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Autore: queenjane    22/11/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Sempre noi.
A fine maggio 1916 anche farsi un bagno nel fiume Dpnier diventava un affare di stato, tralasciando che Alexei nel dicembre 1915 era quasi andato al Creatore per una emorragia dal naso, la sua dannata emofilia, aveva impiegato mesi per riprendersi.
Infatti,  San Pietroburgo, aprile 1916.
“..è tosto” Andres si rialzò dal mio letto, sereno,  andando a sciacquarsi
“E’ un monello, lo sai” osservai il gioco di luci e ombre sulla sua schiena, i rilievi squisiti delle vertebre e la trama dei muscoli,  il suo petto e i tatuaggi, una vera opera d’arte, abbracciando il cuscino bordato di pizzo. Sapeva di lui, annotai, avevo sempre voglia di tenerlo dentro di me.
Ci godevamo una meritata licenza a casa di mio zio, dormendo quando eravamo sazi, la notte era lunga come sempre. Ed eravamo andati a passeggio sulla prospettiva Nevskij, a braccetto, una qualunque coppia di innamorati, a cena fuori, a prendere un tè e .. la normalità di quei gesti, di quella parentesi era stata fantastica e parlavamo di tutto un poco, sia cose serie che giocose.
Stare con Andres era un lenitivo all’ansia, era una pausa, un incanto.  E meritavamo di meglio di vivere alla giornata, come due eterni clandestini, pochi mesi dopo ci saremmo sposati, l’eroe di calle Mayor, lui, e el lobo, io, generando due figli a stretto giro.
El picador y el lobo.

“Ti adora..peraltro ben ricambiato”era l’esatta verità.
“Vuole bene pure a te.. “sorrise “ Vero .. è rimasto zitto per un mezzo minuto intero..”
“E ti ha dato la mano.. Spiazzato”che rimanesse muto per la commozione o lo stupore era ben raro.
“ A te vogliono bene anche le due granduchesse più piccole.. “
“Per dire, piccole, Anastasia fa 15 anni a giugno, Marie 17.. E ha una grande forza, solleva un letto di ferro... Sia lei che Nastya sono infermiere volontarie, patrone di un ospedale a testa, le grandi sono diplomate e .. Leggono per i feriti al pomeriggio, lavorano a maglia le loro cose, giocando a carte e dama per intrattenerli, scrivendo a casa sotto dettatura, cucendo vestiti e bende e fasciature. A malincuore vanno a lezione. Sono brave, voglio bene pure a loro, tranne che i miei prediletti sono Olga e Alessio”

“Già. Ma tu visiti gli orfanotrofi, fai le raccolte e ..” manco fossi stata una santa, come no, ero decisamente peccaminosa con lui, in quella stanza, il corpo rilassato dopo l’amore e felice di esserlo.
“Prendo il tè con Olga e Tata..” E varie altre, perfino Tatiana, riservatissima, aveva gradito l’improvvisata della sottoscritta, quei suoi grandi occhi a mandorla, allungati, di uno splendido grigio azzurro, si erano illuminati di gioia.
E la primavera principiava, la neve si andava sciogliendo, scorgevano i primi fiori alle bordure delle aiuole tra verdi pennellate di erba, i biancospini erano una candida schiuma. “Tata ciao..” una breve stretta e poi Aleksej mi aveva monopolizzato, sfinendomi di chiacchiere. Mangiava senza capricci, dormiva tranquillo, le bizze un lontano ricordo, cercava di stare bene..
Una settimana era volata, osservò Alix quando mi congedai, osservando il mio vestito grigio fumo, le perle e il mio sorriso,  sempre impegnata con i turni in ospedale ci eravamo incrociate il giusto. “Buon rientro al tuo lavoro, Catherine..”
“Grazie” mi inchinai e le baciai la mano, alla russa, ci teneva, bastava tanto poco per evitare le frizioni di nervi
“ Vai da Alessio.. Stai quanto vuoi..”
“ Me ne vado..”
“Gli manchi, ci manchi sai quando non ci sei..”
