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Autore: RaidenCold    16/11/2018    1 recensioni
Dopo la guerra contro l'Olimpo, il cavaliere del leone Leonidas vaga affranto dal ricordo di coloro che ha perduto.
Un giorno, mentre è alla ricerca di una persona scomparsa, si imbatte in una vecchia conoscenza, che non si fa chiamare con un nome, ma soltanto con un numero: 6.
Insieme incapperanno in un'antica minaccia che i cavalieri di Atena pensavano di aver sconfitto anni prima nei Campi elisi...
(Seguito della storia in 5 atti "L-Iconoclast")
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garuda Aiacos, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Violate
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Da molti, Atene veniva considerata la culla della civiltà occidentale; quel che era rimasto di quella gloriosa città non rasentava neppure minimamente gli antichi gloriosi fasti dell’impero ellenico.

Scappando per nascondersi dai bombardamenti della guerra ai cavalieri di Ares, molti si erano rifugiati ad Atene, ma in breve la città era divenuta colma di disperati e le risorse si erano presto esaurite, lasciandola praticamente ingovernata, preda dell’anarchia.

Leonidas si aggirava per le fatiscenti strade della un tempo magnifica Atene: in ogni nicchia o vicoletto, qualche disgraziato dormiva rannicchiato tra i cartoni, altri frugavano nelle immondizie in cerca di cibo, altri ancora si davano battaglia per i più futili motivi. Ovunque regnava la disperazione e la violenza, e pareva che anche gli animi delle persone stessero cadendo a pezzi assieme alla città stessa.

Il popolo non aveva mai saputo che il male subito era stato inflitto dai cavalieri di Ares e non di Atena, così solo quest’ultimi erano stati demonizzati: pertanto, al fine di agire indisturbato nella sua ricerca, Leonidas aveva lasciato l’armatura nel palazzo del leone, e si aggirava sfoggiando un semplice pantalone ed una maglietta a maniche lunghe, entrambi completamente neri.

 

“Hai visto questa ragazza?” - domandò Leonidas mostrando una foto dal telefono ad un uomo seduto su una panchina.

“Un telefono…” - rispose estraendo una pistola - “D-dammelo assieme a tutti i soldi che hai!”

Leonidas passò oltre noncurante, e nessun proiettile apparve; la pistola era scarica, e fuori uso.

Aveva mostrato già a diverse persone la foto di quella cugina che neanche lui aveva mai visto, ma che si sentiva in dovere di aiutare almeno per sua madre e per Gunnar; eppure, nonostante stesse girando ormai da quasi due giorni, non aveva trovato neppure una minima traccia.

La svolta avvenne quando, durante l’ennesimo tentativo presso un gruppo di senzatetto una donna anziana, il nome di Violate, gli si avvicinò, dicendo di averlo già sentito:

“Sa se ti tratta di questa ragazza?” - chiese cortesemente mostrandole la foto.

“Non saprei, purtroppo la mia vista non è più come quella di un tempo… però ricordo quella chioma nera.” - rispose sedendosi su dei bancali ammuffiti.

“Dove l’ha vista?”

“Vivevo ai confini dell’Arcadia, nella parte vicina all’Istmo, quando un giorno si presentarono dei… cavalieri…”

“Come, dei cavalieri?”

“Nonna, non spaventarlo.” - intervenne una giovane posandole uno scialle sul collo.

“Eppure erano cavalieri.”
“I cavalieri non ci sono più da tre anni, anche se alcuni nel mondo dicono di avvistarli di tanto in tanto…”

“Però là al Santuario…” - sospirò l’anziana.

“Quel posto non nominarlo neppure.” - la rimproverò la nipote.

“Ad ogni modo” - proseguì la donna - “sono giunti uomini con armature nere dicendoci che ove un tempo sorgeva Orcomeno ora svetta un castello in cui sono i benvenuti tutti coloro che cercano conforto e riparo…”

“Ma chiedevano una condizione.”

“Quale condizione?” - chiese Leonidas incuriosito.

