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Autore: blackjessamine    09/11/2018    6 recensioni
Dudley Dursley non si è mai ritenuto un uomo particolarmente intelligente, ma quando si ritrova legato come un salame in quella che è evidentemente una stanza per gli interrogatori, si rende conto che qualcosa, nel suo piano, deve essere andato storto. Soprattutto perché le stelle dipinte sul soffitto sembrano pulsare e risplendere di luce propria, e i suoi aguzzini attraversano indenni fiamme violette.
A trentacinque anni, Dudley Dursley non è un uomo particolarmente intelligente, ma non è nemmeno il ragazzino arrogante e viziato che per anni aveva chiuso gli occhi davanti alle ingiustizie perpetrate sotto il suo stesso tetto.
Dopo dieci anni di vita perfettamente normale, e tante grazie, Dudley Dursley non avrebbe mai pensato di dover affrontare di nuovo quelle persone armate di bacchette e parole buffe, ma sembra che la vita gli abbia giocato un meschino scherzo del destino, costringendolo ad affrontare i suoi rimorsi e i silenzi che minacciano di soffocare la sua coscienza.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dudley Dursley, Ginny Weasley, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Rachel era a dir poco entusiasta: tre giorni prima era stata svegliata dal peso di qualcosa di grosso che veniva posato ai piedi del suo letto, e quando aveva aperto gli occhi, si era ritrovata a fissare un grosso pacchetto rettangolare, tutto avvolto in una spessa carta da pacco marrone scuro ricoperta di timbri e bolli dalle forme più assurde.
Per un po', la bambina era rimasta ad osservare il pacchetto, confusa: faceva caldo, Natale e il suo compleanno erano lontani, e allora perché c'era quel grosso pacco ai piedi del suo letto? Quando si era guardata attorno, aveva visto la sua mamma seduta alla sedia della piccola scrivania, intenta ad osservarla con un grande sorriso.
“C'è un pacco per te dall'America.”
Norah stringeva tra le mani un foglio di carta ricoperto da una scrittura fitta fitta.
Un pacco dall'America! Questo significava che lo zio Kevin doveva averle mandato un regalo... in effetti, capitava spesso che zio Kevin spedisse dei regali anche senza una ragione precisa, e per Rachel era sempre una festa aprire uno di quei pacchetti avvolti nella plastica gialla, far scoppiare i pallini di aria della carta protettiva, lanciare le palline di polistirolo ovunque... eppure, quel pacco aveva un'aria diversa da quelli che era abituata a vedere. Anche la lettera che la mamma stringeva tra le mani sembrava diversa. Era un foglio giallastro, che sembrava di un materiale diverso dalla carta, molto più spesso e resistente.
Strofinandosi gli occhi ancora annebbiati dal sonno, la bambina si districò dalle lenzuola, e avanzò lentamente verso il pacchetto.
“Vuoi che ti legga prima la lettera dello zio?”
Rachel annuì, curiosa: lo zio Kevin e la mamma si scrivevano delle e-mail almeno tre volte alla settimana, e spesso si parlavano attraverso lo schermo del computer, e Rachel adorava quando questo succedeva e lei era ancora sveglia, perché lo zio era sempre simpatico e la faceva ridere. Quando però lui spediva qualche regalo, non rinunciava mai a scrivere anche qualche lettera, di solito corredata da disegnini e ghirigori un po' sghembi, che Rachel si divertiva a copiare con i suoi pennarelli.
Norah lasciò che la bimba sedesse sulle sue ginocchia, lisciò il foglio di pergamena che teneva fra le mani, e cominciò a leggere:
“Carissima Rachel,
La mamma mi ha detto che queste giornate sono state piene di novità, per te. Immagino che avrai tante domande sulle cose che la mamma ti ha raccontato: voglio che tu sappia che non devi mai avere paura o vergogna di chiedere qualche cosa, e se mamma e papà non dovessero essere in grado di rispondere alle tue domande, sappi che puoi sempre scrivere a me. Siamo lontani, ma io farò tutto il possibile per risponderti il più velocemente possibile.
