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Autore: queenjane    25/11/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Febbraio  1919, Spain, Ahumada, Fuentes’castle

I particolari ritornavano, sempre, immagini e frantumi, una specie di doloroso trance.
 “Quando si muore, si smette di provare dolore?”parlavo così piano che dovesti accostare l’orecchio al mio viso. Eravamo a Spala, nell’ottobre del 1912, uno dei miei peggiori attacchi di sempre, il dolore così forte che la morte  sarebbe stata una liberazione, un paradiso.  Non ne potevo più, alla lettera. Mi raccontarono poi che la servitù si doveva mettere il cotone nelle orecchie per svolgere le sue mansioni, le grida di dolore e i rantoli provocati dallo sforzo di respirare passavano i muri della villa, ogni singolo mattone rammentava l’eco dei miei deliri. Non che fossi molto partecipe,lucido, la maggior parte del tempo ero semi incosciente, girato sul fianco e la gamba sinistra contorta, il viso esangue.  E stavo un filino meglio, quando ti feci quel discorso, meglio rispetto a quanto sopra, chiariamoci, almeno un poco.  Il giorno prima eri venuta,  mi avevi raccontato qualcosa, ero riuscito ad assopirmi, la mano serrata contro le tue dita.
“Penso di sì, ma nessuno è mai tornato a raccontarlo. Un filosofo greco raccontava che è come dormire e poi ci si ritrova dinanzi a un fiume, dentro una grotta, e che se bevi quell’acqua dimentichi tutto e poi rinasci .. Lasciamo stare, ora mi metto a raccontarti del Lete e dei soldati. Anche Achille, sai, il leggendario guerriero venne immerso da sua madre in un fiume speciale, da renderlo invulnerabile, tranne che in un punto ..” ti sorrisi, a malapena un incresparsi di labbra, percepii che mi sfioravi un palmo.. Cat. “Ovvero il tallone” una piccola carezza, respiravi in modo calmo, profondo, di sottofondo i singhiozzi della zarina mia madre. “Niente lacrime” lo detestavo, specie se ne ero io il motivo.
“NO”
Non piangevi, avevi le occhiaie fino al mento e il viso scavato, quando stavo male, in genere, non volevi toccarmi, avevi paura di farmi male anche non volendo,  quell’estate era stata una eccezione. Lo sai quanto ti voglio bene? A parole, nei fatti lo sapevo BENISSIMO che mi adoravi, quando ero in forma, non facevo pari a giocare con te, abbracciarti, riempierti di baci e dispetti, anche se ci dividevano quasi dieci anni.  Ricambiavi, a volte parevi tanto più bambina di me. 
E sopravissi, anche se mi avevano dato l’estrema unzione, avevo superato ogni previsione, anche me stesso, poteva essere ..pacifico, eppure .. la vita mi piaceva, la amavo anche se potevo fare molto poco. Attento, non giocare troppo forte, bada agli urti .. E i lividi, il sangue che non coagulava, il dolore su nervi e giunture e febbre e delirio.. le conseguenze fatidiche e malefiche, bastava un nulla e .. Un momento era a fare chiasso con le mie sorelle, quello dopo ero piegato dal dolore. Mia madre diceva che le preghiere di padre Grigory mi aiutavano, ma .. per quello che avevo non vi era cura, ho passato mesi, anni, a fingere di dormire, i miei genitori e i medici che parlavano sopra la mia testa, come se fossi un idiota. Ero malato, mica scemo, trattarmi sempre come un bambino piccolo o un infermo alla lunga mi riempiva di rabbia. Potevo solo cercare di stare bene.
A quel giro, dopo avere riportato l’ennesima lesione durante la crociera annuale, durante il soggiorno per le cacce autunnali di Papa in Polonia, mia madre mi aveva portato a fare un giro in carrozza per svagarmi, che mi era proibito toccare armi o partecipare alle battute, per gli scossoni l’emorragia si era spostata, aveva la grandezza di un pompelmo, ero quasi svenuto per il dolore, mettermi a letto era stato un duro affare.
Anche l’estrema unzione,avevo avuto e sapevo che da qualche parte vi era una bara della mia grandezza, ogni anno mi prendevano le misure, per assicurarsi che fosse tutto pronto. Un filino macabro.. pure se ufficialmente non dovevo conoscere quanto sopra, ripeto,  potevo essere malto, non idiota o cretino, checché ne pensasse la gente.
Ricordo un pomeriggio di fine dicembre, a Carskoe Selo, fermo su un divano ascoltavo le gesta di Achille, l’assedio di Troia e compagnia, TU eri vestita di chiaro, chiffon,credo,  i capelli raccolti sulla nuca, un raggio di sole faceva diventare color rame e bronzo le ciocche.  Una coperta buttata sulle gambe, che celava un arto stretto da un apparecchio ortopedico, per raddrizzarlo, camminavo male e a fatica, mi dovevano sostenere e mi aggrappavo ai mobili, alle pareti, ogni mossa un affanno. E l’apparecchio ortopedico era un arnese di tortura, lo tolleravo come i bagni di fango eccetera per far tornare dritta la gamba. La coperta celava anche il pannolone che portavo, cercavo di non pensarci., ormai lo portavo a giornate e lo odiavo, era necessario, che non mi reggevo in piedi, ma si poteva evitare di cambiarmelo accompagnando il tutto da smorfie e sussurri, come se fossi un bebè, avevo 8 anni, mica due mesi..
Lo sbuffo divertito di Olga, che si mise a parlare degli dei greci e romani, Atena e Apollo, forse.
E poi “Il Dio del Regno dei Morti era Ade, giusto?”
“Giusto, Alessio.”
“Allora, Zeus governava la terra, Poseidone il mare e Ade gli inferi.”
“Per la mitologia sì. “ ti avevo anche chiesto di riferire che, ove fossi morto, che costruissero un monumento di pietre nella foresta per ricordarmi.
“E come divisero le cose? Ci fu una guerra o se la giocarono, tipo con le monete o..”
“Una guerra, la lotta tra i Titani. “
“Che tristezza, erano tutti fratelli e esclusero l’ultimo.”
“Sono vecchie storie, Alessio, lo sai vero.” 

