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Autore: queenjane    28/11/2018    2 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Erano passati tanti anni, me ne ricordavo molto bene, annotai, stringendo i miei bambini tra le braccia, Leon doveva compiere un anno, era nato il 23 aprile 1918, nemmeno undici mesi dopo Felipe, il primogenito. Mamma e no, oltre a Papa le sue parole preferite, di Leon, dico, che Felipe parlava molte lingue, un genio poliedrico, il cui vocabolario era noto a ben pochi. Le testoline contro il mio busto, uno per parte, a quel giro niente capricci o lagne snervanti. Evento ben possibile con i bimbi, tranne che possono indurre finanche il più disponibile dei genitori alla fuga o alla crisi di nervi. Niente tate o nurses, me ne occupavo in prima persona, come di Ahumada, dell’ospedale..
“Sono verdi come foglie, sai” le iridi di Leon, una gradazione mutevole, come quella di Andres e della loro sorellina Sophie, Andres le aveva mandato il regalo e si erano sentiti per telefono, as usual. Anche lei era nata di aprile, aprile 1912, dopo il soggiorno a Copenaghen l’accordo con Erszi era stato che vi sarebbero state lettere e che si sarebbero rivisti, era una peste e mi mancava.
Non era una separazione definitiva, rievocai, quella con Olga invece sì, senza ritorno, la prima quando avevo dieci anni.
“E i tuoi occhi, invece,, Felipe, sono azzurri come zaffiri..” Come quelli delle mie sorelle perdute e di Alexei, invece tuo zio Aleksander ha le pupille scure come le mie..
Nel gennaio 1905, la granduchessa Olga preferiva riflettere sulle  prodezze dell’attesissimo fratellino. Ed era in ansia, che molto spesso i dottori si affollavano intorno alla sua culla, alle volte piangeva per ore e ore,  e non era per la fame o il bisogno di essere cambiato o di essere preso in braccio.
Perché ? Che ha? Sua madre aveva il viso cupo, la fronte corrucciata, pregava per ore ed ore nella suntuosa cappella privata, tra icone e candele, ripetendo che Dio era giusto e i medici una manica di ignoranti.
E tra un episodio e l’altro Alexei era un bambino delizioso, stupendo, conquistava chiunque lo vedesse. Era il centro della famiglia imperiale, come scrisse poi il loro precettore svizzero Gilliard..


E comunque  capiva che l’atmosfera era tesa, irrequieta, per quanto i grandi fossero laconici e distanti.  I feriti erano tornati dalla guerra in Giappone, pieni di rabbia e mutilazioni, scarseggiavano cibo e lavoro, gli operai adesso erano in sciopero perenne.

In quel mese di gennaio, l'imperatore si apprestava a partecipare alla tradizionale cerimonia di benedizione delle acque del fiume Neva.
Era su un palco, lo zar, tutto impellicciato, mentre la famiglia e la corte imperiale osservano da dietro le finestre del Palazzo d’Inverno.
Il vescovo immerse la croce nel foro praticato nel ghiaccio, i cannoni tuonavano a salve dalla fortezza dei Santi Pietro e Paolo.
Un poliziotto accanto allo zar si accasciò a terra, la candida neve si colorò di scarlatto.. delle granate colpirono il palazzo, i vetri implosero, poliziotti e guardie sciamarono accanto a Nicola II, mentre io, la principessa Catherine, mi ero spostate davanti a Olga, la sua mano fredda scivolò nella mia, mi tirò poi indietro “Spostati, cretina!!”.
Assassini! Traditori ..  i  cannoni caricati con proiettili veri e non a salve.. Dio Animali.. Assassini.” Le urla rotolavano come ferro..
I vetri impazziti dentro un caleidoscopio. Un eco infinito.
All’interno del palazzo ci ritrovammo con schegge su scarpe e vestiti, una finestra era esplosa, ma eravamo illesi, lo zar rimase fermo, segnandosi, altro sul momento non poteva fare.
Il 9 gennaio 1905 avvenne la cosiddetta domenica di sangue, i soldati spararono sulla folla di operai che chiedevano salari più equi, otto ore di lavoro al giorno, maggiore assistenza, un corteo non autorizzato che tuttavia si era svolto lo stesso.
.. quello che indignò i giornali stranieri fu la crudeltà della repressione, anziani e bambini feriti a colpi di sciabola, come criminali.
Lo zar era maledetto, sosteneva la gente, aveva impoverito il suo popolo, portato le campagne alla povertà più estrema. Fatto sconfiggere il paese dai giapponesi, era un mostro assetato di sangue, crudele e spietato.



