Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    25/12/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
.. eh certo, avrebbe ribattuto lui, ci provo. Sempre. E che non sia vano come la cometa di Halley, che passa davvero molto poco su per i cieli.
Ogni 86 anni circa, nel 1910 venne fotografata per la prima volta, a partire dall’XI secolo, ai tempi dell’invasione normanna in Inghilterra, quando volevo studiavo pure io volentieri.
E la grande avventura era iniziata quando Papa mi aveva portato a Mogilev, al quartiere generale, dopo l’estate del 1915, finalmente ero un soldato, lontano da mia madre e dalla costante sollecitudine.
 “Dimmi, Alexei, che c’è” aveva smontato da cavallo, leggero, lo osservavo, mi pareva tutto a posto.
“Nulla di particolare " annui, me lo disse dopo "Era.. pensavo a quando ero dentro all’armadio, sognavo di cavalcare, sai” desiderio che ripeteva ogni volta che vedevo una stella cadente o pregavo per un miracolo.
“EH??”
Aveva da compiere sei anni, il viziato principe ereditario dalle cattive maniere a tavola, la delizia della famiglia, era in carrozza con Olga, mentre lo zar assisteva a una parata di boy scout, lui si voleva unire e Olga lo aveva contenuto a livello fisico, tanto che il ragazzino le aveva mollato un ceffone in faccia “Non puoi, se ti urtano .. o che.. stai male” “Io non posso mai fare nulla” la rabbia, la frustrazione, contro di lei, che non aveva fatto un fiato, gli aveva trattenuto la mano, l’urto dello schiaffo non le aveva causato un vero dolore fisico, Alessio, non ce la aveva con lei, quanto con la vita, non poteva fare nulla (andare in bicicletta, giocare a tennis, che stava male, sua madre sempre aveva l’emicrania, pregava e piangeva..che si ritrovava a letto, divorato dai dolori.. mai una volta che la zarina si fosse premurata di raccontargli una favola, mai, giocare un poco con lui, al contrario di Olga, Tata o Catherine, sorvolando su Marie e Anastasia).
Olga, lontano da occhi ufficiali, gli aveva baciato la mano. “Mi spiace, non posso” e si era ritirata in camera sua, le spalle curve, in tempo di poco aveva sentito il suo pianto, singhiozzi amari, uno sfogo, piangendo, lei che era sempre composta, senza alcun cedimento. Alessio aveva passato due ore al chiuso, al buio,  senza muoversi, dentro l’armadio, la punizione dello zar. E per un paio di  giorni di seguito aveva dato il suo dessert alla sorella, era contrito, sul momento.

