My
love for you shall live forever. You, however,
did not
La
prima volta che ho visto Beatrice, aveva - e come poterselo dimenticare - i
capelli di quell'indicibile colore viola raccolti in una treccia. Il suo
ricordo nella mia mente è vivido, come tutto ciò che la riguarda. Sedeva, non
troppo elegantemente, su una panchina del parco, annoiata, mentre tutte le
persone intorno a lei si affaccendavano per sistemare gli stand per la parata
di quel giorno. È strano, Alice, non ricordo perché quel giorno era così
importante per la nostra città, ma ricordo perfettamente il modo in cui il
vento aveva scompigliato i suoi capelli, le tre piccole spille sulla sua giacca
e la tristezza nei suoi occhi.
Ecco,
penso che sia stato quello a colpirmi immediatamente: Beatrice sorrideva e
scherzava con i suoi amici, ma la nota di tristezza nel suo sguardo era
inequivocabile. Eppure nessuno sembrava accorgersene. Ricordo quanto quel
pensiero mi aveva fatto sentire a disagio.
Era
il primo di Dicembre e il vento freddo dell'inverno non si era fatto aspettare
troppo a lungo. Era il primo anno che passavamo da soli, ognuno di noi in una
casa diversa in una parte diversa della città. Devo ammetterlo, per quanto
rumoroso James fosse, non vivere più con lui mi dispiaceva. Mi dispiaceva anche
non averti più a due porte di distanza per poter parlare con te ogni volta che
ne avevo bisogno (so di essere stato forse troppo egoista, ma Alice, tu più di
chiunque altro, anche forse più di me, hai un talento enorme nell'ascoltare gli
altri e nel dare loro conforto. Forse, ripensandoci, mi sono approfittato
troppo a lungo della tua bontà).
Comunque...
mi mancavano quei momenti; soprattutto sentivo la mancanza delle serate passate
insieme sul quel divano troppo piccolo per tre persone ad ascoltare musica
scadente - le poche cassette che riuscivamo a comprare - e a parlare dei nostri
progetti futuri.
La vita da adulti è più
solitaria di quello che siamo abituati a pensare da bambini.
Però
sembrava andare tutto bene per noi tre: io stavo finalmente iniziando ad avere
più pazienti nel mio studio (sono consapevole di apparire anche qui come un
uomo egoista, ma senza pazienti da curare non avrei più un lavoro), James era
da poco diventato il proprietario di un grande libreria nel centro della città
e tu cominciavi ad affermarti come giornalista.
Le
nostre vite stavano tutte andando per il verso giusto e anche se non riuscivamo
più a vederci ogni giorno come gli anni della nostra convivenza, tentavamo sempre
di ritagliarci, almeno una volta a settimana, un'oretta da passare insieme.
Aspettavo sempre con ansia quel momento.
Quel
giorno, in particolare, avevamo deciso di andare al parco ad assistere ad un
evento organizzato dal comune per non so quale assurdo motivo. Forse per
inaugurare una panchina.
Anche
quel giorno avevamo aspettato James, sempre in ritardo, parlando del più e del
meno, di quanto i tuoi colleghi della redazione fossero simpatici e del perché io
avessi declinato un altro appuntamento. Mi sembrava incredibile la nostra
amicizia: anche se non parlavamo per settimane intere, una volta riuniti era
incredibilmente facile aprirsi con gli altri due.
Quando
poi, dieci minuti più tardi, James ci raggiunse, colti impreparati dal vento
invernale che si era alzato all'improvviso, decidemmo di andare a bere una
birra nel "nostro" pub, sempre pieno di universitari chiassosi come
lo eravamo stati noi tre.
«E demoralizzante!» si lamentava James con il boccale di
birra in mano «Ormai pochissimi ragazzi entrano in libreria e se lo fanno è
solo per utilizzare i computer pubblici. Rimarrò senza lavoro e allora sarò
costretto a vendere casa e mi deprimerò. E tu, Ethan, dovrai psicoanalizzarmi
gratis perché sono il tuo migliore amico!»
«Mi
dispiace James,» ricordo di avergli risposto fintamente esasperato davanti al
suo melodramma «faccio carità solo una volta all'anno e per questa volta hai
già perso il treno».
«Sei
un amico terribile Ethan, lasciatelo dire. Io ti regalo tutti i libri che mi
chiedi!»
