Quando
ero bambina essere forte era più semplice. Parlare
di debolezze, contemplarne l’esistenza, mi era impossibile.
ho sempre avuto un
problema che con il tempo si è acuito invece di scemare, non
sono mai riuscita
ad accettare la pietà.
Mi
ha sempre ferito vederla negli occhi degli altri,
leggervi la compassione mi faceva sentire come una lebbrosa. Mentirei
se
dicessi di non aver mai desiderato, mai nemmeno una volta, delle
attenzioni,
avrei voluto qualcuno in grado di guardare ai miei problemi, avrei
voluto poter
rispondere con l’onestà che doveva competere alla
mia età più tenera quando mi
veniva chiesto come stessi, ho sempre avuto un disperato bisogno di
comprensione nella mia vita e di affetto.
Ma
essere forte, anche solo per finta, per principio, ha
prevalso ogni volta su qualunque malessere.
Alcune
fissazioni sono destinate a procrastinarsi nel
tempo lentamente, è stato inevitabile per me non riuscire
più a mostrare il
male che mi porto dentro. A volte lo sento affiorare in superficie, mi
arrabbio
con me stessa, sembro uno stereotipo di persona complessata che cerca
di fare
la dura, ma poi un poco spero che si noti. Non si nota mai invece, quel
riaffiorare è sempre troppo blando per apparire dolore,
è così compresso, così
premuto a fondo da qualche parte nel mio stomaco che, più
facilmente, trasborda
solo in eccessi di collera mal gestiti e umorismo nero di pessimo gusto.
Non
riesco a ritrovarmi in
questo, non per davvero, non riesco a ritrovarmi più e basta.
In
un momento indefinito della mi esistenza so solo di
essermi persa, di aver deciso con tanta decisione come avrei dovuto
essere da
aver dimenticato come sono. Ho investito troppe forze in questa
immagine di me
che mi rendesse orgogliosa, eppure a pari merito con
l’orgoglio zoppica un
malessere costante, una repressione forse, una sensazione
d’incompletezza e
insoddisfazione.
Se
da un lato mi sembra di aver sviluppato una resistenza
incredibile, perfino troppo rigida, dall’altro sono fin
troppo brava a farmi
scivolare la realtà tra le dita, le cose, gli obiettivi, le
persone, che mi
sembra sempre più facile lasciar perdere tutto ma lasciar
perdere tutto mi fa
male in un modo che non avevo mai considerato, è come
incidermi l’anima
lasciarmi fallire e lasciarmi trasportare dalla corrente, per
avvilupparmi in
un sollievo momentaneo affondo da sola la lama.
L’oblio
è ciò che mi resta, dimentico senza dimenticare,
è la mia condanna riuscire ad archiviare ogni cosa, sono
sopravvissuta
archiviando la mia vita e la mia vita è un archivio di
ricordi che, quando
viene aperto, mi soffoca di una collera profonda, per tutto
ciò che fingo
costantemente non ci sia mai stato.
Non
dimentico davvero, fingo di dimenticare per essere
serena o per fingere di esserlo. Il problema è che, a
tratti, lo divento
davvero, come una mente svuotata che continua a cercare di svuotarsi,
che
appena tappo il buco e impedisco ai pensieri di fuggire per poterli
contemplare, sono sopraffatta dall’insoddisfazione di un
essere mediocre e
triste.