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Autore: _Agrifoglio_    21/11/2018    17 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In trappola
 
– Sono il Comandante Oscar François de Jarjayes, mi ha convocato la Regina Maria Antonietta, fatemi entrare immediatamente! – ingiunse Oscar, con voce potente e imperiosa, mentre il bianco destriero si impennava davanti alle antiche mura del grigio castello di Meudon.
Nonostante fosse, da pochi giorni, trascorsa la metà di maggio, la mattina era fredda e Oscar era avvolta dal suo lungo mantello militare. Il cuore di lei si stringeva e quasi gemeva, pensando al motivo di quella visita: il Principino Louis Joseph si era aggravato improvvisamente e la Regina l’aveva mandata a chiamare con sollecitudine mista a disperazione.
Entrata nel castello, Oscar iniziò a percorrerne i corridoi con le gambe pesanti e gli occhi velati di tristezza, finché non si imbatté nella Regina che, avvertita dell’arrivo dell’amica, si era precipitata verso di lei per anticipare l’incontro.
– Ai Vostri ordini, Maestà! – disse Oscar, con voce grave e volto tetro.
– Madamigella Oscar, Vi ringrazio di cuore di essere venuta! Il Principino Joseph ha chiesto espressamente di Voi…. – mormorò Maria Antonietta, trattenendo a stento le lacrime.
– Come sta il Principe Joseph?
– Non c’è più niente da fare…. I medici si sono dichiarati impotenti dinnanzi alla malattia…. Hanno sentenziato che non vivrà più di due settimane…. E pensare che ha soltanto sette anni….  
Dio mi punisce per i miei peccati attraverso mio figlio – pensò, subito dopo, in preda all’amarezza e allo sconforto.
Scambiate queste brevi e dolenti frasi, le due donne si diressero verso gli appartamenti del Delfino, in prossimità dei quali, si udì una concitata voce infantile protestare da dietro a una porta.
– Lasciatemi! Lasciatemi! Non voglio più stare a letto! Fatemi uscire di qui!
La Regina chiese a Oscar di entrare nella stanza del figlio ed ella obbedì. La vista che le si parò innanzi, una volta varcata la soglia, le strinse il cuore, perché il Principino era ancora più pallido e magro di quanto non fosse stato l’ultima volta che si erano incontrati. Quello, nel rivederla, recuperò l’antica vivacità e, sorridendo, esclamò:
– Oscar, portatemi fuori! Voglio andare a cavallo insieme a Voi…. Sul Vostro cavallo, Madamigella Oscar!
– Ma, Principe, non è prudente! – fece notare Oscar.
– Vi prego, esaudite questo desiderio, Oscar… – disse la Regina in un sussurro, pensando che, arrivati a quel punto, nessun comportamento imprudente avrebbe fatto la differenza e che tanto valeva, quindi, accontentare il suo povero figlio.
Un valletto trasportò nel cortile il piccolo Principe che, ormai, non poteva più camminare e, aiutato da Oscar, lo sistemò sul cavallo di lei.
Il destriero cominciò a galoppare nella campagna circostante, facendo sussultare il suo magro carico. Le chiome di Oscar e del Delfino, dello stesso punto di biondo, fremevano al vento e si mischiavano, intrecciandosi e agitandosi nel cielo.
– Vorrei andare a cavallo per sempre…. per sempre…. – sussurrò il bambino, appoggiando il viso al braccio di Oscar mentre perdeva conoscenza.
Oscar arrestò subito il cavallo, scese a terra e depose delicatamente il piccolo sotto un albero, bagnandogli la fronte con un fazzoletto che aveva immerso nel ruscello vicino.
– Vedo che Vi sentite meglio, Principe. Credo che sia il caso di tornare al castello, adesso – sussurrò Oscar, vedendolo rinvenire.
– E’ vero, Oscar, che gli Stati Generali vanno a rilento? – domandò il Principe.
– Sì.
– E’ giunta l’ora che io torni a Versailles. Pensate, Madamigella Oscar: io, quando sarò grande, sarò Re di Francia e regnerò su questa grande nazione.
