Crossover
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Autore: evil 65    06/01/2019    13 recensioni
Il Multiverso, così come lo conosciamo… non esiste più. In seguito ad un fenomeno distruttivo noto come Lo Scisma, un uomo misterioso che si fa chiamare il Maestro è riuscito creare una realtà completamente separata dalle altre, dov’è adorato come un dio onnipotente.
Apparentemente inarrestabile, il Maestro comanda col pugno di ferro questa nuova terra, chiamata "Battleground", nella quale vivono numerosi personaggi provenienti dai vari universi, tutti immemori delle loro vite precedenti.
Ogni storia ha il suo principio. E questa è la loro epopea...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Anime/Manga, Film, Fumetti, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco un nuovissimo capitolo, che segna anche la fine del primo atto della storia.
Come al solito, vi invitiamo a lasciare un commento. C'è una piccola citazione a Pulp Fiction, vediamo chi la coglie.



Capitolo 15 - La bestia che gridò amore


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Terra (Centro Imperiale) - Washington

Interpretare le visioni del futuro era un gioco pericoloso: rappresentava il pensiero prioritario di tutti coloro che si servivano della preveggenza per avventurarsi nell’esplorazione delle linee temporali. Chi dimenticava quel pericolo era destinato a morire nel rimpianto.
Il Maestro aveva appreso quella lezione molti anni prima, quando era giovane e l’universo era assai differente.
La preveggenza, seppur in forma minore, era una delle numerose abilità adoperate dai Signori del Tempo, cosa che i suoi recenti poteri erano riusciti ad amplificare in maniera a dir poco esponenziale.
Ultimamente, a colpirlo era la quantità di elementi che le visioni del futuro tralasciavano. Per esempio, chi avrebbe mai immaginato che quella ragazza, Ajimu, così esile e all’apparenza tanto fragile, potesse essere una creatura dotata di una tale potenza.
Ogni volta che gli faceva visita, con quel sorriso impertinente stampato in volto, sembrava quasi smarrita, piccola a confronto di ciò che la circondava e degli avvenimenti che scuotevano la galassia e di cui lei costituiva un improbabile fulcro.
Il Maestro, tuttavia, sapeva che spesso le apparenze erano ingannevoli, a volte in misura fatale. Dopotutto, sottovalutare Najimu era costato la vita a molti esseri di grande potenza. Il Maestro non avrebbe commesso lo stesso errore. Non dopo le innumerevoli legioni di vittime che si era lasciato alle spalle, un buon numero delle quali aveva sottovalutato LUI.
Il Maestro sapeva di essere egli stesso un fulcro improbabile, quanto di più lontano da una semplice vittima delle circostanze. Eppure, negli ultimi giorni, perfino lui era rimasto sorpreso dai recenti avvenimenti.
Il giovane Angel, che per tanto tempo aveva cercato di eliminare a causa di determinate circostanze, era riuscito a risvegliare la propria natura e ad eludere, in qualche modo, i sensi dello stesso Vorkye.
Recentemente, il Signore del Tempo aveva percepito perfino la morte di uno dei suoi esperimenti più promettenti: Hans Landa, risultato del primo tentativo del Maestro d’imbrigliare l’energia negativa dello Scisma per creare una razza di soldati inarrestabili.
Dal giorno alla notte, quel promettente ufficiale era perito in uno scontro che aveva spazzato via l’intera città di Hong Kong, con grande costernazione non solo del Tiranno ma anche dello stesso Governatore Shen, il cui dominio sulla Cina era esteso al rinomato centro urbano. E l’identità dell’avversario contro cui aveva combattuto Hans rimaneva tutt’ora un mistero.
Due notevoli seccature in meno di 24 ore… troppo vicine per essere considerate una semplice coincidenza. Che fosse Najimu in parte responsabile della sua incapacità di prevedere tali eventi? Oppure…
L’uomo venne scosso da tali pensieri quando un sonoro BIP, proveniente dalla scrivania che aveva di fronte, riecheggiò per tutta la lunghezza della stanza. Qualcuno lo stava contattando sulla sua linea privata.
Gemette interiormente. L'ultima cosa che voleva adesso era intavolare una conversazione con i suoi sottoposti.
Con un sospiro scontento, pigiò il pulsante d'accensione. << Pronto? >>
<< Pronto? Pronto? Salve! La contattiamo dal nostro servizio di televendita! >> rispose una voce acuta e gratturale, emettendo una piccola risata alla fine.
Il Signore del Tempo si ritrovò incapace di trattenere una smorfia. Avrebbe riconosciuto quella cadenza fastidiosa ovunque.
<< Maestro, mio caro, come procede la tua serata da imperatore del multiverso?>>
<< Joker >> borbottò l’alieno, visibilmente stizzito << Sto cominciando seriamente a pentirmi di averti dato questo numero. Spero che la tua ragione per chiamarmi sia molto buona. >>
<< Ma certo che lo è! Oww, Master, così mi spezzi il cuore! È proprio vero che il potere dà alla testa. Sai bene anche tu cosa sta succedendo per la galassia, è su tutti i giornali! Tutti questi problemi sono ovviamente una manovra dei ribelli... ecco perché voglio offrirti il mio aiuto! Già immagino i prossimi titoli, li puoi vedere anche tu? “L’intraprendente presidente e il suo amico svitato” >> rispose il clown principe del crimine, riferendosi palesemente a se stesso.
Il Maestro inarcò un sopracciglio.
<< Stai per caso suggerendo una collaborazione che vada... oltre il nostro ultimo patto? >> domandò con tono vagamente annoiato, mentre ripensava a come aveva dato il via libera alle operazioni del Joker, purché mantenesse sotto controllo la criminalità organizzata di Battleground.
Un accordo che era andato a beneficio di entrambe le parti.
<< È quello che dobbiamo fare, vecchio amico mio! Diciamoci la verità, le cose non stanno andando bene per niente. Già solo l’altra sera, i seguaci di quel vecchio bacucco del tuo ex amico hanno rovinato il mio affare con Roman. Dobbiamo fermare questi teppisti! Alcuni di loro non ragionano secondo i metodi del Dottore, guarda cosa è successo a Hong Kong! Sembra quasi il fantasma del Natale Futuro, e non è per niente gentile… >>
Detto questo, scoppiò in una risata psicotica, che risuonò per tutta la stanza in cui sedeva il Signore del Tempo.
<< E non è di certo finita qui! Ti ricordi di quella buona anima di Meta Knight? >>
<< ...il vecchio pipistrello? >> domandò il Maestro, sbattendo le palpebre con fare incerto << È storia vecchia, ormai. Hai detto di averlo ucciso e Vader era lì per testimoniare la cosa. >>
Al telefono si sentì un suono bizzarro, come quello dei campanelli usati per indicare le risposte errate dei quiz televisivi.
<< Naaaah, risposta sbagliata >> ribatté il Joker << Certo che l’ho ucciso, e Vader lo ha visto e confermerà ancora. Mi riferisco... alla sua progenie. Proprio così, amico, il figlio di quel dannato pipistrellaccio è tornato! E adesso si trova a Vale. Guarda caso, è stato proprio lui a interferire col mio ultimo affare! Una storia di vendetta, caro il mio Maestro. Una storia che io e te... dobbiamo concludere con il nostro personale lieto fine >> continuò ridendo << Qua non c’è solo il fantasma del Natale Futuro in gioco, ma anche quello del Natale Passato. Dobbiamo troncare questa trama sul nascere, Maestro. Tu hai le risorse per farlo... ma la politica te lo impedisce... mentre io ho la libertà e la creatività necessaria per compiere l’opera. Cosa ne dici, volpone? >>
Il Maestro rimase fermo e impassibile, lasciando che il significato dietro alle parole del clown affondasse nel suo cervello. Dopo quasi un minuto buono, prese un respiro profondo.
<< Prenderò in considerazione la tua proposta. Nel frattempo... mi assicurerò di fare buon uso delle informazioni che mi hai appena fornito. >>
<< Ne sono certo, dopotutto sei tu il cervellone! Vuoi che ti racconti una barzelletta per sdrammatizzare la situazione? >>
In tutta risposta, il dittatore di Battleground si limitò a chiudere la conversazione, il volto adornato da uno sguardo impassibile.
A volte, quell’uomo poteva essere fastidioso quanto il Dottore. Ma era comunque utile, ragion per cui aveva deciso di non rinchiuderlo assieme a tutti quei personaggi da lui considerati troppo caotici e indomabili per poter scorrazzare liberamente nel suo nuovo regno.
Con quel pensiero in mente, l’alieno contattò un’altra linea… e attese. Poi, dal canale appena aperto fuoriuscì una voce profonda e metallica.
<< Soundwave a rapporto. >>
<< Qui è il Maestro >> rispose il Signore del Tempo, arricciando ambe le labbra in un sorriso << Di' a Megatron che vorrei parlare con lui, ho un lavoro per i suoi amichetti… >>

                                                                                                                                                            * * *


Renmant (Pianeta sotto controllo imperiale) - Dreamland

La prima cosa che avvertì fu la posizione scomoda in cui si trovava. Era seduto, con la schiena appoggiata ad una superficie dura e un po’ nodosa. La debole luce del sole gli investì le palpebre serrate, colorando tutto di giallo e puntini scuri.