Ho sempre saputo che sei una bambina speciale, e non vedo l'ora che, fra tre settimane, tu e la mamma veniate a trovarci: ci sono tante cose che vorrei farti vedere, e mi piacerebbe che anche tu mi facessi vedere quello che sai fare.
Anche i tuoi cugini Andrew e Peter non vedono l'ora di rivederti: Andrew è appena tornato dal suo primo anno ad Ilvermorny, la Hogwarts americana, e non sta più nella pelle all'idea di poterti raccontare tutto quello che ha visto e imparato senza paura di spaventarti. Peter invece vorrebbe insegnarti a cavalcare una scopa volante, ma se preferisci restare con i piedi per terra, non ci sono problemi.

Ora che finalmente anche tu sai tutto di questo mondo, sono molto felice di poterti fare dei regali speciali. Questi libri sono molto vecchi, ma sono sicuro che ti piaceranno moltissimo. Quando avevamo la tua età, io e la mamma ne avevamo diversi molto simili. Purtroppo i nostri sono rimasti chissà dove in Inghilterra, e non sono più riuscito a ritrovarli, però ho scovato comunque qualcosa che spero ti possa piacere.
Ti voglio tanto bene, e non vedo l'ora di abbracciarti,
zio Kevin
P.S. nel pacco ho infilato anche un vecchio cappellino delle Holyhead Harpies: se mai doveste incontrare la moglie di Harry Potter e voleste farle autografare quel cappellino, rendereste lo zio Kevin l'uomo più felice d'America.”
Rachel non era certa di aver capito ogni cosa di quella lettera - non aveva idea di che cosa fossero le Holyhead Hrpies - però non vedeva l'ora di aprire il suo regalo: da quando la sua mamma e il suo papà le avevano spiegato che le cose strane che le succedevano erano del tutto normali, e significavano solamente che lei aveva dei poteri magici, come tante altre persone al mondo, le sue giornate si erano fatte più luminose. Era più facile controllare quelle cose strane, riusciva a farle accadere quando voleva lei, e quando invece voleva tenerle nascoste riusciva quasi sempre a trattenersi. Ogni giorno la mamma, che conosceva bene il mondo delle persone con poteri speciali, perché sia lo zio Kevin che il loro papà avevano quei poteri, le raccontava qualcosa di nuovo. Aveva imparato che le persone come il papà o i suoi compagni di classe di chiamavano babbani, e che era molto importante non raccontare loro la verità, perché altrimenti avrebbero potuto spaventarsi o credere di essere presi in giro. Aveva imparato che, quando avrebbe compiuto undici anni, avrebbe ricevuto una bacchetta magica, e con quella avrebbe imparato a fare magie complicate ma bellissime. Aveva anche imparato che esistevano interi quartieri, nascosti, dedicati solo alle persone con i poteri magici, dove i negozi vendevano gufi postini e scope volanti e calderoni per preparare pozioni magiche. La mamma le aveva promesso che, a Los Angeles, lo zio Kevin le avrebbe accompagnate nei quartieri magici americani, e lei non stava più nella pelle.


Rachel ora era sdraiata sul folto tappeto nel soggiorno di Dudley, il naso immerso nel Libro Impolverato che raccontava la storia di una fonte capace di fare doni straordinari a chiunque l'avesse raggiunta: il regalo dello zio Kevin era stato azzeccatissimo. Da quando aveva scoperto quei libri meravigliosi, incantati da una sorta di polvere scintillante che, ad ogni pagina, si addensava in ricche volute fino a creare l'immagine tridimensionale e minuziosa delle scene descritte nella storia, Rachel non aveva mai smesso di sfogliarli. Li aveva mostrati a Dudley con gli occhi scintillanti di entusiasmo, e anche Dudley, dopo una ritrosia iniziale che lo aveva spinto a sfogliare le pagine solo con la punta delle dita, aveva dovuto ammettere che si trattava di oggetti molto affascinanti.
Padre e figlia avevano trascorso la giornata assieme, chiusi in casa per ripararsi dalla pioggia battente, e Rachel non si era staccata dai suoi libri nemmeno un minuto. Quando Norah era arrivata, poco prima di cena, aveva trovato la piccola ancora immersa nella lettura di quelle strane fiabe.