– Sì, è vero. Voi, fra qualche anno, diventerete Luigi XVII.
– Ho sentito dire che, nelle adunanze degli Stati Generali, nessuno va d’accordo su niente e che tutti discutono animatamente anziché con pacatezza. E’ una cosa molto triste, perché siamo tutti francesi e amiamo la nostra patria, sebbene muovendoci da punti di vista differenti.
– Non angustiateVi Altezza. Vostro padre, il Re, fronteggerà la situazione nel migliore dei modi.
– Mi piacete, Oscar. La prossima volta che nascerò, non starò mai male. E’ una promessa che Vi faccio, Oscar, dovete credermi: io diventerò grande e robusto e Vi sposerò. Fino ad allora, Voi aspettatemi.
– Altezza, sarebbe un onore.... – mormorò Oscar, con un filo di voce e il cuore in pezzi.
– Oscar, ho da dirVi una cosa e devo farlo finché ne ho le forze. Vegliate sui miei genitori e, soprattutto, su mia madre…. Le siete tanto cara…. Tutti la vedono altera e autoritaria, ma è molto fragile e ingenua…. contornata da nemici e da falsi amici…. e non so chi sia peggio…. e vegliate sulla nostra amata, santa, Francia…. soltanto Voi potete farlo…. Voi siete forte e coraggiosa! Voi siete la leonessa di Francia!
 
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Di ritorno dal castello di Meudon, Oscar, stanca e provata, lasciò le scuderie, diretta verso il suo ufficio. Giunta nella terrazza antistante la reggia, incontrò il Conte Maxence Florimond de Compiègne che, vedendola, atteggiò il viso a un’espressione affascinante e piacevole mentre gli occhi ebbero un guizzo che Oscar non seppe definire.
– Sono estremamente felice di vederVi, Madamigella Oscar – disse quello, con la voce carezzevole e un sorriso sbarazzino e lievemente irriverente – E, se non Vi avessi incontrata per caso, sarei venuto a cercarVi appositamente.
– A cosa devo l’onore di tanta premura, Conte? – domandò Oscar, desiderosa di congedarlo al più presto, perché si sentiva stanca e voleva riposare un poco, prima di riprendere servizio.
– Innanzitutto, vorrei chiederVi come sta il Vostro valoroso padre. La convalescenza va avanti, ormai, da due giorni.
– Sta bene, Conte, Vi ringrazio. La ferita è superficiale e, già da domani, vorrebbe abbandonare il letto e rimettersi in piedi.
– Ne sono lieto, Madamigella Oscar – accennò quello, con tono ed espressione indecifrabili – E, adesso, vorrei dirVi un’altra cosa, se Voi me lo consentiste.
– Parlate pure, Ve ne prego – disse Oscar, combattuta fra l’impazienza, la stanchezza, il desiderio di riposo e la curiosità.
– La nostra conoscenza, Madamigella Oscar, risale ormai a quasi un anno fa. In questo periodo, ho avuto modo di cogliere e di apprezzare le Vostre molteplici e immense virtù. Nella reciproca frequentazione pressoché quotidiana, la generica simpatia si è trasformata in stima, la stima si è evoluta in ammirazione sconfinata e l’ammirazione sconfinata è sfociata, infine, in un irrefrenabile amore. Cara, adorata, Madamigella Oscar, vorrei che Voi mi faceste l’onore di diventare mia moglie!
Oscar stette ad ascoltarlo basita, con gli occhi sgranati e senza fiatare.
– Il mio cuore può, quindi, sperare? – la incalzò quello – Farete di me il più felice degli uomini?
Fu un attimo e Oscar proruppe in una risata nervosa che non riuscì a contenere, pensando, fra l’ironico e lo stralunato, che quella era la giornata delle proposte di matrimonio. I nervi di lei erano talmente sfibrati e suscettibili di fronte alla minima sollecitazione da farla abbandonare a uno sfogo che sapeva benissimo essere inurbano e contrario a ogni regola di etichetta e che, tuttavia, non riusciva a frenare.