Poi, sentì un familiare becco uncinato punzecchiargli con insistenza il capo e una vocetta acuta richiamarlo.
<< Padron Fire! Sveglia, sveglia! >>
<< Rowlet… >>
Il Vigilante Mascherato sbatté le palpebre ripetutamente, infastidito dalla luce e da quell’approccio, mentre un sonoro sbadiglio gli si liberava dalla bocca.
<< Che palle, stavo dormendo! Non rompere… >>
<< Non si dicono le parolacce, che direbbe padron Logan? >> lo rimbeccò il barbagianni, riprendendo a becchettarlo << Dai, sveglia! È già mattina… >>
<< Ho capito… e piantala! >>
Gli tirò una leggera gomitata, poi aprì gli occhi, rizzandosi seduto e sollevando lo sguardo, ancora assonnato.
<< Dove siamo…? >> sbadigliò << Che…? >>
<< Siamo su un albero, padron Fire >> spiegò Rowlet << Padron Fire aveva chiesto a Rowlet di trovarne uno dove passare la notte, dato che padron Fire doveva parlare con il Dottore e i suoi amici. >>
D’improvviso, tutto gli tornò alla mente, rischiarandola dal torpore del sonno. Ma certo, erano andati su Remnant, per incontrare il Dottore e gli alleati che aveva reclutato assieme a lui. Si era rifiutato di risiedere nella base, asserendo che preferiva dormire in mezzo alla natura.
Inoltre, aveva giustificato a Logan il proprio viaggio con la propria attività. Gli aveva detto che sarebbero rimasti fuori per un po’ e, di conseguenza, avrebbero dormito fuori; come al solito, Royston non aveva fatto troppe domande, né si era opposto.
<< Sta’ attento >> gli aveva detto << e torna entro la sera del giorno dopo, o verrò a cercarti, Baelfire. Rowlet, mi raccomando, tienilo d’occhio. >>
Al che, il barbagianni aveva risposto gonfiando il petto piumato per darsi importanza, e Fire si era limitato ad alzare gli occhi al cielo.
Non poteva rivelare a suo padre dove sarebbe andato, né il motivo. Sapeva quanto stesse rischiando, prendendo anche solo in considerazione di unirsi alla Resistenza: era il Vigilante Mascherato, l’oppositore per eccellenza del Governatore Shen, e come tale era già sulla lista nera del Maestro.
Oltretutto, Shen conosceva la sua identità segreta. Non sapeva ancora come, ma l’aveva scoperta, ed era solo questione di tempo prima che lo condannasse. Anche se non l’aveva fatto finora, questo non faceva altro che allarmarlo ancora di più: il governatore di Gongmen era subdolo e perfido fino al midollo, motivo per cui non c’era da star tranquilli in una simile situazione. Sicuramente aveva in mente per lui qualcosa di molto speciale.
L’ultima cosa che voleva era che Logan ci andasse di mezzo. Sarebbe finito all’Inferno piuttosto che permettere una cosa del genere.
E poi c’era il Dottore. Il Dottore pareva essere l’unica chance che aveva per poter finalmente scoprire la verità sulle proprie origini e soprattutto sulla propria famiglia, dato che aveva conosciuto sua madre, Lada. Un’occasione come quella non poteva lasciarsela scappare: si era rafforzato in lui il desiderio di conoscenza, adesso che era apparsa una fragile speranza.
Si stropicciò gli occhi, distogliendosi da quei pensieri e liberando l’ennesimo sbadiglio. Sbuffando si girò dall’altra parte, risistemandosi il mantello sul corpo a mo’ di coperta.
<< Lasciami tornare a dormire, Rowlet… >>
<< E nooo-uuuh! >> bubolò l’altro, in tono di protesta << Si è svegliato il cielo, e perciò anche padron Fire deve essere sveglio! Dai, dai, dai! >>
Il rapace si aggrappò con gli artigli alla seta e la strattonò ripetutamente, senza smuoverlo di un millimetro. Nel tentativo di farlo smettere, il ragazzo tirò un violento colpo col braccio, mancandolo di un soffio, perse l’equilibrio e cadde giù dal ramo. Riuscì appena in tempo ad azionare le ali, rallentando la caduta e atterrando, le ginocchia piegate per attutire l’impatto.
Rowlet emise un bubolio soddisfatto e gli svolazzò davanti. << Ecco! Ora padron Fire è completamente sveglio! >>
<< Razza di uccellaccio pestifero! >> ringhiò il giovane, facendo per avventarglisi contro, le braccia tese.
Per tutta risposta, il barbagianni lo schivò e gli volò intorno, bubolando divertito, poi si slanciò verso la foresta.
<< Tanto padron Fire non prende Rowlet, u-uh! >>
<< Stupido ammasso di piume! Torna qui! >>
Ma l’uccellino rise, sparendo tra gli alberi. Lo stava sfidando ad inseguirlo e acchiapparlo.
Royal Noir alzò gli occhi al cielo e, per un istante, sorrise di un sorriso sincero e gioioso. Poi spalancò le ali e gli sfrecciò dietro.
Non credeva negli dei, men che meno nel Maestro e nella sua volontà, ma quando pensava al suo incontro con Rowlet, in un certo senso gli attribuiva una causa magica o in qualche modo divina, dato che era stato capace di cambiargli la vita.
Avvenne durante un burrascoso temporale: era ancora all’orfanotrofio all’epoca, aveva poco meno di sette anni. Il rapace, spazzato via dal vento, andò a sbattere violentemente contro il vetro della finestra della sua solitaria camera da letto. L’impatto fu talmente forte da ferirgli un’ala e farlo crollare disteso sul bordo della finestra, emettendo dei bubolii acuti.
Il piccolo Fire, allertato da quei rumori, corse subito alla finestra e l’aprì. Il suo cuore di bambino si commosse alla vista della povera creatura, alla vista di quegli occhi grandi, tristi e innocenti, così simili ai suoi. Senza pensarci due volte decise che, non importava come, né quanto ci sarebbe voluto, l’avrebbe aiutato finché non fosse stato in grado di volare nuovamente da solo. E così l’accudì in gran segreto, nutrendolo occasionalmente con gli insetti che catturava per lui nel giardino e con gli avanzi dei pasti dell’orfanotrofio, finché non guarì.
Erano soliti stare sempre insieme, giocando a rincorrersi tra di loro e a cercare di catturare gli scoiattoli che si nascondevano tra le chiome degli alberi piantati nel giardino dell’orfanotrofio.
Così, Fire aveva imparato ad arrampicarsi e a muoversi tra i rami, rapido, scattante e leggero quasi come il barbagianni. Se le inservienti l’avessero visto fare una cosa simile, avrebbero dato di matto per la paura che potesse cadere e farsi male, e probabilmente gli avrebbero impedito di giocare ancora, ma non riuscivano mai a coglierlo sul fatto.
<< Perché padron Fire non gioca mai insieme agli altri bambini e alle altre bambine? >> gli chiese un giorno Rowlet, appollaiato sulle sue ginocchia.
Fire sedeva sopra il ramo di un’alta e grossa quercia. Si reggeva con le mani ai lati delle natiche, tenendo i piedi sospesi nel vuoto.
<< Perché gli faccio paura >> borbottò in risposta, imbronciato << dicono che sono un demone. >>
<< E perché qualcuno dovrebbe considerare padron Fire un demone? >>
<< Guardami. >>
Gli lanciò un’occhiata fulminante, e parve che le fiamme dei suoi occhi ardessero più intensamente. Senza dubbio così poteva risultare impressionante.
Per tutta risposta, Rowlet si limitò a fissarlo, con un’espressione fin troppo attenta ed intelligente. Poi scoppiò in un bubolio acuto a mo’ di risata sincera e cristallina.
Il barbagianni non aveva mai avuto paura di lui, al contrario di tutti gli altri bambini dell’orfanotrofio. Era l’unico che lo volesse accanto.
Tuttavia, la convivenza dei due nell’orfanotrofio non era stata facile, a causa dei frequenti comportamenti problematici e fraintendibili che l’uccello aveva manifestato, e per i quali Fire aveva dovuto rispondere più di una volta agli altri orfani e alla signora Cole.
<< Perché hai graffiato quella bambina!? >> sbottò rivolto al rapace, le braccine incrociate, dopo che l’ennesimo fattaccio avvenne.
Rowlet stava appollaiato sopra un trespolo, le spalle ritratte e il capo chino, mortificato. << Rowlet voleva fare amicizia. >>
<< Ma le hai fatto male. Non hai visto come piangeva? >>
Al che l’uccello sgranò gli occhioni, stupito, come se quella prospettiva non gli fosse mai passata per la mente.
<< Fatto… male? >> ripeté, esitante << Rowlet non voleva… >>
<< Quando graffi qualcuno in faccia fai sempre male, come quando gli becchi le dita >> gli rispose il bambino, in tono di ovvietà << Non lo devi fare più, hai capito? >>
<< Ma Rowlet non lo vuole fare con cattive intenzioni. Vuole solo fare amicizia… >>
Gli occhi del barbagianni si fecero più grandi, inumiditi com’erano dalle lacrime.