Norah aveva accolto con gioia l'invito di Dudley di fermarsi a cena, e, conoscendo l'inettitudine del suo ex marito ai fornelli, aveva preso il comando della piccola cucina.
Mentre Norah si faceva aiutare da Rachel a impastare le polpette - che la bambina si divertiva a modellare in forme fantasiose e spesso non del tutto rispondenti alle leggi della fisica - Dudley sparì in soggiorno per una buona mezz'ora, con l'orecchio premuto contro il telefono. Era un fatto piuttosto curioso, poiché di solito Dudley, nel poco tempo che riusciva a passare con Rachel, tendeva a tagliare corto ogni conversazione, anche quelle di lavoro.
Quando Norah ebbe finalmente infornato la sfilza di giraffe, cuoricini e casette di carne, Dudley tornò finalmente in cucina, il viso arrossato e le maniche della camicia arrotolate attorno ai gomiti: sembrava che avesse appena corso una maratona. Norah non ebbe il tempo di chiedergli se andasse tutto bene, perché l'uomo si versò un bicchiere d'acqua e, guardando Rachel, esordì:
“Ho appena parlato con Harry: tra due settimane Lily compirà gli anni, e dice che le farebbe molto piacere averti fra gli invitai della sua festa.”
Rachel, con le mani ancora sporche di farina e macinato di carne, sorrise entusiasta, e rispose che ci sarebbe andata volentieri, perché voleva scoprire se davvero lei e Albus avevano delle scope volanti.
Dudley, dal canto suo, cercò di trattenere un gemito: l'idea che sua figlia fosse rimasta così tanto colpita da queste maledette scope volanti non gli piaceva proprio per niente, e, se avesse potuto, avrebbe ancorato i suoi deliziosi piedini al terreno con zavorre immense.
Quando la bimba sparì in bagno a lavarsi le mani, Dudley guardò Norah, e le disse:
“Sai... magari potresti... se hai voglia, naturalmente, e se non hai niente di meglio da fare, però potresti venire anche tu.”
Dudley non avrebbe mai saputo dire che cosa lo avesse spinto a farle una domanda del genere. Probabilmente, era tutta colpa di quei maledetti libri di Rachel, che, se guardati troppo da vicino, facevano un po' girare la testa. O forse era tutta colpa di quella nuova complicità che era nata tra di loro: da quando avevano parlato apertamente con Rachel, Dudley e Norah si erano ritrovati a telefonarsi spesso, per confrontarsi sulla serenità della bambina. E sempre più spesso si erano ritrovati a passare del tempo insieme, con la scusa di volersi occupare insieme della presa di coscienza di Rachel. E più si occupavano della piccola, rispondendo pazientemente al suo inesauribile flusso di domande e curiosità, più si ritrovavano a parlare tra di loro, a chiedersi consigli, a esaminare i ricordi comuni del mondo magico. Qualche volta, Dudley si ritrovava a ridere così apertamente insieme a Norah, cogliendo ogni sfumatura ironica della sua voce, accogliendo la sua complicità con una naturalezza che temeva di aver dimenticato, che quasi scordava che lui e Norah non erano più i due ragazzi accecati dalla passione di un tempo. Era facile perdersi in quei grandi occhi scuri, lasciarsi avvolgere dalla luce dorata che Norah sembrava emanare, bearsi della carezza della sua voce vivace e allegra...
“E io dovrei perdere l'occasione di ringraziare personalmente Harry Potter per aver salvato il mondo? Certo che ci verrei volentieri!”
Dudley, davanti a quelle parole, quasi si sciolse. Quando Harry gli aveva telefonato per invitare Rachel al compleanno di Lily, l'uomo si era poi attardato a chiedere come stessero andando le cose con la piccola, e Dudley, sorprendentemente, si era ritrovato a spiegare a suo cugino la verità. Quando Harry aveva capito che la sua ex moglie era cresciuta in una famiglia di maghi, era scoppiato in una fragorosa risata, dicendo che non avrebbe potuto immaginare uno scherzo del destino più azzeccato. E Dudley si era ritrovato a ridere amaramente insieme a lui, pensando che il vero scherzo non stava tanto nel fatto di essersi innamorato di Norah, quanto in quello di averla persa.