– Vi faccio tanto ridere?! – esclamò quello, strabuzzando gli occhi, sospeso fra l’incredulità e il dispetto.
– Conte, mi dispiace, non volevo essere sgarbata. Non era mia intenzione ferire i Vostri sentimenti, farmi gioco di essi o mancarVi, in qualsiasi modo, di rispetto – corse ai ripari Oscar, reprimendo la risata nervosa.
– Bene, allora, Ve lo richiedo – balbettò l’altro, irritato e punto sul vivo – Volete farmi l’onore di diventare mia moglie?
– Conte, mi dispiace, ma non posso e, credetemi, malgrado le apparenze, sono onoratissima della Vostra proposta.
– Ma, allora, per….ché?! – domandò lui, allibito e ferito nell’orgoglio, con la voce quasi isterica, le mani che gli tremavano per il nervosismo e gli occhi che, a forza di sgranarli, erano diventati due circonferenze.
– Il matrimonio non fa per me – disse laconicamente Oscar mentre abbassava lo sguardo.
– Capisco, Madamigella Oscar. Prendo atto dei Vostri sentimenti e Vi giuro che non Vi importunerò mai più con i miei.
Si accomiatò da lei dopo averle fatto un compito ed elegante inchino, col volto tirato e gli occhi ridotti a due fessure trasudanti vanità ferita.
 
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André se ne stava in groppa al suo cavallo, intento a sorvegliare il lavoro nei campi dei braccianti mentre il Conte di Canterbury e Sir Percy pescavano in un lago vicino.
Malgrado gli sforzi, stentava a concentrarsi, perché troppi erano i pensieri che lo assillavano. Malgrado gli sforzi, Oscar era rimasta la padrona assoluta della mente e dell’anima di lui.
Mademoiselle de Saint Quentin era il meglio che la vita avrebbe potuto offrirgli e, se soltanto avesse avuto un briciolo di buon senso, l’avrebbe accolta a braccia aperte, perché era la versione allegra e non tormentata di Oscar e, soprattutto, perché era interessata a lui. Era triste, però, pensare che l’unica cosa a cui avrebbe potuto aspirare era l’immagine riflessa, seppure splendida, di un ancor più splendido originale.
Nonostante ogni tentativo di gettarsi a capofitto nel lavoro e di dimenticare, Oscar era ancora là, a fissarlo intensamente coi suoi occhi color oceano e lui ne era del tutto soggiogato. Era bastata una frase, pronunciata fra uno scherzo e una risata, per riportarla prepotentemente al centro dei pensieri di lui.
Se neanche Mademoiselle de Saint Quentin andava bene per sostituirla, ciò significava che l’unico destino che gli si parava dinnanzi era la solitudine e questa prospettiva lo gettava nella prostrazione. La giovane Victoire Aurélie, del resto, così come Diane, non meritava di essere strumentalizzata e di fungere da rimpiazzo. Anzi, lei più di ogni altra, essendo bella, intelligente, carismatica, onesta, colta, coraggiosa, buona e attaccata alla famiglia, meritava di essere la prima scelta di un uomo.
Oscar, che era l’unica scelta che si sarebbe sentito di fare, non lo voleva e ciò lo relegava in una situazione di stallo. Egli, del resto, era fermo nel proposito di non ricadere nel baratro dei pensieri ossessivi e inconcludenti che avevano finito per corrodere e offuscare il sentimento fresco e genuino che gli aveva illuminato l’anima in gioventù, facendolo scivolare nel vortice del vino e quasi spingendolo a una turpe violenza.