“ Ade era il dio più potente, che il suo era l’ultimo regno.  E lui non aveva paura. Mi piace, cosa credi, lui era forte e coraggioso come Achille. Io sono come Achille.. Credimi.”
“Ci  credo.”
 Ci credi anche ora accidenti. Accidenti a me e a te. Stupida eroina.. Coraggiosa come il rombo di un tuono. 
Ed impaziente, lo percepisco nel modo in cui mi sollevi, nel piccolo sorriso, meccanico che ti imponi sulle labbra. “Ti lascio un poco da solo, mm?” Staccando la mia mano dalla manica “Torno presto” Faccio una occhiata, della serie, mollami qui e non ricomparire. 
E tempo tre secondi mi rigiro inquieto, ti voglio richiamare. E il tuo nome è bloccato in gola. 
E mi ricordo di essere sempre vivo, i fili di erba sotto le dita, il calore del sole dietro lo schermo delle palpebre, un’ape ronzante, sono vivo, come un cavaliere che era caduto riprendevo coscienza del mio corpo, dei rumori, perché me lo avevi ricordato e quando tornavi.. Godo il sole e la bellezza dell’estate, respiravo.
Ero vivo. 
Me lo ripetevo di continuo, non mi pareva vero, l’avevo scampata insieme ad Anastasia, in quella cantina, era un miracolo od una tragica ironia. 
E pensavo, a frammenti- le chiacchiere, i sussurri, che il marito di tua madre era il tuo genitore solo in via nominale.
Che eri la .. prima scelta, in senso lato. Che mia madre non ha mai sopportato la tua, mai, a dare retta non sopportava pure te, tranne che eri il mio maggior capriccio, tra virgolette, sia nel breve e lungo periodo. È buffa, mi fa ridere.. potevano riempirmi di giocattoli, darmele sempre o quasi vinte, e tanto.. “Cat..” “Catherine”Mi hai sempre fatto sentire al sicuro, un baluardo, anche se mi hai ripetuto fino alla nausea che tu miracoli e magie non ne operavi. Lo so .. che credi, solo che .. alla lunga hai imparato a fidarti di me, come io di te, a non essere iperprotettiva e asfissiante, che amore era sapermi lasciare andare. Non hai mai detto una parola contro mia madre, mai. E ne avresti avuto motivo, lei diceva che eri una sventata, tua madre peggio di te, che ti lasciava stare, eri senza controllo, al contrario della zarina, ovvero lei, che tutto controllava e nulla comandava, la battuta letale di Olga, ripetuta lontano da lei. La manda a giocare con gli orfani, la fa studiare e cavalcare e .. La tua misericordia, Cat, Kitty Cat, la mia gattina, come diceva Olga, se non avessi sviluppato la tua intelligenza, saresti stata frustrata, infelice, tua madre ti dava la libertà, perché .. poche sillabe, un dolore atroce, quando ho visto la tua schiena marchiata dal reticolo delle cicatrici, regalo dei tuoi 16 anni da parte di Raulov, prese per difendere tuo madre dall’ennesimo giro di violenza, mi raccontasti poi, molto dopo, sono diventata “grande” quando avevo forse dieci anni, per difenderci da quelle mani, anche se ero sola una mocciosa, ALEXEI.
“Papa, dimmi la verità .. Cat è la tua bastarda?” Dopo che eri venuta, a casa Ipatiev, un sussurro contro la sua barba, ripensando a tutto il tempo che avevamo passato insieme, le storie, che quando c’eri non ero monitorato a vista, cavalcare e che alla Stavka eravamo sempre insieme. Insieme per dire, quando non eri dietro ai tuoi ingaggi o con Andres, tranne che mi facevi sempre sentire importante. E apprezzato. Che mi volevi bene sul serio, non avevi la vocazione per le cause perse come diceva mia nonna. 
“Alessio .. “
“Dimmi la verità”
Mia madre non aveva pianto, bizzarro, era solo invecchiata di una vita quando avevi risposto che il tuo primo figlio, aveva gli occhi chiari. Azzurri, avevi precisato, sulla domanda inespressa di Olga che aveva sorriso in tralice. Strano, mia madre piangeva sempre, se vi era disordine, che era incompresa, per me, per tutto .. MA.. era tramortita, come se un suo sospetto avesse preso corpo“Alessio”
“Dimmi Papa” 
“Prima di sposare la mamma, io ho voluto bene alla principessa Ella” Un eufemismo, Papa, quando litigavi con mia nonna, Marie, e lei ti aveva rinfacciato che Alix von Hesse, la puttana tedesca, o così dicono, era la tua seconda scelta, ti aveva rinfacciato che la principessa Ella ti amava, e tu lo amavi. Tu avevi taciuto, chi sta zitto acconsente, rilevo“A prescindere da tutto..”Dai voti matrimoniali e dalla società. Vero. E da Alix von Hesse und Rhein, mia madre. “Sì ?” 
“Alessio, non .. La vita non è semplice, io ho voluto bene alla  principessa Ella e alla tua mamma”
“Catherine è la tua bastarda” Percepii che voleva picchiarmi, un duro lampo che mi ridusse al silenzio, i pugni serrati, i miei e i suoi.
“Alessio, IO ti insegnato l’Onore. Offendi te e lei, oltre che me”
“Allora?”
“Onora tua sorella, sempre, prenditi cura di lei, come farà con te” un lascito morale, la mia eredità tra frantumi e rovine, mi sento un vuoto  profilo contro le ombre della sera. 
Proviamoci .. me lo ripeto. 

