«Stai
scherzando».
Kotuno
stirò divertito le labbra; non
ricordava d’aver mai visto Melisa così agitata, se
non forse in un’occasione.
«Non
puoi essere serio» continuò,
puntandogli addosso i begli occhi verdi carichi d’accusa.
«Vuoi farmi credere
che hai trovato una Fonè alla porta, l’hai
invitata a entrare, avete parlato e l’hai
lasciata andare?»
Scrollò
impercettibilmente le spalle.
«A che avrebbe giovato tenerla qui? Hai già
qualcuno a cui badare. Quella
ragazza non è una minaccia».
Melisa si
accigliò, il suo sguardo
divenne di ghiaccio. «Perché pensi sia venuta qui?
È ovvio che sia una
minaccia».
«Vorrebbe
esserlo, sì, questo è
probabile» concesse Kotuno con un cenno d’assenso.
«Non significa che lo sia».
«Sottovalutarla
potrebbe costarti caro»
replicò fredda la Fonè.
«Ho un
debole per le rarità, lo sai.
Rispetto molto la tua specie» affermò lui,
apparentemente senza alcun nesso. «Sarebbe
più pericolosa qui, vicino a Malek, che altrove. Cosa
potrebbe mai fare?
Ragiona, Melisa».
La donna non
replicò, lasciò ricadere
inerti le kerai – fino a quel momento avevano oscillato
frenetiche – e gli
riservò un’ultima occhiata fredda.
«Spero
tu non debba pentirtene»
dichiarò, avvicinandosi alla scrivania.
«Quand’è previsto il ritorno del
ragazzo?»
«Tre
giorni al massimo», rispose
distrattamente, guardando fuori dalla finestra.
“La
cosa ti indisporrebbe?”
Si
erano fissati in silenzio, dopo quella domanda. Kotuno si era alzato e
l’aveva
raggiunta, sfiorandole il mento con la mano – il contatto si
era protratto non
più a lungo di un secondo.
“È
stata una visita interessante. Potremmo rivederci, in un futuro non
molto
lontano”.
“Mi
lascerà andare?” aveva domandato Mirel, immobile
di fronte a lui. Non gli era
apparsa spaventata.
“Per
stavolta, sì. Cosa potresti mai fare, piccola
Fonè? Sei ancora così ingenua”.
Le aveva dato le spalle, indicandole la porta con un gesto freddo.
“Mi
dispiacerebbe doverti spegnere. Pensa bene alle tue azioni
future”.
La
ragazza non aveva replicato a quell’ultimo avvertimento. Era
scivolata
silenziosamente fuori dalla porta, e attraverso la finestra
l’aveva vista
lasciare l’edificio.
~
Vide due uomini
con gli Amakai tintinnanti
passarle vicinissimo e strinse Asa a sé con più
forza. «Andrà tutto bene»
sussurrò alla bambina, quando i banditi si furono
allontanati di qualche passo.
La piccola annuì, aggrappandosi a lei con gli occhi serrati.
Calila le
accarezzò la testa e sospirò.
Assicurandosi
che la strada fosse
sgombra, lasciò l’ombra del vicolo e si
incamminò rapida verso il rifugio. Aver
trovato Asa le aveva tolto un peso non indifferente. Pregò
che gli altri
stessero bene, che Tair fosse riuscito a proteggerli, se ce ne fosse
stato
bisogno – cosa che non si augurava.
Il gruppo di
banditi – non avrebbe
saputo dire quanti fossero; una trentina, secondo Pol – era
arrivato il giorno
prima, ma non si era limitato a una scorreria come già altre
volte era
capitato. Si erano dichiarati padroni del luogo; avevano sequestrato
l’anziano
capo-villaggio, avevano preso possesso di alcune abitazioni
scacciandone i
proprietari. I pochissimi che avevano tentato di opporsi erano stati
resi
inoffensivi.
Calila non
capiva perché stesse
accadendo proprio a loro, sapeva solo che nessuno sarebbe venuto ad
aiutarli.