In passato, aveva dato un occhio per Oscar e avrebbe perso finanche la vita per salvarla e, tuttavia, era consapevole di averla amata con un sentimento non del tutto sano e, a tratti, egoistico. L’aveva, sì, protetta, ma in modo interessato, perché sapeva che vivere senza di lei gli sarebbe stato impossibile. L’aveva desiderata ad ogni costo, come un assetato anela all’acqua e come una falena punta verso la fiamma e, come la falena, aveva finito per bruciarsi le ali. Se ne avesse avuto l’opportunità, ne sarebbe diventato il marito, l’amante o lo schiavo, senza preoccuparsi del futuro e delle conseguenze di quell’unione senza sbocchi. Anche dopo il quindici agosto, quando le distanze sociali erano venute meno, in occasione di quella farsesca proposta di matrimonio, pur conoscendo perfettamente tutte le riserve di lei, con un angolo del cuore, aveva sperato che avrebbe finito per piegarsi all’autorità paterna.
Ora, invece, dopo un anno che si era imposto di crescere e di passare a un pensiero più evoluto, con il dominio di sé e con l’esercizio, aveva imparato a volere, per prima cosa, non lei, ma il bene di lei e il bene di lei era ciò che rendeva felice lei e non lui e ciò che rendeva felice lei non contemplava lui….
André sospirò profondamente…. Era in trappola….
 
********
 
Oscar era intenta a mettere ordine fra le sue carte, prima di tornare a Palazzo Jarjayes, quando udì bussare alla porta. Accordato il permesso di entrare, si trovò nella stanza il Colonnello de Girodel e il Capitano de Valmy.
– Comandante – esordì Girodel – Siamo riusciti a ottenere un’informazione preziosa.
– Parlate, Colonnello.
– Abbiamo intercettato le mosse dell’attentatore.
– Ebbene?! – domandò Oscar, in preda all’agitazione.
– L’uomo che ha attentato alla vita di Vostro padre e del Generale de Bouillé – si inserì il Capitano de Valmy – e che ancora, purtroppo, non siamo riusciti a identificare con nome e cognome, parteciperà a una riunione politica clandestina questa sera alle otto, al numero quattordici di Rue Saint Bernard.
– Perfetto, prendiamo quindici Guardie Reali e andiamo a stanarlo. Sono le sei, faremo giusto in tempo – disse Oscar, i cui occhi si erano accesi della consueta luce battagliera e nervosa.
– Comandante – riprese la parola Girodel – Rue Saint Bernard si trova nel Faubourg Saint Antoine, che è uno dei quartieri più pericolosi e agitati di Parigi. Considerate l’ora buia e la possibilità che questa sia un’altra delle trappole della spia, non sarebbe meglio inviare sul posto degli agenti segreti anziché esporci in prima persona, col rischio di cadere in un tranello e di farci catturare?
– Capisco la Vostra titubanza, Colonnello. Nessuno è obbligato a seguirmi. Se non Ve la sentite, andrò da sola.
– Comandante, verrò con Voi – fu la laconica risposta di Girodel.
– Anch’io – fece eco il Capitano de Valmy.
– Bene, radunate quindici Guardie Reali e organizzate la spedizione. Fra mezz’ora, si parte.
 
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Oscar, il Colonnello de Girodel, il Capitano de Valmy e le altre quindici Guardie Reali stavano camminando, in fila indiana, in Rue Saint Bernard, coperti da scuri mantelli, allo scopo di mimetizzarsi col buio della notte.
Dopo avere ordinato ai militari di scendere da cavallo e di affidare gli animali a Jean e agli attendenti del Colonnello e del Capitano, allo scopo di fare meno rumore possibile e di non esporre al pericolo i tre ragazzi, Oscar si era messa in testa alla fila e procedeva, con movenze feline, fra le tenebre di quella via.
Le lanterne, irradianti una luce molto tenue, portate seminascoste fra i mantelli per ordine di Oscar, evidenziavano, sulla pavimentazione, alcune ombre che si allungavano dalle vie laterali e, poi, si ritraevano. Contemporaneamente, alcuni scricchiolii e respiri spezzati mettevano gli uomini sul chi va là.
A un certo punto, Oscar scorse alcuni individui vestiti di scuro che, al sopraggiungere dei militari, tentarono di appiattirsi al muro di una traversa e, col cuore in gola, urlò:
– E’ una trappola! Guardie Reali, ritiratevi!