Il 1910, un anno di tragedie immateriali e ribellioni. "Tu?" una sola sillaba di disprezzo. La  zarina mi aveva scrutato più inquisitoria del solito,appurando che ero cresciuta e la somiglianza con mia madre, a quando era una ragazza come me.Le evidenze sempre più suntuose e marcate, i capelli castani che nel sole vibravano di ramati e ambrati riflessi, ero  alta e snella, senza goffaggini apparenti. La copia della giovane principessa Ella, che, in segreto, aveva conquistato principi e granduchi,  l’allora zarevic Nicola l’avrebbe voluta sposare, essendosene innamorato, tranne che non era possibile,che le regole dinastiche erano precise.. Uno zar, un erede al trono dovevano sposare una straniera, per evitare conflitti e diatribe nel Paese.. E mia madre Ella, secondo i pettegoli, lo aveva ricambiato, tranne che si era sposata presto e male,  con Pietr Raulov. E Nicola II aveva voluto che io e le sue figlie fossimo amiche, festeggiando la gioiosa congiuntura che io e Olga eravamo nate nello stesso anno. Lui stesso, come mio zio Sasha e Pietr Raulov, erano cresciuti insieme, amici, compagni d’armi e avventure. E mia madre Ella era tra le dame preferite dell’arcinemica di Alix, ovvero la zarina vedova. Non poteva farla riscontare ad Ella, aguzzò le armi contro di me, inventando un plausibile pretesto. Si convinse, infatti, che fossi io a istigare Olga ed essere intrigante e malevola, a discutere di Rasputin, nessuno doveva creare attriti o ingerenze tra lei e il sant’uomo giunto dalla Siberia, nemmeno l’amica di sua figlia. Fu un esilio, una dura stagione, una desolata nostalgia.
Correvano appunto i primi mesi  dell’anno 1910 quando Alessandra decise che la mia frequentazione non risultava più essere gradita.Anzi era inopportuna, non confacente.
Non lo disse in questi esatti termini, non in mia presenza, ma gli effetti erano quelli, si faceva venire una crisi di isteria dietro l’altra, urlando contro tutti e nessuno, dalle cameriere che non mettevano a posto i pizzi e le trine che, meticolosa, segnava fin dai primi anni di matrimonio, o, se contrariata, si faceva venire le palpitazioni. Ritenendo di avere il cuore malato, stava a letto tutto il giorno e si deprimeva ancora di più, un circolo vizioso senza uscita.
La istigavo alla ribellione, al malumore, sosteneva Alix, la mia era una cattiva influenza e andava estirpata, come se fossi una gramigna. Solo perché Olga non tollerava la presenza di Rasputin, l’Amico, anzi il Nostro Amico, come lo appellava la zarina, si faceva abbindolare da chi fingeva di darle retta, nessuno doveva contrastare la volontà imperiale di ricevere il santone, il novello Messia che sosteneva che per salvarsi occorreva peccare sempre di più. Tranne che di religione o di quel finto contadino, i cui scandali erano la favola della capitale, non avevamo mai parlato, se non scarni accenni, io e Olga. .(... Contadino poi ucciso nel dicembre 1916 da un attentato complottato dal principe Jusopov, il granduca Dimitri Romanov e un deputato della Duma, Puriskev ..Buttarono il cadavere nella Neva ghiacciata, quando si seppe che il finto monaco era morto la gente ballava e la zarina Alessandra piangeva.. )Un esilio e toccava aspettare le domeniche, quando visitavano San Pietroburgo e ci ritrovavamo da Olga, la zia delle ragazze, la sorella di Nicola II.
Erano  solo miseri surrogati rispetto alla frequentazione di prima, ci sarebbe voluto poi Aleksei che voleva le mie storie, sempre e comunque, e sua madre aveva esaurito le scuse plausibili e non, non potevo essere sempre malata, in viaggio o in visita.
Per scambiare due parole e ridere, era mio zio a tenermi allegra, mia madre era occupata da Sasha e mio padre era ancora più evanescente del solito. Non era cattiveria, lei mi riteneva abbastanza grande per arrangiarmi da sola, mentre mio fratello era piccolo.
Un grande affare, come no. Un primo assaggio dell’età adulta e la luce del tramonto bagnava i petali delle rose come sempre … come ai tempi degli antichi dei, che riempivano forse i bagagli di sogni e parole, una mia remota fantasia.
Ma io ti volevo bene Cat e non mi tornava, non era giusto, fine.

