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Autore: Old Fashioned    04/11/2018    15 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gente mia,
come sempre grazie a tutti quelli che mi seguono e che mi commentano, è sempre un piacere leggervi!^^




Capitolo 8


Jeisym si fermò appena al di fuori del cerchio di luce creato dalle lanterne della locanda e per un po’ rimase a osservarla in silenzio. Le finestre ormai erano per la maggior parte buie e dall’interno non proveniva alcun rumore. Nell’aria calma c’erano solo un vago frinire di grilli e il latrare lontano di un cane.
L’As’vaan fece un gesto e subito un altro uomo gli si affiancò. “Mio signore?” sussurrò una voce.
Therved, manda gli uomini a circondare questo posto, ma che stiano attenti a non farsi sentire. Voglio prenderli di sorpresa.”
Come tu comandi, Khan.”
Subito dopo torna da me per il piano che abbiamo deciso.”
Ai tuoi ordini, Khan.”
Therved si allontanò e Jeisym riprese a osservare l’edificio: una costruzione vecchia ma ancora solida, con i muri spessi e il tetto spiovente nel quale si aprivano a intervalli regolari degli abbaini. Dal camino usciva appena un filo di fumo. Mentre guardava, le ultime luci si spensero e la locanda precipitò nel buio.
Dopo un po’ ricomparve Therved, che attraversò lo spiazzo illuminato e raggiunse la porta. Bussò due volte.
All’interno si udì un tramestio, ma nessuno rispose.
Therved bussò di nuovo, con più forza.
A quel punto nella porta si aprì uno spioncino che proiettò all’esterno un raggio di luce. Una voce maschile chiese: “Chi è?”
Chiedo ospitalità per la notte,” rispose l’As’vaan con voce sommessa.
La locanda è chiusa.”
Vi prego, non so dove andare, mia moglie sta male.”
Al di là della porta si udì qualcuno confabulare, la luce che proveniva dallo spioncino ebbe un’oscillazione.
Approfittando della distrazione offerta da Therved, accompagnato da quattro dei suoi, Jeisym aggirò silenziosamente l’edificio, raggiunse le scuderie e si arrampicò sul tetto. Da lì gli fu facile raggiungere uno degli abbaini più bassi, attraverso il quale riuscì a poi infilarsi all’interno.
Rimase immobile cercando di farsi un'idea dell'ambiente: doveva essere capitato in una camera, perché da più punti si levava un russare regolare. Si voltò verso i suoi uomini, che apparivano solo come vaghe sagome appena delineate dal chiarore delle stelle, ed emise un breve sibilo. Essi si mossero rapidi, si vide qua e là il baluginare di una lama e i dormienti smisero di russare uno dopo l'altro.
Si spostarono nel corridoio, appena rischiarato da un lumino a olio, da lì scesero le scale e raggiunsero il piano inferiore. Jeisym tese l'orecchio e localizzò il punto in cui si stava svolgendo lo scambio fra Therved e i gestori della locanda. Si mosse rapido in quella direzione e presto incontrò il chiarore dorato di una lanterna. Si sporse a guardare da dietro uno spigolo: tre persone, due uomini e una donna, in abiti da notte, stavano parlamentando addossati a una porta. Al di là, Therved recitava egregiamente la parte del viaggiatore stanco che cerca una sistemazione per la notte.
Fece un cenno e immediatamente i suoi uomini scattarono in avanti. Si udirono il tonfo della lanterna che cadeva, un lieve tramestio e qualche gemito soffocato, poi silenzio.
A quel punto, Jeisym avanzò lento. “Chi è il padrone, qui?” chiese.
I tre prigionieri mugolarono qualcosa, si agitarono cercando invano di liberarsi. Con glaciale calma, il Khan ripeté la domanda.
La donna emise un gemito soffocato.
Jeisym estrasse il pugnale e ne fece scintillare la lama alla debole luce, mettendo in mostra il filo senza un'intaccatura. “Urla e sei morta,” la avvisò.
La donna sbatté le palpebre come per dire che aveva capito.
Molto bene,” proseguì Jeisym. Fece cenno all'uomo che la teneva stretta di liberarle la bocca. “E ora dimmi: c'è qualche carrettiere in procinto di partire, qui da te?”
Manse,” ansimò subito la locandiera, “Manse di Corvean. Ha preparato tutto, andrà via domattina presto. È alla camera due.”
L'As'vaan annuì lento. “Molto bene. C'è qualcun altro con lui?”
Un uomo e un ragazzo. Stanno dormendo.”

