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Autore: BrizMariluna    27/11/2018    2 recensioni
Questa storiella racconta di come un evento, naturale e normalissimo nella storia del mondo e dell'umanità, possa sconvolgere la vita di una coppia. Una qualsiasi.
Avrei potuto usare chiunque, di qualunque anime, di qualunque libro o film famosi... ma ho deciso di far vivere questa esperienza a qualcuno a cui sono affezionata, ripescando dai miei ricordi, (e non solo) di questo evento, avvenuto ormai parecchi anni fa...
Potremmo dire che è uno spin-off della mia long, "Il Drago e il Leone", alla quale contiene riferimenti.
Idealmente, va a posizionarsi tra l'ultimo capitolo e l'epilogo di quest'ultima. Ma penso che non sia strettamente necessario averla letta, per seguire questa trama. Va beh, fate voi... ;)
E i protagonisti sono Sakon Gen e Jamilah Nyong'o, l'altra OC che ho creato per la long.
Strano, eh? (Praticamente l'ho scritta solo per te, Morghana! Bacioni!!!! :******)
[Storia in fase di revisione]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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*EPILOGO*
 
 
 
- Auckland -
Quattro mesi più tardi
 
 
 
 
Jamilah si alzò, la mente ancora intorpidita dal sonno, sentendo Martin piangere. In un attimo raggiunse la sua cameretta, adiacente alla stanza da letto di lei e Sakon, e lo prese in braccio.
Non si svegliava quasi mai, la notte, ma forse in quel momento sentiva spasmo alle gengive per l’avvento dei primi dentini, anche se, a cinque mesi, le sembrava un po’ presto… O, forse, era un dolore al pancino causato dalla prima pappa, nuova avventura di quel giorno appena trascorso? Improbabile, si disse: era più quella che era finita sputata addosso a lei e in faccia a Sakon, che nel suo piccolo stomaco…
Se lo cullò dolcemente, rimettendogli il ciuccio e portandolo nella propria camera.
− Jami, se gli darai il vizio di farlo dormire con noi, chiederò il divorzio. Ricordati il patto: il lettone è nostro, lo sai! – brontolò Sakon, mezzo addormentato.
− Quante notti ha dormito nel nostro letto? Avanti, dillo!
− Lo ammetto, si contano su una mezza mano, ed è stato quando ha avuto la febbre…
− Appunto: lo faccio solo riaddormentare, poi lo riporto nel lettino, promesso.
Sakon si sollevò su un gomito e osservò suo figlio che, ormai calmissimo, lo fissava perplesso alla luce tenue della lampada sul comodino, succhiando con impegno il suo ciuccio. Era più che evidente che, nonostante loro si impegnassero a non dargli quel vizio, a Martin piacesse non poco stare lì, spaparanzato tra mamma e papà.
Lo sguardo adorante di Sakon si accigliò per un attimo.
− Cosa c’è, Sakon? Non è la prima volta che ti vedo questa espressione, mentre osservi Martin.
− Mah, niente… paranoie mie. Sto solo sperando, con tutto il cuore, che nostro figlio... non sia come me.
− Cosa? Non vuoi che Martin diventi forte, coraggioso, sincero e altruista, nonché stupendamente bello e intelligente? – chiese lei con finto stupore tenendo un tono di voce basso, per non disturbare il piccolo che stava lentamente cedendo al sonno.
− Jami, io non sono tutte queste cose, dai! − si schermì lui, altrettanto sottovoce.
− A parte l’intelligenza, vorrai dire. Comunque è vero: a volte, quando sei nervoso, sei anche brusco e musone. E sei un gran precisino e pure un po’ permaloso, ma che ci vuoi fare? Nessuno è perfetto! − celiò Jami.
Tornò subito seria mentre invece, a lui, sfuggiva un sorriso: era stupendo essere amati anche per i propri difetti!
− Sakon, ho capito cosa intendevi, sai? − gli disse Jami con dolcezza − Ma non ha senso preoccuparcene ora: se Martin avrà una super intelligenza come la tua o se sarà un bambino nella norma, lo scopriremo solo guardandolo crescere. E, nel caso, sono certa che, forti delle tue esperienze, sapremo aiutarlo e consigliarlo perché possa avere una vita il più possibile normale e serena.
Sakon guardò la moglie, grato del fatto che, ancora una volta, fosse riuscita a percepire i suoi pensieri e per come, al solito, fosse stata capace di trovare le parole più giuste per rasserenarlo.
− Jami, ti adoro. Non so cosa farei senza di te... – asserì, allungando un braccio al di sopra di Martin per accarezzare una guancia di Jamilah.
− Di sicuro ti divertiresti meno. In fondo, io sono la donna che ti ha fatto accettare che la tua età anagrafica sia di parecchi anni inferiore a quella che tu ti sei sempre sentito. E sono anche quella che è stata capace di farti fare il bagno in mare vestito, con la quale hai fatto a cuscinate come un dodicenne e hai ballato un lento in pigiama! Sono persino quasi riuscita a farti prendere una sbornia! Solo quasi, purtroppo!1
 − Già! E durante tutto ciò, eri pure già incinta, disgraziata!
− E dov’è il problema? Non erano mica cose pericolose, e io non ho bevuto quella sera: ho fatto bere te! Peccato che tu sia troppo serio, e ti sia voluto fermare quando eri solo dignitosamente brillo!