“Eh..” ci manchi.. come no. O forse sì. A piccole dosi mi reggeva.  

“Qui sei fantastico..”  le foto, Alexei compariva in uniforme in varie attività, dal saluto militare ad essere in trincea, con o senza suo padre, le mostrine dell’uniforme con le sue iniziali A. N. iniziate a N. A., usanza russa, un legame tra generazioni, gli appellativi di padre e figlio che si legavano tra loro. O con il suo spaniel, Joy, mentre studiava, con vari ufficiali, o in pose scherzose con le sorelle, in automobile, peraltro ferma, con lui al volante,  o vicino a un cannone od un aereo, di cui certo chiedeva i meccanismi, la velocità..
“ .. mangio il pane nero e la zuppa dei soldati, marcio e mi alleno e.. Sono un soldato io pure.”con orgoglio.
“Lo so, a fighter prince, un principe combattente”
“E ..”mi illustrò qualcosa su moto e aeroplani, lo adoravo quando era così.
“Maggio quando..”
“Dal tre o quattro.. quando fa caldo, zarevic.. che ne so.” Ero seduta, mi strinse da dietro, rovesciai la testa contro la sua spalla, ricambiando la stretta. “Non vedo l’ora..”gli baciai le dita. “Ti va di far volare un aquilone..”
Mi rivenne in mente una volta in Crimea, era sulle spalle di Nagorny, teneva in mano il filo e lo faceva innalzare, abilissimo. “Vola, vola ..” doveva compiere sette anni, era esile e abbronzato, con i pantaloni corti e una camicia da marinaio, il profumo delle rose e del mare stordiva, poi me lo aveva passato e lo avevo fatto schizzare ancora più in alto, una rapida torsione del polso “Brava .. Catherine! Lascialo, libero, via!!”  “Facciamolo insieme.. me lo potete passare, signor Nagorny?” ero sempre gentile, con loro, chiamandogli signore Derevenko o Nagorny, usando per favore e simili. E mi era salito tra le braccia, ridendo, che andava sulle nuvole, magari fino in America e facendo ciao con la manina.
“Vola, aquilone, vola per me..!!” correva, estasiato, facendo una gara con quell’uccello di carta, di leggero cartone blu e azzurro, con la coda dorata, il mantello da cadetto e gli stivali da soldato, mi aveva mollato il berretto per non perderlo, due ombre, la sua per terra, l’altra che si innalzava nel vento, che ogni tanto si univano e mischiavano
“Bravissimo, Zarevic.. “
“Vieni, prendimi..” E lo ripresi, dopo un poco, sollevando le gonne, ero agile, leggera. E gli occhi azzurri vibravano di gioia, aveva appena un poco di fiatone, mi si buttò addosso ridendo, la spalla contro la parte alta del mio braccio, gli rimisi il cappello “Mandalo un poco tu..” “Dammi” “Uffa.. lo fai volare più alto..”
“Sono più alta.. liberiamo..??” mi accoccolai sui talloni, per evitare troppa disparità tra le stature, contammo e via..
“Secondo te dove arriva?”
“In Spagna..”Sollevando l’augusto sopracciglio
“Aleksej Nicolaevic”
“C..alina..” storpiando le sillabe

Catalina.. se mi devi prendere in giro!” e  lo sapeva pronunciare, nessuno pretendeva che imparasse lo spagnolo, tranne che i nomi di battesimo erano facili, per uno che parlava russo, inglese e francese.
“Forza, torniamo dentro..” 
“Tralasciando che lo sai dire bene.. se hai voglia” e tacqui, che aveva il suo sguardo dalle mille domande e uscite che ti spiazzavano
“ Basta che lo sappia scandire bene Fuentes anzi il tuo Fuentes ..da?”
“Torniamo dentro, fammi strada..”mi offrì il braccio e scrollò la testa. “ A prenderti in giro se non reagisci non vi è gusto..”
