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Autore: wolfymozart    25/12/2018    1 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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-Bianca, assicurati che mia sorella abbia mangiato qualcosa. – si premurò Fabrizio, estraniandosi per un momento dai festeggiamenti e rivolgendosi con aria preoccupata alla serva.
- Signor Conte, abbiamo fatto il possibile, non ne vuole sapere. Non tocca cibo da stamattina. – rispose lei, abbassando il capo mortificata.
- E’ per quello che non si regge in piedi…Sono molto preoccupato, Bianca. – le confidò nel corridoio, mentre giungevano da salone le voci festose degli invitati. Era ormai sera inoltrata, il cenone era iniziato già da un po’, dalle ampie finestre si poteva scorgere la neve cadere copiosa nel buio della notte. Quel pomeriggio Fabrizio aveva ritrovato la sorella a terra, l’aveva sollevata fra le braccia e portata nelle sue stanze, esanime, pallida in volto. Qualche istante dopo era tornata in sé, ma non aveva voluto dare alcuna spiegazione al fratello e anzi si era risolutamente opposta all’idea che fosse mandato a chiamare un medico. – Non ce n’è alcun bisogno: sto benissimo. – gli aveva assicurato con le labbra tremanti. – Benissimo. –
Fabrizio non le aveva creduto, ma che altro avrebbe potuto fare? Gli ospiti stavano per arrivare, avrebbe dovuto riceverli degnamente, Elisa lo stava cercando, la festa stava per aver inizio. La affidò alle cure di Bianca e Amelia, raccomandandosi più e più volte che le fosse portato da mangiare e che le fosse fornita ogni assistenza. Di quando in quando lasciava il compito di intrattenere gli invitati ad Elisa e si andava ad informare circa le condizioni di Anna. Nessuna novità, si sentiva dire, la marchesa sta bene, ma non vuole mangiare, non vuole alzarsi, appare molto sconfortata, inconsolabile.
-Che diavolo è andata a fare a Parigi? Lo sapevo fin dall’inizio che si trattava di un’idea balzana, avrei dovuto impedirglielo…- imprecava Fabrizio tra sé.
- Signor Conte, non ci sareste riuscito: sapete benissimo che quando vostra sorella Anna si mette in testa una cosa…- si intromise Amelia, sopraggiunta in quel preciso istante dalla camera della marchesa.
- Amelia, l’hai vista? Come sta? Posso andare da lei? – domandò concitato avvicinandosi a lei.
- Per ora è meglio che torniate alla festa. Non vuole vedere nessuno. Nemmeno sua figlia. – rispose l’anziana domestica.
- Per la miseria! Che le sta succedendo? –
- Eh, signor Conte, un amore infelice può straziare il cuore.- concluse Amelia.
- Hai ragione. Sempre Antonio, sempre lui dev’esserci di mezzo, fin da quando eravamo ragazzi. Ne ha fatto una malattia.- disse, spalancando le braccia rassegnato.
- Una malattia da cui è molto difficile guarire.- convenne la serva.
- Ora devo tornare dai miei ospiti, ma Amelia, mi raccomando a te. Stalle dietro!- si fece promettere Fabrizio congedandosi da lei.
