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Autore: Crilu_98    26/11/2018    1 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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Hiccia era oltremodo confusa; non dal paesaggio sconosciuto, o dai piccoli gruppi indigeni che avevano incontrato e neanche dal comportamento impacciato e nervoso di Pileius.
No, era confusa da sé stessa e dalle sensazioni che provava quando il suo sguardo si posava sulla figura alta e magra del ragazzo. Lo conosceva fin da quando era bambina, ma da quando l’aveva salvata aveva iniziato a guardarlo, suo malgrado, con occhi più attenti; ed ora che viaggiavano da soli, quella riluttante attrazione la metteva a disagio.
A volte Pileius sembrava essere venuto al mondo con il preciso scopo di infastidirla: si preoccupava per lei, le offriva i bocconi migliori della cacciagione e quando le rivolgeva la parola le regalava sempre uno di quei sorrisi caldi e speranzosi che le facevano attorcigliare le viscere.
Ma soprattutto, Hiccia detestava sentir montare la rabbia quando Pileius si attardava con le ragazze dei villaggi che incontravano: in quel momento, ad esempio, stava tentando di comunicare con una ragazzina bruna e paffuta che lo osservava con aria sognante.
“Non si sa perché, poi!” pensò con uno sbuffo infastidito “Non è forte e robusto come Hostius e non ha i bei lineamenti che aveva Manlios… Anche Sattias, con quegli occhi verdi, risulta più attraente di lui! Gli occhi di Pileius cambiano colore in continuazione e non stanno mai fermi… Tranne quando si posano su di me.”
Inquieta e decisa a non interrogarsi ulteriormente sul disagio che le opprimeva il petto, Hiccia fece pressione per ripartire il più in fretta possibile. Si era fatta un’idea abbastanza precisa della vallata in cui stavano costruendo il nuovo villaggio e delle colline circostanti, ma voleva spingersi ancora più a nord perché aveva sentito parlare di un insediamento di greci posto vicino al mare che poteva costituire una vera minaccia. I greci, infatti, avevano fama di essere un popolo di sapienti molto versati nell’arte della guerra.  
“Potevamo anche rimanere lì per la notte, sai” borbottò Pileius dopo un po’ “Non avrebbe fatto alcuna differenza, tranne quella di avere un tetto sopra la testa per dormire!”
“E un coltello piantato nella gola!” replicò lei cupamente, con il respiro leggermente ansante dato che il sentiero curvava verso l’alto. L’aria sapeva di sale, segno che il mare non doveva essere lontano.
“Che cosa? Ma sei impazzita? Era un villaggio ameno ed ospitale!”
“Non ho specificato quale gola!” ghignò intimamente la ragazza, ripensando alla brunetta formosa. Il suo corpo, invece, era duro ed allenato dalle corse nella foresta, le mani erano piene di calli dovute all’arco e i capelli, non curati, le ricadevano spenti e smorti ai lati del viso: c’era da dubitare che un uomo potesse trovarla bella…
Quel pensiero fu talmente inaspettato ed imbarazzante che Hiccia incespicò sul terreno, rischiando di perdere l’equilibrio, ma Pileius fu abbastanza veloce da trattenerla per un braccio:
“Ti sei fatta male?”
“No, sto bene.”
“Te l’avevo detto, che dovevamo fermarci e riposare! Sattias può…”
Ma non finì la frase, perché un grido lontano li zittì entrambi: una seconda voce rispose, sempre nella lingua dei guerrieri di Diomedas.
“Sembrano lontani!” bisbigliò Pileius, acquattandosi per istinto tra le foglie del sottobosco. Hiccia lo imitò e strisciando arrivarono fino alla fine del sentiero, dove gli alberi si diradavano su uno spiazzo d’erba secca a picco sul mare: sotto di loro, su una stretta lingua di sabbia, i guerrieri nemici, numerosi come mai prima d’ora, stavano partendo.
Le vele delle loro navi venivano scosse dal vento mentre gli uomini le spingevano in acqua, mentre altri radunavano i prigionieri in catene e il bestiame trafugato durante le incursioni; anche i cavalli venivano condotti per la cavezza sulle barche, attraverso strette passerelle di legno che scricchiolavano sotto quel peso.
“Che spettacolo spaventoso…” balbettò Hiccia, a corto di saliva. La reale potenza dei loro nemici la colpì come un pugno allo stomaco e la riempì di terrore; fu grata a Pileius quando lui l’attirò tra le sue braccia mormorando parole tranquillizzanti e solo l’ultimo, sciocco residuo di orgoglio le impedì di piagnucolare come una bambina.