Sudal era un piccolo villaggio, lontano dai principali corsi
d’acqua e da ogni
rotta commerciale. Nessuna Casata si era mai proposta di accoglierlo
sotto la
sua protezione; potevano contare solo sulle loro forze, lo sapeva bene,
ma pareva
ovvio che non sarebbero bastate. Aveva paura, perché nessuno
sapeva cosa
aspettarsi dagli uomini e le donne che li avevano invasi. Tuttavia,
pensò
avvertendo il battito rapido della bambina stretta a lei, non poteva
permettersi di dimostrarlo. Doveva essere coraggiosa per proteggere lei
e gli
altri.
Vedendo il
rifugio davanti a sé,
sospirò di sollievo; appariva inviolato. Scivolò
silenziosamente all’interno,
sempre stringendo la mano di Asa. Dentro era buio; non osò
parlare, ma sentì
uno scricchiolio alla sua destra.
«Tair?
Sei tu?» sussurrò.
~
Aveva piovuto
anche quella notte, ma al
mattino le nubi si erano fatte da parte, lasciando che i raggi di Yan
illuminassero la regione. Odrik osservava il lento procedere
dell’astro dalla
finestra della sua stanza, senza vederlo realmente. Seduto a terra,
ticchettava
nervosamente con le dita sul pavimento.
Era confuso. Due
giorni prima aveva svolto
qualche indagine sul nuovo arrivato e la sua famiglia, senza scoprire
niente di
eclatante – certo, non era comune che una sarta si
trasferisse, ma pareva che
fosse imparentata con l’anziana Agata, da cui alloggiava.
Quando aveva
controllato, il ragazzo non era in casa. Anche
lui introvabile. Amareggiato ma impotente, era tornato al
forno, deciso a
ripassare lì quella sera stessa; l’aveva poi fatto.
Aveva dovuto
aspettare un po’, ma
l’aveva visto rientrare – non da solo.
Incapace di
controllarsi, si era
allontanato, scuro in volto. Non avrebbe potuto confrontare Aidra in
quel
momento, ma neanche rimandare ulteriormente gli era sembrata
un’opzione;
correre da lei la mattina seguente era parso un buon compromesso.
Non era andata
come aveva sperato, ma
non era nemmeno andata male. Aveva visto un lato di Aidra diverso dal
solito,
uno che non conosceva e non era certo di voler conoscere;
un’Aidra più triste,
spenta, quasi colpevole. Ma colpevole di
cosa, questo Odrik non riusciva davvero a immaginarlo.
A pensarci ora,
già solo il modo in cui
era entrata nella sua vita avrebbe potuto – dovuto?
– far sì che si ponesse
delle domande. L’aveva sempre dato per scontato, invece.
Era solo un
bambino quando era apparsa
accanto a Mirel, così, da un giorno all’altro; la
giovane pupilla del villaggio
una mattina l’aveva portata in piazza, presentandola e
dichiarando che da quel
momento se ne sarebbe presa cura come una sorella. Se aveva rivelato la
sua provenienza,
Odrik non l’aveva mai saputo. Conosceva invece le voci che si
erano diffuse
poco dopo l’arrivo di Aidra; alcuni bambini raccontavano che
Mirel l’avesse
trovata nel letto del fiume, altri che gliel’avesse affidata
la madre morente
della bambina, e si chiedevano malignamente che fine avesse poi fatto.
In sostanza, non
sapeva nulla; prima
non se n’era mai preoccupato, ma adesso... adesso ne
avvertiva l’importanza.
Distolse lo sguardo dalla finestra, infastidito dal fulgore crescente
di Yan, e
smise di ticchettare: batté il palmo contro le assi di legno
del pavimento.
Dopo l’abbraccio era rimasto con Aidra tutto il giorno. Non
avevano fatto
molto, era stata una giornata di pioggia come ne avevano passate tante
altre:
cucinando, parlando di tutto e di niente. Simile, ma non identica, la
tensione
tra loro palpabile.