«Forse
è per questo che stai andando in banca rotta, Jem»
gli dissi tu, Alice. Sei sempre stata la più ragionevole tra noi. «E forse
dovresti iniziare a vendere giornalini porno ai ragazzi». Ed eri anche la
ragazza con il senso dell'umorismo più strano che conoscevo. Spero tu lo sia
ancora.
Non
ricordo molto altro di quella conversazione, più che altro ricordo le risate e
la tristezza nel doverci lasciare ancora una volta. Quello era sempre il
momento più brutto delle nostre serate. «Ethan, non dovresti pensare così tanto
al lavoro,» mi dissi una volta usciti dal locale, qualche ora e molte birre
dopo. Sempre a preoccuparti dei tuoi due ragazzi. «Non farmi preoccupare».
«La
nostra Alice ha ragione, Ethan,» fece eco James, d'accordo come sempre con
tutto ciò che dicevi «La tua faccia ha più rughe del solito. Non troverai mai
una ragazza con quel muso».
«La
troverò pur sempre prima di te Jem» dissi con la mia
solita mancanza di tatto.
Forse
se avessi davvero smesso di pensare al mio lavoro, ai miei pazienti, almeno in
quei momenti mi sarei accorto del rossore sulle guance di James mentre si
voltava per un secondo verso di te e del tuo disagio mentre guardavi me. Sono stato
un amico davvero terribile.
Durante
gli anni della nostra amicizia non mi sono mai accorto di molte cose, come
invece avrei dovuto fare. Soltanto adesso, ripensando a quel periodo mentre
scrivo questa storia, riesco a comprendere meglio molti dei dettagli che allora
mi erano sfuggiti.
Dopo
che ci salutammo, con la promessa di risentirci per organizzare il prossimo
incontro, ricordo di aver deciso di non tornare subito a casa. Il vento che ci
aveva sorpreso nella prima serata era scemato e la notte era più tranquilla del
solito. Decisi di camminare per un po' nel parco, fumarmi un'ultima sigaretta
prima di tornare a casa e riprendere la vita di tutti i giorni.
E
lì che la rividi. Beatrice era seduta su una panchina diversa rispetto a quella
del pomeriggio, con la treccia ormai completamente sciolta dal vento e con
ancora l'aria annoiata sul volto.
Non
so perché quella ragazza mi aveva incuriosito così tanto; lo sai meglio di me,
solitamente iniziavo col desiderare qualcuno e finivo con il desiderare di
essere lasciato in pace.
Ma
c'è stato un momento preciso quella sera, in quel parco deserto, quando i suoi
occhi si posarono su di me e mi sorrise, in cui capì all'istante che lei avrebbe
potuto essere diversa.
Probabilmente
è per questo che un secondo dopo aver ricambiato quel piccolo sorriso mi voltai
e uscii dal parco, preso dalla fretta del desiderio di tornare a casa e
dimenticami di quella tizia.
Come
ben sai, quella fu solo la prima delle tante volte in
cui il sorriso di Beatrice mi mandò nel panico. Ma allora, sulla metropolitana
diretto al mio appartamento, non potevo saperlo.
NdA:
Beh, cosa dire. Questa storia è un esperimento che ho deciso di iniziare e portare
avanti di getto. Le storie completamente incentrate su una
romance non sono mai state il mio forte, ma a questi personaggi tengo
particolarmente, perciò eccomi qua. Spero di riuscire a portare al termine
questa storia il prima possibile ed essere puntuale con gli aggiornamenti e
spero che possa piacere (critiche e consigli sono sempre gradite!).
Tutta
la storia è strutturata come una lunga lettera e molti dei ricordi che il
protagonista riporta sulla carta sono volutamente “fantastici”, è un uomo che ricorda
l’amore della sua vita dopo molti anni attraverso, appunto, questa lettera indirizzata
ad una vecchia amica d’infanzia. Quello che Ethan racconta non avviene nel
nostro presente, ma dieci anni prima, quando l’uomo aveva trent’anni, mentre
Beatrice ne aveva venticinque. Il nome Beatrice e i titoli dei capitoli sono
ripresi da Lemony Snicket e
le dediche a Beatrice Baudelaire. La loro storia e l’amore di Lemony Snicket per Beatrice mi fa
sempre piangere il cuore (ç___ç) e la citazione mi
sembrava azzeccata per questa storia.
Ringrazio
già chiunque leggerà (se volete lasciare una piccola recensione 3) questa
storia e spero di avervi fatto incuriosire con questi primi capitoli.
Tanti
baci,
Ema