– Direi proprio che non ti puoi lamentare di questo, considerato quello che è successo dopo! Non ci sarei riuscito, se fossi stato sbronzo del tutto!
− Effettivamente, devo ammettere che farlo nell’ascensore ha richiesto gambe ferme e un equilibrio notevole!
Ridacchiarono sommessamente, complici maliziosi di quel ricordo bollente che avevano condiviso ormai molti, molti mesi prima.
Martin si agitò un po’ ed entrambi tacquero per non dargli noia; senza nemmeno accorgersene, finirono per riaddormentarsi. 
Jamilah si risvegliò di colpo dopo un’ora scarsa. Il bambino dormiva profondamente, ma Sakon avvertì il suo lieve sobbalzo.
− Tesoro, tutto bene?
− Sì sì, solo che… ho sognato… Ho sognato Martin…
− E ti sembra strano? Ce l’hai abbarbicato addosso, guardalo… 
In effetti il neonato era letteralmente appiccicato alla mamma, con una manina cicciotta appoggiata possessivamente su uno dei suoi seni. 
− Questa storia deve finire: non va mica bene, che tuo figlio si appropri così spudoratamente delle mie cose… − decretò scherzosamente Sakon, prima di vedere lo sguardo perplesso di Jamilah e tornare serio.
− Hai avuto un incubo?
− No, non proprio… Solo che Martin era… grande. Aveva circa trent’anni, nel mio sogno.
− Ah… E… com’era?
− Ti somigliava tantissimo… solo con la pelle più scura e gli occhi turchesi. Un gran figo, a dirla tutta.
− Uh, grazie… Allora, cos’è che ti ha turbata?
− Lui era… ai comandi del Drago Spaziale – sparò di botto, come per liberarsi di un peso.
− Ai comandi del Drago? Al posto… di Pete? 
Jami annuì, silenziosa. Sapeva che i sogni sono soltanto sogni: proiezioni, spesso distorte, delle proprie paure o di ciò che si è vissuto. Gli specialisti dicono che i sogni premonitori non esistono, e lei ne era sempre stata convinta; ciò che l’aveva colpita era la vividezza e la precisione dei dettagli, di quel sogno.
− E poi… non era solo: c’era una ragazza al suo fianco… alta, con i capelli biondi lunghissimi e gli occhi… verdi. 
− Chiamalo scemo, si è scelto una bella sventola! Non è mica mio figlio per niente – rise Sakon; poi, tornando serio, aggiunse: – Jami, non vedo nulla di preoccupante in tutto questo: è solo il riflesso di tutto ciò che abbiamo vissuto. Stai tranquilla, okay? Avanti, piccoletto, vieni che ti riporto nei tuoi appartamenti – concluse, prendendo in braccio il figlioletto addormentato, deciso a riappropriarsi della sua parte di letto e, magari, visto che all’ora di alzarsi mancavano ancora diverse ore, anche ad invadere il lato di Jamilah. 
La moglie si alzò a sua volta, seguendolo e osservandolo mentre adagiava Martin nel lettino e lo copriva con la leggera copertina colorata. 
− Hai ragione, in fondo proprio io ti ho detto, non più tardi di un’ora fa, che non ha senso preoccuparsi adesso. È solo che… forse ogni genitore vorrebbe per i propri figli un futuro perfetto e, onestamente, non credo che sarei felice di vedere il nostro coinvolto in una guerra galattica come è accaduto a noi.
− Beh, pensi che i nostri genitori lo siano stati? Eppure lo hanno accettato e sono anche orgogliosi di noi.
− Certo, lo so. E comunque, al di là di ciò che ho sognato, la verità è che, perfetto o imperfetto, non possiamo sapere come sarà il futuro di nostro figlio. Infatti sono venuta di qua con te per rileggermi la poesia... 
Sakon alzò gli occhi alla parete, alla quale era appeso un quadro, proprio sopra al lettino di Martin, realizzato dalla loro amica Fabrizia: sul lato sinistro erano ritratti lui e Jami con Martin in braccio mentre, sul destro, era scritta, a mano ma con un ordinato e preciso lettering, una poesia che ormai entrambi sapevano a memoria, ma che non disdegnavano mai di rileggere ogni volta che capitava l’occasione; ovvero, diverse volte al giorno, trovandosi così a portata di occhi.
Mentre la rileggevano, ambedue pensarono che avrebbero senz'altro dato a Martin tutti gli insegnamenti possibili e ogni mezzo che la vita gli avrebbe messo a disposizione, per educarlo al meglio e prepararlo ad affrontare la vita; ma cosa ci sarebbe realmente stato nel suo avvenire, non potevano saperlo. Potevano solo sperare che il futuro del loro bambino fosse sereno, variegato, interessante e pieno di belle esperienze e soddisfazioni; ma speravano, soprattutto, che fosse ricco di ogni sfaccettatura dell’Amore.
Tendendogli una mano, Jami sorrise al marito e lo invitò a raggiungere nuovamente il loro talamo: il sonno ormai se n’era andato, ma entrambi avevano un paio di idee, su come occupare quel po’ di tempo prima dell’alba. 
Le parole appena lette nel quadro aleggiarono leggere nella loro mente, per poi depositarsi agli angoli delle loro coscienze, pronte per essere ripescate ogni qual volta lo avessero desiderato.
Avevano un bimbo e una famiglia da crescere; il futuro, al momento, poteva attendere.