Le aveva
promesso di fidarsi. L’aveva
fatto perché, il giorno precedente ne aveva avuto la prova,
Ai era sempre Ai,
l’amica con cui era cresciuto. L’amica con cui
aveva giocato, scherzato, quella
per cui aveva sviluppato un affetto sincero.
Si fidava di
quella Ai; era la sua ombra
a spaventarlo. Qualunque fosse il suo segreto, perché non
poteva
confidarglielo?
Si
alzò. In fondo, tutta quella
situazione si era creata perché Aidra aveva voluto
proteggere Lytho. Sì, era sempre
la stessa Ai.
Se gli
nascondeva qualcosa, doveva
avere un ottimo motivo. Non riusciva a immaginare quale, ma non aveva
importanza. Non poteva dirglielo? Bene, lo avrebbe scoperto da solo.
Per poco non si
scontrò con sua madre,
nell’uscire dalla stanza.
La donna gli
sorrise. «Dove vai così di
fretta, Drik? Da Aidra anche oggi?»
Interdetto,
annuì. «Se non serve il mio
aiuto al forno», aggiunse esitante.
«Per
oggi sei scusato. Povera piccola!
Dovrebbero esserle tutti riconoscenti, e invece si sentono certe
cose…». Vide
sua madre rovistare nella cesta che portava al braccio.
«Tieni, portale questo
da parte mia. È un panino alle erbe, spero possa tirarla un
po’ su. E invitala
a cena, non la vedo da un po’!» esclamò
porgendogli un fagotto.
Odrik la
fissò per qualche secondo di
troppo, infine le sorrise riconoscente. «Hai ragione,
madre» mormorò. Prese il
dono dalle sue mani e la sorpassò, uscendo. «Lo
farò!»
~
«È
quello il villaggio?»
«Emozionato,
Mal? Ci siamo».
I tre ragazzi
fecero rallentare le loro
cavalcature, avvicinandosi. Nessuno si fece loro incontro, ma
all’ingresso
trovarono un uomo e una donna, entrambi armati, che li squadrarono con
sospetto. I due parvero rassicurarsi leggermente, vedendoli smontare.
«Chi
siete?»
«Buongiorno!»
esclamò Siana
allegramente, accennando un inchino. «Siamo studenti
dell’Accademia di Mens. Abbiamo
sentito dell’incidente con i banditi, siamo qui per
indagare» dichiarò.
Le espressioni
tese dei sorveglianti
improvvisati si rasserenarono visibilmente a quella spiegazione.
«Indagare?»
chiese però la donna, non del tutto convinta.
«L’accaduto
ha molto preoccupato il
nostro Direttore» proseguì Siana con un tono di
voce che Malek trovò
decisamente teatrale. «Vuole occuparsi personalmente di quei
criminali. C’è già
una squadra sulle loro tracce, noi siamo qui per raccogliere
più informazioni».
«Già»
si unì Rod, muovendo un passo in
avanti. «È magnifico che li abbiate respinti, ma
come avete fatto? Lytho non è
famoso per i suoi guerrieri. Questo punto non ci è molto
chiaro».
I due abitanti
si scambiarono
un’occhiata esitante.
«La
sorella di Mirel» disse infine la
donna, «Aidra».
«Chi
sarebbe?» insisté Rod, ora
attentissimo. Malek notò che Siana stava spiando verso di
lui. Cercò di
ignorarla.
«Una
strana ragazza», affermò l’uomo.
«Sempre al fiume. È stata lei a respingerli, con
quell’assurda cupola».
«Cupola?»
ripeté, involontariamente,
Malek.
Ulteriori spiegazioni non tardarono ad arrivare.
NdA
Buongiorno a tutti!
Se volete più curiosità/fan-art su Aidra e il suo mondo, potete farvi un giro sulla pagina Le Storie di Mari :3Domenica, per esempio, ho postato l'origine del termine "Ela", anche se qui ancora non è troppo chiaro cosa sia. Si scoprirà presto~
Se state seguendo questa storia, grazie! Spero non vi deluda. Se avete consigli/critiche, vi esorto a muoverle C:
Un saluto, al prossimo capitolo!