Poco prima del mio decimo compleanno, ero nata il 27 gennaio 1895, i principi Raulov decisero di partire per un viaggio in Europa, sempre desiderato e mai svolto, con l'effetto  di dover dire addio.
“E te ne vai.”
“Resto sola” che dire, Olga, non avevo affatto compiuto la maggiore età, non potevo andare e venire come volevo (mi sarei rifatta nel successivo decennio) e nemmeno potevo rimanere presso la famiglia dello zar a tempo indefinito, non ero orfana o disgraziata. Avevo dieci anni, ma fin a lì ci arrivavo pure io. E avevo inteso, non soffriva certo di mancanza di compagnia, aveva le sue sorelle, i genitori, Aleksej, tate e cameriere, una caterva di precettori, tranne che io e lei ci capivamo sempre, alla prima, una specie di magica intesa che avevo solo con lei.
“Sono i miei genitori, mica posso lasciarli” ovvio, come che mi sarebbe mancata, e non avrei mai lasciato mia madre alle prese con suo marito, mai.
“Come la risolviamo, Cat?” il nomignolo con cui mi chiamava nella prima infanzia, risorse, intatto e amaro.  Strinsi il mento contro il petto, chiedeva a me, non sapevo a quale banalità appellarmi.
“Consideralo un anticipo, Olga, abbiamo progettato di viaggiare per il mondo, io vado in avanscoperta e … ti scriverò. E tu a me.”
“E mi mancherai, Olga, sei la persona più cara che lascio in Russia “E qui, dalla distanza, Olga confermo e sottoscrivo, non ci fossi stata, sarei stata così sola da sfiorare la vertigine e appena me ne sarei accorta.”Ottimo, Altezza imperiale.”
“E grazie per l’Epifania, quando ti sei messa davanti a me” Scrollai le spalle, non importava.
“Istinto di protezione, Olga, sono più grande di te di quasi dieci mesi e .. ho avuto paura dopo.”
“Mi pareva, non sei così intrepida” Le labbra increspate.
“Vai, principessa, non devi fare tardi, e scrivimi” Sospirai, odiava le smancerie ma quella volta glielo potevo ben chiedere.. la separazione incombeva.
“Le moine non ti piacciono, visto che non ci vedremo per mesi, ti posso abbracciare?”
“Certo, che aspettavi a chiedere?” e aprendo le braccia, una stretta sottile.
“Torno prima che posso.”
“Me lo auguro, Catherine, abbi cura di te” scostandosi, mi allontanava, intuii che combatteva contro le lacrime,  si tratteneva, la figlia di uno zar non eccede in debolezze, si trattiene, in attesa della notte, per premere un cuscino sopra la testa.
Ce n'est qu'un au revoir .
(Non è che un arrivederci)
E io ero la figlia di un principe, omisi di passare a dare un bacio di commiato allo Zarevic. Nella peggiore delle ipotesi si sarebbe agitato, nella migliore nulla avrebbe rilevato.. Aveva da compiere sei mesi, a quell'età i bambini ben scordano, lui era solo un infante, il mio piccolino, Baby, lo chiamava Alessandra, come le sue sorelle, io nulla ero e andava bene così. 

Il granduca Sergio Romanvo, zio di Nicola II, nonché suo cognato, che aveva sposato Elisabetta, sorella di Alix, morì nel febbraio 1905, dilaniato da una bomba degli anarchici a Mosca. Sua moglie si ritirò a vita privata, vendette tutti i suoi gioielli e fondò un monastero, trascorrendo il resto della vita tra opere di carità e preghiere. 
Immediata conseguenza dell’ esplosivo mortale fu l’aumento della sorveglianza nei confronti della famiglia imperiale, prigionieri in casa loro, da quanto erano monitorati.