Fire lo guardò e si convinse che era sincero. Sciolse le braccia e gli carezzò la gola piumata, ma non perse il tono fermo.
<< Lei non lo sapeva che volevi fare così, e tu l’hai avvicinata nel modo sbagliato. E non puoi nemmeno chiederle scusa… >>
<< Perché Rowlet non può chiedere scusa? >>
<< Perché ti vedrebbe parlare. >>
Rowlet annuì, in segno di comprensione. Padron Fire gliel’aveva spiegato: non poteva rivolgere la parola a nessuno all’infuori di lui, perché se qualcun altro si fosse accorto che parlava, sarebbero potute arrivare delle persone cattive a portarlo via. Quelli magici come lui piacevano un sacco ai ricchi, e se le persone cattive l’avessero scovato, avrebbero potuto portarlo via per venderlo a qualcuno di loro, qualcuno che non fosse padron Fire.
Al pensiero di quanto potesse essere terribile una simile prospettiva, il rapace emise un bubolio acuto. Ma c’era anche qualcos’altro a turbare il suo cuore di cucciolo.
<< Padron Fire? >>
Gli occhi del bambino incontrarono i suoi. << Sì? >>
<< Che vuol dire “chiedere scusa”? >>
Fire rimase senza parole. Lo fissò, pensando per un istante di aver sentito male. Rowlet lo fissò a sua volta, inclinando di lato la testolina rotonda. Attendeva, paziente.
Il bambino rimase in silenzio per qualche istante, pensieroso. Gli era difficile spiegare cosa significasse dover chiedere scusa, anche perché gli era capitato raramente di doverlo fare. Forse, se Rowlet non lo sapeva, era perché non l’aveva mai fatto?
<< Chiedere scusa vuol dire… >> cercò di trovare le parole << dispiacersi. Dispiacersi per aver fatto male. E dirlo a chi hai fatto male, ecco. >>
<< Uh… >> Il barbagianni sgranò gli occhioni << E Rowlet ha fatto tanto male a quella bambina? >>
<< Credo di sì… >> gli rispose Fire, in tono triste.
<< Ma Rowlet come può giocare senza fare male? >>
<< Non devi graffiare, per prima cosa. E nemmeno beccare forte! >>
<< Allora cosa può fare Rowlet? >>
Il bambino ci pensò su, inarcando le sopracciglia. Poi mise su un sorrisetto trionfante. << Le carezze! Così! >>
Allungò il palmo e gli lisciò il capo, per poi fare lo stesso con i contorni delle ali e il petto candido.
Il barbagianni emise un acuto e tenero bubolio, mentre si strofinava lungo la mano del padroncino, chiaramente deliziato. Poi chinò nuovamente il capo.
<< Se Rowlet faceva male, forse è per questo che gli altri della sua specie lo evitavano. >>
A quella rivelazione, Fire inclinò il capo, guardandolo con tanto d’occhi. << Anche tu? >>
<< Rowlet è cresciuto da solo >> raccontò l’uccello << Quando mamma e papà sono andati via, Rowlet se l’è dovuta cavare da solo, e provava a fare amicizia... ma gli altri sembravano infastiditi dal comportamento di Rowlet, e così lo lasciavano sempre da solo >>.
Il bambino si riconobbe in quelle parole, e per questo avvertì un nodo doloroso serrargli la gola. Non staccava gli occhi dall’amico piumato. Attendeva che continuasse.
<< Un giorno mamma e papà l’hanno guardato per l’ennesima volta con quello sguardo... strano. Poi hanno portato Rowlet vicino alla grande quercia, l’albero più grande del bosco, hanno detto di aspettarlo lì e poi sono andati via. Rowlet li ha aspettati. Li ha aspettati tanto, tanto, così tanto... ma mamma e papà non tornavano. Rowlet aveva fame, chiamava la mamma perché voleva che gli desse quei bei vermetti che gli prendeva sempre. Ma la mamma non c’era, né i vermetti. Rowlet ha disubbidito, si è allontanato per mettersi a cercare i vermetti sul terreno, come ha visto fare alla mamma quando ancora era nel nido. Rowlet li ha mangiati ed erano molto buoni. Voleva darli anche alla mamma e al papà, ma loro non tornavano, né il giorno dopo, né l’altro ancora. E così Rowlet ha imparato a volare, a cacciare, a costruirsi i ripari per dormire, ma la mamma e il papà non sono mai tornati per vederlo. Rowlet alla fine ha deciso di allontanarsi dal bosco e dalla grande quercia, ed è incappato nella tempesta che l’ha portato da padron Fire >>.
Quando Rowlet terminò il suo racconto, Fire sentì gli occhi bruciare, e la morsa alla gola farsi più evidente, spostata a stringergli anche il cuore.
Avrebbe voluto dire qualcosa, qualunque cosa per consolare il barbagianni. Ma non gli veniva in mente niente, e peraltro l’uccello non pareva affatto turbato da quanto avesse appena narrato: aveva parlato con la tranquillità e la spensieratezza precedenti, come quando aveva chiesto cosa significasse chiedere scusa.
Non lo sapeva. Rowlet non sapeva che i suoi genitori l’avevano abbandonato. Non lo sapeva, forse semplicemente perché non l’aveva mai capito. Forse il pensiero non l’aveva mai nemmeno sfiorato.
Fire l’aveva capito subito, invece. E pensava quanto fosse profondamente ingiusto che qualcuno avesse fatto una cosa simile a quella tenera, dolce ed innocente creaturina. Senza dire una parola, fece un passo avanti e strinse il corpicino piumato in un abbraccio.
In risposta, Rowlet emise un bubolio di giubilo e gli strofinò il becco contro la guancia.
<< Prima o poi mamma e papà torneranno… si saranno solo persi. >>
A quelle parole, il piccolo Fire si morse le labbra. Si era praticamente rivisto in quella storia, provava e aveva provato tutte le sensazioni che il barbagianni non aveva mostrato di provare: lo schiacciante senso di abbandono, l’essere indesiderato, il non contare niente per le persone che l’avevano messo al mondo.
Lui e Rowlet erano uguali. Entrambi abbandonati a loro stessi, lasciati ad affrontare il mondo da soli, costretti a lottare per la sopravvivenza.
<< Perché padron Fire è zitto? >>
La voce del barbagianni distolse il bambino da quei cupi e tristi pensieri. I suoi occhioni lucidi incontrarono quelli dell’amico piumato.
<< Padron Fire si chiede se anche i suoi genitori si siano persi come quelli di Rowlet >> rispose con voce incrinata.
<< Sicuramente sì >> affermò Rowlet << I genitori non abbandonano mai i figli. Avranno contrattempi. Torneranno entrambi. Padron Fire si deve fidare di Rowlet. >>
Fire non riuscì ad aggiungere altro. Si strofinò un pugno sulle palpebre, cercando di asciugarsi le lacrime scese a rigargli le guance.
Rowlet gli becchettò affettuosamente il naso e gli arruffò i capelli, per poi fargli una carezza sulla guancia con l’ala, così come il padroncino gli aveva appena insegnato.
Fire tirò su col naso e affondò le piccole dita nelle piume color crema.
<< Rowlet? >>
<< Sì? >>
<< Tu sei mio amico, vero? >>
<< Migliore amico! >> esclamò il barbagianni, simulando col becco un sorriso smagliante.
<< E saremo sempre insieme, vero? >> domandò il bambino, in tono speranzoso.
Rowlet lo osservò, con l’espressione attenta e intelligente di quando prendeva molto sul serio una sua domanda e la conseguente risposta da dare.
Quindi gonfiò il petto piumato e raddrizzò la schiena, dandosi una buffa aria di solennità.
<< Rowlet sarà sempre con te, padron Fire! >>
 
                                                                                                                                                                  * * * 
 
Accelerator e Last Order, quella mattina, passeggiavano tranquillamente per il boschetto che circumnavigava la capitale di Dreamland; l’albino si era premurato di coprirsi con cappuccio e occhiali da sole per non farsi riconoscere.
La bambina, come di consueto, non stava ferma un secondo, irritando l’esper.
<< Ohi, mocciosa, vai piano, altrimenti cadrai e ti farai male >> sbottò quest’ultimo, seccato.
<< Anche se cadessi, tu mi prenderesti al volo, no? Dice Misaka come Misaka >> rispose la piccola, esprimendosi sempre in quel modo bizzarro.
<< Tch... se ti fai male son cazzi tuoi, io me ne frego. >>
<< Non fare così, scommetto che mi salveresti e mi prenderesti in braccio come un bravo cavaliere bianco, dice Misaka come Misaka picchiettando le dita sul tuo addome... eh? Cos’è quella faccia arrabbiata, e perché stringi il pugno? Chiede Misaka come Misaka spaventata. Suvvia, scherzavo, dice Misaka come Misaka mettendo un bel sorriso nella speranza di calmarti. >>
Il ragazzo, ancora innervosito, non poté fare a meno di calmarsi alla vista del dolce e tenero sorriso di quella bimba. Abbassò il pugno e sbuffò, mettendo le mani in tasca.