“Non sento, sono sorda”
“Già.. a bella posta” E anche no, da sinistra sul momento lo ero, a causa dei rimbombi delle pallottole, come non ci avessi lasciato le penne rimaneva un mistero. E tanto non lo doveva sapere, era un argomento proibito, un segreto.
“Aleksey..non vedo l’ora di esserci a maggio”
 “Pure io”
 “Staremo bene, starai bene.. spero con me” esitante “Non blaterare invano.. ci divertiremo, e studio, lo so, sei peggio te di marinai e precettori“
Aveva una volontà di ferro, infinita come il rosso oro dei Nibelunghi, in tempo di poco infine recuperò, il suo premio era tornare alla Stavka e ci si impegnò,senza fallo o misura. Che detta tra noi a Carskoe e dintorni, guardava gli altri giocare, LUI non partecipava, vedeva la vita e non la viveva, la malattia si scontrava con la sua voglia di essere come tutti, il suo tormento e la sua rabbia.  
 
Andres appoggiò la schiena al tronco dell’albero, godendosi il semplice piacere della stagione,  dopo i peripli degli ingaggi compiuti con Catherine nel corso di quel lungo inverno e della incipiente primavera. Era mancato poco che fossero morti, altro che stare attenti, cercò di non pensarci, non troppo almeno, gustando la delizia di quei momenti sospesi, lei era sempre mezza sorda da sinistra, lui incominciava a stare meglio adesso, non si era rotto la caviglia che per un pelo, la slogatura portava ancora i suoi strascichi. L’erba era verde, gli alberi fiorivano impudichi nonostante le battaglie, il sole era tiepido.
“Gli farà piacere?”Alessio girò il viso contro la spalla della ragazza, parlando sottovoce. Catherine gli passò le braccia intorno alla vita, facendogli cenno di parlare nell’orecchio destro, il sinistro era ancora fuori uso. Ed accoccolata sui talloni, gli sguardi erano allo stesso livello, quelli di lei scuri, come miele, onice, quelli dello zarevic di un limpido color zaffiro, il sole accendeva le ciocche castane di entrambi di riflessi color mogano, virando nel rame scuro.
“ Certo, sarà contento. Che sei diventato timido tutto insieme?” sorrise, senza rispondere, con lei era in confidenza, da sempre, la adorava anche se ora portava i capelli corti come quelli di un paggio irriverente, vestita da ragazzo (.. diciamo che sono un soldato, Alessio, se ne è mai visto uno con la  gonna e il busto?).
“Vai. Perché scuoti la testa, avesse mai mangiato bambini.. Eh.. ottima strategia”incredula e commossa che saltasse e volesse giocare, non pareva il ragazzino di due mesi prima, un tenero, debole  fantasma.
Andres percepì la mani di Catherine davanti agli occhi, le conosceva bene, quindi si prestò al gioco, badando a restare fermo, come se dormisse, poi sentì una piccola risatina e un altro paio di palmi, una misura più piccola, che provvide a bloccare.
“Chi è?” Elencò una serie di nomi, dicendo infine che si arrendeva.
“Sono IO!”
“Io chi?! Magari lo zarevic?”
“Certo..”  e via con una risata. Il bambino gli buttò le braccia al collo, Catherine strinse entrambi.
Lo zar e R-R osservavano, in disparte.  Commossi, una piccola parentesi di serenità, quindi Nicola II, che si fidava di Catherine come di se stesso, decise di tornare indietro, Alessio meritava di stare tranquillo con loro, senza affanni o guardie, in quella occasione e ancora di più e non sarebbe stata l’eccezione che faceva la regola.
 
Un gioco di specchi e coperture, era dato notorio che R-R aveva svariati collaboratori, che andavano e venivano, discreti, che a loro volta avevano dei subalterni, se qualcuno si azzardava a ficcare il naso si sarebbe ritrovato allegramente fottuto, termine duro ma vero, si andava dai pestaggi alle minacce fino al confino in Siberia, era un duro ruolo e gli scrupoli non erano un lusso che poteva concedersi.