Ehi, che cos'è questo scompiglio?” brontolò Manse, svegliato di soprassalto dall'irruzione di quattro predoni As'vaan. Si strofinò gli occhi e fissò gli intrusi a uno a uno con riprovazione. “Domattina devo partire presto,” disse in tono risentito.
Jeisym si fece avanti e chiese: “Dov'è il ragazzo?”
Manse si voltò a guardare un letto sfatto, quindi rispose: “E che ne so? Sarà uscito a fare i suoi bisogni. Io dormivo.”
E l'uomo?”
Manse fece spallucce. “Ah, quello di notte è sempre fuori. Gli piacciono le donnacce.”
Sono amici tuoi?”
Padre e figlio, non so altro di loro. Siccome sono di Corvean, mi hanno chiesto un passaggio. A mia moglie non piace che io dia passaggi a sconosciuti, ma pagano bene e io mi rifaccio delle spese.” Fece una pausa poi chiese: “Hanno fatto qualcosa di male, per caso?”
Jeisym gli rivolse un sorriso ferino. “Tu hai fatto qualcosa di male, Manse di Corvean: non si dicono le bugie.” Gli puntò alla gola il pugnale.
Ma questa è la pura verità, mio signore,” protestò il carrettiere, apparentemente incurante dell'arma che lo stava minacciando, “come vedi, l'uomo e il ragazzo non sono qui.”
Li hai aiutati a scappare? Bada che so chi sono l'uomo e il ragazzo, e non sono certo padre e figlio.”
Manse a quel punto cambiò espressione. Annuì come chi vede le cose andare esattamente secondo le previsioni e gli rivolse un sorriso placido. Tranquillamente gli disse: “In ogni caso, giovane As'vaan, ormai ti sono sfuggiti. Puoi accanirti su di me, ma non ti servirà a nulla, perché Dras mi è testimone che io non so dove siano in questo momento.”
E non sai nemmeno dove stanno andando?” La lama premette contro il collo dell'uomo, facendone stillare qualche goccia di sangue.
Egli però rimase imperturbabile. “Lo sa Dras.”
Jeisym si fece indietro con il movimento di un puledro nervoso. “Non è detta l'ultima parola,” ringhiò fissandolo con occhi di fuoco. “Come ho trovato te troverò loro, fosse l'ultima cosa che faccio.”

§

Herich si strinse nel mantello ed emise un sospiro. “Manca molto?” chiese.
Sei stanco, principe?” s'informò Res.
Un po'.”
Il soldato annuì. Per un ragazzo abituato a stare in biblioteca o a recitare preghiere insieme ai chierici, anche quelle poche miglia, percorse nel fresco della notte e su una strada lastricata, erano state uno sforzo intenso. “Presto arriveremo a destinazione,” lo rassicurò.
Werthyra era già apparsa all'orizzonte, nitida nel chiarore dell'alba, adagiata come un gioiello sull'ultima foschia che ancora ammantava i campi.
Tutt'intorno non si vedeva anima viva, ovunque regnava un silenzio estatico, assoluto, nel quale a ogni passo si udiva addirittura il fruscio delle vesti che si muovevano sui corpi.
Res inspirò l’aria tersa, godendo della calma bellezza del mattino, e si voltò verso il ragazzo come per suggerirgli di fare altrettanto.
Raggiunsero Werthyra che il cielo aveva già perso i colori dell'alba. I primi negozianti stavano cominciando ad aprire le botteghe e nella piazza centrale il mercato era in allestimento. Le donne chiacchieravano animatamente stendendo a terra i loro teli, sui quali disponevano poi frutti di vari tipi e mazzi di verdure. Si approssimò un uomo dalla barba grigia su un carretto trainato da un asino, si fermò in un angolo della piazza e tirò fuori cassette piene di nastri, fermagli per i capelli e cosmetici. Accanto a lui prese posto il maniscalco, che dispose i suoi strumenti su una cassetta rovesciata e rimase ad attendere clienti.
Res adocchiò una bancarella che vendeva cibi caldi. Si rivolse al ragazzo e a bassa voce gli disse: “Perdonami se non mi rivolgerò a te con il titolo che ti spetta, ma in questi posti non è bene che la gente sappia chi sei.” Poi, in tono più alto: “Ti vanno un po' di frittelle, Herich?”
Il più giovane tentennò. “Io, veramente...”
Non ti piacciono?”
Non le ho mai mangiate,” fu l'imbarazzata ammissione.
Res gli sorrise con fare incoraggiante. “Sono un cibo povero, da soldati. Per quello non le hai mai mangiate. Però ti assicuro che ancora calde, servite con il miele e un po' di cannella, sono una delizia.”
Senza attendere risposta si avvicinò al banchetto e ne comprò un po'. Ne porse una a Herich. “Attento che è calda,” gli raccomandò.
Il ragazzo la prese con due dita. Dapprima ne staccò cauto un piccolo pezzo, indeciso su come consumarla senza posate, poi l’assaggiò e sul volto gli comparve un sorriso. Finì il resto in due bocconi.
Piano, se no ti bruci,” gli raccomandò Res.
È buona.”
Quando si entra in qualche città, le bancarelle che fanno le frittelle sono la prima cosa che si va a cercare. Ancora prima della birra, qualche volta.”
Il ragazzo lo guardò con l'aria di non aver capito ed egli specificò: “Ai soldati piacciono molto. Assieme alla birra, poi, sono squisite.”
Herich emise un sospiro e disse: “Mi piacerebbe essere un soldato.”
Res scosse la testa. “Non credo. Tu hai visto i generali, finora. Hai visto tuo fratello. La vita del soldato non è quella. È dormire per terra, sopportare fame e intemperie, trovarsi sul campo di battaglia in mezzo alla mischia con gente che ti colpisce da tutte le parti senza nemmeno sapere cosa sta succedendo.”
Herich alzò gli occhi su di lui e lentamente rispose: “Se dovessi scegliere se essere come mio fratello o essere come te non avrei dubbi, Res.”
Non ti rendi conto della stupidaggine che hai appena detto,” ringhiò l'uomo, con voce improvvisamente dura.
Il ragazzo lo fissò stupefatto. “Ma Res...” balbettò.
Non dirlo mai più.” Allungò il passo in modo da lasciarselo dietro le spalle e in un silenzio cupo raggiunse una bottega che vendeva equipaggiamenti da viaggio.
Controllando che il principe non si allontanasse troppo, si immerse nella scelta e successiva contrattazione del materiale adeguato. Le parole del ragazzo lo facevano soffrire, forse proprio perché pronunciate con tanta limpida spontaneità. Si chiese come avrebbe reagito Herich, il cui sguardo ammirato gli bruciava costantemente addosso come il sole su una piaga, se avesse saputo chi era veramente: probabilmente lo avrebbe odiato o disprezzato. Come lui meritava, peraltro.