Painting birds, butterflies and flowers, and the future. Since I was never alone, my family was always there for me the whole time :.. you're never alone, my little Prince, my soldier, my Alexei .. Cat, said and says.. OH CAT..
Avevo sperimentato una solitudine, un dolore che non reputavo possibile, cercare una ragione, un motivo  e tutto sfuggiva la mia comprensione. I miei scatti di rabbia, gli incubi, il cercare di inventarmi una diversa vita, il mio nuovo nome, come un talismano. E mi pareva ironia e sarcasmo atroce, essermela cavata, per quanto invalido ero sopravissuto. Come tutti, chi più chi meno, Giorgio V, re di Inghilterra, che nella primavera del 1917 doveva accoglierci in esilio, salvo poi ritirare l’offerta di darci asilo, che si temeva per la sua lealtà, essendo mezzo tedesco, come mia madre, aveva infine rotto ogni lontano eco delle ascendenze teutoniche della casa reale inglese. Nell’estate del 1917 la casa di Sassonia-Coburgo-Gotha divenne la casa di Windor, tutti i titoli mutati. E allora io ero Xavier dei Fuentes, figlio (adottivo) del principe Andres Fuentes, da un giorno all’altro avevo iniziato a chiamarlo “Papa”.  E vivevamo ad Ahumada, il castello costruito dopo Poitiers, nel 732, sulla via dei commerci e dei pellegrinaggi, rocca imprendibile e mai presa, dai mattoni color miele e cinta di edera, vicino a opulente foreste, la casa dei signori delle montagne, appellativo di cui  i Fuentes si fregiavano
 