Ma era troppo tardi: gli uomini, ormai stanati, uscirono dal loro nascondiglio e si gettarono a testa bassa contro le Guardie Reali. Altri ne sopraggiunsero da davanti, da dietro e dai vicoli laterali e, in pochi attimi, i militari si trovarono accerchiati e in netta inferiorità numerica.
– Guardie! Fate quadrato e che ognuno tenga d’occhio il proprio vicino oltre a se stesso!
Gli aggressori avevano portato delle fiaccole per individuare le loro prede mentre le Guardie, grazie alla visibilità offerta dalle lanterne, cercavano di parare i colpi e di distinguere gli amici dai nemici.
Oscar vide due uomini piombarle addosso e si difese egregiamente, tirando una stoccata a uno e una pedata all’altro. D’un tratto, uno zotico le si avventò contro armato di un forcone, ma lei recise in due l’arnese di legno con un colpo netto della lama e piazzò una gomitata sul torace dell’avversario che cadde a terra, piegato in due dal dolore. Altri energumeni avevano iniziato ad assestare delle bastonate un po’ a caso, raggiungendo arti e teste o andando a vuoto e molti furono i crani degli aggressori fracassati dai loro stessi compari. Le spade e i fucili dei malviventi erano pochi e male utilizzati.
Dopo cinque minuti di lotta senza quartiere, quattro Guardie Reali giacevano a terra ferite e venti facinorosi erano stati ridotti a mal partito, ma il numero giocava ancora a favore di questi ultimi.
Le nubi, nel frattempo, si erano spostate, consentendo alla luna di rischiarare la via. Gli occhi dei militari videro nitidamente il numero dei loro avversari e si velarono di terrore. Dopo un attimo di sgomento, le Guardie recuperarono il coraggio e andarono alla riscossa. La ritrovata luminosità le agevolava, consentendo di fare valere la loro superiorità tecnica sulla furia cieca e sulla forza bruta degli aggressori e azzerando l’effetto sorpresa degli attacchi provenienti dai vicoli laterali. Oscar aveva sconfitto dieci uomini e continuava a fare volteggiare la lama con una precisione pari soltanto all’eleganza che accompagnava ogni mossa di lei mentre Girodel stava tenendo a bada contemporaneamente ben quattro lestofanti.
D’un tratto, il capo dei malavitosi urlò:
– Lasciate perdere il Colonnello, lui non ci interessa! Concentratevi sul Comandante!
Udita l’esortazione, gli aggressori, che si erano preparati all’evenienza di un’eccessiva luce lunare, alzarono una cortina fumogena con le polveri da sparo, separando, così, Oscar dalle altre Guardie. Mentre la donna stava fronteggiando con grande maestria un gruppo di avversari, un manigoldo le spuntò proditoriamente da dietro e la avvolse, per tutta la lunghezza del corpo, con un sacco di tela grossa. Lo stesso uomo, insieme a un compare, sollevò Oscar che, così avvolta, fu trasportata a spalla lontano dalla mischia.
Qualche attimo dopo, la cortina fumogena si dileguò e a Girodel e alle altre Guardie non restò che constatare che gli aggressori si erano ritirati e che del loro Comandante non vi era più traccia. Si misero, quindi, a setacciare minuziosamente l’intera via e i vicoli circostanti, ma Oscar sembrava sparita nel nulla.
Fu allora che un manipolo di Guardie Metropolitane arrivò di rinforzo. Jean e gli altri attendenti che erano rimasti a badare ai cavalli, infatti, si erano accorti dell’aggressione e, lasciati gli animali a uno solo di loro, si erano messi a cercare aiuto. Imbattutisi in una pattuglia di Guardie Metropolitane di ronda notturna, le avevano avvisate dell’agguato, guidandole fino a Rue Saint Bernard.