La piccola iniziò a ridere e corse avanti, canticchiando nel mentre qualche canzone che, molto probabilmente, aveva imparato da Yoshikawa. Correva, nella speranza che il suo “papà” la acciuffasse, ma ecco che inciampò e cadde per terra, emettendo un lamento infantile.
Accelerator le si avvicinò rapidamente, rinfacciandole il fattaccio per celare la propria preoccupazione. << Che ti dicevo? Sei caduta. Stupida... >>
<< Accelerator, mi sono fatta maleeeee, si lamenta Misaka come Misaka sperando di commuoverti! >>
L’albino la esaminò attentamente, poi scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. << Tch... e alzati che non ti sei fatta niente. >>
<< Sei cattivo, dice Misaka come Misaka mettendo un tenero broncio e rialzandosi senza fatica. >>
In quel momento arrivò, o per meglio dire svolazzò davanti a loro, un barbagianni. Atterrò con le zampe sul terreno e ripiegò le ali, per poi rimanere immobile a studiarli con un’espressione fin troppo intelligente.
<< Accelerator, guarda, un uccellino! Dice Misaka come Misaka allungando la mano nel tentativo di accarezzarlo. >>
<< Ohi mocciosa, sta’ ferma! >> la riprese il ragazzo, bloccandola a metà dell’azione << Così lo spaventi, e potrebbe morderti. E anche portare malattie! >>
<< Rowlet non morde, Rowlet lo sa che non si fa! E poi Rowlet non porta malattie, è molto pulito! >>
Ad Accelerator ci volle qualche minuto per rendersi conto che era stato il rapace a parlare, utilizzando un tono di ben evidente disappunto. Aveva semplicemente aperto il becco e datogli fiato, solo che al posto di un verso animale erano uscite parole comprensibili.
Era assurdo. Lo fissò, sbigottito, grattandosi il capo coperto dal cappuccio.
“Questa poi… devo essermi fumato qualcosa” pensò, scuotendo il capo.
<< Bimba è carina! >> esclamò l’uccellino, sollevandosi in volo di qualche centimetro per raggiungere il faccino di Last Order e pizzicarle delicatamente le guance con gli artigli.
Per tutta risposta, quest’ultima squittì per il solletico.
<< Senti un po’, uccello >> gli si rivolse Accelerator dopo un istante << da dove vieni? >>
<< Uh… >>
Il barbagianni svolazzò più in alto, rimanendo sospeso in aria, e poi indicò con la punta dell’artiglio un punto imprecisato della foresta di fronte a loro.
<< Da di là, cappuccetto nero. >>
<< Da di là, dove? >> gli chiese il ragazzo, ancora più confuso << Cosa c’è di là? >>
<< Sei divertente, commenta Misaka come Misaka ridendo! >>
Il rapace emise un bubolio acuto che poteva benissimo sembrare una risata gioiosa da bambino. Le svolazzò davanti e le si appollaiò sulle mani tese.
<< Comunque lui non si chiama cappuccetto nero, si chiama... >>
La piccola non finì la frase, perché una manata dell’esper le arrivò dritta sulla nuca. << Zitta, marmocchia >> sibilò.
<< Ahiiiiiiiii >> protestò questa in risposta.
In quel preciso istante, dal folto della vegetazione sbucò la figura di Royal Noir. Atterrò di fronte a loro, le grandi ali ripiegate sulla schiena a formare il mantello svolazzante; il barbagianni lo accolse emettendo un bubolio di contentezza.
I due ragazzi rimasero impalati a fissarsi come se si vedessero per la prima volta.
<< Sei lo stesso tizio di ieri >> osservò Accelerator << L’uomo uccello. >>
<< Royal Noir >> lo corresse l’altro, scrutandolo con tanto d’occhi << Il Vigilante Mascherato. >>
<< E me è Rowlet! Uuhuu! >> bubolò l’uccello, per poi lanciare un’occhiata all’albino e alla bambina a cui era in braccio << E Cappuccetto Nero e bimba carina chi sono? >>
<< Il mio nome è Last Order, dichiara Misaka come Misaka con posa fiera! >>
Indicò il ragazzo bianco con un dito.
<< E lui si chiama Accelerator! >>
<< Vedi di non gridarlo, o ti do un altro colpo >> sibilò l’esper.
Royal Noir inarcò le sopracciglia attraverso la maschera di gufo, visibilmente perplesso.
<< Lasty! >> pronunciò Rowlet, spalancando le ali contento << E Acc... A... A... Acce… >>
Provò ancora, ma si bloccava sempre nel pronunciare il suono “lerator”, tanto che dopo un po’ si imbronciò e decise di fare a modo suo.
<< Accelly! >> dichiarò dopo qualche istante.
I tre lo fissarono sbigottiti. Last Order scoppiò a ridere, mentre Accelerator gli lanciò uno sguardo arrabbiato.
<< Tch… Accelerator >> scandì, con una smorfia infastidita e gli occhi dilatati << A-C-C-E-L-E-R-A-T-O-R. Non Accelly! >>
<< Aaa...cc....elly! >>
<< Ho detto Accelerator! >> sibilò quest’ultimo, e ora pareva visibilmente furioso, tanto che Fire notò una vena pulsante formarglisi sulla fronte.
<< Rowlet non è in grado di pronunciare parole complicate >> intervenne, in difesa dell’amico piumato e tentando di calmare il ragazzo << E a quanto pare il tuo nome lo è, per i suoi standard. >>
<< Tch… fanculo >> sbottò l’albino, scuotendo la testa contrariato, per poi lanciare loro un’occhiata sospettosa. << Che stavate facendo qui? >>
<< Rowlet e padron Royal stavano giocando a rincorrersi! >> esclamò il barbagianni, svolazzando al fianco del Vigilante Mascherato, gonfiando il petto con fare orgoglioso << E Rowlet ha vinto anche stavolta! >>
Royal alzò gli occhi al cielo. << Ma piantala. >>
<< Anch’io e il mio papà stavamo giocando a rincorrerci, dice Misaka come Misaka! È divertente! >> esclamò Last Order.
<< Lasty è una bimba carina, a Rowlet piace! >> sentenziò il rapace, svolazzando davanti alla bambina e mettendo su un’espressione di gioia impaziente << Lasty vuole giocare con Rowlet? >>
<< Sì, giochiamo! L’ultimo che arriva è un pesce lesso, esclama Misaka come Misaka euforica! >>
<< Ohi, aspetta, non… >> fece Accelerator, ma non riuscì a finire la frase; i due iniziarono a rincorrersi, imboccando senza accorgersene il sentiero che portava verso il limitare della foresta, conducente dritto in una delle molte cittadine del pianeta.
<< Porca puttana! >> imprecò l’esper, cominciando a muoversi ad ampie falcate per andare loro dietro, seguito prontamente dall’arciere.
<< Aspetta >> lo bloccò quest’ultimo, quando furono davanti all’imbocco della strada asfaltata << io non posso entrare in città. Potrebbero riconoscermi. >>
<< Tch… merda >> imprecò Accelerator, lanciandogli un’occhiata di traverso << Non hai qualcosa per camuffarti? >>
Royal parve pensarci su. Poi sollevò il braccio, scoprendo la polsiera nella quale era incastonato il cristallo di Polvere. Subito questo si illuminò di luce verde, e sotto gli occhi stupefatti dell’albino, il costume mutò forma, diventando una semplice felpa munita di cappuccio con tuta e scarpe da ginnastica. Per ultimo, la maschera si trasformò in un paio di occhiali dalle lenti rotonde, sufficienti a nascondergli il viso.
<< Così dovrebbe andare >> sentenziò il ragazzo, riponendo la polsiera sotto la manica della felpa.
<< Cazzo >> fischiò l’esper << tu sì che sai risparmiare sul guardaroba. >>
Senza altri commenti, i due si incamminarono dietro ai due piccoli. Fortunatamente, non si erano allontanati troppo. La cittadina si estendeva solo per qualche chilometro, al fianco del bosco da cui erano spuntati fuori e che dava direttamente lungo una zona pedonale, dove Last Order e Rowlet erano intenti a schiamazzare.
Qualcuno avrebbe trovato interessante o incredibile osservare insieme quei due particolari ragazzi.
Accelerator era dinoccolato, più basso di Fire di qualche centimetro, dal momento che era più piccolo anche d’età; tendeva ad incurvare un po’ le spalle, e a intervalli regolari socchiudeva le palpebre in un’espressione indolente. Fare ogni passo pareva quasi procurargli una perenne noia mortale.
Fire procedeva ben diritto, il mento leggermente sollevato ad ostentare un’ombra di contegno. Le labbra serrate e lo sguardo fisso dinnanzi a sé, chiuso in un’espressione impassibile, lasciavano trapelare una fredda alterigia e un disinteresse totale di quel che gli succedeva intorno, ma era solo apparenza, plasmatasi grazie alle numerose lezioni di etichetta.
Avanzavano entrambi nella stessa postura – metà delle dita infilate nelle tasche – stessa andatura lenta, stesso atteggiamento distaccato. Camminavano in silenzio, fianco a fianco, ciascuno a debita distanza. Non si sentivano a disagio, e nessuno dei due era infastidito dal silenzio.