Lasciarono la città nel primo pomeriggio, in sella a due cavalli di Yereia, robusti e veloci. Res era soddisfatto di averli trovati: erano costati molto, ma si trattava di soldi ben spesi, perché in generale erano più resistenti dei cavalli degli As'vaan e sulla lunga distanza erano in grado di lasciarli indietro. Ai lati della sella, entrambi avevano delle bisacce con dentro il necessario. Niente cibi da cuocere, per non essere obbligati a fare il fuoco ogni sera, e niente di superfluo per non appesantire troppo le bestie.
Con il resto dei soldi che gli aveva dato Manse aveva comprato una buona spada per sé e una più leggera per il ragazzo, un arco con una faretra di frecce e qualche rotolo di bende e dell'unguento per la sua ferita, che nonostante le attente cure di Hjalmianna era ben lungi dall'essere chiusa.
Imboccarono la strada che li avrebbe condotti verso il Waerund in un silenzio greve. All'orizzonte, davanti a loro, nubi cupe si andavano addensando.

§

Jeisym tese il braccio protetto dalla manica di cuoio imbottito e l'aquila prese il volo con uno strido acuto.
L'As'vaan fece poi scorrere lo sguardo su un recinto nel quale si muovevano eleganti dei robusti destrieri di razza Yereian, e in tono distratto osservò: “E così, ieri è venuto uno straniero e te ne ha comprati due?”
Sì, mio signore,” confermò volenteroso un uomo alto e robusto, che però al suo cospetto teneva le spalle ingobbite e il cappello stretto fra le mani. “Uno del Fjorn, se non mi sbaglio di grosso. Ha preso i più grandi.”
Era solo?”
No, mio signore. C'era un ragazzo con lui.”
Jeisym sollevò interessato le sopracciglia. “Un ragazzo, dici?”
Sì, per tutto il tempo è rimasto in un angolo, con un cappuccio tirato sugli occhi.”
Hanno per caso detto dove andavano?”
L’uomo annuì con decisione. “Hanno detto che andavano a caccia nella steppa, mio signore.”
Molto interessante,” rispose assorto Jeisym. “Ti ringrazio per queste informazioni, mi sono molto utili.” Tirò fuori dalla scarsella alcune monete d'oro e gliele consegnò, quindi si allontanò a passi lenti al recinto, raggiunse il suo destriero e rimontò in sella.


Si allontanò meditabondo dal mercante di cavalli. L'aquila tornò planando in maestosi cerchi e si posò sul suo braccio. “Hai visto niente, amica mia?” le chiese.
L'uccello rimase muto.
Jeisym alzò gli occhi su Therved, che gli si era affiancato, e disse: “Questo significa che hanno almeno mezza giornata di vantaggio.”
Se non una,” fu la cupa risposta.
Il Khan aggrottò le sopracciglia. “Possiamo riprenderli.”
Prego Halmaikah che accada presto, mio signore.”
Jeisym non rispose e mantenne un'espressione impenetrabile. Aveva imparato a conoscere il principe: era un ragazzino sensibile e intelligente ma sprovveduto, che non sapeva nulla del mondo. In tutto il tempo che aveva trascorso nella sua casa di Perechyra non era riuscito nemmeno a racimolare il coraggio per tentare di uscire dal portone e di certo le sue azioni non avrebbero mai potuto rappresentare un pericolo per lui.
Era l'altro che lo impensieriva: era un'ombra senza volto, scaltra e decisa quanto il ragazzo era ingenuo e irresoluto. Sapeva muoversi, sapeva combattere e di certo non gli mancava il coraggio.
Si chiese chi fosse, perché stesse effondendo tanto impegno per un'impresa che sembrava persa in partenza.
Se era qualcuno che si era salvato ai templi di Os'lak, infatti, non poteva ignorare che il mandante di tutto era il fratello maggiore del ragazzo. Quindi che cosa voleva fare? Lo voleva riportare alla sua città d'origine, ovvero nella tana della belva che già una volta aveva tentato di sbranarlo, oppure la sua idea era di andare da qualche altra parte?
Strinse i denti con rabbia: il problema di quell'uomo misterioso non sarebbe esistito, se lui non avesse creato i presupposti per farlo esistere. Tornò con la memoria al momento in cui gli avevano deposto ai piedi il ragazzo addormentato e lui aveva deciso di risparmiarlo per trarne un ulteriore guadagno.
Anche presso la sua gente, che pure viveva di preda e di rapina, erano molteplici le leggende che ammonivano a guardarsi dalla troppa avidità. Nell'illusione di riuscire ad accaparrarsi un pezzo di carne più grosso, il cane di una vecchia favola lasciava cadere quello che già stringeva tra le fauci e alla fine rimaneva senza niente.
Si chiese se anche a lui sarebbe capitata la stessa cosa e si chiese cosa avrebbe detto in quel caso suo padre, che dal palazzo di Jessartiaz vigilava sulle sue azioni per decidere se fosse degno di succedergli o no.
La voce di Therved lo distrasse dalle sue meditazioni: “Ti vedo pensieroso, Khan.”
Jeisym gli rivolse uno sguardo in tralice e rispose: “Stavo pensando che questa è la mattina ideale per cavalcare.” Spronò il suo morello, che subito scattò in avanti distaccando il resto del gruppo.