“NO”
“Svegliati, tesoro, sei con me” e tra un diniego ed uno ulteriore, mi scossi, percepii le braccia di lei, ansimavo, e non era il buio, odore di polvere e sangue, quella cantina, quanto altro, capelli biondi, tremiti e .. mi avevano portato via a rotta di collo.
“Era orribile”, il viso contro il suo collo, cercando di alzarmi, di scatto, anche se non ero sicuro che la gamba reggesse, ansimavo forte.
La notte aveva spesso 000 incubi, non sapevo SE e Quando sarebbero diminuiti, di giorno stava bene, definiamola così, era il principe Xavier, adottato da Andres, la sua camera da ragazzino era vicino a quella che dividevo con Andres, appena sentivo un gemito accorrevo.  E la notte era un duro affare, temeva quei demoni, il letto sarebbe stato sempre bagnato se non avesse avuto il pannolone.
“Non era la cantina” mi prevenne.”Era su John..”
Uno dei figli del re inglese, era morto circa un mese prima, il 18 gennaio 1919, non aveva neanche 14 anni, stroncato dall’epilessia. Scorrendo i giornali inglesi, per la prima volta ne era menzione, anche se in via informale, almeno a livello diplomatico se ne sapeva.
“Mmm?” una pausa “Raccontami, se vuoi”
La zarina aveva passato molto tempo, quando era bambina, poi fanciulla e giovane donna alla corte inglese. Adorava, aveva adorato sua nonna la regina Vittoria, la matriarca vestita di nero, piccola e grassa, che aveva gestito un vasto impero e una numerosa famiglia, il granduca Luigi d’Assia, suo padre, li definiva la “Folla reale” . Per me è stata come una mamma, usava dire, dopo avere perso la sua a sei anni.
In estate usava passare delle settimane a Osborne House, in cima a una  scogliera,  sopra Cowes, mentre le rose  esotiche fiorivano,  i giardinieri rasavano l’erba sui prati che digradavano sul mare, sotto i cedri  e le magnolie  sventolava il vessillo inglese. In quella magione tutto celebrava Vittoria e il suo defunto marito, dalle iniziali nei camini, fino alle serrature, V e A, intrecciate, in ogni dove.  Quando servivano il tè, Alix sedeva sulla sedia che era spettata a sua madre.  E il castello di Windsor era molto amato da Alix e i suoi fratelli, ne esploravano ogni dove, dalla base al tetto, le scorribande sfrenate spesso erano interrotte da un valletto della regina che invitava al silenzio  e il castello di Balmoral, in Scozia, era fatato, con i prati pieni di erica e dolci brezze, camminavano a piedi, lunghe escursioni e un negozietto nei dintorni che vendeva dolciumi era una meta ambita, lì la zarina aveva imparato a fare le focaccine. O così diceva, Olga la vedeva comandare, di rado fare qualcosa oltre al ricamo, piangeva e aveva spesso l'emicrania.

Mentre andavano verso l’Inghilterra, filando sullo splendido yacht imperiale, l’elegante Standart con l’enorme bompresso laminato d’oro che  si ergeva, fiero e snello  da un alto scafo di 128 metri,  con ponti di tek, su cui si levavano due enormi fumaioli e tre grandi alberi verniciati.
 Alix raccontava gli episodi di cui sopra, stringendo il braccio della sua primogenita, dandole attenzione e cura, al contrario del solito, la ragazza fiutò la trappola condita di miele. E le onde filavano, come i pensieri che scriveva a Cat su un quaderno, nulla di che, la pensava sempre.
 