“Bisognava giurare fedeltà assoluta al signore del castello, che stando alle loro parole è un vero e proprio dio sceso in terra.”

“Non sapete quale dio?”

“Parlavano di quell’antica divinità, Ade…”

“Ade…?”

“Ricordo che tra di loro vi era una giovane dai lunghi capelli neri, ed ho sentito uno di quegli uomini chiamarla Violate.” - continuò la vecchia signora.

“Capisco, vi ringrazio di cuore.”

“Non andare laggiù però” - lo ammonì l’anziana - “quel castello è sorto dal giorno alla notte, c’è qualcosa di oscuro legato ad esso…”

“Farò attenzione” - salutò cortesemente le due donne - “ vi auguro ogni bene possibile.”

 

Aveva prontamente informato la madre della sua nuova scoperta, e portatosi alla periferie di Atene si preparava a partire verso l’Arcadia; di colpo un getto di energia lo travolse, scagliandolo all’interno di un palazzo e frantumandone le pareti.

Rialzatosi dalle macerie, Leonidas uscì dall’edificio, scrutandosi attorno in cerca del suo aggressore: un nuovo attacco al fianco si avventò su di lui, ma questa volta riuscì ad evitarlo ed a contrattaccare nella direzione da cui era stato lanciato.

E mentre scagliava il suo fulmine, da dietro gli apparve una figura canuta e ghignante:
“Finalmente…!” - disse soddisfatta, per poi scagliare una moltitudine di fasci lucenti addosso al ragazzo.

Quando la polvere si abbassò, vedendo di non avere più nulla davanti a sé, incredula si mise le mani davanti alla bocca, abbozzando un ghigno sghembo.

 

“Conosco perfettamente lo Stardust revolution, non può farmi nulla.”

La giovane si voltò ringhiando:
“Lo immaginavo, ma per un momento speravo di esserci davvero riuscita.”

Dopo tre anni, Leonidas vide il volto della sua amata; tuttavia, pur condividendo con lei il viso, ed in parte l’anima, non si trattava della stessa persona.

“E’ da un po’ che non ci si vede, cavaliere di Leo…” - lo salutò con un sorriso falso e malevolo.

“Scusami 6, ora vado di fretta.” - rispose passando oltre, al ché la ragazza contrariata gli andò dietro.

“Dove pensi di andare, vieni qui e affrontami!”

“L’ho appena fatto, e hai perso.”

“Tutta fortuna… sei senza armatura!”

“Anche tu.” - rispose osservando l’aspetto trasandato dei suoi vestiti, ed in particolar modo di una felpa bianca col cappuccio logora e tutta impolverata; ricordò di averne avuta una simile, anni prima.

“Che hai da guardare?”

Non ribatté, limitandosi a voltarsi nuovamente.

“Ma certo… è la mia faccia del cazzo vero?”

A quel punto gli si portò davanti:
“Andiamo, guardami ancora un po’, così almeno avrai ben impresso questo viso mentre ti ucciderò.”

 

“Ma piantala.”

 

Quella risposta secca smontò 6 allo stesso modo in cui un genitore richiama un figlio facendogli notare un comportamento disdicevole.

 

“Mi prendi in giro?!”

“Non sei cambiata minimamente in questi anni; mi dispiace che non ti sia liberata di tutto quell’odio che hai dentro…”

In quel momento 6, sempre più sgomentata, gli lanciò un’occhiata aggressiva, per poi sparire in un baleno di luce sotto lo sguardo di Leonidas.

 

Doveva proseguire nella sua missione, però in quel momento sentì di avere un’altra priorità: per la prima volta dopo tre anni era sorto in lui il desiderio di andare verso una meta, anziché errare da un luogo a un altro.

 

6 entrò nella casupola, sbattendo le porte:

«Ma che diavolo mi è successo?!» - si domandò adirata, portandosi dinnanzi ad uno specchio, vecchio, sporco e pieno di crepe.

Aveva il fiato pesante, ma nonostante la sconfitta i colpi di Leonidas non l’avevano ferita: si era trattenuto, mentre lei non era neanche riuscito a scalfirlo, pur dando fondo a tutte le sue forze.