Ad un certo punto, Accelerator svoltò l’angolo, e Fire, bloccandosi di colpo, lo vide infilarsi dentro un minimarket. Non si congedò, non gli chiese di aspettarlo e né se volesse qualcosa. Semplicemente si girò e attraversò la porta scorrevole.
Il giovane dai capelli verdi rimase impalato a fissarlo, completamente spiazzato. Storse le labbra, contrariato, per poi scrollare le spalle come a voler lasciar subito perdere, e proseguì incurante per la strada. L’albino lo raggiunse ad ampie falcate qualche istante dopo; teneva in mano una lattina di caffè Black. Ne sorseggiò un po’ mentre tornava a camminare al suo fianco, incurante.
Fire non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata. Sin da quando l’aveva visto la prima volta, in qualche modo era riuscito ad intuire chi fosse davvero. Non l’aveva mai visto dal vivo, ma le leggende metropolitane sul fantomatico Demone Bianco di Kyoto erano giunte dal Giappone sino in Cina. Tutti i racconti concordavano sui tratti demoniaci e l’albinismo.
A prima vista, tuttavia, per lui quel ragazzino non aveva niente di demoniaco, a parte forse la maleducazione e il perenne sguardo apatico, ma questo, in fin dei conti, era soggettivo. Il fatto che fosse albino non lo impressionava più di tanto, dal momento che, suo malgrado, era a contatto con Shen. Tuttavia non si stupiva del fatto che l’avessero demonizzato, perché sapeva come pensava la gente: per loro era diverso, era strano, era un’anomalia, e pertanto andava temuto e disprezzato.
<< Che cazzo guardi? >>
L’occhiata e la voce infervorate del ragazzo bianco lo distolsero dai suoi pensieri. Si rese conto di averlo effettivamente fissato più di quanto imponessero i limiti della buona creanza, ma il tono di voce sgarbato lo irritò istintivamente.
<< Quello che mi pare >> affermò, sforzandosi di mantenere un tono calmo << Che c’è, ti dà fastidio? >>
<< Dipende… gli sguardi come i tuoi, sì. Se vuoi dire qualcosa, dilla e non farmi perdere tempo >> sbottò l’esper storcendo le labbra, infastidito.
<< Wow, non pensavo di poter fare impressione perfino al Demone Bianco di Kyoto. >>
Il sarcasmo era ben evidente nella propria voce. Spostò immediatamente lo sguardo.
<< Non ho niente da dire, comunque. Non ancora, perlomeno. >>
Udì l’altro emettere un mugugno dubbioso, mentre entrambi si apprestavano a controllare nuovamente Rowlet e Last Order. Erano parecchio lontani dalla loro portata, ma questo non gli impediva di tenerli d’occhio. Complice era la notevole assenza di gente per la strada a quell’ora del mattino.
Accelerator bevve un altro sorso dal suo caffè. << L’uccello parlante è tuo? >>
<< Sì. Più o meno. >>
Quella domanda lo lasciava un po’ interdetto nella risposta per il semplice fatto che non considerava Rowlet suo. Almeno, non come un padrone potrebbe considerare il proprio cane, come probabilmente aveva inteso Accelerator facendogli quella domanda. Rowlet era il suo cucciolo, sì, ma anche l’unico amico sincero che avesse mai avuto.
Gli occhi color del fuoco si concentrarono sulla piccoletta dai capelli castani, intenta a cercare di acchiappare il barbagianni con le manine paffute.
<< E lei, invece? >>
<< Sì… si può dire di sì >> rispose Accelerator, con tono esitante << Si è infiltrata a scrocco in casa mia e da allora me la porto dietro. Storia lunga. >>
<< Strano >> commentò Fire << è successo qualcosa di molto simile anche a me con Rowlet. >>
<< Cioè è volato dentro casa tua, ha iniziato a fare i suoi comodi e i tuoi genitori ti hanno costretto a tenerlo, facendolo dormire addirittura con te? >>
<< In verità, è finito contro la finestra della mia stanza a causa di una tempesta. Mi sono preso cura di lui, e non mi si è più voluto staccare. Avevo quasi l’età di lei quando è successo >> disse indicando con la spalla Last Order << Alla fine, è stato lui a costringere mio padre a portarlo con noi. >>
Accelerator annuì in segno di comprensione e si stiracchiò. << Almeno il tuo non sembra un casinista come quella mocciosa. >>
<< Non ci conterei troppo >> lo ammonì << Se vuole può essere tremendo. >>
<< Tch... che due palle... >>
L’esper finì di bere il caffè e poi accartocciò la lattina, centrando il primo cestino che gli capitò a tiro, mentre proseguivano per il camminamento pedonale.
Tirò indietro la testa e si appoggiò entrambe le mani sulla nuca, liberando un sonoro sbuffo.
<< Ohi… >> disse rivolto al giovane al suo fianco, mettendo su un sorriso alquanto disturbante << Perché dobbiamo stare qui a sorvegliare quei due rompipalle, quando possiamo andarcene e levarceli di torno per un po’? >>
<< Perché saremmo dei… genitori irresponsabili? >>
Come gli fosse uscita fuori quell’espressione, Fire non lo sapeva. Ma in quel momento non avrebbe saputo come definirli diversamente: sembravano davvero due genitori intenti a badare ai propri figli, ma pensare a Rowlet come tale era assurdo. Certo, tutto quello che avevano passato e imparato insieme lasciava trapelare un affetto molto più esplicito di quello di due amici. Erano una famiglia, Fire, Rowlet e Logan. Logan era il padre, e Fire e Rowlet i suoi figli, dunque Rowlet era il fratello minore, e Fire il maggiore, il più responsabile, sempre dedito alla protezione del più piccolo, anche se quest’ultimo svolgeva lo stesso compito a modo suo.
Il sorriso s’era gelato sulle labbra di Accelerator.
<< Tch, è vero… quella marmocchia mi ha addirittura chiamato “papà” >> borbottò a bassa voce. Scosse la testa, forse con troppa enfasi. << Ovviamente son tutte cazzate, mica voglio farle da padre io. >>
L’altro lo fissò con un sopracciglio inarcato. << Non saresti un po’ troppo giovane? >>
<< Vallo a dire a quella mocciosa... chissà perché mi considera così. Forse per scherzo, forse perché non sa cosa sia un padre, probabilmente causato dal fatto che è sempre stata sola. Ed io non mi oppongo. Il perché… nemmeno io lo so, e francamente non me ne frega un cazzo... l'unica cosa che so è che voglio proteggerla. >>
L’albino rimase interdetto, quasi stentasse a credere di aver pronunciato davvero quelle parole.
<< Tch… che cazzo ha la mia bocca? >> imprecò << Ne ho appena parlato con te. >>
<< Si chiama “voler fare conversazione”>> si sentì in dovere di fargli notare il giovane nobile << È una cosa ancora legale, a quanto ne so. >>
<< Mai fatta una in vita mia... escludendo quelle con Yoshikawa almeno... >>
<< Chi è Yoshikawa? >>
<< Una donna… >> rispose Accelerator, esitante << La mia tutrice. L’unica che non mi abbia mai visto come un mostro insieme alla mocciosa. >>
Fire rimase senza parole. Non si aspettava di venire a sapere che, a conti fatti, avevano qualcosa in comune. D’un tratto gli parve più facile comprendere il motivo dell’atteggiamento scontroso e insofferente del ragazzino. Non era poi molto diverso dalla propria introversione e compostezza: era un modo come un altro di nascondere e manifestare al tempo stesso un perenne dolore interiore.
Tirò distrattamente un calcio al primo volantino steso per terra capitatogli a tiro sotto la scarpa. Il pezzo di carta gli si rizzò di fronte per un istante a causa del moto, e il ragazzo dai capelli verdi poté vedere chiaramente l’inconfondibile espressione sorridente e la scritta rossa “Ascolta il tuo Maestro”, prima di vederlo afflosciarsi nuovamente a terra.
D’istinto, si fermò e vi piantò sopra i piedi con forza, lacerandolo con un secco movimento della caviglia. Fu una bella sensazione vedere la faccia di quell’uomo spaccarsi in due, assieme a quel sorriso odioso.
Accelerator si era voltato ad osservare il tutto con un cipiglio di vago interesse.
<< Quella testa di cazzo… >> imprecò, fissando i pezzi di carta come se volesse incenerirli con lo sguardo << Odio la gente che sorride troppo. Ma mai quanto quella con un sorriso falso come il suo. >>
<< Siamo d’accordo >> sibilò Fire << Vorrei tanto cancellarglielo da quella merda di bocca. Per davvero. >>
<< Perché no… possiamo farlo. >> L’esper si esibì in una risatina sadica. << Gli strappiamo i denti ad uno ad uno. Alla texana, capisci? >>
<< Forse incenerirglieli farebbe molto più male >> ragionò l’altro ad alta voce, inarcando le sopracciglia. Abbassò lo sguardo a fissarsi il palmo della mano prontamente sollevato.