Olga singhiozzava di nascosto, la figlia di un soldato fa così, invece sua madre pianse in modo plateale e aperto in tutto il 1905, tra scioperi e rivolte, la sconfitta inflitta dal Giappone con nefaste conseguenze condussero Alessandra sull’orlo dell’esaurimento, un disagio da cui non si sarebbe più ripresa, un progressivo peggioramento del suo essere e del suo carattere, oltre che del suo stato fisico.
 Olga voleva che tutti i giapponesi, le facce gialle morissero, ma quando realizzò che il suo desiderio avrebbe lasciato orfani i bambini e vedove le donne cambiò idea e non ne disse più nulla.
Taceva, non confidando a nessuno i suoi pensieri, mentre i suoi genitori, oltre che per la guerra si angustiavano per la salute del tanto desiderato figlio e erede, Alessio.
La sua situazione  non poteva essere evitata o lasciata fuori dai cancelli della reggia, aveva appena sei settimane quando aveva avuto una emorragia all’ombelico, il sangue non si fermava ed era un chiaro segno che qualcosa non andava.
Alessandra lo aveva aspettato per 10 anni, era il compimento di tutte le sue speranze e dei suoi sogni, era disperata che quei segnali fossero riconducili all’emofilia, morbo che si trasmette di madre in figlio.
E le crisi insorgevano, repentine, in particolare le tumefazioni su gomiti o ginocchia indicavano una emorragia interna, gli arti si gonfiavano e il bimbo piangeva per ore, in preda ai dolori, fino a gemere, prostrato, incapace di mangiare o dormire.


Olga scriveva a Catherine che studiava inglese e francese con Tatiana, andava a cavallo, talvolta accompagnava il padre a fare lunghe passeggiate, insieme alle sorelle. Che nelle belle giornate lo zarevic era condotto a spasso nei giardini, in una cesta sul dorso di un asino. Dei picnic, la tavola apparecchiata sotto gli alberi, ulteriori passeggiate nei prati, la stagione era quieta, bellissima, con tanti fiori da raccogliere. E  della crociera autunnale sul golfo di Finlandia a bordo dello yacht imperiale, dei bagni a riva, osservando le conchiglie, le alghe e nuotando, e tante altre minuzie, glissando l’aspetto di  maggior rilievo, ovvero quando sarebbe tornata.

Catherine descriveva Londra, Parigi, le città del Nord, Roma, la Spagna e quanto altro, senza accennare date precise di ritorno, i suoi genitori non avevano idea e quindi nemmeno lei. E le pareva di essere con lei, aveva dieci anni la furbastra e sapeva descrivere bene, appunto, in Spagna come a Roma e via così. Mescolava i dettagli e la faceva ridere, almeno un poco.

Dai un bacio a tutti, in particolare allo Zarevic, fai conto che sia io..” 
“Vorrei che lo dessi tu, questo bacio, segno che saresti qui, gli parlo di te, anche se credo capisca il giusto, che hai tanta fantasia, che quando ti ha sorriso le prime volte eri in estasi, rapita e contenta....E tanto è un moccioso .. che vuoi che si ricordi ..” E quelle frasi non le scriveva mai, si ricordava come Cat ne fosse rapita, adorante, contenta, che Alexei pareva riconoscerla, riservandole sorrisi sdentati ed estasiati, se fino al momento prima piangeva e LEI compariva smetteva nel momento esatto, tra le sue braccia pareva (ed in effetti era) tranquillo, in estasi, un reciproco amore cui entrambi si abbandonavano.


Intanto, il Giappone aveva annientato a Tsushima, un’isola nello stretto della Corea la flotta russa, come era accaduto per terra a Mukden, battaglia in  cui erano periti 100.000 russi.
La guerra era perduta, senza fallo e lo zar acconsentì che il presidente americano, Roosevelt, presiedesse i negoziati di pace che presero avvio nell’estate del 1905, Alexander Rostov-Raulov fu tra i suoi delegati in terra americana per trovare una soluzione.
In autunno vi furono appunto, scioperi e rivolte, tanto che nel mese di ottobre lo zar firmò un proclama che istituiva una assemblea eletta dal popolo, la Duma, si riconoscevano al popolo diritti fondamentali come l’inviolabilità della persona, la libertà di coscienza, parola, riunione e quanto altro.
Era il primo passo verso le riforme, l’autocrazia non esisteva più, almeno a livello formale, anche se i limiti del potere dello zar erano tanto ambigui che l’Almanacco del Gotha del 1906 definiva la Russia una monarchia costituzionale retta da un autocrate.
La zarina pianse per ore e giorni, oppressa, ma Nicola aveva firmato, non farlo significava la guerra civile. Con il senno del dopo, notiamo, riflettevo poi io, Catherine, rileggendo le cronache, che la prima seduta della Duma (parlamento) si tenne nel maggio successivo nella sala del trono del Palazzo d’Inverno, il parallelo corse, inquieto ed inquietante alla prima seduta degli Stati Generali aperta da Luigi XVI in Francia, nel maggio 1789. Con il senno del dopo, ripeto, siamo tutti bravi. La sessione venne aperta dallo zar, dalla zarina e dalla zarina madre, preceduti da araldi che su cuscini recavano le insegne imperiali, la corona, il globo e lo scettro.  Venne letto il generico discorso inaugurale, mio zio R-R aveva i brividi per l’odio che percepiva, una sensazione, nella grande sala. La solita freddezza della zarina, Alessandra, le lacrime trattenute dalla zarina madre.  Il ministro della corte imperiale, Frederiks, dopo enunciò che i deputati della Duma gli parevano una banda di ladri e criminali pronti a gettarsi, in caso di segnale, sulla gola dei ministri, un coacervo di ceffi che sperava di NON incontrare mai più.