§


Rannicchiato nel suo mantello, infreddolito e stanco, Herich osservava il paesaggio farsi sempre più indistinto mentre la luce si affievoliva in un crepuscolo senza colore. L'unico rumore che si udiva era il monotono scrosciare della pioggia.
Si trovavano in quello che rimaneva di un antico tempio. Gli arredi e gli ornamenti erano scomparsi, rubati forse, o semplicemente consumati dal tempo, ma rimaneva la possente struttura architettonica, che faceva pensare a un culto solenne, magnifico, dedicato a una divinità dal tremendo potere.
Si chiese se nei recessi oscuri della struttura aleggiasse ancora qualche vestigia della presenza di quel dio.
Ripensò al tempio di Dras, provò a immaginarlo senza alcun ornamento, ridotto ai soli muri. Chissà se sarebbe apparso splendido e sinistro come quello che stava contemplando?
La voce di Res lo distrasse: “Sei stanco, principe?”
Herich annuì. “Sì,” rispose semplicemente. Si passò una mano fra i capelli umidi, cercò di sciogliere le membra irrigidite dalla lunga cavalcata. Ormai erano giorni che trascorrevano le ore di luce in sella, si accampavano al crepuscolo, consumavano un pasto frugale, dormivano per terra e ripartivano all'alba. In quell'occasione per fortuna avevano trovato un riparo, ma era accaduto anche che dormissero sotto la pioggia, con l'esigua protezione di un telo cerato.
Anche Res era stanco. Ogni tanto lo vedeva tremare, e sapeva che non era non per il freddo. Sapeva che la ferita gli faceva male, gli capitava di sorprenderlo con un'espressione tesa sul viso, o notava che si muoveva rigido sulla sella, come se determinate posizioni gli provocassero dolore. Il taglio non si era ancora chiuso completamente del resto. Lo aiutava a medicarsi, ormai aveva imparato a dominare la repulsione che la piaga gli suscitava, e ogni sera le bende che gli toglieva erano macchiate di sangue.
Guardò fuori: la luce era ormai scemata del tutto. Si vedeva qualcosa del paesaggio solo all'orizzonte, dove il punto in cui il sole era calato manteneva un debole lucore grigiastro, che si rifletteva sulle ondulazioni della pianura.
Quando arriveremo, Res?” chiese. La sua voce si riverberò sulle volte del soffitto, dando l'idea che a porre quella domanda fossero decine di creature appostate dove la luce del fuoco non riusciva a giungere.
Il soldato prese un bastoncino dalla punta carbonizzata e si sedette accanto a lui. Cominciò a tracciare dei segni sul pavimento. “Questa è Perechyra,” spiegò, disegnando una X. Da lì tracciò una lunga linea e disse: “Questa è la strada che stiamo percorrendo. A sinistra abbiamo le steppe di As'del e a destra la regione di Rodr.”
Dove c'è Lidas?”
Esatto, è al confine con il Waerund.”
Herich emise un sospiro. “È lì che è nato Adale.”
Chi?”
Adale di Lidas, un grande eroe del passato.” Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, quindi soggiunse: “Anche se non sarà mai grande come Resen-Lhaw.”
A quelle parole fece seguito un tale silenzio da far pensare che la pioggia avesse smesso di cadere e il fuoco di crepitare. Herich si girò sentendo distintamente il fruscio dell'abito e il rumore dei capelli che gli si spostavano sulle spalle: immobile, lo sguardo rivolto verso il buio delle bifore vuote, Res sembrava un blocco di pietra.
Ho... detto qualcosa che non va?” mormorò il ragazzo.
Si udì lo schiocco del bastoncino che si spezzava. “Sì.”
Di nuovo calò un silenzio greve come una pietra tombale. Dopo un po', Herich osò chiedere: “Che cosa c'è, cos'ho detto di sbagliato?”
Con voce appena udibile, senza girarsi il soldato sibilò: “Tu ti aggrappi alle stupidaggini che leggi sui tuoi libri e non hai idea di come siano le cose veramente. Non te lo chiedi nemmeno: per te la realtà è quella delle tue pagine di storie epiche, non hai mai visto un campo di battaglia, non ti sei mai trovato in uno scontro, in preda a dolore, fatica e terrore di morire, mentre vedi cadere i tuoi compagni davanti ai tuoi occhi e senti le loro urla di agonia...” Si interruppe, il ragazzo lo vide ingobbirsi ulteriormente, stringere i pugni come se avesse voluto frantumarseli. “Resen-Lhaw, il tuo Resen-Lhaw di cui hai letto tante imprese eroiche, esiste solo nelle pagine dei tuoi stupidi libri. Nella realtà era un mentecatto miserabile, che ha mandato al macello le sue truppe perché non era in grado di comandarle.”
Non è vero!” sbottò Herich.
Il soldato si voltò di scatto verso di lui. I suoi occhi azzurri si erano fatti taglienti come lame. “Non è vero, dici? E tu come fai a saperlo? L'hai conosciuto, per caso?”
Lui è stato un eroe. Lo sanno tutti che la Guerra Orientale si è conclusa con una vittoria solo grazie al suo eroico sacrificio.”
Quello che tutti sanno è solo una montagna di balle. Sono stupidaggini, buone solo per gli stolti e i creduloni.”
E tu come fai a dirlo? L'hai conosciuto, per caso? Oppure anche ai tempi della Guerra Orientale eri solo un soldato buono a nulla e disprezzato da tutti come ti ho conosciuto a Dyat? Tu sei invidioso di lui, ecco che cosa sei!”
A quelle parole, Res si alzò in piedi con minacciosa lentezza, arrivando a torreggiare su di lui. Herich deglutì a vuoto e indietreggiò di un passo, ma l'altro, immobile, si limitò a rivolgergli un lungo sguardo che aveva il sapore amaro della delusione. Alla fine, sempre in un silenzio glaciale gli girò le spalle e si allontanò, stese il proprio giaciglio in un angolo della stanza e si coricò voltandogli la schiena.