Già, ma non era una fantasia il distacco che mi mostrava il principe Raulov mio padre, il suo viso evanescente come fumo, un fiordaliso, pareva quasi non volersi affezionare a nessuno per il timore forse della perdita, era rimasto presto orfano e la sua educazione era stata severa, spartana .. Il massimo della confidenza era dirmi che amava la torta di mele cosparsa di vaniglia  Inutile aggiungere che quando mi presi la briga di cucinarne una, sotto la supervisione della cuoca, neanche si degnò di mangiarla.. la soddisfazione la ricavai poi da Alessio e da Andres, dai tempi del quartiere generale in avanti, si mangiavano anche le briciole…
E meglio quello dei ciclici accessi di violenza cui ogni tanto si lanciava, ma io ero dura come una pietra, una selce, volevo essere amata e di amore ne ricevevo ben poco, ero davvero pretenziosa in quel particolare ambito.Nei fatti era mio zio che si occupava di me, insegnandomi a cavalcare, a smontare le armi e sparare, a farmi ridere anche quando non avevo voglia, inimitabile scanzonato, uno scapolo d’oro che dribblava con eleganza di gatto le manovre matrimoniali della giovane zarina .. .
Per sua fortuna, la fortuna bara dei Rostov Raulov, ereditata dal nostro mitico antenato Felipe, la devota amica di Alessandra, Anna Vyribova, si era sposata, nel 1907, risparmiando ad Aleksander un immenso imbarazzo, che non era roba da poco rifiutarla, era la prediletta ancella della Zarina, la sua amica personale.
 Il matrimonio era stato poi annullato per mancata consumazione, e la giovane damigella, figlia di un cancelliere di Corte, ronzava mite e indolente presso la sua imperiale amica, che con il trascorrere del tempo divenne sempre più importante ed asfissiante..
Alix, nella sua immensa vanità, riteneva di non potere sbagliare e non accettava critiche da nessuno, così che la Vyribova, che le dava sempre ragione, divenne la sua favorita.
Più ed ancora, era una fedele, entusiasta seguace di Rasputin.
 Nel contempo era noiosa, senza particolari attrattive, dimessa e poco spiritosa, tanto che Alessandra stessa la chiamava la vacca .Tanto era.
Di sicuro a lei non sarebbe venuto certo in mente di paragonare le stelle ad aculei argentati come ad Olga o raccontare storie sulle brumble roses.
La mia unica, prediletta Olga, mia ombra e mio riflesso .
Legate troppo e ancora, volevamo vivere mille avventure, vedere il mondo, come due foglie simili in uno stesso ramo.
Nella distanza, ho vissuto mille avventure, per lei  e per me, ma non basta.
Non basterà, siamo state amiche e sorelle, troppo o troppo poco.
 “Sei triste“Mio zio Aleksander constatava, da buon diplomatico non palesava mai direttamente il suo pensiero in generale e, nel particolare, sulla zarina, ma compativa lo zar per  che aveva una simile moglie.Non era esperto in materia di matrimonio, essendo scapolo e gaudente,solo aveva avuto due figli dalla sua amante borghese, oltre che sfoghi collaterali. Che  ironia. Spesso Dio si divertiva a giocare a dadi, per davvero.
“Sfogati, avanti”.
“Mi manca, sono le mie amiche.” A momenti avrei detto “Le voglio”, anzi vojo come  Alessio, sbattendo i piedi, una viziata ragazzina.
“Catherine, siete cresciute insieme e siete molto legate “ Mi strinse il gomito, per darmi conforto..
Era serio, lui sempre scanzonato e irriverente su tutto, aveva la stessa età dello zar ma a me pareva sempre un ragazzo.
Tuttavia, in quel momento, realizzai  che nella sua barba vi erano fili grigi e aveva le rughe. Le stagioni erano passate pure per il principe mio zio, aveva quarantadue anni, nel 1910, due figli illegittimi nati dalla sua amante borghese, oltre che sfoghi di passaggio.
Membro ufficioso del governo, aveva poi un ruolo nella polizia segreta dello zar, si muoveva in vari ambiti con saggezza e discrezione.Diciamo che non ero sempre concentrata su me stessa, alle volte ero empatica pure io. “Ma non odiarla, se vi tiene separate, da una parte è sola tranne la Vyribova, non ha amiche.” le sue parole erano vere e affilate come coltelli. Non odiarla.. lei pensa di comandare tutti, invece… non odiarla.. ” Venendo a noi.. State crescendo e se non è adesso … prima o poi la vita vi dividerà. Che ne so, vi sposerete, per le granduchesse più grandi si parla di un matrimonio con il principe di Galles, con quello ereditario di Romania e via così. E tu rinunceresti a avere una tua vita, una famiglia, per stare con lei? Potresti .. un domani ti sposerai.”
“NO“Avevo quindici anni, non riuscivo a immaginarmi quella possibilità. A onor del vero, erano pochi i matrimoni felici da cui trarre ispirazione. Cominciavo dai miei genitori, i principi Raulov, spaziando su vari altri fronti, la nascita di mio fratello li aveva resi meno freddi e scostanti, erano brina e ghiaccio, peccato che non si sopportassero. Insieme, leggevo romanzi d’amore, ero romantica, in fondo, come aveva indovinato Olga, ma non sapevo a quale santo votarmi. Ideali e realtà poco andavano in accordo, contava più la nostra fantastica amicizia, che, omettendo Olga e le sue sorelle, non avevo amici.
E perderla era una punizione che credevo di non meritare.
Ero  troppo strana, esotica, diversa.
La bellezza ereditata da Ella, lo stretto legame con le granduchesse, l’intelligenza creavano una specie di barriera, un confine.
Nel 1906, quasi andata al creatore dopo una caduta da cavallo, mia madre aveva ritenuto allevarmi secondo le mie potenzialità, che riguardavano la storia, le lingue e la letteratura, non certo l’educazione riservata a una principessa ( primeggiavano buone maniere, ricamo e musica, effetti in cui ero negata).
Un proclama di orgoglio, ma, insieme, una maledizione.
Ero  troppo strana, esotica, diversa, ripeto, mi chiamavano la spagnola, la straniera, forse fu la Vyribova a coniarlo, come epiteto, ignara preveggente.
E in Spagna eravamo tornati ancora, nel 1910, nella primavera.. Il castello dei nostri parenti iberici era davvero un luogo magico, di mio eterno incanto.
AHUMADA, la fortezza delle meraviglia, una rocca immutabile, potente e salda.
“Spero di sbagliarmi, che non starete più insieme“Aggiunse conciliante, ma sapevo che non ci credeva fino in fondo, mi sentivo vuota senza Alessio o le sue sorelle, una marionetta slegata, senza punti di riferimento. “Ricordati, poi, in ogni caso, che Olga Nicolaevna ti vuole bene, non pretenderebbe MAI che tu non avessi un marito o dei figli. Che, perdonami, Catherine, altri destini alternativi non ne vedo. Una ragazza può fare ben poco di diverso.”ed ero diventata un soldato, il lupo e la tempesta, mi ero reinventata come una fenice, Fuentes nei gesti e nei fatti, salvo diventare madre, quando non ci credevo più, mi vietavo di pensarci.
FELIPE.
LEON. 
I nomi dei miei figli, la mia rivincita, la mia conquista.
Avevo conquistato un nuovo regno. Un impero, un continente.
Fuentes, poche sillabe, un ruggito nei secoli.
Ero un Ulisse in gonnella, che si inventava nuovi peripli, rotte  diverse.