<< Possiamo sempre provare. >>
<< Non chiederei altro. >>
Era meravigliosamente liberatorio sfogare con qualcuno l’odio e il disprezzo accumulato in tutti quegli anni e che aveva forzatamente represso a causa della legge. Perfino a casa, al castello Royston, evitava di parlare di questioni spinose, come il divieto di mostrarsi in qualsiasi modo contrari o irrispettosi al Maestro e alle sue ideologie. Rowlet era troppo piccolo mentalmente per capire, e Logan… be’, semplicemente Fire non voleva annoiarlo, spaventarlo o tormentarlo con i propri deliri da adolescente.
Sì, perché nonostante i suoi vent’anni, Fire Royston era ancora lontano dall’essere un uomo. Complici la testa calda e l’impulsività che tardavano a lasciarlo andare.
Ripresero a camminare fianco a fianco, gli occhi puntati ciascuno sui propri pupilli. Avevano smesso di allontanarsi: erano intenti a guardarsi intorno con gli occhioni sgranati e a indicare con dita e piume tutto quello che li circondava.
Fire si arrischiò a lanciare un’altra occhiata al compagno. Solo allora si rese conto di un particolare alquanto fuori luogo, non semplice da notare a causa degli occhiali e del cappuccio che tentavano di celare il volto: un taglio rosso slabbrato attraversante la guancia sinistra.
<< Cicatrice di guerra? >> gli domandò, facendo un cenno con la spalla.
Accelerator intuì immediatamente a cosa si riferisse e spostò gli occhi sulla propria guancia.
<< Sì… più o meno. Perché? >> chiese, lanciandogli un’occhiata accigliata.
Stava facendo progressi, pensò il ragazzo dai capelli verdi, aveva perso lo sguardo da maniaco assassino.
<< È un po’ curioso… >> gli rispose, esitante << Come ha fatto il Demone Bianco di Kyoto a procurarsi una simile ferita? >>
Aveva sentito dire non ci fosse niente che potesse toccarlo o ferirlo. Questo era un altro punto in comune di tutte le leggende ascoltate sul suo conto. Ogni attacco nei suoi confronti, ogni tentativo di ucciderlo, era stato tutto inutile. Non erano semplicemente riusciti a metterlo in atto. Perché lui era intoccabile.
L’esper sembrò leggergli nei pensieri.
<< Be’, come posso dire… un gran figlio di puttana mi ha fatto questo. >>
Socchiuse le palpebre attraverso le lenti degli occhiali.
<< Conosci per caso Darth Vader? >>
Fire gli piantò lo sguardo addosso, credendo di aver capito male.
<< Vuoi dire... il braccio destro del Maestro!? >> esclamò << Il cacciatore per eccellenza dei ribelli? Il suo seguace più spietato e temuto? Quel Darth Vader? >>
<< Se hai finito di sparare epiteti come un cretino… >> sbottò l’esper, socchiudendo le palpebre, seccato << …sì. QUEL Darth Vader.>>
<< Lo hai… affrontato? >>
Il giovane nobile non riusciva a credere alle proprie orecchie. Come la maggior parte della popolazione, conosceva benissimo la fama della potenza dell’oscuro, spaventoso e inarrestabile servo del Maestro.
Accelerator annuì. << È stata un’esperienza… stimolante >> commentò, un ghigno perfido e folle ben visibile sulle labbra.
Il Vigilante rabbrividì. Normalmente gli sarebbe apparso completamente impossibile che quel ragazzino mingherlino potesse tenere testa ad un colosso simile, ma ad osservare il sorriso spaventoso del Demone Bianco, l’intoccabile, in qualche modo riusciva a crederci.
<< Com'è successo? >>
<< Un giorno il Dottore si schiantò con la sua navicella vicino a un villaggio di contadini in cui vivevo. Lo soccorsi, ma più tardi arrivarono Darth Vader e dei suoi soldati…lo stavano cercando >> mormorò cupamente << Iniziarono a sparare, distruggendo e uccidendo qualunque cosa si mettesse sulla loro strada. Quel bastardo fece quasi del male alla marmocchia e all’amica della mia tutrice. Se non fosse stato per me, probabilmente avrebbe ucciso anche lei. Iniziammo una durissima battaglia, ma quel figlio di puttana possedeva un potere strano, capace di eludere le mie difese. Ci siamo scannati come dei cani rabbiosi. All’inizio eravamo praticamente alla pari, ma poi lui riuscì ad avere la meglio su di me. >>
Fire trasalì e sgranò gli occhi. Avrebbe stentato a credere che una tale storia fosse vera, se non per la voce ferma dell’albino e il bagliore nei suoi occhi sanguigni.
<< Come… come hai fatto a… >>
<< Merito di Thor e il Dottore. Ma… sai qual’è la cosa divertente, di tutto ciò? >>
Accelerator scoppiò in una piccola, disturbante risata isterica, gli occhi oscenamente dilatati e dalle iridi grottescamente assottigliate in due fanatici puntini rossi.
<< Ho compreso come calcolare i vettori di quel suo misterioso potere. La prossima volta che lo incrocerò, lo ridurrò in poltiglia. Gli staccherò le gambe e le braccia, gli strapperò la faccia dal cranio con le mie mani e lo farò rotolare dal Maestro come una merda fumante! >>
Fire chiuse il volto in una maschera impassibile, ma sentì comunque una morsa allo stomaco tanto forte da mozzargli il fiato, assieme ad una cascata di brividi gelidi. Perché diavolo tutti gli albini che doveva incontrare erano degli psicopatici!? 
Si rese conto l’istante dopo di non aver solo pensato quella frase, ma anche detta a mezza voce. Tuttavia Accelerator doveva averlo sentito comunque, perché gli rifilò l’occhiata infuocata di prima.
<< Tch… >>
L’esper lo sorpassò con un’ampia falcata e continuò il proprio cammino, dandogli le spalle.
<< Secondo te per quale motivo mi chiamano Demone Bianco, ragazzino? Perché è così. Io sono un mostro, dopotutto. >>
Fire rimase fermo per qualche istante ad osservarlo.
<< Non credo >> dichiarò, senza riuscire a trattenersi.
Accelerator si bloccò sul posto, sbuffando rumorosamente e girandosi per lanciargli un’occhiata esasperata. << Ma che ne vuoi sapere, tu… >>
<< Io lo combatto ogni notte, un mostro >> rispose l’altro, senza scomporsi.
<< Ma di certo non è come me, o Vader >> ribatté freddamente l’esper.
Internamente, Fire si ritrovò d’accordo, almeno solo in parte. Darth Vader era nero come il più nero degli incubi: il suo aspetto incuteva terrore e spavento. Bastava un’occhiata, e anche il più stupido degli uomini avrebbe capito che era un mostro terrificante, il cui unico desiderio era dare la morte, perché la sua figura non suggeriva altro.
Shen era leggiadro, candido, perfetto: l’esatta incarnazione di un angelo. Ma ciò non era altro che una pericolosa illusione, perché sotto quelle sembianze eteree si nascondeva una bestia crudele e sanguinaria. Questo, in un certo senso, lo rendeva più pericoloso dell’uomo con la maschera, la cui identità rimaneva costantemente celata.
<< È peggio, infatti >> dichiarò Fire, senza riuscire a trattenere un brivido dopo aver formulato quei pensieri.
<< Tch... in fondo ci sono mostri e mostri >> commentò Accelerator, come se gli avesse letto nel pensiero << Ma tutti siamo animati da una cosa comune: la brama del sangue. Alla fine siamo tutti uguali. >>
Riprese nuovamente a ridacchiare in quella sua maniera disturbante, ma si interruppe quando si accorse che il giovane nobile lo osservava, silenzioso e con in viso un’espressione indecifrabile.
<< Silenzio tombale, eh? >> sbuffò l’albino, girando nuovamente i tacchi per proseguire, ma di nuovo la dichiarazione di Fire lo fece bloccare.
<< Penso che se tu fossi davvero come ti descrivi, non credo che quella marmocchia ti gironzolerebbe intorno. >>
Stavolta l’esper non si premurò nemmeno di girarsi. Rimase fermo, incurvando appena le spalle.
<< È troppo piccola per capire >> mormorò, in tono stanco << Quando sarà più grande scapperà, lo so. >>
“Esattamente come tutti gli altri” pensò, ma non lo disse.
<< Lo pensavo anche io di Rowlet. >>
Accelerator si girò a guardare l’incappucciato, confuso e in attesa. Stavolta, fu il suo turno di raccontare.
<< Io sono nato e cresciuto in un orfanotrofio >> esordì Fire << Quand’ero lì, nessuno mi voleva intorno. Li spaventavo. Dicevano che ero malvagio. Che ero un demone. Un mostro. Non avevo nessun amico. Ero solo... >>
Accelerator sgranò gli occhi, completamente colto di sorpresa. Non capiva, tuttavia, dove il ragazzo intendesse andare a parare. Possibile che stesse cercando di dirgli… che riusciva a capirlo?
<< Gli davo retta >> proseguì il giovane dai capelli verdi, senza staccargli gli occhi di dosso << Cercavo di convincermi che era meglio così, che dovevo restare lontano da loro. Che stare solo mi piaceva. Che ero forte perché ce la facevo da solo, senza gli altri. E lo penso ancora, in un certo senso. Poi arrivò Rowlet... ed è rimasto con me fino ad oggi. >>
<< E allora? >> sbottò l’esper, incrociando le braccia e inclinando il capo di lato.