E Alessio faceva una confusione al limite dell’inenarrabile, saltava, pretendendo di essere un coniglio, correndo da una parte all’altra della stanza ondeggiante, come definiva una cabina, come a Carskoe Selo le stanze dei bambini imperiali erano vicine, Olga si scocciò e lo afferrò, transitando nella camera “Devi dormire, basta bizze” piano
“Voglio Catherine..” facendo il broncio
“ Aleksej, fila, lei ti avrebbe messo a letto da un pezzo e .. “ vide il suo visetto desolato “ Le sto scrivendo, le vuoi mandare un saluto?”
“La voglio..”
 “E’ in Spagna, Bimbo.. “
“ La vojo qui con me” storpiando le parole, come quando era piccolo o troppo stanco
“Tesoro, lei è mia amica.. Non è una sorella, una cugina.. Non può sempre stare con noi”
“Perché?ti vuole bene, è amica tua, e ti fa ridere, perché non può stare con noi” non gli rispose, la sua ineccepibile logica infantile meritava risposte che non sapeva, o voleva dare. E lo passò a una tata, sperando che si addormentasse per la stanchezza.
Non glielo poteva dire, la zarina gli aveva regalato tanti giocattoli e la Vyribova lo vezzeggiava a piè sospinto .. E tanto.. “Catherine, via Anya.. voglio Catherine” era un capriccio che non gli passava. Capriccio per dire, Cat lo adorava, e viceversa, insieme erano buffissimi.
E si sentiva in colpa, lo sentì (come al solito) piangere fino a tardi, nonostante la coperta buttata sopra le orecchie. E lei lo aveva salutato, dicendo che sarebbe andata appunto in Spagna e poi a Parigi, non lo aveva illuso. Mamma non la vuole, Papa sì.. Ha paura che non la rivedrà più..
“Aleksej.. “ alla fine era scivolata da lui che le girava la schiena, il viso verso la parete”Cat vorrebbe che sorridessi “
"Lei non c’è” duro “Lasciami solo”
" Va bene "gli toccò una mano, una piccola stretta delicata. " Io non sono lei, lo sai..ma una cosa la so, che ti vuole bene e la rivedrai.." " Olga non devi dirmi balle per farmi contento" una pausa " Lasciami solo per favore "
“.. è stato molto bello ritornare, sai, è un posto magico. Le cime frastagliate dei Pirenei, con le ombre azzurre dei ghiacciai, il profumo acuto dei pini e dei fiori selvatici che si unisce al mormorio del torrente, che si chiama Moguer.
Moguer,  fu il primo appellativo dei signori di Ahumada, poi due fratelli, sotto Carlo Magno, combatterono con valore e l’imperatore assegnò al primo il titolo di marchese, il secondo ne ebbe un altro, ebbe poi delle terre, ma scelse di chiamarsi Fuentes, per differenziare. Verso il Mille, il ramo di Ahumada aveva una ragazza Moguer, la sola erede, che sposò un Fuentes, ricongiungendo i due rami, da allora ci sono stati solo i Fuentes.. fino al dicembre 1752, quando nacque Felipe Juan, figlio di Xavier Fuentes, poi diventato per note cronache Felipe Rostov-Raulov..”
Ancora “.. e sono presenti i re di Spagna, Alfonso e Vittoria Eugenia, per la grande caccia.. Una tradizione, una squisita ospitalità, varie volte l’imperatore Carlo V di Asburgo vi ha soggiornato (..) la storia è la mia grande passione, Olga, e qui la respiri a ogni passo.. (..) Magnifico, per quattro giorni è stato magnifico.. La caccia, pic-nic, la sera concerti e musica, danze in costume.. !”
 