Comunque, fu lui, mio zio,  a insegnarmi a smontare e caricare una pistola, un fucile, a perfezionarmi nell’arte di cavalcare a pelo, a uomo, a moltiplicare lo studio delle lingue, capacità che in seguito tornarono utili in modo imprevedibile.
O mi addestrava, sulla scorta del principio che mai si può  sapere?
E poi ritornai, Aleksei voleva le mie storie, le storie di Cat e Alessandra amava suo figlio più della sua stessa vita e mi concesse di tornare, trovammo un modus vivendi.
Ne ignoravo le ragioni precise, lo intuivo che poteva non sopportare me o Ella Raulov, ma amava suo figlio e anteponeva il suo bene al proprio.
Dopo compresi, anche troppo bene.
Solo che io ero una ragazza, ribelle, irrequieta, non proprio simpatica,a dirla tutta, ero una vera spina nel fianco, ma il vero caos lo aveva combinato mia madre, insieme allo zar, io ero un effetto e una conseguenza, non la causa scatenante, ma Alix aveva il dono di dare sempre la colpa a chi non godeva delle sue simpatie, o traslava, meglio rifarsela con me, che con mia madre, che non poteva toccarla in modo diretto, facendo soffrire gli altri.
E avevo capito come mutare odio e rabbia.
Una magica alchimia.
Che nella mia vita, ho adorato Olga, le sue sorelle e Alessio. Che, a prescindere dalla sua malattia, non meritava di crescere come uno smidollato, preda dei suoi capricci e impulsi, né di soffrire per la mancanza di una persona a cui voleva bene, ovvero io, che stava lontano senza che lui ne comprendesse i motivi. È amica tua, ti vuole bene e ti fa ridere, aveva detto una volta a Olga, perché non può stare sempre con noi.. perché? Già. Chi aveva cuore di spiegargli quei misteri. E io avevo perso quella amicizia, senza nemmeno potermi difendere…

Sometimes,I  believe in fairytales..

Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.
Un cenno, giocava sul pavimento, in una divisa da marinaio, la testa castana dalle ciocche ramate assorta in qualche battaglia, davanti aveva una vasta teoria di militari giocattolo e piccoli cannoni.
“Zarevic, una persona chiede di voi” Olga, con dolcezza “Si può avvicinare..”
 “Olga, CAT” fermo, mi ero raccolta vicino a lui, la gonna color crema sulle ginocchia, una mano vicina, senza muovermi, magari non gradiva, si doveva riabituare come l’anno avanti, varie le assenze,  in altre occasioni mi sarebbe saltato diretto in braccio “Cat, sei qui” incredulo “Posso?”
“Certo, cosa aspetti, ops ..non mi sono inchinata e..” e mi si era già buttato addosso, le mie braccia come un riparo, una fortezza lo avevo cullato per un pezzo, maledicendo sua madre e le sue fisime, mi mancava, sempre, eravamo legatissimi, perché restare separati? Tra dire e fare,appunto, mi si era già attaccato come una foglia di edera, ricambiato con zelo, stretto addosso con amore, disperazione, gli baciavo la fronte, i capelli, le guance,  le sue manine sul viso, lo serrai contro la clavicola, con le gambe mi si era già attaccato ai fianchi, gli toccai la schiena, le scapole magre, sollevandolo in un piccolo giro di danza
“Hai finito con i viaggi, le visite, le malattie?” un sussurro, la testa contro la mia clavicola, annodato stretto. Tutte scuse che gli propinava sua madre, cercando di essere logica, io ai pranzi domenicali, un misero surrogato rispetto alla frequenza di prima, ero spesso distante, la testa altrove “Verrò ogni volta che potrò, fammi chiamare quando vuoi, d’accordo, ora andiamo a giocare, scommetto che hai tante cose da farmi vedere” risposi, piano “Certo, un trenino elettrico e ..” “Giochiamo Alessio, pensa a questo, cerca di non essere triste!” quindi, ispirata “ E ti tengo sempre sollevato, ti scaldo le mani, ti massaggio le gambe, ti prevengo” una sua richiesta ai suoi marinai, agivo in via cautelare, appunto, sorrise, radioso, se mi preferiva un motivo vi era.

Per l’ora del tè, scrutai la porcellana dei piatti, i decori di rose e foglie che li orlavano, passando quindi su il profilo di Anna V. e della zarina, che mi fissavano, allibite “Buon pomeriggio, lo zarevic mi ha requisito” alzando la testa e serrando il bimbo tra le braccia, che mi allacciò sul collo “.. vero, mi imbocchi..” “Basta che mangiate tutto, va bene, zarevic” “Si” una impresa da titano, del mio viziato autocrate in fieri che era, ci riuscimmo, tempo una manciata di ore, e ritornammo, affiati, da tradizione.

Diciamo che la bizza più grande di Aleksey ero io, nel breve  e lungo periodo, senza pericolo.