Olga finì la lettera con un sospiro, sua madre aveva l’emicrania, dopo avere vegliato Aleksej per due giorni e due notti, nemmeno gli attesi regali di Natale da aprire, con i loro fiocchi dorati,  e l’albero scintillante di candele e profumo le davano gioia.
Non tornerà più, è andata via per sempre, non è morta come lo zio Sergio, ma è tanto che non scrive e .. Ha trovato un’altra amica, migliore di me, senza gelosie o maleducazione e malumorePrima scriveva che le mancavo, ora ha smesso.. Manco del moccioso scrive più. 
 Mi manchi Cat..
Torna. Non ne posso più. Siamo amiche, sorelle elettive, in viaggio .. e io ti voglio qui con me, che non mancherai a uno scherzo, una tragedia, un rifiuto, a un gioco. Torna, Cat, I’ll love  you forever, I’ll lack you for always.
 

Era una sorpresa, forse una delle più riuscite, quando bussai non giunse nessuna risposta, un perfetto congegno. Entrai e la vidi di spalle, il ritratto della malinconia pensosa, si girò di scatto e la protesta le morì sul colpo.
"Salve, Altezza Imperiale, scusate il disturbo.
TU.. Sei tu.” Il viso illuminato di gioia, come quando apri le tende in una stanza chiusa ed entra il sole.
Si era alzata in piedi, in quei mesi era cresciuta di statura, dimagrita, uno sguardo velato, un poco più malinconico che scomparve non appena mi toccò, non ero una morgana, un miraggio
I’ll love  you forever, I’ll lack you for always.
Olga, siamo sempre amiche? Non hai trovato chi è migliore di me, come amica, dico, che non sia pigra, accidiosa e poco sorrida come me??
Mi sei mancata tanto.

La benda che avevo sul cuore si sciolse.
Alzai la testa  e le spalle, i miei capelli ricaddero in ciocche sulle spalle, con riflessi di mogano, scintille di rosso scuro, ambra e cannella, come quelli dello zar..
Je suis ici..Sono tornata a casa. Volevi qualche altra? “ Mi abbracciò, di schianto, così forte da farmi dolere le costole.
“Volevo te..”
E l’intesa ritornava, una magia che non sarebbe venuta meno, di capirci con una sola occhiata, stare bene in silenzio. Pattinare sul ghiaccio, giocare a scacchi o dama, cavalcare nelle pigre mattina di primavera, passeggiare vicino al mare quando eravamo a Livadia o a Peterhof, leggere e fantasticare.. Tutto questo e più ancora.
Potevo ingannare il passato, dicendo di non ricordare, ma non me stessa, le volevo bene, mi rendeva migliore, anche senza nessuna azione, giusto perché era lei.
Io mi sono finta forte per tutta la vita, sia prima che dopo, ma in realtà era lei a non spezzarsi né spiegarsi. Anche da sola, rievocavo la sua risata, i suoi passi, il profumo, l’ho amata e ferita a morte, persa nel mio egoismo, riscattandomi per brevi momenti, l’ho portata dentro di me, come un tatuaggio, uno specchio, ho vissuto molte vita in una e lei con me.