Raggomitolato nel suo mantello, Res sentiva Herich singhiozzare piano. Non era pentito di avergli rivolto quelle parole dure: il ragazzo era stato tenuto per troppo tempo lontano dalla realtà ed era bene che cominciasse a capire che tra le pagine dei suoi libri e la vita reale c’era spesso una profonda differenza.
Era bene che abbandonasse certi puntigli infantili, se in un futuro doveva diventare re, e cominciasse a rapportarsi con i fatti concreti e non con la rappresentazione ideale che aveva degli stessi.
Aveva conosciuto soldati del genere, e di solito tendevano a morire alla prima battaglia. Alla seconda, se erano particolarmente fortunati.
Se al contrario erano molto sfortunati, sopravvivevano mutilati o invalidi, e avevano tutto il resto della vita per capire la differenza tra la loro immagine ideale di battaglia e la guerra vera.
Generalmente, il miglior servizio che si poteva fare a costoro era proprio aiutarli ad aprire gli occhi, possibilmente prima che lo facesse la guerra.
Si mosse adagio, cercando di raggiungere una posizione in cui il fianco smettesse finalmente di pulsargli. Sfiorò con le dita il bendaggio e anche quella pur debole pressione fu in grado di spedirgli attraverso il corpo una fitta di dolore che gli fece venire la pelle d’oca. Emise un sospiro e si costrinse a ignorare le proprie condizioni. In ogni caso, non avrebbe dovuto preoccuparsene ancora per molto.


§


L’alba giunse fredda e lugubre. Aveva smesso di piovere, ma il terreno era disseminato di pozzanghere grigie e cupe come specchi di piombo.
L’aria era immobile, il silenzio assoluto.
Nemmeno il verso di un uccello turbava quella quiete sinistra.
I due cavalli procedevano a passo lento, arrancando nel terreno fangoso. Res si voltò indietro preoccupato: sebbene avessero guadagnato del vantaggio sugli As’vaan, quel terreno rischiava di dissolverlo, perché cavalli più leggeri vi si sarebbero mossi molto meglio dei loro. Non poteva però aumentare l'andatura, perché se una delle bestie di fosse azzoppata sarebbe stata la fine del loro viaggio.
Herich procedeva a qualche passo di distanza, silenzioso e con la testa china. Probabilmente si era pentito di ciò che aveva detto la sera prima, ma non sapeva come fare per scusarsi.
Non disse nulla. Non era più il momento di facilitare le cose al ragazzo, ma soprattutto non era più il momento di approfondire una conoscenza che a breve sarebbe dovuta comunque finire. Alzò gli occhi sul cielo grigio e poi li volse all'orizzonte, dove le brume del terreno si confondevano con le nubi basse. Qua e là sorgeva qualche albero spoglio, o qualche rovina in lento disfacimento.
Trasse da una bisaccia della sella una pergamena e la srotolò sull'arcione, rivelando una mappa. Seguì col dito uno dei percorsi che vi era tracciato, alzando di tanto in tanto la testa a scrutare i dintorni. Prese poi la bussola che aveva al collo, ne aprì il coperchio e rimase a fissare l'ago fino a che le sue oscillazioni non cessarono quasi del tutto.
A quel punto si fece udire la voce di Herich: “Manca molto a Dyat?”
Res si voltò nella sua direzione: il ragazzo lo stava fissando dubbioso, forse si aspettava una risposta brusca. “Entro questa sera raggiungeremo l'Edayr,” si limitò a informarlo, “seguendo il suo corso arriveremo a Dyat in un'altra mezza giornata di marcia.”
Il più giovane si rizzò sulle staffe come per abbracciare una porzione maggiore dell'orizzonte, poi chiese: “Quindi siamo quasi arrivati?”
Non è finita finché non è finita, principe.”
Il ragazzo non replicò, Res tornò a concentrarsi sulla mappa. Procedettero in un silenzio rotto solo dal rumore degli zoccoli e dallo sporadico tinnire dei finimenti.