Perché a poco serviva guardare Norah, ridere assieme a lei, chiacchierare per ore, come quando erano stati solo due ragazzi inconsapevoli di quello che il destino aveva in serbo per loro, perché la verità era che, nonostante tutto, lui e Norah vivevano separati da troppi anni di silenzi e di parole nascoste.
Qualcosa, sul viso di Dudley, doveva essere emerso, perché Norah si affrettò a farsi seria, e aggiunse:
“Se tu ne hai voglia, naturalmente. Non mi voglio imporre, quella è la tua famiglia, dopotutto...”
C'era una tale incertezza, nei suoi occhi, che Dudley si affannò a rassicurarla:
“Certo che ne ho voglia. Si tratta della famiglia di Rachel, e la famiglia di Rachel è anche la tua famiglia... e a me farebbe tanto piacere, se tu volessi venire assieme a noi.”
Norah sorrise, ancora un po' incerta, e dopo una piccola esitazione, si diede da fare per cominciare ad apparecchiare la tavola, lamentandosi scherzosamente del disordine di Dudley, che non aveva nemmeno un piatto che si abbinasse all'altro.

Cenarono il fretta, accompagnati dall'incessante chiacchiericcio di Rachel, che descriveva per l'ennesima volta il pomeriggio trascorso in compagnia dei cugini, il mese precedente, e inanellava una dopo l'altra una quantità infinita di domande che avrebbe voluto porre a Lily e Albus, e anche a James, il fratello maggiore di cui i bambini avevano spesso parlato, e che lei non aveva ancora conosciuto.
Quando finalmente la bambina si calmò, Norah e Dudley restarono soli in cucina, impegnati con le stoviglie sporche.
Dudley insaponava e sciacquava, Norah asciugava, proprio come avevano sempre fatto.
“Caspita, Rachel sta diventando incontenibile. Quasi non la riconosco più.”
Dudley annuì, sorridendo. Rachel era cambiata tanto, nelle ultime settimane, ma forse parlare di cambiamento era sbagliato. Rachel non era cambiata, era sempre la stessa bambina tranquilla e buona, ma era cambiato il suo approccio al mondo. Era cambiata la diffidenza con cui guardava alle sue capacità, ed era cambiata l'incertezza con cui interagiva con gli altri bambini. Se dapprima Rachel era stata una bimba insicura, piena di paure verso il mondo esterno, ma sopratutto verso sé stessa, ora Rachel era una bimba curiosa e piena di nuove consapevolezze, una bambina che non vedeva l'ora di aprirsi al mondo, e vivere finalmente a pieno ogni esperienza. E Dudley non avrebbe mai rinunciato a quella bambina serena e curiosa, nemmeno per tutti i pomeriggi perfettamente normali, e tante grazie, del mondo.
“Io avevo così tanta paura... credevo che non sarei stato in grado di accompagnarla in questo viaggio, avevo paura che lei non facesse che spaventarsi, o che questo mondo se la prendesse, tagliandomi fuori, e invece...”
Norah annuì, e aggiunse:
“Sai, da piccola qualche volta ero gelosa. Insomma, andiamo, chi non vorrebbe avere una bacchetta magica, vivere in un castello incantato, imparare a fare incantesimi e pozioni magiche?”
Dudley, con una fitta di disagio, si rese conto che lui, da piccolo, non lo voleva. Quando aveva scoperto la verità su Harry, aveva avuto il terrore che qualcosa di simile potesse accadere anche a lui. Aveva visto il disprezzo e il terrore con cui i suoi genitori guardavano Harry, e per mesi si era guardato allo specchio, temendo di scorgere anche nei suoi occhi qualcosa di magico, qualcosa che lo avrebbe trasformato nell'oggetto della paura e del disprezzo di mamma e papà. Eppure ora, a distanza di anni, quando ascoltava i racconti di Norah non poteva che ammettere, in una parte remota della sua anima, che c'era un che di fantastico, in quel mondo.