 
Sembrava di cera. Immobile, pallida, silenziosa, ma pur sempre estremamente bella. Come una statua neoclassica. Così se ne stava da ore, distesa fra i cuscini e i pesanti tendaggi del suo letto, senza voler vedere nessuno, senza voler essere disturbata. Completamente sola, la vigilia di Natale, mentre la sua residenza era invasa da ospiti festosi e musiche allegre. La neve cadeva soffice e silenziosa, il fuoco ardeva nel camino, le candele erano accese e riverberavano la loro luce sul vetro delle finestre, la stanza era avvolta da un piacevole tepore, la musica e l’aria di festa giungevano ovattate. Ma lei non aveva alcuna percezione di ciò che la circondava: col pensiero vagava verso quell’alloggio squallido, freddo, buio in cui in quel momento Antonio giaceva malato, forse moribondo, senza nessuno accanto, senza il conforto di un volto amico, senza di lei. Non riusciva a perdonarsi di essere lì, al sicuro, al caldo nella sua casa, in mezzo ai suoi affetti più cari, suo fratello e sua figlia, circondata da amici festanti, da servi premurosi, mentre lui si trovava in tale affanno. O forse era addirittura morto. Jerome non aveva più sue notizie da tre giorni, temeva il peggio. Ma no, non era possibile che fosse morto, lei l’avrebbe avvertito: non era possibile che quella connessione fra le loro anime, quel filo rosso si fosse spezzato senza che le se ne accorgesse. Antonio era ancora vivo, ne era certa. Ma non poteva pensare in quali condizioni. Che fare? Sarebbe partita al più presto, non appena si fosse ristabilita. Sapeva che Fabrizio avrebbe tentato di opporsi a questa decisione con ogni mezzo, ma non glielo avrebbe permesso; come non avrebbe permesso a Jerome di intromettersi, nemmeno per aiutarla. Questa volta non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno, toccava a lei e a lei soltanto questo compito.
Si alzò sui gomiti non appena udì un nitrito provenire dal piazzale, un cigolio di ruote che si arrestavano. Chi poteva mai essere a quell’ora la vigilia di Natale? Gli ospiti erano già arrivati da un pezzo… Un capogiro vinse la tentazione di alzarsi ed affacciarsi alla finestra. Si riadagiò sui cuscini, in attesa, con l’orecchio teso.
-La marchesa sta riposando, non disturbarla! – intimò Amelia ad Angelo che si incamminava a passo veloce per il corridoio. – Chiama piuttosto il signor Conte, ci penserà lui ad accogliere questo corriere.- suggerì.
- Ma, Amelia, mi ha chiesto di mandare a chiamare la marchesa, proprio lei in persona e nessun altro! – insistette il ragazzo, scrollandosi dal mantello i fiocchi di neve.
- Te l’ho già detto, sta riposando e non vuol vedere nessuno. Ha passato una brutta giornata. E poi fa’ un po’ di attenzione anche tu! Guarda, stai imbrattando il pavimento di neve sciolta! – lo rimproverò a voce forse troppo alta.
- Che succede? –
A quella domanda entrambi si voltarono di scatto. Nella penombra del corridoio, avvolta in uno scialle di lana pesante, si faceva avanti a passo incerto Anna, in veste da camera, pallida e scarmigliata. Quel vociare l’aveva insospettita. Angelo e Amelia restarono interdetti, blaterando lì per lì qualche parola di scusa per il baccano che stavano facendo. Poi il ragazzo prese la parola:
-Marchesa, c’è un corriere che chiede di voi, vuole parlarvi con urgenza. – comunicò tutto d’un fiato.
 
 
- Un corriere che chiede di me? A quest’ora? La vigilia di Natale? -  domandò incuriosita, non senza una nota di ansia nella voce. Che le venissero a comunicare qualcosa di tragico sul conto di Antonio? Cercò di mantenere il controllo. Serrò le labbra e si strinse nello scialle per vincere i brividi che a quelle parole avevano iniziato a scuoterla.
- Sì. Dice di venire da Parigi. – specificò Angelo, ignaro di quanto quest’ultima affermazione potesse essere fatale per la marchesa.
Anna barcollò per un istante, fece per appoggiarsi al muro, ma Angelo fu più svelto e la sorresse.
-Non vi sentite bene, marchesa? – domandò preoccupato.
-Io che cosa ti avevo detto? Dovevi lasciarla in pace, la marchesa! Queste faccende le si poteva sbrigare anche domani! – lo redarguì stizzita Amelia.
- No, Amelia, Angelo ha fatto bene ad avvisarmi. Fatemi parlare con questo corriere. Ora. Immediatamente!- ordinò con una voce flebile, ma che non ammetteva repliche o tentennamenti.
