e con timorosa cautela divise il bordo superiore della lettera da quello inferiore, aprendo il foglio per rivelarne il contenuto - ciò che vi trovò, però, non fu affatto ciò che aveva creduto di scoprire.
Gli occhi di Noah si spalancarono, le sue iridi inghiottirono i segni tracciati dall'inchiostro di una comune penna a sfera e ne fecero indigestione, costringendolo a stringere le dita in uno spasmo involontario di tutto il corpo. Vi erano linee più lievi che andavano a formare lo scheletro di un disegno, uno schizzo fatto con una certa, preliminare noncuranza, poi ce n'erano altre più marcate, sicure come se l'artista si fosse deciso sul soggetto.
Un cerchio, pensò l'Hagufah, ma sapeva bene che non si trattava solo di quello. Era una sorta di anello ricoperto di scaglie, come la pelle di Levi quando la mutazione emergeva, ma c'erano anche due piccole zampe da gallina che agguantavano l'aria, il vuoto della cellulosa. Simmetricamente, ali sproporzionate si allargavano verso l'alto, preannunciando un volo che difficilmente avrebbe potuto essere spiccato. Se si seguiva il percorso, in un senso o nell'altro, si poteva poi scorgere una coda ingoiata da una sorta di testa di lucertola. Era un cerchio, sì, ma era anche qualcosa di più, qualcosa che Noah sentì insinuarsi in lui attraverso gli occhi e riempirlo.

«Un Uroboro» deglutì Colette ancora attaccata alle sue spalle, confusa.
Lui guardò meglio il disegno cercando di riconoscerlo e, in un lampo, gli scorsero nella mente i diari di Salomone, gli appunti e gli scarabocchi che aveva abbandonato su quelle pagine. Sì, anche se in forma diversa aveva visto quel medesimo simbolo, lo aveva annotato tra le cose da chiedere alle Chimere ma a cui non aveva dato poi grande importanza. Che sciocco! In punta di dita sfiorò la testa della creatura, scivolò sul suo dorso come se fosse quello di un maestoso destriero e, in ultimo, si accorse di un ulteriore dettaglio. Al centro esatto del cerchio che formava il corpo di quella bestia, quasi fosse stata abbandonata lì per errore, se ne stava una minuscola lettera. Un'iniziale, probabilmente.
Noah corrugò le sopracciglia, le sue labbra si schiusero come se volesse soffiar e fuori il suono. Si trattava di un'elegante enne, ricamata al pari dell'intestazione della busta. Era la consonante con cui iniziava il suo nome e quella consapevolezza non gli piacque affatto. Sentì lo stomaco contorcersi, la nausea salire dalla pancia lungo la gola e se non ci fosse stata Colette a tenerlo per le spalle si sarebbe allontanato per vomitare.
Gli venne spontaneo chiedersi se fosse un segno, una minaccia. Era forse la prova che qualcuno sapeva di lui e di chi fosse in realtà? La gola sembrò seccarsi. Cosa diamine stava a significare? Perché certamente non si trattava di un errore; non lo era mai quando in ballo c'erano Salomone e l'Ars.

Senza preavviso Levi gli sfilò la lettera dalle dita, rischiando di strapparla. In viso aveva un'espressione ben poco rassicurante e quando abbassò gli occhiali sulla punta del naso, per vederci meglio, Noah sentì i muscoli di tutto il corpo irrigidirsi.
«Che significa?» gli domandò in un soffio veloce, come se gli mancasse la forza per parlare. L'altro non rispose - non subito quantomeno.

Le Chimere si precipitarono intorno al fratello maggiore chiudendosi su di lui. Persino Colette, che gli era stata accanto sino a quel momento lo abbandonò per mettersi a confabulare con gli altri. All'Hagufah quella reazione piacque ancor meno.
«Atém amár mah ze axat résha mazal? (Dite che è un brutto segno)» Chiese la donna, seguita subito da Zenas.
«Mi yakhól ómer... (chi può dirlo...)» il cruccio sul suo volto non fece altro che accrescere le ansie di Noah. Perché non spiegavano anche lui quello che pensavano stesse succedendo? Perché tentavano ancora di tenerlo all'oscuro?
«Uroboro lo ze ʼipĕşé̌r af pá'am axat ra mazal (l'Uroboro non è mai stato un cattivo presagio)» Levi si lasciò andare contro lo schienale in ferro della sedia, sospirando. Sembrava stanco, eppure riprese a parlare: «Nell'antichità rappresentava il ciclo, il continuo ripetersi delle cose. Equivaleva al ritorno, alla rinascita, dovreste saperlo bene, ormai. Qui...»
«Potrebbe rappresentare il Re» a parlare fu Zenas, eppure gli occhi di Levi baluginarono verso Noah. Il modo in cui prese a fissarlo sembrò quello di un predatore che si prepara a inghiottire la presa. Un groppo gli si bloccò in gola e la cosa parve attirare l'interesse di tutte le altre Chimere. Stavano forse fiutando la sua paura? Erano d'accordo anche loro che quella lettera, quel messaggio in codice fosse rivolto a lui? Per un momento si convinse di non voler conoscere la risposta alle proprie domande.