“.. il mare era color fiordaliso, il cielo senza una sola nuvola e il sole splendeva ben alto, mentre lo Standart percorreva lento la Manica ed il Solent, sfilando davanti a 24 navi da guerra, 16 incrociatori, 48 cacciatorpediniere (le abbiamo contate con Aleksej), oltre che lo yacht reale britannico Victoria and Albert. E poi hanno rombato i cannoni, il vento faceva garrire le bandiere, applausi dei marinai e le bande di ottoni hanno iniziato a suonare i rispettivi inni nazionali.. Poco melodioso e l’effetto è stato superlativo ….(..) qui vanno di moda gli abiti bianchi e grandi cappelli, ogni giorno incontriamo il re e la regina, zio Bertie e zia Alice, come li chiama mamma, che sono veramente gentili e solleciti.. “[glielo raccontò poi a voce che il vecchio re aveva una pancia immensa e guai a osservare qualcosa, lui si vedeva ancora giovane e bello, un gaudente libertino che aveva una amante fissa e molte amiche collaterali, per disperazione della moglie, che alla fine si era rassegnata a portare le corna..]..mi spieghi come fanno a fiorire i melograni tra le montagne? Sono contenta che mi hai mandato i fiori pressati, li metterò da qualche parte, io ho raccolto dei papaveri e degli iris, come nostra abitudine.. Deve essere bella la radura vicino al castello, è un vantaggio che la marchesa Cepueda sia così gentile .. Me la ricordo Cat, nel 1905  era la principessa Fuentes, poi sposa del marchese Cepeuda.. E comunque, perché le cose divertenti o curiose che fai le vengo a sapere a rate..?Non sono impazzita, come noto la mia prozia Beatrice è la mamma della regina Ena e..”
“Alexei gioca con Johnnie, ha circa un anno meno di lui… il chiasso che creano…”
“Credo che gli venne un attacco quando giocavamo insieme..  per terra, tremava.. i marinai mi hanno portato via” una pausa “.. un filo di sangue sulle labbra”  E Alexei era stato poi distratto, aveva scordato solo in apparenza, tranne che gli attacchi epilettici, cominciati quell’estate, lo avevano condotto a essere un invalido, a non essere mostrato in pubblico, a vivere lontano dalla famiglia reale, in un cottage isolato. La tata che lo seguiva fin dall’infanzia non lo aveva lasciato, aveva amici, un’automobile a pedali, una bicicletta e poteva coltivare un pezzetto di terreno, il “giardino del Principe John", con i giardinieri che lo aiutavano a curarlo e ben di rado vedeva i suoi fratelli o genitori.

Ogni sera, in quell’estate del 1909, vi era un banchetto, un ricevimento, le acque del mare erano percorse da lance che portavano i vari ospiti, le stelle tremolavano e nell’aria della sera era tutto un tintinnare di brindisi e allegre musiche, le orchestre suonavano, a fine serata esplodevano i fuochi d’artificio.
“Una cavallerizza provetta, meravigliosa..”
“.. a chi vi riferite?” lo zar, si era incuneato morbido  
“.. alla principessa Raulov.. davvero..”

“.. hai ucciso un lupo e non cacci neanche un’osservazione. Il coraggio, il sangue freddo o sei vittima di un eccesso di modestia..o ti ha traumatizzato l’ondata di proposta di matrimonio e le lodi, peraltro ben meritate..”
 
Mi hanno chiamato rosa rosarum, ninfa in versione di bruna, onori per la mia vanità di allora, ero cresciuta, che ne sapevo io, gli sguardi scivolavano addosso, la prontezza di offrire una coppa di champagne, dopo le battute di caccia, le gonne fangose, mi pareva di essere un oggetto di caccia a mia volta e non sbagliavo di tanto l'interpretazione ….”Siate pratica”, disse una volta la mia cara nonna materna, a volte ancora era così  cinica da essere quasi simpatica
“.. mi ha fatto piacere sentirti al telefono, anche se a mio fratello non tornava. Se sento la voce, deve essere qui.. davvero, Catherine, sbrigati a tornare, Parigi è splendida ma noi ti attendiamo a Livadia ..” e me lo disse molto dopo che si era messo a piangere, che eravamo due bugiarde, che non sarei tornata e lo prendevamo in giro, e basta, che era diventato un terremoto perpetuo.
 
Certo che Parigi è splendida, un tour a vedere i vari monumenti, a partire da Notre Dame, i rosoni ammorbiditi dall’edera, una serata al teatro dell’Opera..(..) visitato Marly e Versailles.. E ho ben visto le vetrine, Tatiana ne sarà ben curiosa, visto che apprezza la moda e gli accessori..(..)Ps preso la riproduzione di un gargoyle ad Anastasia, almeno vedrà come le smorfie e le boccacce che fa di solito quando vuole essere spiritosa scattando una foto non sono tanto carine, tranne che conoscendola ne prenderà ulteriori spunti,  per comune svago.. Non vedo l’ora di rivedervi, un bacio allo zarevic..”