Avanti e indietro, passavo per il suo attendente, che dormiva vicino a lui, sapevo confondermi e travestirmi, e comunque nessuno si sarebbe aspettato di trovarmi lì.
Io e Andres prendemmo il ruolo ufficioso di “guardiani” dello zarevic, facendo spedizioni in ogni dove al Quartier Generale e nelle campagne circostanti, diventando rispettivamente il terzo e il quarto marinaio, il mio nome de plume era Paul Paulovic e lui era Andrej Andrevich, invenzione di Alessio, che osservò che se qualcuno gli chiedeva con chi era i suoi accompagnatori dovevano avere un nome.
Se doveva regnare, bene che vedesse come era la vita fuori dalle cancellate dorate della Corte, lo Zar ne aveva convenuto e il ragazzino risplendeva, dopo, quando il suo mondo era ridotto a una stanza e a un letto, con finestre sbarrate poteva ricorrere alla memoria e sognare di essere altrove, sollevandosi dal  dolore e dalla noia .
D’altronde, promise di obbedire in tutto e per tutto, almeno a ME, (notiamo la diplomazia e la scappatoia), di non fare capricci, non contestare, che se gli succedeva qualcosa Fuentes finiva impiccato o fucilato, io in convento, o viceversa.  
Non che ci contassi molto, sulla cieca obbedienza, poi mi sono ricreduta, era cresciuto e maturato, gli veniva chiesto di dare retta e, se fuori, di non scappare, avvisare quando era stanco, le staffe le perse solo una drammatica volta e ci misi del mio, la presunta adulta nominale.
Agili e snelli, i narcisi svettavano fieri sui prati, araldi della primavera e lui non era da meno.
Segreto più, segreto meno, perché no?
Una manciata di occasioni, che si perdono nelle trame del tempo, tesori perduti.
Immagini, frammenti, ricordi.
I treni lo affascinavano, non si stancava di chiedere il funzionamento e osservava binari e traversine e bulloni, domandando agli addetti ai lavori questo e quello. Si era poi costruito una vasta cultura sui sommergibili e gli aerei, andare nei cieli e nei mari era una sua grande aspirazione. Come e più di Anastasia odiava le nozioni obbligatorie, tuttavia era molto intelligente, se qualcosa lo interessava ti sfiniva con la curiosità e domande inopinate e sorprendenti.
La concentrazione con cui osservava un filo d’erba, una lumaca,  passando alle margherite.

“Per te”,  porgendomi una corolla che infilavo sopra l’orecchio. “Grazie”
Aspettava a gloria quei momenti, potevano essere la mattina o il pomeriggio, mi raccontava quello che aveva studiato quel giorno, chiedeva spesso di poter dormire con i  nuovi marinai, lo Zar nicchiava, non tirare troppo la corda, ragazzino, annotava, che poi spariscono, vediamo, comunque qualche cambio lo avevo, fin da subito, non era questione di se ma di quando.
Le passeggiate e si fermava a ascoltare un picchio, lo zirlo di un tordo.
La sua mano che scivolava nella mia, lo osservavo con attenzione per cogliere eventuali segni di fatica,  quindi mi fermavo, con la scusa di volere prendere il sole.  Mi appoggiava la testa in grembo e scrutava il cielo, sai, mi piace pensare di tutto un poco e godermi le nuvole e il sole e la bellezza della stagione, chissà che uno di questi giorni non mi venga impedito di farlo.. A quelle uscite tacevo, ne avrei avute tante da ribattere e sarebbero state solo banalità, cercavo di ascoltare.