<< Quello che voglio dire… >> sottolineò paziente l’altro << è che non si è mai fermato alle apparenze, né si è mai fatto fermare da quello che dicevano gli altri, o dicevo io di me stesso. Non credo... che tua figlia sarebbe diversa. >>
Accelerator sostenne il suo sguardo per quasi un minuto buono, e stavolta non c’era apatia in quello sguardo. Era comunque uno sguardo indecifrabile, eppure Fire riuscì ad intravedere in esso anche qualcos’altro, ma non avrebbe saputo dire con certezza cosa.
Possibile fosse… gratitudine?
Non ebbe nemmeno il tempo di dirsi da solo quanto fosse idiota la sua ipotesi, che l’albino si ricompose e socchiuse le palpebre in uno sguardo vivamente infastidito.
<< Tch... non è mia figlia, brutto cretino. >>
Ripose le mani nelle tasche e gli voltò le spalle, riprendendo immediatamente a camminare.
<< Andiamo a recuperare quei due scemi prima che si perdano, e poi sbrighiamoci a tornare indietro >> ordinò, scuotendo il capo.
Fire annuì e tornò a camminare al suo fianco, senza aggiungere altro.
Nessuno dei due si guardò né si scambiò un’altra parola fino alla fine della camminata.
Se l’avessero fatto, probabilmente, avrebbero potuto notare il debole sorriso dipinto sulle rispettive bocche.

                                                                                                                                                                          * * * 


A Vale arrivò l'autunno, e fu un autunno gelido e avaro di quelle piogge che colorano gli alberi.
Il vento fischiava note lunghe e fredde che risuonavano nel cuore dei nativi. Ragion per cui, le persone avevano cominciano a rintanarsi nelle taverne che adornavano il centro urbano, per sfuggire al gelo che clava durante la sera, a cui sarebbe seguito il giorno dopo il ballo di Beacon.
Una delle più frequentate era sicuramente La pentola d'oro. La sua posizione lo rendeva un perfetto luogo di ritrovo per i cacciatori in allenamento, in quanto era situata abbastanza vicina a Beacon da essere facilmente raggiungibile ma non tanto da attirare l’attenzione degli insegnanti.
Attualmente, qualunque persona fosse entrata all’interno del locale si sarebbe trovata di fronte una scena alquanto singolare.
Nora Valkyrie e Kirby Earth sedevano allo stesso tavolo, circondati da numerosi boccali vuoti, da cui fuoriusciva un distinto alone di alcol e birra, mentre alcuni adolescenti li incitavano a proseguire un tipo di competizione assai popolare in questo genere di posti.
In poche parole… erano impegnati in una gara di bevute, circondati dai membri dei rispettivi Team, più la squadra RWBY.
Dopo che un altro paio di bicchieri furono consumati, Nora sbatté l’ultimo contenitore sulla superficie del tavolo, le guance adornate da un distinto rossore.
<< Vittoria! >> esclamò la ragazza, alzando un pugno verso il soffitto in segno di trionfo.
Di fronte a lei, Kirby si accasciò sullo schienale della sedia, emettendo un sonoro gemito.
<< Ugh… non mi sento tanto bene >> borbottò miseramente.
Affianco alla coppia, Pyrrah prese a fissare il ragazzo con preoccupazione. << Pensate che dovremmo portarlo in infermeria? >>
<< Sono sicuro che è solo un po’ scosso >> ribatté James, picchiettando la schiena del compagno di squadra.
In tutta risposta, il corpo del neo-cacciatore scivolò a terra.
<< …O forse no >> aggiunse l’atlesiano.
Nel mentre, Nora procedette a bere un altro boccale di birra, con grande costernazione di Emil.
<< Quella ragazza dev’essere imparentata con Thor >> commentò il fauno, ricevendo uno sguardo incuriosito ad opera di Ruby, seduta accanto a lui con un bicchiere di latte in mano.
<< Chi? >> domandò lei, attirando l’attenzione dell’amico.
<< Uh? Oh, nessuno d’importante >> rispose Emil, cercando di mantenere un’aria disinvolta.
Rimasero in un confortevole silenzio per circa un paio di minuti, interrotto solo occasionalmente dalle risate dei compagni di squadra.
Poi, con il volto adornato da un’espressione incerta, Ruby prese un respiro profondo e chiese: << Quindi… sei stato davvero su un altro pianeta? >>
Emil alzò lo sguardo e annuì rapidamente, le labbra arricciate in un sorriso nostalgico. << Sulla Terra, per essere precisi. Ma solo una volta. >>
<< Sei fortunato, i miei genitori non mi permettono mai lasciare Renmant >> borbottò la neo-cacciatrice, visibilmente imbronciata.
Il fauno inarcò un sopracciglio. << E Yang, invece? >> domandò con una punta d’interesse.
La ragazza rise nervosamente. << La sua situazione è più…complicata. I suoi genitori sono spesso fuori per lavoro. >>
<< Per lavoro intendi assaltare le navi da cargo imperiali? >> ribatté l’altro, con un ghigno divertito.
Ruby trasalì, come se fosse stata colpita in pieno da un proiettile. Lanciò una rapida occhiata alla cugina e cominciò a guardarsi intorno freneticamente.
Emil, tuttavia, si limitò ad alzare la mano destra, facendole segno di calmarsi.
<< Non preoccuparti, non ho intenzione di giudicarla per questo >> disse con voce gentile, suscitando un piccolo sorriso da parte della mora.
<< Ti ringrazio, per lei è un argomento delicato. >>
<< Posso immaginare. Si tengono ancora in contatto? >>
<< Non dovrei parlarne… >> borbottò Ruby, con le guance arrossate per l’imbarazzo.
Il fauno decise di avere pietà di lei e disse: << Nessun problema, capisco perfettamente. >>
Al sentire tali parole, il sorriso della neo-cacciatrice si fece più intenso. Tornò a sorseggiare il suo latte, ed Emil poté constatare dalla sua espressione che era decisamente di umore più allegro.
Mettendo giù il bicchiere, la ragazza si pulì il viso con la manica dell’abito e volse all’amico uno sguardo colmo d’aspettative.
<< Piuttosto, dimmi, com’è la Terra? So che è il pianeta più prospero dell’intera galassia! >>
Il fauno non poté fare a meno di ridacchiare di fronte ad un tale entusiasmo. << Finché ti mantieni lontano dalle metropoli più grandi può essere quasi considerato un paradiso. Ma lo sai qual è la cosa più divertente? >>
<< Qual è? >> domandò l’altra, la testa inclinata per la curiosità.
<< Sono le piccole differenze. Voglio dire, laggiù hanno la stessa roba che abbiamo noi su Renmant, solo che lì è un po' diverso. >>
<< E come? >>
<< Be', ecco, puoi entrare in un qualunque locale e comprarti una birra. Come da noi, praticamente. Ma poi ci sono città come Parigi, la capitale della Francia… e sai come chiamano un quarto di libbra con formaggio, in quel posto? >>
<< Non "un quarto di libbra con formaggio" >> azzardò Ruby, i cui occhi sembravano luccicare.
Emil scosse prontamente la testa. << Hanno un sistema metrico decimale: non sanno nemmeno cosa sia un quarto di libbra! >>
<< E come lo chiamano? >>
<< Lo chiamano "Royale con formaggio". >>
<< "Royale con formaggio"! >> esclamò la ragazza, prima di scoppiare a ridere.
Ben presto, il fauno si unì a lei. << Già! E sai cosa mettono sulle patatine fritte, al posto del ketchup? >>
<< Cosa? >> domandò la mora, porgendosi in avanti con un sorriso complice.
Il neo-cacciatore la fissò seriamente, per accentuare l’effetto drammatico. << La maionese. >>
<< Ugh, che schifo! >>
<< Eh, eh! Gliel'ho visto fare! Le affogano in quella roba gialla! >> confermò il fauno, ricevendo un’espressione disgustata mista a divertimento da parte della piccola mietitrice.
Entrambi scoppiarono a ridere una seconda volta, per quello che parve un tempo interminabile. Poi, come dal nulla, lo sguardo di Ruby cominciò diventare man mano più malinconico.
<< Deve essere bello avere una vita come la tua. Andare in giro per la galassia, alla ricerca di avventure… essere libera dalle proprie responsabilità >> sussurrò a bassa voce, osservando il proprio riflesso sulla superficie metallica del tavolo.
Emil la guardò preoccupato.
<< Ti senti bene? >> chiese con un sussurro, per non attirare attenzioni indesiderate.
La neo-cacciatrice arricciò le labbra in un sorriso triste. << Sì… stavo solo pensando. >>
<< Non mi sembrava che fosse solo quello. Eri come un cucciolo bastonato. >>
La ragazza sussultò e sembrò ridursi nello schienale della sedia. Quasi con esitazione, alzò la testa per guardare l’amico dritto negli occhi.
<< Tu…sai chi sono, vero? >> domandò con un filo di voce.