Ah .. poi andai da Alessio. Non mi riconobbe, di primo acchito, ma il mio nostro amato “moccioso” aveva fiuto per chi lo amava, non mi riconobbe chiaro che no, tranne dopo un pomeriggio di risate e sussurri mi elesse a suo nuovo, imperiale giocattolo.  
Principiava a camminare, mi misi carponi e a  fine pomeriggio avevo ginocchia e  mani sudice, a furia di ripulire tappeti e pavimenti di parquet dalla polvere (Alix ne prese nota, che le pulizie non erano effettuate a dovere) E Aleksej mi usava come appoggio mobile per camminare, salvo decidere che la mia schiena era più piacevole del cavallo a dondolo, ce lo issarono senza fallo, i miei capelli folti e sciolti le sue redini.
Ero un nuovo balocco, e lui il mio, lo serravo tra le mani, lo baciavo, forever or never, era mio.
In tempo di una settimana decisi che era più divertente stare con lui che perdere tempo con le bambole.

E mi faceva diventare verde, ero il suo cavalluccio, il suo deambulatore, tranne che quando mi scocciavo glielo dicevo, già allora avevo appreso che a lui non dovevano essere riservati bruschi movimenti, ma la dolcezza, la comprensione.
Lo serravo per la vita, le mie braccia lo circondavano sui  fianchi avvolti dai pannoloni, vestiva spesso alla marinara, con ampie gale e stupendi colletti. “Ora basta.. Gioco io” “No” e lo serravo. “Chi sono io? “ “..oh..” Per boh. “Sono Catherine.. dillo” E lo sillabavo e taceva, il furbone e lo cedevo ad altre braccia, quando dovevo ritirarmi..E si metteva a piangere, quando scomparivo, andando avanti per un pezzo se non tornavo, mi si buttava addosso e giocava, da capo e di nuovo con me, mi tirava i capelli, mi sorrideva, faceva buffe smorfie.
Ti adora cretina, altro che, a un anno, come a otto e tredici..

“ E dì Cat, va bene uguale” Una pausa e un sospiro “ Come tua sorella Olga” Ancora “Zarevic, che volete..” e mi strattonava le ciocche, serrandosi “ Basta.. “
Lui zitto, viziato e  bizzoso.
“Basta ..”
“No. Decide Bimbo”
“ Chi è bimbo?”
“Baby..” Alix lo appellava bimbo, Baby, un tenero vezzeggiativo che principiò allora, come Little One. “La bambola?” e tante altre eventuali, e lui corruscava il visetto, lo stringevo e mi si rannicchiava addosso, fingendo di essere offeso “ Lo zarevic è bellissimo .. ma chissà chi è Bimbo, boh..” Un sorriso “ A Bimbo voglio bene, solo a lui” mi arrivò un calcio, io tirai un colpo sul suo sederino fasciato dal pannolone.