“Quando poi Kevin è dovuto partire, ci sono rimasta molto male... insomma, era il mio gemello, il mio compagno di giochi, il mio migliore amico, e mi aveva lasciata sola per andare a vivere un'avventura che non avremmo mai potuto condividere.”
Dudley annuì: non doveva essere stato facile, e se solo le cose tra lui e Harry fossero andate diversamente, quando erano bambini, probabilmente avrebbe capito anche lui meglio che cosa Norah voleva dire.
“Però papà è sempre stato bravissimo. Ci ha sempre raccontato tutto del suo mondo, ma non come se si trattasse di qualcosa di straordinario e di lontano, ma come qualcosa di perfettamente naturale, a portata di mano, che riguardava strettamente anche me e la mamma... insomma, io non sono mai stata a Hogwarts, ma ho capito che questo mondo appartiene anche a me, perché le persone a me più care fanno parte di questo mondo, e questo ci rende una cosa sola.”
Dudley intuiva che cosa Norah volesse dire: era sempre stato abituato a pensare alla magia come a qualcosa di diametralmente opposto a lui, qualcosa di lontano, di pauroso, qualcosa metteva in contrapposizione un noi e un loro. E poi era arrivata Rachel, che lui amava così tanto da sentirla quasi come una parte di sé, e poco importava che lui non avrebbe mai capito che cosa si provava ad agitare una bacchetta e vedere la materia obbedire al suo comando, perché quel mondo, il mondo della magia, quella scuola, tutto ormai lo riguardava, e lo riguardava così da vicino che poche altre cose importavano.
“Quanto tempo ho perso...” si ritrovò a bisbigliare Dudley, fissando con insistenza i piatti ancora coperti di schiuma nel lavello. Non sapeva più a che cosa si stesse riferendo: se a Rachel, e ai mesi trascorsi cercando di prendere tempo, senza avere il coraggio di parlare apertamente con Norah, o se a tutti gli anni che aveva passato combattendo contro le sue paure, senza avere il coraggio di accettare la magia come qualcosa di perfettamente normale, di riconoscere la meschinità dei suoi genitori, regalare uno sguardo diverso a quel ragazzino magro che condivideva il suo tetto...
Improvvisamente, Norah lasciò cadere il canovaccio che stringeva tra le mani.
“Oh, Dio, siamo stati così stupidi...” sussurrò la donna, travolgendolo con un abbraccio impetuoso. Dudley, interdetto, rimase immobile per un attimo, per poi circondare il corpo esile di Norah, cercando di godere di ogni singolo secondo di quell'abbraccio.
“Abbiamo fatto tutto così di fretta, e se solo ci fossimo fermati a parlare un po' di più... se ci fossimo fidati di più di noi... oh, Dudley, certe volte penso che abbiamo sbagliato tutto, io e te!”
Dudley non sapeva che cosa dire. Era un disastro, lui, con le parole, e tutto quello che voleva era continuare a fare la cosa giusta, comportarsi nel modo migliore con Rachel, non rovinare quella tregua dorata che era venuta a formarsi tra lui e Norah...
E continuare a stringerla fra le braccia, respirare il profumo vanigliato della sua pelle, sentirsi avvolto dalla calda luce autunnale che sapeva riempire di colore la sua grigia esistenza, sentirsi così pieno di gioia e serenità da poter scavalcare qualsiasi ostacolo...
“Norah...”
Norah si strinse ancora di più a lui, e bisbiglio:
“Certe volte mi manchi tanto, Dudley, mi manchi così tanto...”
“Sempre” aggiunse Dudley, rapido, cercando di tenere a freno il folle impulso di sollevare Norah tra le braccia e prendere a baciarla, come solo in un film avrebbe avuto senso fare.
“Tu mi manchi sempre, Norah.”
La donna finalmente alzò il suo sguardo su di lui, e i suoi occhi erano grandi, luminosi, pieni di una luce così intensa che Dudley sentì la sua testa prendere a vorticare pericolosamente.
Dudley non era un uomo particolarmente intelligente, né era mai stato portato per dichiarazioni importanti e grandi discorsi, ma anche lui era in grado di individuare quello che poteva essere definito un punto di svolta. Non aveva idea di quello che sarebbe successo nella sua vita, né di come si sarebbero evolute le cose fra lui e Norah, ma di una cosa era certo: non si può fissare una persona con tanta intensità e poi credere che tutto rimarrà uguale.