§


Jeisym spinse il cavallo su una piccola altura e da lì rimase a lungo a osservare l'orizzonte. L'aquila volteggiava sopra di lui in lenti cerchi, ma rimaneva in silenzio.
Significa che non vede niente,” considerò Therved, rivolgendo un'occhiata al maestoso rapace.
Andiamo avanti,” fu la secca risposta, poi il Khan spronò il destriero e discese verso una pianura appena ondulata, spoglia, disseminata qua e là dei resti di antichi templi.
Due file di orme si perdevano all'orizzonte, parallele come i solchi lasciati da un carro.
Spronò il destriero e raggiunse le impronte, smontò di sella e si chinò a osservarle. I bordi erano più secchi rispetto al fondo, nel cavo di alcune di esse si era già depositato qualche granello di sporcizia. “Sono vecchie di un giorno,” ringhiò fra i denti. Di nuovo alzò gli occhi sull'aquila, ormai così alta da essere solo un puntino nel cielo grigio. Conosceva Shaar e tutti i modi in cui essa volava: quello indicava chiaramente che stava scrutando ogni anfratto, ma non riusciva a trovare ciò che stava cercando.
Maledetto,” sibilò. Riandò con la mente alla figura nera e silenziosa che aveva visto al mercato degli schiavi. Ormai cominciava a convincersi che Therved avesse ragione e che stessero in realtà inseguendo un demone di Vurar. Si chiese se esso li avrebbe infine condotti alla rovina come voleva la leggenda.
Rimontò a cavallo e prese a seguire le tracce, gettando di tanto in tanto uno sguardo all'aquila, che continuava a volteggiare in un silenzio attento.
Raggiunse dopo un paio d'ore quello che rimaneva di una costruzione che un tempo doveva essere stata magnifica: una navata immensa, sostenuta da possenti pilastri, con finestre alte venti braccia, in cui si coglievano ancora le vestigia di splendidi rosoni. Dal tetto sorgeva una cupola maestosa, altissima, che un tempo doveva essere stata il punto di riferimento per i viaggiatori di tutta la regione. Jeisym la immaginò con la copertura di lucido rame che doveva aver avuto all'epoca e involontariamente strinse gli occhi come per proteggersi da un sontuoso sfolgorare di luce.
Le impronte che stava seguendo entravano e uscivano dall'edificio, segno che i fuggitivi vi avevano trovato riparo per la notte.
Lo raggiunse con il suo seguito, smontò da cavallo e vi entrò accompagnato da Therved.
La polvere dei secoli aveva coperto qualsiasi cosa, per cui seguire le tracce era molto facile. Jeisym si chinò a osservare il pavimento e disse: “Sono entrati conducendo i cavalli a mano e stava di sicuro piovendo, perché hanno lasciato gocce dappertutto. I cavalli erano stanchi, guarda come trascinavano gli zoccoli.” Si alzò, fece girare lo sguardo tutt'intorno, poi lo fissò verso un punto alla base di un pilastro. “Là hanno messo i cavalli. Solo uno li ha rigovernati, direi l'uomo, visto che le impronte dei piedi sono grandi.” Fece un sorrisetto e soggiunse: “Il principe ovviamente non si abbassa a lavori così triviali.” Si chinò a osservare un escremento equino e confermò: “Come pensavo: vecchio di un giorno.”
Si rialzò, fece qualche passo nell'ampia sala. Una volta imparato l'alfabeto, per così dire, le impronte diventavano un libro che raccontava una storia. I due erano stati uno accanto all'altro e probabilmente avevano parlato del percorso, perché con un carboncino era stata tracciata una rozza mappa sul pavimento. Il disegno però non era completo e il bastoncino giaceva spezzato in due, segno che a un certo punto per qualche motivo l'atmosfera doveva essersi raffreddata. Uomo e ragazzo avevano poi dormito lontani, uno accanto al fuoco – verosimilmente il ragazzo – e l'altro a ridosso di una parete, il che era strano, perché nei bivacchi precedenti erano sempre stati uno accanto all'altro.
Il problema però, al di là dell'interessante lettura, rimaneva invariato: mantenevano un giorno di vantaggio. Certo con quel terreno il vantaggio si sarebbe ridotto, gli yereian erano troppo pesanti e sicuramente stavano affondando nel fango fino ai nodelli, ma la distanza da colmare rimaneva comunque enorme e la meta si stava inesorabilmente avvicinando.