A quelle parole Angelo si mosse senza aspettare altro. – E non dire nulla a Fabrizio, per il momento. – si raccomandò la marchesa.
 Qualche minuto dopo fece la sua comparsa a piedi della scalinata un uomo alto, vestito di scuro. Anna, affiancata soltanto da Amelia, lo attendeva nell’androne d’ingresso in cima alle scale. La semioscurità impediva da lontano di distinguerne con precisione il volto, ma ugualmente trasalì dentro di sé a quella vista: un uomo con un tale tetro aspetto non poteva portare buone notizie. Via via che saliva le scale, il suo volto si faceva sempre più riconoscibile grazie alla luce delle torce poste all’ingresso.
-Ho il piacere di parlare con la Marchesa Radicati? – esordì con spiccato accento francese, scoprendosi il capo.
-Sono io. –
L’uomo abbozzò un inchino poco convincente.
-Vengo da Parigi, il viaggio è stato lungo e faticoso per il freddo, il ghiaccio, la neve…- spiegò in un italiano stentato.
- Venite al dunque, signore: che volete da me? – tagliò corto Anna, l’angoscia sempre più palpabile nella sua voce. Il freddo si faceva sentire, il marmo della scalinata rendeva ancor più gelido quell’atrio, il fiato si condensava ad ogni parola, la fiamma delle candele ai lati dei graditi minacciava di spegnersi sotto ai soffi di vento gelido.  Anna tremava in veste da camera, con indosso solo un misero scialle a ripararla. In altre occasioni avrebbe provato vergogna nel ricevere in quella mise poco conveniente uno sconosciuto, ma in quella notte disperata nemmeno se ne accorse. L’uomo, al contrario di lei, non sembrava patire il freddo, o, forse, ne aveva patito talmente tanto durante il viaggio che se n’era abituato.
- Il passeggero che accompagno vuole vedervi. È venuto fin qui apposta da Parigi. Chiede di essere ricevuto. – le comunicò in tono piatto, burocratico.
Jerome. In quel momento ne fu certa. Aveva mantenuto fede alle promesse che le aveva fatto, era giunto da lei per “rallegrarle il Natale”. Credeva, forse, che l’avrebbe consolata? Era a tal punto presuntuoso da pensare che la sua presenza avrebbe potuto colmare il vuoto di quell’assenza che le dilaniava il cuore? Per un istante fu tentata di opporre un rifiuto. Non erano quelli i modi né i tempi: giungere, così, senza preavviso, durante i festeggiamenti per il Natale! Il suo orgoglio di nobildonna e il suo riguardo verso i dettami dell’etichetta le suggerivano di lasciare Jerome al freddo e al gelo fino all’indomani per fargli scontare quella visita inopinata; ma l’ansia di avere qualche notizia su Antonio ebbe la meglio.
-Ebbene, mandatelo a chiamare. – concesse, infine, fissando quei suoi occhi scuri e profondi in quelli dell’uomo che, con un inchino, prese congedo e si avviò giù per le scale, mentre i suoi passi rimbombavano nell’atrio semibuio.
-Marchesa, mando a chiamare il padrone? Non mi piace quest’uomo, non mi fido mica…- le sussurrò all’orecchio Amelia, lanciando sguardi diffidenti alla sagoma che si allontanava fino a scomparire nel buio in fondo alle scale.
Anna non la stette nemmeno a sentire. E alle sue insistenze rispose con tono seccato:
-Non c’è alcun motivo di scomodare il Conte. Ma se hai paura, Amelia, puoi anche rientrare in casa. –
- Non mi sognerei mai di lasciarvi da sola, signora marchesa!- assicurò l’anziana, sempre più dubbiosa. Quanto avrebbe preferito essere seduta a tavola, nel salone della servitù, a gustare insieme agli altri una succulenta coscia di tacchino in quel momento! Ma mai avrebbe abbandonato Anna, la sua padrona, o meglio la bambina che aveva allevato insieme al fratello, a cui voleva bene come a una figlia.