– Cos’è successo? Dov’è il vostro Comandante? Non saremo arrivati troppo tardi? – urlò il colossale soldato, simultaneamente scrutando fra i caduti, dato che Oscar non si trovava con le Guardie Reali ancora vive.
– Purtroppo, sì, soldato – rispose, cupo, il Capitano de Valmy.
– Il Comandante Supremo delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes, è stata catturata dal nemico – aggiunse, con voce sorda, il Colonnello de Girodel.
Gli occhi di Alain si agghiacciarono di sgomento.
 
********
 
I due energumeni abbandonarono, con poca grazia, il loro carico sul pavimento di pietra e, subito dopo, rimossero il sacco di tela che lo avvolgeva.
Oscar si trovò di nuovo libera, seduta a terra con la chioma scarmigliata e, alla luce delle torce, iniziò a studiare l’ambiente circostante, capendo che si trattava di una cella.
Subito dopo il rapimento, aveva percepito che il clamore della mischia si era andato, via via, allontanando e che i sequestratori la stavano trasportando chi sa dove, svoltando a più riprese, per reali necessità di percorso o soltanto per confonderla. Da militare perfettamente addestrato, aveva compreso, nonostante la concitazione, che il tragitto era durato, al massimo, un quarto d’ora o venti minuti e, grazie ad alcuni rumori, si era accorta di quando i rapitori erano passati dall’aperto al chiuso. Dal mutamento di posizione e di passo, aveva capito che quelli, subito dopo essere entrati, avevano iniziato a scendere le scale per tradurla, con molta probabilità, nei sotterranei di un palazzo e, quando il sacco era stato rimosso, aveva avuto conferma di essere stata trascinata in qualche oscura segreta.
Si rialzò subito, confusa e traballante e, malgrado un lieve capogiro, riuscì a tenersi in piedi.
– Al fine, ci riincontriamo, Comandante – disse una voce femminile, acida e caustica.
Oscar guardò dinanzi a sé e, dalla penombra, vide avanzare la sagoma di una donna.
– Spero che vi troverete bene qui – aggiunse l’enigmatica figura, sprezzante e beffarda – Perché, se anche questa cella non vi dovesse piacere, ci rimarrete lo stesso.
La sagoma fece ancora qualche passo in avanti, finché la luce delle torce non rivelò le sembianze di Théroigne de Méricourt. Dopo averla riconosciuta, Oscar fece uno scatto verso di lei, ma gli energumeni la trattennero saldamente per un braccio ciascuno, impedendole qualsiasi movimento.
Forte dell’immobilità dell’avversaria, Théroigne de Méricourt le si avvicinò fin quasi a sfiorarla e, levata in alto una mano, la schiaffeggiò e la disarmò.
– Badate! – sibilò Oscar, col volto riverso su una spalla e guardandola in tralice.
– No, badate voi – rispose quella, immergendo la voce in tutto il veleno che aveva a disposizione – Se non ve ne siete accorta, i ruoli si sono rovesciati e le carte, da ora in poi, saremo noi a darle.
 
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André, il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakenay erano seduti in uno dei salottini del palazzo nobiliare di Lille e, dopo avere cenato, stavano degustando del cognac davanti a un camino acceso. Il trio discuteva allegramente con gli occhi rivolti verso le fiamme crepitanti, quando un brivido repentino percorse la schiena di André e un sudore freddo gli imperlò il volto. L’uomo si alzò di scatto dalla sua poltrona, pallido come un cencio lavato e con gli occhi sbarrati, neanche avesse visto un fantasma. Si portò davanti al camino e appoggiò le mani sulla mensola di marmo, biascicando disperato:
– Oscar è in pericolo….
– Ma cosa dite?! – domandò, incredulo, il Conte di Canterbury.
– Avete avuto un incubo a occhi aperti? – fece eco, con aria sbigottita, Sir Percy Blakenay – Mia cugina è a centinaia di miglia da qui e nessuno di noi sa come e dove stia….
– Oscar è in pericolo! – ripeté André, con voce fattasi chiara e potente, prendendosi la testa fra le mani per la disperazione.
   
 
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