Ancora una volta la voce di Zenas prevaricò: «Ouro, il Sovrano... si sentiva spesso dalle mie parti, era un termine egizio» constatò, esattamente come faceva quando in cucina si parlava di qualche spezia particolare.
«Ed è un concetto spesso associato all' Hèn tò Pân. "L'uno è il tutto", se non erro» Alexandria si portò una ciocca dietro l'orecchio, poi si scansò leggermente dai fratelli maggiori, quasi a disagio: «Però quella enne non indica lui...» parve riflettere tra sé e sé.
A Noah quasi venne spontaneo intromettersi, ma fu pronto a mordersi la lingua prima che un "Sei seria?" Gli potesse sfuggire di bocca. Non avevano forse appena dichiarato che l'Uroboro era un simbolo collegato alla figura del Re? E non era lui il nuovo hagufah di re Salomone? Come poteva, Z'èv, saltarsene fuori con un commento del genere?

Noah si concesse qualche istante di riflessione, sfuggì agli sguardi generali che ritmicamente si posavano su di lui e, poi, chiese: «Come fai a dirlo?» Dopotutto i pochi dettagli riconducevano a lui, al sovrano, all'alchimista.
Alexandria scrollò le spalle: «Per quale ragione mettere una enne? Tu dovresti essere Salomone, non Noah. Questo tuo nome, quello che hai ora è... passeggero. Nel prossimo corpo ne avrai un altro e così via. Ciò che di te resta invariato è l'anima e quella non è di Noah Dietrich, lo studentello di chimica che vive a Vienna, ma di Re Salomone, figlio di Davide.» Il suo ragionamento non faceva una piega. Con le labbra ancora schiuse in un'obiezione che non avrebbe mai fatto, il ragazzo fece calare lo sguardo sui propri piedi. In mezzo all'erbetta verde e marroncina sembravano terribilmente pallidi, esangui come doveva essere il suo viso. Z'èv poteva aver ragione, quella lettera poteva rappresentare altro, ma allora perché associarla a quel simbolo? Non se lo spiegava, non ci riusciva nemmeno sforzandosi. Si morse il labbro inferiore.
«E se invece fosse un modo per dire "so chi sei ora, so come venire a prenderti, come persuaderti"? Se il mittente conosce la mia identità potrebbe arrivare alle persone che frequentavo, ai miei genitori e-»
Sul viso di Alex spuntò un sorriso, un evidente tentativo fallimentare di nascondere una risata ben più irriverente.
«Ti rendi conto che Levi ci ha messo quasi trent'anni per trovarti, vero?» Nel porgli quella domanda il viso le si inclinò appena, cercando in tutti i modi di allacciare i loro sguardi per poter scrutare i suoi dubbi, per tenerlo in pugno e precederlo: «Stiamo parlando del tuo Generale, tuo fratello, l'uomo che è morto e risorto per te, il fanatico che ti ha seguito durante tutta questa follia!» La mano si levò verso Levi. Lo indicò con forza, ma lui parve non sentirsi tirato in causa. Noah lo percepiva lontano, perso nei propri pensieri, nelle supposizioni che si andavano a scontrare nella sua testa calpestandosi le une con le altre. E la sorella, in quel silenzio, proseguì: «Se lui ci ha messo tutto questo tempo dubito che qualcun altro sia riuscito ad arrivare a te, a tutte le informazioni che ti riguardano, in poche settimane.» L'Hagufah tornò a fissare Nakhaš. Lo fece con ostinazione, aggrappandosi alle ciocche che gli ricadevano in viso nella speranza di non cedere all'agitazione. Di certo, Alexandria non aveva tutti i torti. Se persino una creatura millenaria, che lo conosceva quasi come le proprie tasche, era arrivata a lui dopo mesi dal loro primo incontro su Ponte Carlo - che Noah ricordava solo come un fremito del corpo e un lieve dolore al petto - chiunque fosse il mittente della lettera non poteva averli preceduti e, forse, nemmeno raggiunti. Eppure...
Una fragorosa risata squarciò la tensione, facendo sussultare tutti. Noah si dovette afferrare la maglia all'altezza del cuore per essere certo che questi non balzasse fuori dal torace per lo spavento e, involontariamente, mosse un passo all'indietro sentendosi venir meno - cosa che, a occhio e croce, non sarebbe certamente capitata a Levi. La sua testa chinata in avanti, la bocca spalancata e gli occhi stretti a tal punto da fermare le lacrime che minacciavano di uscire parvero una visione grottescamente fuori luogo; nonostante ciò, la sua fu una risata piena di gioia, un suono roco che in un modo contorto sembrò rincuorare Noah da tutte le momentanee preoccupazioni. Fu come venir liberato, perché se Nakhaš rideva voleva dire che tutto si sarebbe risolto per il meglio.
«Siamo degli stupidi!» grugnì altrettanto improvvisamente, levandosi gli occhiali da sole per poter asciugare le lacrime. Le iridi avevano preso una spiccata tonalità giallognola, mentre le guance gli si erano imporporate appena - a guardarlo pareva il perfetto ritratto della felicità e spensieratezza.