“Perché…” - sospirò adagiandosi sul lavandino incrostato, avvolgendo la testa tra le braccia - “Perché non riesco a farla finita?”

 

Leonidas entrò nell’abitazione, se così si poteva definire: una specie di fatiscente capanno abbandonato, con un materasso in un angolo, una lampada accanto, qualche oggetto qua e là sparso in giro, un mobiletto ammuffito, ed il lavello con specchio su cui 6 si stava struggendo.

 

“Che cosa sei venuto a fare qui?” - ringhiò 6 senza scomporsi dalla sua posa drammatica.

“Non immaginavo vivessi in un luogo così…”

“Squallido?”

“Isolato.”

“So che volevi dire squallido, non importa.” - rispose gettandosi sul materasso a faccia in giù - “Adesso sparisci, oggi ho terminato la voglia di ucciderti, ma non temere, domattina sarà già riapparsa.”

Il ragazzo non rispose, e si mise a girovagare nei pochi metri quadri dell’appartamento, quando ad un certo punto il suo interesse venne catturato da una sorta di pigolio stridulo, proveniente da uno scatolone: al suo interno un piccolo batuffolo nero si sgolava in cerca di attenzioni.

“Cavolo ha di nuovo fame…” - sbuffò 6 alzandosi e dopo aver raccolto un piattino ed averci versato del latte da una bottiglia, prese delicatamente il gattino, glielo mise davanti, e subito il piccolo si avventò sul piatto.

“Come si chiama?”

“Boh.”

“Non gli hai dato un nome?”

“Che mi importa, non so neppure se sia maschio o femmina.”

“Come?”

“E’ troppo piccolo ancora, e non mi va di alzargli la coda.”

“Capisco. Quanto ha?”

“Un paio di mesi, direi; sua madre dev’essere morta, oppure lo ha abbandonato.”

Dopo aver bevuto tutto il latte il micetto guardò 6 e ricominciò a miagolare.

“Già, ormai il latte non ti basta più…”

La ragazza si piegò e da dietro il materasso tirò fuori una scatoletta di tonno, ne pose qualche boccone nel piattino, e tosto la bestiolina ricominciò il proprio banchetto.

“Ha un aspetto molto vitale.” - commentò Leonidas.

“Sì, è un sopravvissuto…” - aggiunse 6, sorridendo dolcemente senza accorgersene.

In quel momento Leonidas non poté fare a meno di rimanere colpito da quel sorriso; accortasene, 6 lo mutò in un broncio infastidito.

“Smettila di guardarmi in quel modo, mi dai sui nervi.”

“Perdonami.” - si scusò portando lo sguardo da un’altra parte.

“Io lo so cosa sei venuto a fare qui, e te lo dico subito: non sono la tua ragazza morta, sparisci.”

“Tu saresti dovuta morire quel giorno.”

Fingendo di non essere colpita da quelle parole, 6 rispose con un risolino sarcastico:

“Già, sarebbe stato meglio per tutti.”

“Ma Lambda si è opposta fermamente.”

A quel punto 6 si portò faccia a faccia dinnanzi al ragazzo e lo guardò dritto negli occhi:
“Ed è stata la sua rovina: ha perso tutto per salvare un rifiuto.”

“Lei voleva anche salvare sé stessa.”

“IO NON SONO LEI!” - gli urlò infervorandosi.

“Non sono mai riuscito a perdonarle quella scelta, ma nonostante tremasse e piangesse mentre mi lasciava, non aveva avuto la minima esitazione nell’immolarsi al posto tuo.”

6 ghignò sbuffando:
“E guarda che meraviglia è venuta fuori…” - rispose sarcastica mostrando con un gesto della mano sé stessa e la casupola - “Come ti fa sentire il fatto che quella troia sia morta per farmi vivere in questo modo? Hai capito? La sua morte è stata totalmente inutile!”

Leonidas fece per rispondere e aprì le labbra:
“INUTILE!” - lo bloccò 6 prima che potesse replicare.