Un ritorno di fiducia, un preludio alla maternità il mio. Ed alla gioia, quando era arrivato alla Stavka, la prima persona di cui aveva chiesto ero io,  Aleksej, buttandomisi addosso con un impeto travolgente. “Cat..” “Zarevic.. “”Sono qui..” “Già, monello.. per dire..” annottando la sua crescita, da un mese all’altro mutava, il suo viso e le espressioni, ormai era cresciuto, non era più l’infante che si attaccava alla mia schiena imparando a camminare, un mancato Peter Pan tra  le mie braccia, il fanciullo stretto contro il mio grembo tra una crisi di emofilia e l’altra, il principe combattente della Stavka, che non mancava di prendermi in giro.. “Forse..” una pausa “Mi mandi via..” “ E che dici.,hai trovato altro, sei arrivato ora..” il cielo era grigio, rimbombavano gli spari, lo distrassi con dolcezza. “Vai via sei vuoi..” le famose e ultime parole, le mie. “NO. Che facciamo?” “Una passeggiata sul fiume?” “E picnic e falò..” ”Va bene, iniziamo..”
Sia Andres che io cercavano di trattarlo come un ragazzino normale, ben era dura non cedere all’ansia, il mio Fuentes rammentava anche troppo bene la crisi di emofilia a cui aveva assistito nel dicembre precedente.
Lo zarevic tirò una manciata di sassi, colpendo, esatto,  una pigna che cadde, aveva mirato senza dare troppo caso.
Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato,  non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe fatto di tutto  e si sarebbe goduto in pieno la vita.
A proposito di cavalli, aveva sfiancato sia lui che Catherine per poter fare un giro. Infatti, a settembre 1915 la ragazza aveva avuto l’idea geniale, brillante od idiota, varie potevano essere le prospettive,  di farlo montare in sella su un cavallo, andando al passo, e aveva avuto la fortuna che non gli fosse venuta una emorragia.
Ma se doveva imparare meglio ora che poi, se succedeva qualcosa a suo padre avrebbe regnato LUI, e non sarebbe stato il suo bene essere fragile e malato.
E trattarlo come un bambino normale era una ben dura prova. Dolcezza, comprensione, non pietà..
Ci pensò, mentre si buttavano nel fiume Dpner, per una nuotata.
L’angolo era tranquillo, con scarse correnti, faceva caldo e Andres aveva fatto lo stesso con i suoi fratelli.
Si tolse giubba e camicia, Alessio lo imitò, si tuffò e rise, schizzandolo d’acqua.
“Sai nuotare?” si corresse “Sapete nuotare?”
“Un poco. Insegnami, a Cat dò sempre del tu, tu sei sempre con Cat .. devo dare del Tu pure a Te”
Passarono un pomeriggio tra scherzi e risate, Alessio rideva apprendendo i  vari stili, sbuffando quando Andres lo portava fuori, che aveva le mani raggrinzite per freddo e stanchezza, ma era come Andres..Come un bambino normale, quindi non protestava, con le mani squamate per lo stare troppo in acqua.
Che appunto, anche una semplice nuotata diventava un affare di Stato.
Nel maggio 1916, il Dr Deverenko scrisse all’imperatrice sulle misure, stante il tempo caldo, che permettevano a Aleksei Nikolaievich di correre sul banco di sabbia del fiume a piedi nudi e PERFINO di andare dentro l’acqua, circostanza che gli aveva permesso di chiedere il permesso di nuotare. Era seguito un ampio dibattito tra i medici, infine giunti alla conclusione che tale desiderio poteva essere soddisfatto alla condizione che facesse caldo, non vi fosse vento, rimanesse seduto (SEDUTO!!) in acqua dai 5 agli 8 minuti, per poi essere vestito e riposare al sole, tale decisone doveva essere ratificata dalla zarina, lo zarevic lo sapeva, tralasciamo che con Andres ci era stato per un pezzo, ma quella era un segreto a parte, le disposizioni di sua madre una legge a cui non dava retta in modo totale, e via così. .
 
Facile ironia, credo, che poi combinai un guaio e fu solo fortuna che le conseguenze non fossero gravose ed invalidanti.
Un preludio alla maternità, il mio, la fiducia era ritornata.
E la curiosità di Alessio andando a Mogilev, osservava le strade e le vetrine, girando la testa, lo sguardo che si rabbuiava scorgendo le fasce nere sulle maniche, i mutilati, annotava tutto.
 Esplodendo poi con me, disgraziata. Imbecille e cretina, lui era il mio tesoro e non gli badavo, lo davo per scontato.