 
Gen-Family

  
“I vostri figli non sono i vostri figli:
sono i figli e le figlie della brama che di sé ha la vita.

Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi,
e benché vivano con voi, non vi appartengono.

Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri,
poiché essi hanno i propri pensieri.

Potete offrire rifugio ai loro corpi, ma non alle loro anime,
poiché le loro anime abitano la casa del futuro,
che neppure in sogno potrete visitare.

Potete sforzarvi di essere simili a loro,
ma non cercate di renderli simili a voi:
poiché la vita procede, e non s’attarda su ieri.

Voi siete gli archi, dai quali i vostri figli
sono scoccati come frecce viventi.

L’Arciere scruta il bersaglio, sul sentiero dell’infinito,
e con la sua forza vi piega e vi tende
affinché le sue frecce vadano veloci e lontane.

Con gioia lasciatevi tendere, dalla mano dell’Arciere.
Poiché come Egli ama lo scoccare della freccia,
così ama l’immobilità dell’arco.”


(Da “Il Profeta” di Gibran Khalil Gibran) 
2


 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
Cfr. “Il Drago e il Leone”: la discussione tra Sakon e Jamilah nel capitolo 40, “Di trappole e rimpianti”.
Khalil Gibran: poeta, pittore e aforista libanese, naturalizzato statunitense. (Bsharre, 6 gennaio 1883 – New York, 10 aprile 1931)


 
Ringrazio all'infinito la mia amica Morghana per questa stupenda e tenerissima immagine realizzata da lei al pc. In questo caso, ha praticamente fatto le veci di Briz (non io, ma quella della storia!)

 
  
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