Rimase con le labbra socchiuse per alcuni istanti, ma nessun suono riusciva a venir fuori: non era mai stato troppo bravo con le parole, e in quegli ultimi anni le sua capacità dialettiche – e relazionali – si erano notevolmente indebolite.

In quel momento, non trovando le parole, fece la cosa che gli venne più istintiva fare, e strinse la ragazza in un abbraccio.

 

6, colpita da quel gesto, rimase immobile, e per la prima volta nella sua vita, sentì il calore di un altro essere vivente avvolgerla: era una sensazione intensa, e anche piacevole, fin troppo.

 

Con un gesto brusco cacciò via il ragazzo e lo guardò in cagnesco:
“M-ma che cosa fai…?” - gli domandò tremula, col volto arrossato.

“Ti chiedo scusa se sono stato invasivo.”

“Non guardarmi… non guardarmi in quel modo, te l’ho detto: non sono Lambda 7!”

“Lo so, ma mi sembravi qualcuno che… aveva bisogno di contatto.”

“Io non ho bisogno di nessuno!”

“Capisco; ti farò solo una domanda, poi me ne andrò, promesso.”

“Se servirà a liberarmi di te risponderò con piacere.”

“Sai qualcosa di un castello in Arcadia, o di cavalieri con indosso

armature nere?”
“Parli degli specter?”

“Si fanno chiamare così?”

“Non penso ci sia altra gente che vada in giro in quel modo.”

“E’ vero che servono Ade?”
“Per quel che ne so io sì.”

“Questo è impossibile: Ade è morto più di trent’anni fa.”

“Vaglielo a dire a loro… adesso sparisci, come hai promesso.”

“Tu l’hai visto vero? Parlo del castello.”

“L’ho visto, e l’ho appositamente evitato.”

“Dunque ti intimorisce.”

“Chiunque con un po’ di cervello dovrebbe averne timore…”

“Potresti portarmici?”

La ragazza scuoté il capo con sdegno:

“Prima mi prometti una sola domanda e invece me ne fai quattro, e poi mi chiedi pure di farti da guida?”

“Non è per me, né tanto meno per te, ma per una persona che ho promesso avrei ritrovato.”

Udito ciò 6 gli si accostò all’orecchio, e sussurrando gli disse:
“Potete andare a fare in culo entrambi.”

“Non sei stufa di vivere così?”

“Fatti gli affari tuoi.”

“Tu eri un angelo al servizio degli dei dell’Olimpo, ora vivi in una topaia che non rende giustizia al tuo lignaggio: portami soltanto fino al castello, e metterò una buona parola per te al Santuario, dove avrai un alloggio più dignitoso…” - in quel momento portò lo sguardo sul gattino - “E anche lui.”

6 fece una smorfia a metà tra rabbia e divertimento:
“Figlio di puttana…”

Leonidas rimase in silenzio, osservando 6 che cercava di rimanere impassibile, nonostante avesse gettato un dubbio non da poco nei suoi pensieri, ed infine gli appoggiò l’indice sul petto e gli si rivolse a denti stretti:
“Solo fino al castello, poi non ti voglio vedere mai più; la casa non mi va di cambiarla, però qualche comfort in più lo gradirei. Ti è chiaro?”

“Chiarissimo.”

“Un’ultima cosa: non posso lasciare il gatto da solo…”

“So già a chi poterlo affidare.”

 

***

 

Yuria aprì lentamente la porta che dava sull’arido cortile, un tempo pieno di erba e fiori, e vide una figura contemplare silenziosamente l’oscuro orizzonte, mentre alle loro spalle il sole calava placido.

“Zio, perché stai qui fuori solo? Vieni dentro dai.”

Ikki si voltò e sorrise alla giovane:

“Riuscirò a trovarlo, vedrai.” - disse per poi lanciarsi in corsa verso le tenebre.

“Che le ali della fenice vi proteggano tutti e due…” - sospirò Yuria per poi rientrare in casa col capo chino.

   
 
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