Il silenzio dell’attesa si fece spettrale, solo il vento risuonava nell’androne, minacciando di spegnere le grandi torce ai lati del portone di ingresso alle loro spalle e disegnando giochi d’ombra sulle pareti. Anna stava diventando impaziente: si torceva le mani, si chiudeva il mantello sul petto, sillabava qualche sommessa parola che Amelia non riusciva a cogliere. Erano per lo più rimproveri nei confronti di Jerome e della sua pessima idea di farle quella sortita. Non aveva alcuna voglia di rivederlo dopo quei momenti imbarazzanti in carrozza, l’unico motivo che la spingeva a riceverlo era l’ansia di avere al più presto notizie sul conto di Antonio. L’attesa la stava stremando, dopo quella giornata faticosa e densa di emozioni.
Finalmente una sagoma si stagliò nel chiarore delle torce, uscendo dal cono d’ombra in fondo alla scalinata. Un uomo avvolto in un mantello scuro, un tricorno sul capo chino. Procedeva lento, come se ogni passo gli costasse uno sforzo.
- Ebbene, che cosa vi conduce qui? Non vi sono bastate le mie parole? Avete commesso un errore a venire fin qui da Parigi, non ho nessun’intenzione di intrattenermi con voi più del necessario che conviene ad un ospite – proruppe con voce ferma, risoluta, nonostante un lieve tremore di rabbia, o forse di freddo.
L'uomo seguitava a salire la scalinata, la testa bassa, i passi cadenzati, senza pronunciare una sola parola, senza ribattere, senza reagire.
- Non mi avete sentito? Io non voglio nulla da voi, LeBlanc, non voglio la vostra compassione, non voglio il vostro conforto né, tantomeno, so che farmene del vostro amore. Avete inteso? – tuonò, infine, mentre la tensione cresceva ad ogni passo che risuonava sul marmo dei gradini. - Io non potrò mai amarvi. Mai. Mi avete inteso? – concluse in tono quasi rabbioso.
L’uomo si arrestò di colpo a quelle parole, si levò il cappello, scoprendo non una chioma biondo cenere, ma crespi capelli scuri. Alzò il viso verso di lei. Uno sguardo quasi di scusa, pieno di commozione e di parole non dette.
 
-Antonio! – fu il grido che risuonò nell’androne, quando già l’aveva raggiunto a metà scala, gettandosi d’impeto fra le sue braccia. Lui barcollò sotto il suo peso, ancora debole per la convalescenza, spossato dal viaggio. Una stretta forte, quasi disperata: più lo stringeva e meno si capacitava di quello che le stava succedendo. Le sembrava di aver ricevuto la visita di un fantasma dall’oltretomba e la penombra silenziosa e spettrale di quella scalinata non faceva che avvallare questa supposizione. Ma Antonio non giungeva dal mondo dei morti, era vivo. Debilitato, smagrito, pallido, ma vivo. E guarito.
Per lunghi istanti, che parvero destinati a durare in eterno, rimasero così, stretti in un abbraccio a metà di una scalinata semibuia, senza fiato per pronunciare alcuna parola. La testa di lei nascosta nelle pieghe del mantello, le mani di lui tra i suoi boccoli castani. Lei tremante dal freddo in veste da camera, lui con indosso un logoro pastrano da viaggio coperto di neve. Scossi, increduli, felici.
-Antonio. – ripeté lei staccandosi, infine, da quell’abbraccio, le guance ispide pizzicarono le sue mentre indugiava con il viso incollato a quello di lui. – Sei proprio tu? Vivo, in carne ed ossa?- gli domandò prendendogli tra le mani il volto scarno e pallido in cui tuttavia l’azzurro dei suoi occhi brillava di luce gioiosa. Una luce che raccontava di paure, dolori, abbandoni passati, ma al contempo assicurava le più fulgide promesse future. Un futuro limpido e lucente, quello che, nel buio di quell’androne, si poteva leggere nella luce dei loro sguardi. 
 
 
   
 
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