“Calma, Hiccia!” le sussurrò il ragazzo all’orecchio, accarezzandole i capelli e le braccia per fermare il tremito che si era impossessato del suo corpo “Vedi? Se ne stanno andando!”
“Ma torneranno!”
“Non prima della prossima primavera. Per allora, saremo pronti ad accoglierli!”
 
Sattias si rigirava la sottile corona di bronzo tra le dita, indeciso se porsela sul capo o riporla accanto al giaciglio di pelli sfatto che occupava gran parte della capanna.
Era un giorno di festa, dopotutto, e il cerchio dorato non avrebbe sfigurato sopra alla veste più preziosa che possedeva, una tunica bianca bordata di porpora, dono del popolo delle capre per l’aiuto che avevano ricevuto.
Tuttavia, il ragazzo non sapeva se Sabidia avrebbe apprezzato una tale formalità al suo matrimonio; Hostius, ne era certo, era troppo emozionato e felice per badarci.
“Ma lei? Non le ho quasi più parlato da quel giorno… Siamo diventati due estranei.”
Ultimamente frammentati ricordi della loro prima infanzia avevano iniziato a turbare il suo sonno: momenti rubati alla severa educazione di Aia, in cui tutti e sette si erano concessi il lusso di essere bambini, nuotando nudi nel fiume prima che l’età, il pudore e le invidie li separassero.
Uscì dalla capanna stringendo ancora la corona tra le dita, in tempo per veder comparire Sabidia, adorna di fiori freschi e stranamente serena in volto.
Quando Hostius era venuto a chiedergli il permesso di sposarla, il primo impulso di Sattias era stato quello di negarglielo e non perché si rammaricasse della sua scelta: non avrebbe mai potuto amare Sabidia come lei meritava, dato che l’unica donna che avesse mai desiderato era Laktéa.
Tuttavia era anche scettico sulle fondamenta di quel rapporto e temeva che da una tentata violenza non potesse nascere nulla di buono; con una punta di arroganza e vergogna, si era chiesto se Sabidia non avesse accettato la proposta di Hostius per ripicca o amarezza.
Ma vedendola procedere sicura verso il marito che aveva scelto, Sattias si lasciò scappare un sospiro di sollievo: forse quell’unione non si fondava su una grande passione amorosa da parte di lei, ma non c’era rimpianto nelle sue iridi scure ed il sorriso che gli rivolse pareva sincero.
Si avvicinò ai due sposi e ad Etrilia, che officiava la cerimonia, fermandosi esattamente davanti a Laktéa, in modo da poter studiare il suo volto senza essere notato.
Mentre osservava Hostius e Sabidia pronunciare il giuramento e bere dalla coppa rituale il ragazzo arricciò le labbra in un ghigno divertito:
“Certo che per essere il primo matrimonio di un nuovo popolo è ben misera cosa! Hiccia e Pileius non sono ancora tornati, Laktéa sembra indifferente alla cerimonia e Manlios…”
Irrigidì i muscoli del collo e delle spalle al pensiero dell’amico perduto, ma l’unica che si accorse del lampo di dolore che gli attraversò lo sguardo fu Laktéa e mentre Etrilia procedeva con il sacrificio per rendere grazie agli dei ed interrogarli sul futuro degli sposi la ragazza gli si accostò in silenzio.
D’istinto Sattias cercò la sua mano per trovare conforto e lei strinse le sue dita di rimando:
“Solo noi sappiamo comunicare così!” pensò il ragazzo, deglutendo a fondo per l’emozione “Trasmettendo nei gesti tutto ciò che non sappiamo dire a parole!”
L’urgenza di rendere più concreta quell’ineffabile sensazione lo fece sorridere.
“Vieni con me!” sussurrò, con gli occhi che scintillavano, senza degnare di uno sguardo gli altri amici che stavano per consumare le delicate carni del capriolo offerto in sacrificio.
Il limpido sguardo di Laktéa si colmò di stupore, poi di comprensione ed infine di un’emozione selvaggia e ferina che Sattias sapeva di avere riflessa sul viso.
Scivolarono via dal modesto banchetto ridendo come mai in vita loro, corsero fuori dal villaggio senza guardarsi indietro e si fermarono, ansanti, solo una volta superato il fiume.