“Sai, con Papa abbiamo visitato un altro ospedale e uno dei feriti si lamentava che sua moglie non aveva i soldi per raggiungerlo, che erano poveri, ora li ha. Ho chiesto che venissero dati, per il treno e un sussidio” già, si attivava sempre per  aiutare gli altri, agiva rapido, senza intermediazioni, bastava che lo sapesse.
“Bravo tesoro”Distratta, tesa. Omisi finanche una carezza, una  stretta di mano.
“Non mi ascolti, hai la testa da un’altra parte”Vero.. lasciamo perdere “Catherine, oggi mi sa che Olga è quasi svenuta al telefono, quando ti ho passato, ma perché le hai detto tutto a posto, ti voglio bene e me la hai ripassata subito? Sarai stata due secondi” e avevo affermato le cose più importanti, guai a me se ricadevo nel vizio di essere dispersa e dispersiva. E non ero in vena, neanche Olga, pur se assente mi scuoteva. Tranne che lei sapeva delle mie lente reazioni di bradipo, che quando ero in quella modalità era meglio lasciarmi perdere nel mio brodo, che aprivo bocca a caso, senza riflettere, Aleksej no, non aveva avuto l’onore metaforico.
“ E se ascoltava qualche altra persona?”Tipo la zarina, che aveva quell’abitudine, quando lo Zar era a Carskoe più di una persona giurava che si mettesse in ascolto, quando conferiva con generali o  ambasciatori, o sollevava l’altra cornetta, e a chi riferiva? Rasputin o chi per lui, pettegolezzi e maledizioni a carico di entrambi stavano toccando nuovi apici, cassai il pensiero, la chiamavano la tedesca, Nemka, bliad’, puttana, nella stessa frase, le avevo sentite, anche quella stessa mattina e ringraziato il Signore che non avesse compreso.
O no. Per quanto dietro ai miei casi, vedevo che era nervoso, petulante, parlava senza posa, saltando di palo in frasca, apriva e chiudeva i  libri, osservava la stanza dove “dormivo”(agli effetti pratici condividevo il letto con Andres, nella camera accanto,  era meglio che ignorasse). Era passato a trovarmi li per il pomeriggio e osservava quanto poco vi fosse, libri, materiale per scrivere, in un angolo la bacinella per lavarsi,un pettine e un asciugamano,  unica concessione alla frivolezza un vaso con delle giunchiglie di un cremoso color giallo.
“Sì .. però”E spostava i libri, saltellava sulla gamba, mi imposi di tacere, che se ne stesse fermo. Ed era troppo nervoso, idiota io a non badarci, quando era così petulante aveva qualche pensiero, indizi che stava valutando.
“E quindi?”
“Cosa..??” Spazientita.
“Non mi ascoltavi.” In effetti no, mi era entrato il mal di testa e l’irritazione
“Sei cattiva, io .. “
“Puoi ripetere per favore?”Arrabbiata. Irritata “ E basta, a agosto fai dodici anni, e ti comporti come un bambino  di tre, sei snervante, mi hai scocciato, togliti”Cattiveria peggiore non la potevo dire. “Via.. VAI VIA” Un tono duro, che ben di rado gli era stato riservato. “TOGLITI.. lo capisci o no” per rincarare la dose “Alessio, TOGLITI! Non ne posso più!”
“NO!! CATTIVA, Sei cattiva ”Tirò una gomitata e prese il vaso, vi fu una esplosione di cocci, acqua e fiori caduti.
Ebbi fortuna, non gli venne nessuna crisi, poi ci intendemmo, sorvolando la tentazione di sparire. Mia come da prassi. Prendemmo le misure, alla fine, e ci perdonammo a vicenda. Episodi che MI fecero crescere, alla lunga la bambina viziata ero io, non Alexei.