La sua mente confusa girava a vuoto, ma le sue labbra si erano già aperte per pronunciare qualcosa, parole sbagliate, affrettate, fuori luogo, che sicuramente avrebbero rovinato ogni cosa. E avrebbe davvero rovinato ogni cosa, se a tacitare ogni sua esternazione non fossero arrivate le manine di Rachel, che si gettò fra i suoi genitori abbracciati, avvolgendo entrambi in una stretta così forte che, per un attimo, Dudley nemmeno vide le scintille dorate che avevano preso a vorticare attorno a loro tre.


 
***


Dudley non sapeva bene che cosa aspettarsi, da quell'ennesimo incontro: quando aveva confermato a Harry la loro presenza alla festa di compleanno di sua figlia, non avrebbe mai immaginato che Harry avrebbe dato loro appuntamento alla fermata della metropolitana di Homerton, a Londra. Dudley era convinto che Harry abitasse davvero nel Devon. Evidentemente, dovevano aver deciso di festeggiare il compleanno di Lily da qualche parte a Londra. Del resto, nonostante Norah lo avesse rassicurato, dicendo che i compleanni dei maghi erano molto simili a quelli babbani, Dudley non era certo di sapere che cosa avrebbe dovuto affrontare quel giorno.
Aveva lasciato la macchina sotto casa di Norah, e poi insieme lui, Norah e una sovreccitata Rachel avevano percorso i pochi metri che li separavano dalla fermata della metropolitana.
Il viaggio era stato lungo e difficoltoso: sembrava che quella calda domenica mattina tutta la popolazione di Londra avesse deciso di darsi appuntamento sulla loro linea della metropolitana, cosicché Dudley fu costretto a viaggiare con lo spigoloso zaino di un ragazzino conficcato nella schiena, mentre il suo braccio, piegato perché riuscisse a tenere stretta la mano di Rachel, aveva quasi del tutto perso la sensibilità.
Quando finalmente i tre emersero nel caldo afoso di quel luglio londinese, Dudley era tutto sudato, e cominciava ad essere un po' nervoso. Iniziava a credere che incontrare Harry lo avrebbe sempre reso molto nervoso, nonostante al telefono l'uomo fosse sembrato tutto sommato tranquillo e bendisposto nei loro confronti.
Mentre i tre si aggiravano pigramente attorno alla fermata della metropolitana, osservando incuriositi il muro di mattoni rossi che correva lungo la via principale del quartiere, Dudley si chiese di nuovo che cosa diamine avesse in mente Harry. Forse li aspettava lì in macchina, e insieme avrebbero raggiunto il luogo della festa... ma, se così fosse stato, sarebbe stato molto più semplice dare direttamente a Dudley l'indirizzo del luogo della festa.
Anche Norah sembrava nervosa, ma di un nervosismo diverso: continuava a sistemare le mollette fra i capelli di Rachel, e si guardava intorno piena di apprensione.
“Dudley, sei sicuro che non disturbo? Insomma, hanno invitato te e Rachel, io non c'entro niente...”
Dudley avrebbe voluto circondare le spalle di Norah con un braccio, ma era fin troppo consapevole del sudore che probabilmente aveva macchiato la sua camicia, così si limitò a rispondere:
“Non ti preoccupare, Harry ha detto di essere curioso di conoscerti, quindi non ci sono problemi.”
In quel momento Rachel, che non aveva mai voluto lasciare il pacco con il regalo per Lily, nemmeno durante l'agitato tragitto in metropolitana, fece un balzo in avanti, esclamando:
“Eccolo! È arrivato!”
In effetti, Harry stava percorrendo a passo rapido il marciapiede di fronte a loro: Dudley era certo che, fino a qualche secondo prima, quel marciapiede fosse stato deserto. Quando li vide, l'uomo fece un ampio cenno di saluto, e indicò loro di attraversare la strada e di raggiungerlo.