Therved si avvicinò e disse: “Non meno di un giorno, Khan.”
Jeisym si girò a fissarlo con durezza. “Che cosa?”
Il loro vantaggio.”
Lo so, per tutti gli Abissi di Ghadar. Lo so benissimo. Ma possiamo ancora farcela.”
Sai che non è così, Khan. Dovrebbe intervenire Halmaikah in persona, e sbarrare loro il passo.”
Jeisym emise un sospiro e rispose: “Halmaikah si comporta come tutte le belle donne: chiede, chiede e chiede, ma quando è il momento di dare fa finta di essere distratta. Si limita a segnare col pollice i purosangue più pregiati e a vegliare sulla bellezza della steppa, ma faccende triviali come il valore di un figlio agli occhi di suo padre non le interessano.”
Non dire queste cose, Khan,” lo ammonì Therved. Spostò fugacemente lo sguardo verso l'alto, come per accertarsi che effettivamente la neghittosa divinità non stesse prestando attenzione alle loro parole.
Halmaikah sa che è vero,” rispose Jeisym con un'alzata di spalle, “e siccome è una divinità, fa comunque quello che le pare.”
Uscì dall'edificio in rovina e per un po' scrutò assorto il cielo. Shaar non era più in vista, ma il fatto che non si vedesse in giro nessun altro uccello suggeriva che fosse posata non lontano.
Fece qualche passo, un refolo di vento gli scompigliò i capelli candidi e arruffò le criniere dei destrieri. Si voltò verso i suoi uomini, che pur con l'aria di essere assorti nei loro pensieri lo stavano fissando con aspettativa.
Therved!” chiamò.
Subito il suo secondo lo raggiunse. “Mio signore?” chiese.
Therved, il cinghiale che non è capace di deviare la sua carica finisce dritto nella rete del cacciatore. Quello scaltro, invece, che sa frenare il proprio impeto e trovare altre strade, ottiene ciò che vuole.”
L'uomo lo fissò stupito. “Mio signore?”
È inutile che sfianchiamo i nostri cavalli per colmare una distanza che nemmeno Halmaikah, con i suoi destrieri celesti, riuscirebbe a coprire. Nys e Den'en sono ancora presso il principe Dewrich, saranno loro ad andare incontro ai fuggitivi e a uccidere il ragazzo.”
Sempre ammesso che siano ancora vivi,” rispose Therved.
Sanno badare a loro stessi, inoltre Dewrich sa che se li uccidesse dovrebbe poi guardarsi dalla mia vendetta.”
Ti faccio notare, Khan, che il principe Dewrich conta di essere re a breve. Avrà un intero esercito a proteggerlo dalla tua vendetta.”
Jeisym scosse la testa. “Non così in fretta: succederà al padre solo alla sua morte, come in tutte le case regnanti che si rispettino. Per ora è solo l'erede al trono.” Raggiunse il suo cavallo e rimontò in sella, quindi proseguì: “E comunque, nemmeno un esercito di centomila soldati può proteggere qualcuno dal veleno o dalla freccia di un sicario.”
Therved montò in sella a sua volta, affiancò il Khan e gli chiese: “Cos'avresti in mente, mio signore?”
Manderò Shaar a raggiungerli al monastero di Voldas. L'aquila porterà loro un messaggio. Non dovranno fare altro che appostarsi da qualche parte lungo la strada per Dyat e ucciderli quando li vedranno arrivare.”
Therved rimase in silenzio.
Jeisym lo fissò aggrottando le sopracciglia e gli chiese: “Non sei convinto?”
L'altro continuò a tacere.
Parla,” gli ingiunse a quel punto il Khan. “Voglio sapere quali sono i tuoi dubbi.”
Un piano del genere ha bisogno davvero della mano benevola di Halmaikah per funzionare, Khan. Presuppone che Nys e Den'en siano ancora vivi e liberi, che possano spostarsi senza attirare l'attenzione del principe Dewrich e che riescano a individuare il ragazzo e a ucciderlo. Non dimenticare poi che è accompagnato da un demone di Vurar, che ha abbattuto da solo sei guardie e il comandante Risskel.”
Nemmeno i demoni sono immuni alle frecce avvelenate, che io sappia,” rispose Jeisym, quindi soggiunse: “Inoltre, è l'unico modo che abbiamo per tentare di fermarlo prima che arrivi a destinazione. Noi da qui non riusciremmo mai a raggiungerlo in tempo.”