 “Io non lo capisco, ti voleva e poi quando arrivi ti saluta appena e ti gira al largo, pare arrabbiato e..” eravamo a Livadia, girando sulla spiaggia sottobraccio, osservando da lontano la costruzione del nuovo palazzo imperiale, lo avrebbero chiamato White Palace e i lavori sarebbero terminati, salvo nuove nei primi mesi del 1911.
Di candida pietra, avrebbe contato 60 stanze, balconi, colonne e loggiati e logge, insomma una mirabile e articolata struttura, con molti cortili.
“E’ arrabbiato ”rilevai. Ce l’aveva con me perché non c’ero, nonostante le reiterate suppliche, e quindi.. fine, tanto valeva ignorarmi. Ed io con lui ero impacciata, quell’estate avevo intuito la sua malattia, la vera natura, che la regina spagnola aveva due bimbi emofiliaci, che soffrivano degli stessi mali misteriosi dello zarevic e avevo fatto due più due. E  avevo paura di fargli male e gli giravo al largo a mia volta, per quanto possibile, rimanendo per lo più con Olga e socie (così si definivano, tra l’altro, le imperiali sorelle)
“Ma come ragiona..”
“Ha cinque anni, Olga. E ..”
“Tu invece che rimugini? Spara, Catherine, anche tu hai qualcosa, te lo leggo in faccia, anche se fai la gnorri, sei preoccupata ..” una pausa “Resta tra te e me, come al solito”
“Io.. non vorrei .. sarebbe una mancanza di rispetto..” mi scrutò basita.
“Tu vuoi sapere qualcosa e hai paura a chiedere”decodificò rapida, a volte era sommamente irritante che mi leggesse dentro come un libro aperto, altre un conforto.
“E’ su tuo fratello. Ha l’emofilia?” sul suo orecchio, per non farmi sentire da nessuno.
Se il silenzio producesse rumore avrebbe avuto un effetto come quello che seguì, il viso di Olga diventò color cenere, nonostante l’abbronzatura.
Il suo silenzio la conferma, lei e Tatiana, essendo le più grandi, sapevano e avevano giurato il segreto sopra la Bibbia, di non rivelare nulla a nessuno, quella verità era nota a un ristretto gruppo di familiari, medici e servitù. “A volte preferirei che fossi meno sveglia o curiosa” sospirando, le labbra le tremarono leggermente. “Questo è ..”
“Una cosa riservata, da non dire.”
“Mi fido di te come di me stessa.. solo che non potevo”
“Immagino, alcune cose sono davvero un segreto” e alludevo a me e al tormento che mi aveva eroso, ovvero avere il principe Raulov come padre.
“Hai ragione, ti ha fatto bene la Spagna” cercando lo scherzo “Olga, non volevo farti piangere..”
“Macché, è la polvere di questo cantiere arriva fino a qui.. e guardati per te. Tornando al nostro imperatore dei viziati, che giustamente lo chiami così, se ha buonsenso la rabbia gli passerà, sennò peggio per lui”
Formulai un paio di battute, nascose la risata dentro il fazzoletto, ci ricomponemmo, in fondo eravamo abituate a lasciar trapelare le emozioni tra noi.


Quelle giornate rimasero a imperitura, comune memoria, che Olga il giorno dopo ebbe le mestruazioni, rimanendone sconvolta.
Era a casa mia e si lamentava dei crampi e mal di pancia, forse per  la scorpacciata di dolci, pasticcini di crema e cioccolato, finiti in mosse rapide e golose. E   decise di andare in bagno, un locale di recente rinnovato, con un a strepitosa porcellana bianca che copriva tutte le superfici, per chiudersi in cima con l’ultima fila di piastrelle decorate di iris blu. La vasca era grande, con rubinetti e tappi d’argento come quelli del lavandino, nello stanzino a parte il WC, bianco, con una tavoletta di massiccio mogano.
“Sto morendo.. “saltai dal bordo della vasca come un grillo.
“CHE HAI?”
“IO..”Un singhiozzo soffocato.
“Olga, apri la porta  o chiamo i cosacchi..”
“Chiama tua mamma, ti prego”
“Sì..”
Mi venne in mente che fosse il ciclo, non lo avevo mai avuto, ricordai quello che mi aveva detto mia madre, pochi e pratici frammenti.
“Aspetta..Non muoverti”
“Ti aspetto.. Ci conto e ci spero, Cat..”