Sattias si lasciò cadere sull’erba umida vicino alla riva e trascinò Laktéa giù con sé, al sicuro tra le sue braccia, mentre lei si divincolava per poterlo guardare negli occhi e catturare le sue labbra con un bacio, accarezzandogli le guance con le dita sottili: quando si separarono avevano il fiato corto e le iridi verdi del ragazzo erano torbide ed affamate.
Sattias fece scorrere le mani su quel corpo che all’inizio aveva giudicato scarno e poco attraente, per poi iniziare a giocherellare con le ciocche bionde strette in una treccia sulla sommità del capo:
“Sposami” domandò in un soffio “Resta con me”
Sulla faccia di lei si dipinse un sorriso triste mentre poggiava il palmo sul petto del ragazzo, nel punto in cui il cuore batteva all’impazzata:
“Io sono già con te.”
“Resta con me come mia moglie, come mia regina!”
Quell’improvviso accenno al comando la turbò:
“Io non faccio parte del vostro popolo, non so quasi nulla delle vostre tradizioni…”
“E cosa vuoi che me ne importi!” la interruppe lui con impazienza “Non voglio sposarti per generare un erede, ma perché ti amo, Laktéa! Voglio te e se la tua risposta sarà no allora resterò da solo, ecco.”
Laktéa sorrise di nuovo, con indulgenza:
“Oh, Sattias” bisbigliò, liberandosi con un calcio degli stivali e scrollandosi di dosso la pelliccia di lupo “Non fare promesse che non puoi mantenere… Posso giacere con te, ma non diventerò tua moglie”
Sattias le afferrò i polsi con rabbia un attimo prima che potesse sciogliere la fascia che le cingeva i seni.
“Cosa ti frena? Il fatto che sei stata costretta a dividere il letto con Diomedas? Io non mi curo di questo!”
Il labbro inferiore di Laktéa tremò, ma lui non accennò a lasciarla andare.
“Non ho diviso il letto con lui” mormorò alla fine, a voce così bassa che Sattias credette di aver immaginato quella frase.
“Cosa hai detto?”
“Diomedas non mi ha violata” spiegò lei, con tono più alto “Non gliel’ho permesso, io… Ho aspettato che si ubriacasse, l’ho tramortito con una pietra e sono fuggita. Quell’uomo è forte come un toro ed astuto come una volpe, ma è anche vecchio e non regge più il vino. No, non è questo… E’ che io non voglio più avere paura per qualcuno: sarei costretta a vederlo partire per la guerra e convivere con l’incertezza ed il timore per la sua sorte. Non voglio fare la stessa fine di Etrilia, non voglio pensare che un giorno mi ritroverò a piangere sulla tua testa mozzata: lei almeno ha i suoi dei a cui chiedere conforto, ma se tu morissi… Sattias, se tu morissi io non avrei più nessuno. Sarei di nuovo sola, questa volta per sempre.”
A corto di parole, per qualche istante il ragazzo si limitò a fissarla con gli occhi spalancati, nei quali si rifletteva tutto il suo turbamento. Poi la presa sui polsi di lei si fece più leggera, trasformandosi in una carezza:
“Proprio perché non ci è dato conoscere il domani dovremmo godere dell’oggi” mormorò “Non voglio giacere con te per un piacere effimero, Laktéa. Voglio farlo con la consapevolezza che, notte dopo notte, potrò stendermi ancora al tuo fianco. Voglio farlo sapendo che per ogni giorno che gli dei mandano su questa terra tu continuerai ad amarmi… Perché mi ami, non è vero?”
Nel sentire quel tono incerto, da animale ferito, Laktéa sbuffò, per metà commossa e per metà divertita.
“Certo che ti amo, sciocco!”
“Allora, vedi, è troppo tardi per temere di soffrire ancora: che tu lo voglia o no, i nostri destini si sono già intrecciati.”
Sattias lasciò infine che la ragazza liberasse entrambi dal peso fastidioso dei vestiti ed accarezzò il corpo pallido con una riverenza ancora maggiore di quella che aveva sempre professato nei confronti degli dei.
Mentre la adagiava sull’erba e la osservava con meraviglia ed orgoglio, per la prima volta fu contento che Mamerte l’avesse scelto per quell’ardua e pericolosa missione che l’aveva portato tra le braccia di Laktéa.
Mentre affondava nel suo corpo, maledicendosi per il dolore che le stava infliggendo e per il sangue che bagnava le loro gambe, pensò anche che non c’era posto al mondo in cui avrebbe preferito essere.
   
 
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