Colette balzò accanto al fratello e afferrandolo per i capelli castani gli tirò indietro la testa: «Che diavolo stai insinuando, akh?» soffiò, minacciosa come il giorno in cui l'avevano incontrata.
Levi allargò il sorriso, spostando lo sguardo su di lei: «Hai ascoltato tua sorella, Wòréb? "Il tutto è uno", cosa ti ricorda?» poi i suoi occhi scivolarono su Noah. Un groppo in gola gli fece pensare che il cuore volesse ora uscire dal corpo risalendo la trachea, così serrò i denti fino a sentir male alle ossa della faccia. Persino senza approfondire la questione ebbe la certezza di centrare qualcosa, di essere lui il soggetto a cui la Chimera si stava riferendo. Ci volle giusto una ruga di dubbio tra le sopracciglia di Colette per far riprendere il discorso del fratello: «È una specie di rebus, akhòt. Su, so che puoi risolverlo con me.» E mentre lei si arrovellava sulla questione, Zenas picchiò il palmo sul tavolino, generando l'ennesimo sussulto collettivo: «Ma certo! Quando le cose andavano male Salomone ce lo ripeteva sempre, era il suo modo per motivarci a restare positivi, perché alla fine saremmo rimasti uniti!»
«Esattamente!» Lo sguardo di Levi brillò, il suo sorriso divenne ancora più grande, eppure nella gioia del momento non si mosse minimamente, certo come l'Hagufah che avrebbe dovuto dire addio a qualche ciocca di capelli. «Ascoltate,» le due estremità della lingua gli bagnarono il labbro inferiore, mentre le braccia si aprivano ai lati del suo corpo al pari di un predicatore: «Noi eravamo il suo tutto e al contempo eravamo e siamo ancora un'unica cosa: la sua famiglia.» Poggiando la lettera di fronte a sè, ben aperta sul tavolino, la Chimera indicò il disegno: «L'ouroboro in questo caso non vuole indicare solo la figura del Re, ma noi, il suo Hèn tò Pân. E in questo tutto, sono sicuro riuscirete a darmi una risposta, c'era qualcuno particolarmente appassionato di indovinelli...»
Le sopracciglia di Alexandria si inarcarono, il viso di Colette sbiancò, la mano di Zenas gli passò sul viso come a sorreggere lo sgomento. La risposta fu chiara a tutti - escluso Noah.

 



 

Uroboro: Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca, l'immagine del cerchio che personifica l' eterno ritorno. Esso sta a indicare l'esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine.
Nella tradizione alchemica, l'Ouroboros è un simbolo palingenetico che rappresenta il processo alchemico, il ciclico susseguirsi di distillazioni e condensazioni necessarie a purificare e portare a perfezione la "Materia Prima". Durante la trasmutazione la Materia Prima si divide nei suoi principi costitutivi, per questo motivo l'Ouroboros alchemico viene spesso rappresentato anche nella forma di due serpenti che si rincorrono le code.

La Chrysopoeia di Cleopatra (alchimista greca) contiene l'immagine di un Ouroboros, metà bianco e metà rosso, con all'interno la scritta ἒν τὸ Πᾶν (hèn tò Pân), traducibile come "l'Uno (è) il Tutto". Un'etimologia «ermetica», non linguistica farebbe risalire l'ouroboros a un «re serpente»: «In lingua copta Ouro significa "re", mentre ob, in ebraico, significa "serpente"».

(come sempre vi ricordo che le frasi in ebraico sono scritte secondo la fonetica e potrebbero essere incorrette)

 
 
 
 
   
 
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