§


Nys finì di pettinarsi i lunghi capelli bianchi e se li acconciò in una treccia che poi fermò con un laccio di cuoio. Raggiunse gli spalti del monastero fortificato di Voldas e per un po' rimase a guardare l'orizzonte. La pianura si estendeva verde e ondulata fino alle pendici dei monti Kelis ormai coperti delle prime nevi, nel cielo terso vi era solo qualche rara nube. Il vento che sussurrava nell'erba alta gli comunicò un'atroce fitta di nostalgia.
Udì dei passi alle spalle e subito si girò con un movimento istintivo, mentre la mano gli correva al pomo della spada.
Sono io,” lo rassicurò Den’en.
Dov’eri?”
Ho fatto qualche scambio con la spada. Visto che dobbiamo stare qui, tanto vale approfittarne.” A torso nudo, incurante del vento gelido che spirava dalle vette dei Kelis, si passò le mani fra i capelli, che a differenza degli altri As’vaan portava corti. “Che c’è di nuovo?” chiese.
Nys alzò le spalle. “Niente. Avremmo fatto meglio a rimanere accampati fuori, secondo me.”
Avremmo dovuto procurarci provviste ed equipaggiamenti per stare fuori così a lungo. E poi il principe avrebbe capito che diffidiamo di lui al punto da non voler stare chiusi da qualche parte con lui.”
Io credo che lo sappia già,” obiettò Nys.
L’altro gli si affiancò e a sua volta lasciò scorrere lo sguardo sulla pianura deserta. Rimase in silenzio per un po', poi disse: “Quest’attesa è snervante. Mi sento come se fossimo due lupi in mezzo a un branco di mille cani. Certo, per ora non ci fanno niente, ma come potremmo difenderci, in due, se il principe decidesse di eliminarci?”
Il principe non può eliminarci. Sa bene che la vendetta sarebbe terribile.”
Den’en emise uno sbuffo infastidito. “È come stare sotto una lama sospesa a un crine di cavallo.”
A proposito di cavalli,” sospirò Nys, “Quanto vorrei fare una bella cavalcata. Il mio baio è così veloce che quando galoppa ti fa lacrimare gli occhi, ti sembra di volare.” Assunse un’espressione sognante.
L’altro gli diede una gomitata e replicò: “Non sarà mai veloce come il mio sauro.”
Il primo stava per protestare quando dal cielo provenne un lungo strido. Simultaneamente alzarono lo sguardo e videro che un’aquila si stava approssimando a gran velocità.
Subito Den’en si fece ombra con la mano e scrutò il rapace in avvicinamento. “È Shaar!” esclamò alla fine, “È il messaggero del nostro signore.” Si fece indietro per lasciare spazio all’aquila.
Nys sorrise e disse: “Finalmente Halmaikah ha ascoltato le nostre preghiere e il Khan ci manda a chiamare.”
Il rapace si posò solenne ed essi si accorsero che aveva un piccolo rotolo legato a una zampa.
Den’en lo staccò delicatamente e lo svolse, rivelando un testo scritto in caratteri fini e regolari. Alzò lo sguardo sul compagno e disse: “Meglio andare in un posto più tranquillo.”
L'altro annuì. “Scendiamo,” propose.
Mentre l'aquila riprendeva il volo e si allontanava con lenti battiti d'ala, i due abbandonarono gli spalti e raggiunsero un anfratto appartato del giardino in cui sorgeva l'altare di Jechen. Si guardarono rapidamente intorno per accertarsi di essere soli, quindi Den'en riprese il biglietto che nel frattempo aveva nascosto.
Man mano che procedeva con la lettura, la sua espressione virava verso una via di mezzo tra stupore e preoccupazione. Quando ebbe finito, rialzò la testa e disse: “Questa, poi...”
Nys si avvicinò incuriosito. “Brutte notizie?” chiese, scrutando a sua volta la piccola pergamena.
Strane, più che altro. Il nostro signore ci chiede di andare verso la città di Dyat e di fermare il fratello del principe Dewrich prima che vi giunga. Specifica di non dire niente al principe.”
Il fratello del principe? Ma non era stato ucciso?”
Den’en si strinse nelle spalle. “A quanto pare, no.”
Non ci capisco niente.”
Nemmeno io, ma il nostro signore ci ordina di abbandonare il monastero senza farci vedere e recarci alla strada che conduce a Dyat. Il ragazzo viaggia con un uomo di corporatura possente, entrambi montano cavalli Yereian.”
Beh, allora andiamo a prendere le nostre armi e i cavalli,” disse Nys.
Non così in fretta, amici miei,” ammonì una voce alle loro spalle.
I due dapprima si immobilizzarono, poi si girarono e si trovarono davanti il principe Dewrich, in armatura e seguito da una torma di guerrieri.
Questi si fece avanti lentamente. La sua espressione era in apparenza tranquilla, ma suoi occhi verdi fiammeggiavano. Stese la mano e Den’en dopo qualche esitazione vi depose la pergamena. Il principe la strinse in pugno e disse: “E così, il mio caro fratello è sfuggito alla morte e ora sta tornando a reclamare il trono? Decisamente efficienti i predoni di As'del, non c’è che dire. Una sola cosa vi avevo chiesto: uccidere quel piccolo bastardo.” Fece un sospiro come di esasperazione, poi proseguì: “Ho sborsato migliaia di monete d’oro per questo lavoro, e chi sta arrivando in città adesso? Proprio lui. Mi sa che dovrò provvedere personalmente.”



   
 
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