Harry salutò calorosamente Rachel, assicurandola che nel mese trascorso dall'ultima volta che si erano visti la bambina era cresciuta molto, poi si attardò a fare qualche chiacchiera con Norah, che parlava con voce leggermente più acuta del solito, e ad una velocità sorprendente. Quando lui e Dudley si strinsero la mano, Dudley si rese conto che, di nuovo, Harry era probabilmente nervoso quanto lui, ma c'era un sorriso incoraggiante, in fondo ai suoi occhi.
“Ehm, ok... Norah, Dudley mi ha detto che conosci il nostro mondo meglio di lui... hai già viaggiato in Metropolvere?”
I quattro stavano camminando a passo lento attraverso il quartiere sonnolento, Harry in testa, Rachel tenendo diligentemente la mano di Norah.
“Oh, santo cielo, sì, qualche volta sì. Saranno almeno quindici anni che non metto piede in un camino, però!”
Oh, no. Dudley non era certo di voler sapere che cosa li aspettava: l'ultima volta che aveva messo piede in un camino, non era stata esattamente un'esperienza divertente. Avrebbe decisamente preferito guidare, fosse anche fino nel Devon, piuttosto che doversi gettare di nuovo in quel nauseante turbinare di fiamme smeraldine.
Harry, alla fine, si arrestò davanti alla porta sbarrata da due assi di legno incrociate di quello che sembrava un palazzo in attesa di essere demolito. C'era anche un cartello che vietava l'ingresso ai non autorizzati, ma a quanto pareva Harry aveva un'autorizzazione, oppure era ben deciso ad ignorare ogni sorta di divieto.
“Ehm... sicuro che sia proprio il posto più adatto?” domandò incerto Dudley, posando una mano sulla spalla di Rachel. Non aveva intenzione di far attraversare a sua figlia ponteggi marci e macerie.
“Sicurissimo” rispose Harry, gettandosi un'occhiata guardinga alle spalle. Quando si fu assicurato che nessuno stava prestando loro attenzione, estrasse dalla tasca dei pantaloni la sua bacchetta - che strappò un sospiro di ammirazione di Rachel - e picchiettò lievemente le assi che sbarravano la porta.
Con immenso stupore di Dudley, le assi si contorsero, la porta fatiscente prese a tremolare, e ben presto si ritrovarono a fissare un grande portone di legno lucido. Una targhetta dorata e priva anche solo del più piccolo graffio recava una scritta in caratteri elaborati: “Stazione della Metropolvere di Homerton, Londra. L'accesso è consentito ai minorenni solo se accompagnati da un adulto. I viaggiatori sono pregati di non sprecare la Polvere: ricordiamo che una manciata è sufficiente per trasportare due viaggiatori all'interno dei Confini Nazionali. Il servizio è gestito dal Dipartimento del Trasporto del Ministero della Magia Inglese. Buon viaggio!”
Quando Harry aprì la porta, Dudley faticò a non imitare sua figlia, che proruppe in un sognante wow di meraviglia.
Non si trovavano all'interno di un cantiere, né erano nell'atrio di una casa in rovina. Varcata la soglia, si ritrovarono in una piccola stanza dal pavimento in legno lucido ricoperto di folti tappeti dall'aria morbidissima. Alle pareti erano appesi numerosi quadri dipinti mirabilmente, che rappresentavano ampie vedute naturalistiche dei luoghi più suggestivi del Paese. C'erano numerosi pouf ricoperti di velluto colorato dall'aria invitante, uno scrittoio di mogano su cui erano impilati diversi fogli di pergamena puliti accanto ad una boccetta d'inchiostro scuro e a una lunga piuma candida, e c'era addirittura un trespolo su cui era appollaiato un gufo dall'aria sonnacchiosa. Ciò che però attirava maggiormente l'attenzione era un ampio camino di pietra, abbastanza largo da occupare quasi per intero il lato più corto di una parete. Un fuoco allegro e scoppiettante ardeva nel camino, ma nella stanza la temperatura era del tutto gradevole.
“Oh, santo cielo...” si ritrovò a mormorare Dudley, incredulo. Rachel, dal canto suo, era incantata dalla vista del gufo, che aveva aperto i suoi occhi color ambra, e fissava i nuovi venuti con vispa curiosità.