In quel periodo, lo zar era meccanico, lontano ed assorto, faceva il cosiddetto dovere coniugale perché così doveva essere. “Allora, Alix, gli abbiamo preso una montagna di giocattoli e assicurato idonei compagni di giochi, chi vuole” e lei taceva, le labbra strette, la fronte corrugata, non poteva negare quella strepitosa evidenza.
“Catherine, la mia figlioccia, la nipote del mio amico Rostov-Raulov, senza fallo” una retorica constatazione “E questo e’ quanto, non piangere, non accampare svenimenti o mal di testa, le palpitazioni o altro .. ” un duro tono che ben di rado le serviva, lui che la accontentava in tutto “Alessio deve stare bene e finché la vuole, non aggiungo altro, basta così per tutto, hai visto come sorride appena la vede, anche se sta male”
“Ma Padre Grigori, il Nostro Amico, Anna V..” che Alessio mi adorasse era una constatazione di fatto, e viceversa, quello non lo avrebbe mai smentito
“Padre Grigori ora non è qui, mai avuto a che ridire sulla principessa Raulov, o sbaglio.. Anna .. lasciamo perdere, argomento chiuso, da quella volta in Crimea, che pretendeva che NON sapesse cavalcare, Catherine, e l’ha invitata a provare, certo pensando che si sarebbe ricoperta di ridicolo e ridicola era lei, che la ragazza ha lasciato tutti a bocca aperta, cavalca come una vera amazzone,  lasciamo stare” E Alix tacque, sapeva quando era il caso di tacere. “Alessio con lei sta bene, lo sai” era viziato e capriccioso, ma io cercavo di trattarlo come un bambino normale, senza tare o limiti, stava bene in quel senso, che di miracoli non ne compivo, purtroppo, oltre che amarlo poco più facevo. Non si trattava di essere buoni o cattivi, penso ora, tranne che la zarina aveva il dono di dare sui nervi a tutti, ed era una persona buona, in fondo, peccato che fosse  ottusa e lo zar in genere passivo, sommerso dai senso di colpa per mia madre  Ella e per me.
Era un uomo buono, in fondo, la sua sola disgrazia era regnare,  ebbe a dire a mio zio R-R e suo cugino, il granduca Alessandro, quando suo padre morì nel 1894, stroncato dalla nefrite, pochi momenti dopo, cosa ne sarebbe stato di tutti loro, della Russia, non era pronto a diventare imperatore, non lo aveva mai desiderato e non aveva nemmeno idea di come parlare ai ministri. Era totalmente smarrito a vestire quei panni. Nel tardo pomeriggio di quel giorno di novembre 1894, eretto un altare, i cannoni avevano rombato per il defunto zar, le campane avevano suonato per il nuovo, che giurava fedeltà all’impero, la voce tremante, diventando “Sua Maestà imperiale imperatore e supremo autocrate di tutte le Russie, supremo zar Nicola II" Quando nell’estate del 1910 andammo a Friburgo lo ritenni un vero stratega, Alessio.
Il mio Alessio.
E scopriva che il mondo era un luogo di sofferenza, ogni giorno in misura maggiore.
“Sei un maschio mancato, Cat” strinsi le spalle, mentre osservava i miei stivali alti, da cavallerizza, i pantaloni scuri e la giacca, sbuffando, i capelli corti. Mi dissi d’accordo, sbuffò, sardonico quindi aggiunse “ E comunque mi piace, mi fai fare tante cose “ Nonostante la malattia, che gli impediva di essere libero, cavalcare, correre a destra e manca.. Salire ogni santo giorno sul nostro Akhal-Teke lo riempiva di gioia e meraviglia, e sapeva che cercavo di non stargli troppo con il fiato sul collo, di trattarlo da adulto e non da ragazzino malato. Cercavo, non era scontato che vi riuscissi, avevo avevo riflettuto in seguito, dopo che me ne ero andata la prima volta, che lo lasciavo per svolgere le mie missioni, un compito superiore, ricordandogli, come un metaforico schiaffo, cosa era .. O si riteneva.  Un infermo, che non poteva muoversi, che non poteva avere. Mi ero sentita in colpa per un pezzo, la solita ipocrita, peraltro, che tanto andavo e tornavo ..
“Sai, con Papa abbiamo visitato un altro ospedale e uno dei feriti si lamentava che sua moglie non aveva i soldi per raggiungerlo, che erano poveri, ora li ha. Ho chiesto che venissero dati, per il treno e un sussidio“si attivava sempre per aiutare gli altri, agiva rapido, senza intermediazioni, bastava che lo sapesse.
“Bravo, io comunque che ti farei fare”
“Cavalcare.. smontare e rimontare le armi, mi risenti le lezioni e … “ elencò le varie cose. A suo credito va osservato che mi dava retta, bizze e capricci erano deputati per il cibo e il dormire.. Come da prassi. Consolidata, mica potevo pretendere troppo.
E lo zar, che per ovvie ragioni non voleva e poteva delegare ai suoi marinai, quando eravamo da R-R non poteva fargli da balia asciutta e delegava me, con il risultato che diventammo legatissimi, come non mai.
 
Quella sera, osservai la stanza.
 
I miei libri.
 
I suoi soldatini giocattolo.
 
Il necessario per scrivere.
 
Le carte da gioco.
 
Un vaso di fiori e bacche autunnali.
 
I suoi cambi nell’armadio, vicino ai miei.
Due tazze, vicino il samovar con il tè.
Una scacchiera.
Lui.
Io.
Tutto un mondo.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane