Se
ripenso alla mia infanzia, non posso dire sia stata
infelice. Fino a poco tempo fa non conoscevo la sfumatura
dell’infelicità, non
avevo mai conosciuto nessuno che fosse stato felice, non per davvero, e
quella
realtà semplicemente mi sfuggiva.
A
riguardare come diapositive i miei ricordi, adesso,
provo solo una profonda angustia, forse perfino immotivata, attribuisco
e
chiamo per nome un’emozione che nella mia innocenza ignoravo
serenamente.
Crescere è sempre stata una fregatura per me, non sono mai
stata idonea a
diventare veramente adulta, solo il tempo mi ha reso atroci e
insostenibili
pesi che non sapevo nemmeno di portare, solo la consapevolezza
dell’essere
adulti, dell’imparare come le cose dovrebbero essere per
davvero.
I
primi dolori ti si rovesciano addosso che ancora non sei
niente e quanto riesci a percepirli e a non subirli segna la linea sul
tipo di
persona che riuscirai o meno a diventare, ho sempre pensato questo.
Col
senno di poi, non li ho mai gestiti veramente bene,
ma non mi sembrava, mi sembrava di essere un muro, di essere
invincibile, di
avere le risposte in mano e quando non erano vere mi costringevo a
trasformarle
in realtà.
Non
sono mai stata troppo ragionevole o clemente,
soprattutto con me stessa, e ho sempre cercato di assecondarmi per
proteggermi,
questa è la mia più grande colpa verso di me. Mi
sono guardata troppo le spalle
e, ironicamente, tutto questo difendermi dal mondo mi ha lasciato
sguarnita e
fragile.