Harry indicò un grosso vaso di porcellana candida posto accanto al camino, e spiegò:
“Gettando una manciata di questa polvere nel camino, le fiamme diverranno del tutto innocue. Una volta entrati nel camino, dovrete pronunciare con attenzione la parola “La Tana”, e vi ritroverete a casa dei miei suoceri. Pronti?”
No, Dudley non era per niente pronto. E nemmeno Rachel, che aveva stretto convulsamente le dita di Norah, e fissava con gli occhi spalancati Harry, come se per la prima volta si fosse resa conto che quell'uomo era completamente pazzo.
“Amore, non aver paura. Ti assicuro che non è per niente pericoloso... anzi, è anche divertente!”
Ma le parole di sua madre ebbero ben poco effetto sulla piccola, che arretrò di qualche passo, confusa.
Harry, allora, intervenne:
“Non devi andare da sola, puoi sempre andare con la mamma o il papà. Questo camino è abbastanza grande, per fortuna.”
Ma Rachel non sembrava affatto convinta. I suoi grandi occhi saettavano da Harry alle fiamme, e Dudley vide che avevano cominciato a riempirsi di lacrime.
Con le gambe che gli tremavano, Dudley decise di prendere in mano la situazione. Avanzò rapidamente fino a sistemarsi davanti al camino, e disse, cercando di mantenere la voce salda:
“Guarda, tesoro, vado prima io, così vedrai che non ti succederà niente. Pronta?”
la bimba annuì, incerta, mentre una lacrima scendeva a carezzarle la guancia: Dudley si pentì immediatamente di aver fatto quella proposta. Ma ormai il danno era fatto, e lui non poteva arretrare adesso, non mentre aveva gli occhioni ancora spaventati di Rachel puntati addosso.
Ricordando perfettamente quello che aveva dovuto fare mesi prima nell'ufficio di Harry, afferrò una manciata di polvere scintillante dal vaso di porcellana davanti al camino, e la gettò nelle fiamme. Mentre osservava le fiamme cambiare colore, fece un respiro profondo, sorrise a Rachel, e camminò con fare deciso verso le fiamme.
Di nuovo quella sensazione di una brezza tiepida che lo avvolgeva, la cenere che gli vorticava attorno, le fiamme che solleticavano la sua pelle... si voltò per guardare di nuovo Rachel, che era sbiancata, e lo fissava terrorizzata. Sorrise, sollevò un pollice in direzione della sua bambina, sperando che l'espressione sul suo viso fosse un sorriso rassicurante, e non una smorfia nauseata. Cercando di non respirare troppa cenere, esclamò:
“La Tana!”

Note:
Dunque, i Libri Impolverati: sono una mia invenzione, e fanno la loro prima, rapida comparsa nella storia “Quanto lontano siamo giunti”, nella mia raccolta sui Malandrini “Ogni giorno, ogni respiro”. Mi è sembrato carino tirarli fuori dal cilindro qui, anche se non sono certa che in questo capitolo si capisca molto bene che cosa sono.
Poi, la stazione della Metropolvere: mi sono sempre domandata se si potessero raggiungere solo abitazioni private o comunque luoghi circoscritti, o se non avesse più senso predisporre una sorta di “scali” anche in città, o in luoghi pubblici, per permettere ai maghi meno avvezzi alla materializzazione di spostarsi in zone babbane (o zone che conoscono poco... insomma, provate voi a materializzarvi in piazza Duomo a Milano la domenica pomeriggio e a non ammazzare almeno tre turisti in un colpo XD).
Quanto alla storia... siamo davvero alla fine. Ho già una bozza dell'ultimo capitolo e dell'epilogo, quindi spero di non farvi aspettare troppo.
Al solito quando arrivo in fondo ad una storia, non riesco più a capire se io stia correndo troppo o, al contrario, se abbia perso fin troppo tempo allungando il brodo con cose inutili.
È stata un'avventura un po' folle, che non pensavo sarebbe arrivata fin qui, dato che era nata da premesse molto giocose e assolutamente prive di pretese.
A presto!

 
   
 
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