“Aleksej, tesoro..bravissimo..” Me lo caricai in grembo, rapida, come tanti anni dopo .. Avevo aperto le mani ed aveva camminato barcollando tra le mie braccia, mi ero sollevata, con lui in trionfo, dritto come un fuso“ Altro che Bimbo.. “
“Bimbo bravo” lui a me.
“ Va bene..Bravi tutti e due, ma Bimbo sa chi sono, voi no..”
“NOOO..  Tu .. Cat..”
“CHI? “ commossa, in estasi.
“TU.. CAT.”
E disse Catherine, io resto convinta oggi ancora che lo avrebbe detto molto prima, tranne che non voleva darmi soddisfazione.
”.. Mio zio R-R ai tempi remoti, tipo 1896 e giù di lì voleva scrivere un libro di memorie sul nostro antenato Felipe ed è andato a cercare le origini, in Spagna, ove ha fatto amicizia con il principe Xavier Fuentes, i Fuentes erano la famiglia di origine di Felipe. Abitano in un castello favoloso, si chiama Ahumada ed è sui Pirenei, da dove ti scrivo adesso (descrizione in fondo, curiosona, che ti devo raccontare un sacco di cose) Allora, il principe Fuentes ha quattro figli, tre maschi e una ragazza, che si sposa domani. Si chiama Marianna, è bella e gentile, non si scoccia di rispondere alle mie domande, sul come e i perché, ha gli occhi verdi e i capelli scuri, è alta come la tua mamma (..) La cappella era piena di zagare, sai qui sono fissati, e le donne portano la mantilla, con un pettine, che è una specie di velo, il mio è di seta. La cosa buffa è che le donne sposate lo portano nero, le nubili bianco o avorio, come fosse uno dei nostri veli da sposa. Comunque Marianna si è sposata con il vestito tradizionale, nero, con ricami favolosi, in testa una mantilla scura, le zagare portate dappertutto, sul corsetto, il bouquet, nei capelli insieme ai gioielli. Lo sposo le ha offerto 13 monete d’oro, lei altrettanto, questo scambio indica la condivisione delle finanze e LUI che offre una dote a LEI. Poi hanno passato una corda sui polsi degli sposi, stringendola leggermente, per indicare che non si separeranno mai più Chiaramente la cerimonia era in latino e non ci ho capito nulla, in meno di una ora ce la siamo cavata, quando sono usciti scoppiavano petardi e mortaretti, fuori gettavano il riso e gli sposi sono passati attraverso una galleria di spade sguainate, degli amici e dei fratelli di Marianna (Enrique, Jaime e Andres, spero di avere traslitterato bene) e hanno scandito il motto dei Fuentes e dei Cepeuda..”Fuentes, ahora y por siempre” (Fuentes, ora e per sempre) “Estrella por Espana” (Una stella per la Spagna??) la festa è durata fino a tardi, sono corsa da una parte all’altra con un gruppo di ragazzine, la mantilla data a mia mamma, per non perderla  (..)Ho ballato con i grandi..Comunque anche guardare era uno spettacolo, i tre fratelli Fuentes sono alti, come  il cugino dello Zar, il granduca  Nicola e i suoi Zii.. Hanno tutti gli occhi scuri come il loro padre, Xavier, mentre Andres li ha verdi come Marianna, li hanno presi dalla madre, che era nata in Russia, pensa un poco.. Il principe Xavier era venuto a San Pietroburgo in Grand Tour nel 1878, contava 18 anni e lì ha trovato Sofia R. della stessa età e si sono sposati nella chiesa cattolica di Santa Caterina della capitale.. Comunque, Andres Fuentes, anche se è bello, ha sempre un fondo di tristezza, come se avesse il muso. Ballando, gli ho tirato un pestone (due, rettifico) e mi veniva da ridere, tutti erano stati contenti e lui .. Boh pareva fosse una penitenza. ..Chica pestifera ha esclamato e altro .. Ragazzina pestifera, ma dai ..Nota: descrizione di Ahumada. ..” E descriveva le mura solide, ornate dall’edera, il giardino interno, che era un posto splendido che offriva pace e sicurezza, mille e rotti anni di storia, una fortezza imprendibile, sulla torre principale potevi prendere le stelle, tanto ti parevano vicine, il profumo di resina e le risate, i picchi acuti delle montagne, le meraviglie di alba e tramonto.”…. PPS Marianna Fuentes ha 24 anni, non è certo una ragazzina, ma si è sposata per amore, vedessi come è contenta.. PPPS a mia madre il vestito da sposa spagnola è piaciuto così tanto che se ne è fatta fare uno su misura con annessa mantilla.”
“.. abbiamo visitato Granada, devi vedere come è bello il palazzo dell’Alhambra di rossa pietra, i giardini con le fontane belli come quelli dei palazzi dello ZAR Tuo Padre (..) E abbiamo visto una corrida (…) che qualcosa è andato storto, il toro era davvero infuriato e ha preso un braccio del matador con le corna.. Una brutta ferita e la bestia era davvero infuriata, uno dei picador è sceso da cavallo e ha agitato il drappo rosso (muleta) davanti al toro e lo ha finito .. Ero zitta per l’orrore, che rischiava di .. Insomma, ha ucciso il toro e salvato il matador.. Quando si è tolto il cappello, lo ho riconosciuto ..Era Andres, il più giovane dei Fuentes. Ora che il figlio di un principe faccia queste cose è ben strano, almeno per noi, ma qui in Spagna ragionano a modo loro e addirittura un grande re del loro passato, Ferdinando, era solito toreare e combattere nell’arena. Abitudine che rientra tra quelle di re Alfonso, il loro attuale sovrano quindi ci siamo. Comunque, è stato molto coraggioso. Senza paura. Lo hanno acclamato e i fiori cadevano sulla sabbia”


Nel 1916, io e Andres, dopo una caterva di ingaggi, tragedie personali, passione e quanto altro ci saremmo sposati, chi mai lo avrebbe detto, allora.
Ed adesso ..
Ahora y por siempre.
Come la pelle inizia a saldarsi su una cicatrice iniziavo a stare meglio, nessuno mi avrebbe ridato Olga, potevo cercare di vivere, giorno dopo giorno, onorando la sua memoria.
Che non era morta e vissuta invano.
 
 
   
 
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