“Bravissimo, Alessio, sei uno spettacolo”
“Ho un fucile giocattolo sul modello di quelli veri, figurati se non so smontare e rimontare” pausa “Però mi fa piacere che mi hai fatto sparare con le armi vere, almeno 5 volte”
“ E hai centrato, non è la fortuna del principiante”
“E sai che sono diventato bravissimo a nuotare, l’altro giorno non mi hai visto, vuoi?”timido, a un tratto,che dovevamo ancora prendere le misure in quel nuovo rapporto. Se accettava  che fossi una amazzone militante, io dovevo dargli fiducia, cercare di non mettergli l’ansia, senza scocciarlo con le mie scenate e i miei malumori.
“Sì, lo so che sei bravissimo.”  Si girò a sorridermi, raggiante, l’arma tra le mani, il sole che batteva sui capelli castani, ambrati, e sulla casacca da caporale, quell’anno aveva avuto quella gioia, di indossare una vera uniforme rispetto a quelle onorarie che via    via rivestiva,  davvero un fiero  soldato, un principe militante, quando da semplice cadetto aveva avuto le mostrine era stato così contento da non parlare.”In tutto. E che stai attento, sennò non te lo avrei fatto fare”
“Ora riposati, sei stato superbo, Alessio” ero entrata in acqua, come una naiade, una ninfa dei boschi, in pantaloni e camicia, battendo le mani, mentre nuotava, entusiasta, io stessa avevo tirato due bracciate.
Il livello dell’acqua non mi giungeva oltre la vita, gli avevo fatto cenno di raggiungermi, ero ferma come una boa,  era contento come non mai.  Mi raggiunse e mi strinse, gli proposi di stendersi sulla schiena e stare sul dorso, la nuca contro il mio avambraccio, la luce e il sole battevano sui nostri gesti, pollice su pollice, era piccolo e insieme era  grande.. “Facciamo una gara?” propose “ Cat.. hai barato” “ Ho vinto io che vuoi?” “Hai comiciato a nuotare quando contavo..” Risi e lo feci volteggiare, schizzandoci a vicenda, poi uscii con lui per una mano, gli stivali nell’altra e camminai scalza, se non mi asciugavo sai che risate.
“Va bene a modo mio, mi riposo” intanto si rivestiva e io lo aiutavo, ovvero lo vestivo, il mio imperatore dei viziati. “Cioè ?” gli infilai la camicia, una manica e poi l’altra, rimettendola nei pantaloni, allacciandogli i bottoni. Un tono in apparenza leggero, intanto osservavo eventuali gonfiori, se sudava, la stanchezza. Fu il turno della casacca, brontolando, Alexei, lo fai apposta, sei in grado di farlo da solo. Spiegati, dai. Smettila di giocare, che mi consumi ..troppo solletico ..  
Appoggiai la schiena al tronco e a sua volta si appoggiò a me, facendosi richiudere, come quella volta a dicembre, con la differenza che stava bene e non aveva alcuna crisi. “Mi è entrato un po’ di mal di testa, non spaventarti, fa parte del nostro patto, che devo avvisare”
“Sì” Soffiai, massaggiandogli le tempie. Quindi”Dici che ti tengo al sicuro, Alessio, mi fa piacere,  non fissarti su questo, mica sono una maga o una santa, i miracoli  non li faccio, so che lo sai. E una precisazione, è falso che voglio bene solo a Olga, ti adoro.” Magari, avrei voluto che stesse bene, sempre, se avessi potuto operare magie o miracoli.
“Lo so, e so che vuoi bene anche alle altre di OTMA, non solo ad O” Pausa” A volte sembri tu la più grande, come se fossimo davvero fratelli” non replicai e lo strinsi tra le braccia ancora più forte.
E lo strinsi ancora, in Spagna, sbattendo le palpebre, il passato era una danzante falena, foriera di dolori e gioie, e tanto dovevamo andare avanti, forever young, my little brother.
“Por el prince Xavier Fuentes”
“Cosa??”
“Querido, ti avevo promesso un cavallo, un Akal-Take”
Quando eravamo in Siberia, quindi in Norvegia, frammentati e dispersi. “Solo por me?”
“Solo per te”
“Solo por el prince Xavier Fuentes”
   
 
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