Già, aveva le sue cose. La sua inimitabile madre, che si menava vanto di essere una guida, un faro e un soccorso, la aveva istruita sulle buone maniere, il ricamo, la compostezza, il dovere ma non sui misteri esatti del corpo femminile.
Come se tacendo le sue figlie non crescessero.
Sapevamo la teoria, non certo la pratica, quando accadde fu una sorpresa.
Il mio è un rigurgito amaro, lo so pure adesso, tranne che fu mia madre a consolare, spiegare, lontano dalle mie orecchie, per non farla imbarazzare ancora di più, Olga, farle bere una tazza di tè e abbracciarla, darle un pannolino per il sangue.
La zarina si occupava delle donne in generale, non di quelle particolari in casa sua.
Quando vi era bisogno di lei non vi era mai e il giorno successivo era già troppo tardi.
(Quando successe a me, Olga fu pratica, efficiente, mi diede un bacio, una borsa di acqua calda per i crampi al ventre, insegnandomi a mettere le pezze di cotone per raccogliere il mestruo e poi i malumori. Mi  toccò il mese successivo, a proposito)
 
E fu per il temporale. A fine estate ogni tanto scoppiavano, violenti, estenuanti, con un corteo di tuoni e lampi, da annerire il cielo, toccava accendere le luci  e a me avevano sempre dato sui nervi, mi incupivano senza rimedio, come quello che principiò mentre ero fuori dalla stanza di Olga, quel giorno non era scesa in spiaggia per “emicrania” e io le avevo fatto compagnia, quindi mi aveva spedito fuori senza che azzardassi domande.
“Principessa?” una volta ero Catherine o Cat, annotai, era meno formale tanto era meglio se giravo al largo, se lo toccavo e prendeva un urto..
“Sì, zarevic..” mi girai, arretrando di un mezzo passo, sorridendo che teneva in mano un aeroplanino. Nemmeno lui era ancora sceso in spiaggia, rilevai e  a me non doveva importare
“I temporali ti danno sempre fastidio? “
“Un poco ..” mise il broncio “Parecchio, anzi”  era una scusa per avvicinarsi senza perdere la faccia, l’orgoglio, che era suscettibile come pochi.
L’ennesimo tuono.
Il rombo dei fulmini.
L’impianto elettrico saltò e rimanemmo al buio. Ero più vicina io di Deverenko, e avevo visto una miriade di giochi sparsi.. Se scivola e si fa male.. Gli vuoi meno bene dato che è malato..  No.
“Zarevic.. rimanete fermo, per favore” desta o sinistra, dove era..mi misi carponi e .. “Vieni Catherine, dai”
“Fermo per favore.. che giochi inventate con quell’aeroplano..”un tono basso, le urla lo avrebbero innervosito.
“Di tutto un poco. E…” lo raggiunsi in tre secondi, me lo accostai addosso, seppellendo il viso contro il suo collo.
Movimenti istintivi, automatici.   
“Aleksej .. tesoro”profumava di fieno e camomilla, lo dovevano avere lavato con quelle essenze, e sudore infantile, annotai  l’usuale rigonfio del pannolino sui fianchi, lo strinsi delicata
“Hai paura?” divertito.
“Sì” lui si riferiva ai tuoni, io a che si facesse male, percepii le sue braccia sul collo, lo serrai in grembo, massaggiandogli la schiena, così era più facile, bastava che lo amassi
“Io no.. fifona” mi sfiorò i capelli “Io non ho paura di nulla”
“Hai ragione..”  quanto tempo era passato da quando lo avevo tenuto stretto. Una vita. Un attimo, una lunga eternità.  “Sono una fifona..”
“Chiudi gli occhi.. Dimmi che ti tocco” mi sfiorò il naso, la fronte, le guance, e sbagliavo, dicendo una parte per un’altra, si mise a ridere.  Mi misi seduta, per terra, con sempre lui in braccio, nemmeno brontolai quando mi tirò i capelli.
“Sei sempre arrabbiata con me”
 “No .. Aleksej..” addolorata “ Pensavo che..” tacqui, che gli dovevo dire, che ero una cretina, un’idiota di prima categoria.
“Non mi lasci più..”avevo voglia di dirgli di sì, e lo avrei preso solo in giro, non era uno stupido. Poteva essere piccolo come età anagrafica ed era intelligente, svelto, difetti a parte,  più cresceva e più capiva.
“Cercherò di fare il meglio possibile..”
“Non è una grande risposta..” e di mi migliori non potevo offrirgliene.
 Ero  goffa, di legno, di pietra, lui mi stava aiutando a ricomporre i pezzi, sancendo poi, anni dopo, che lo tenevo al sicuro, lo facevo sentire protetto ed era vero il contrario.
Come quella notte, dopo l’ennesimo incubo.
“Mi sento sicuro”
“Sei al sicuro” me lo imposi, almeno in quel momento, lo eri, al sicuro, non ti sarebbe capitato altro.
   
 
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