Il fauno inarcò il sopracciglio una seconda volta.
<< So chi sono i tuoi genitori. Summer Rose e Qrow Branwen, due dei Cacciatori più rinomati del pianeta. A pensarci bene, perché non hai preso il cognome di tuo padre? >> domandò con vivo interessa.
L’espressione sul volto di Ruby si fece improvvisamente più amara. << Fu sotto insistenza di mia nonna…e questo è parte del problema. >>
<< Tua nonna ha un’influenza così grande sulle decisioni dei tuoi genitori? >>
<< Ha influenza su tutto ciò che riguarda Renmant. Dopotutto… è la governante del pianeta. >>
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità del locale, mentre Emil si ritrovò incapace di udire qualsiasi altro suono prodotto dagli occupanti della locanda.
<< Aspetta, aspetta un secondo! Salem… è tua nonna? >> domandò il fauno, con fare incredulo.
In tutta risposta, Ruby si limitò a sospirare un: << Viva me. >>
<< E di cognome fa… Rose >> continuò il neo-cacciatore, ricevendo una scrollata di spalle ad opera della mietitrice.
<< Preferisce mantenerlo nascosto, ha sempre detto che non voleva che i suoi parenti venissero presi di mira da avversari politici o cose del genere >> spiegò con tono calmo e raccolto.
Emil la fissò con uno sguardo indecifrabile. << Okay, come diavolo è successo? >> chiese con voce tremante.
Con leggero divertimento, Ruby notò che il ragazzo aveva assunto una colorazione molto più pallida del normale.
<< Mia madre era orfana >> iniziò la mora << I suoi genitori di sangue erano guaritori e morirono a causa di un attacco Grimm. Salem la trovò poco dopo e decise di adottarla. >>
<< Eppure, nonostante non siate realmente imparentati, entrambe avete… >>
Emil indicò il proprio volto, ricevendo dalla studentessa un rapido cenno del capo.
<< Gli occhi d’argento? Sono da parte di mia madre. Credo che sia per questo che Salem decise di prenderla con sè, molti anni fa. >>
Poi, le sue labbra si arricciarono nuovamente in un sorriso triste.
<< Lei dice di amarci… ed è mia nonna, in fondo so che a modo suo ci ama. Ma è sempre così pressante, vuole avere il controllo su tutto, >>
<< Immagino che non fu molto felice quando tua madre decise di sposare tuo padre >> ipotizzò il fauno.
Dopotutto, era a conoscenza delle origini della famiglia Branwen. Un clan di ladri, assassini e stupratori che da secoli imperversava su Renmant come una piaga, compiendo razzie e saccheggiando interi insediamenti. I loro membri di Atlas si erano scontrati con l'ordine dell'artiglio a più riprese, prima di venire cacciati dal continente una volta per tutte.
Secondo le dicerie, disgustati dagli spregevoli atti compiuti da quella che consideravano come una famiglia, sia Qrow che sua sorella Raven, la madre di Yang, avevano deciso di abbandonare la tribù e intraprendere il percorso dei Cacciatori.
La risposta dell’amica, tuttavia, lo sorprese non poco.
 << Predilige il talento, piuttosto che lo status sociale. Qrow era un forte Cacciatore, motivo per cui non esitò a benedire la loro unione. Il problema avvenne quando mia madre decise di rinunciare al titolo di erede. >>
Si accasciò sulla sedia, sembrando improvvisamente stanca.
<< E ora, quella responsabilità grava su di me >> borbottò stizzita, suscitando un sussulto ad opera del neo-cacciatore.
<< Sei l’erede al trono di Renmant? >> domandò il ragazzo, fissandola con occhi che rasentavano l’incredulità più totale.
<< Ancora non scappi? >> rispose Ruby, un’espressione autoironica.
Il fauno drizzò le orecchie da lupo, come se fosse rimasto scioccato da una simile dichiarazione. Poi, lentamente, una rivelazione cominciò a farsi strada nella mente del ragazzo.
Lei… aveva paura. Paura che l’avrebbe rifiutata a causa di quello che era, paura di ciò che avrebbe pensato di lei dopo questa rivelazione.
Per certi versi, in questo preciso momento, Ruby non era poi così diversa da un giovane fauno che aveva appena rivelato al mondo le fattezze animali che per anni aveva tentato di nascondere. Una situazione con cui poteva simpatizzare.
Con quel pensiero in mente, Emil decise di porre fine a quei timori infondati.
<< Non mi hai dato ragioni per farlo >> ribatté con tono disinvolto, scrollando le spalle per dare enfasi.
Gli occhi della mietitrice parvero illuminarsi di luce propria, risplendendo nella penombra del locale. Con il volto chiuso in un sorriso smagliante, posò la mano destra su quella dell’amico, in segno di gratitudine.
Emil arrossì leggermente, ma sorrise a sua volta.
<< In quanti lo sanno? >> chiese all’improvviso, nel tentativo di distogliere l’attenzione dall’improvviso aumento del suo battito cardiaco.
Ruby sembrò pensarci su.
 << Il mio team, i miei familiari… e ora anche tu >> terminò con un rossore di suo.
Il neo-cacciatore la fissò, sorpreso per la terza volta in quella strana serata.
<< A cosa devo tutta questa fiducia? >> domandò con un filo di voce.
Dopotutto, si erano incontrati giusto da un paio di giorni, eppure la ragazza era stata più che disposta a rivelargli uno dei suoi segreti più oscuri e preziosi.
In tutta risposta, la piccola mietitrice si limitò a scrollare le spalle.
<< Parlare con te è facile. Ho sempre avuto problemi a interagire con altre persone, ma con te mi viene naturale. >>
<< Forse perché sono nella tua stessa situazione >> ribatté Emil, con un ghigno divertito.
Aveva passato gran parte della sua vita in un monastero, dopotutto, e, per tale motivo, aveva poca esperienza con l’interazione sociale. Tutto ciò che sapeva sull’argomento lo aveva appreso attraverso le sue missioni con Kirby.
<< O forse perché abbiamo lottato >> offrì Ruby, con un ghigno di suo << Mia zia Raven dice sempre che non conosci bene qualcuno fino a quanto non ci combatti. >>
<< Brindo a quel consiglio! >> esclamò il fauno, alzando un boccale.
La neo-cacciatrice fece lo stesso con il bicchiere di latte e lo schioccò contro quello del compagno. Poi, entrambi bevvero il tutto con unico, rapido sorso, rilasciando sospiri soddisfatti.
In quel momento, una figura ben distinta si fece strada alle spalle di Ruby, dandole una poderosa pacca sulla schiena.
<< Così, hai già chiesto alla mia cuginetta di uscire? >> domandò Yang, lanciando ad Emil un sorriso birichino.
La piccola mietitrice sembrò strozzarsi con la propria saliva.
<< Yaaaaaaang! >> esclamò indignata, mentre il fauno arrossiva copiosamente.
Nel mentre, la bionda simulò un’espressione innocente. << Che cosa? Devo fare in modo di conservare la tua purezza fino alla cerimonia del diploma, è il mio lavoro! >>
<< E poi ti chiedi perché non ho intenzione di presentarti ai miei genitori >> si intromise Weiss, comparendo affianco al trio.
Yang fece per ribattere ma si fermò di colpo, arricciando il volto in un’espressione maliziosa.
<< Non dovresti prima chiedermi di uscire? >> domandò con un sorriso lascivo.
Al sentire tali parole, sia Ruby che l’albina arrossirono profondamente, mentre Emil si portò una mano davanti alla bocca per frenare la risata imminente.
<< N-non è quello che intendevo >> balbettò Weiss, visibilmente imbarazzata.
Yang si limitò a ridacchiare.
<< Rilassati, Weiss, stavo solo scherzando >> disse con tono disinvolto. Poi, posò un dito sotto il mento della compagna di squadra.
 << Anche se non mi dispiacerebbe >> sussurrò con voce morbida e sensuale.
Se possibile, il rossore sulla faccia della neo-cacciatrice diventò ancora più pronunciato. Poco prima che la bionda potesse inferire ulteriormente, tuttavia, Blake la colpì con un libro in testa.
<< Yang, smettila di molestare Weiss >> ordinò la fauna, utilizzando un tono calmo e impassibile.
La ragazza in questione si massaggiò la testa, lanciando alla mora un’occhiataccia.
<< A volte sai essere davvero crudele >> borbottò infastidita.
Un’altra risata risuonò nel locale, rincuorando lo spirito di Emil.
In un mondo di mostri e continue battaglie, soggiogato al volere di un tiranno, alcune persone erano comunque in grado di riunirsi assieme in un bar e a divertirsi semplicemente parlando del più e del meno. Piccoli momenti di luce e speranza che facevano breccia nell’oscurità che anelava in questa realtà apparentemente utopica.
All’improvviso, un sonoro BIP proveniente dalla tasca dei pantaloni lo informò di un messaggio in arrivo. Il fauno avverrò l’oggetto, aprì lo schermo… e si bloccò di colpo.
Con passo nervoso, circumnavigò i compagni e si fermò accanto alla figura di Kirby, che si stava ancora riprendendo dalla gara di bevute.
<< Kirby, posso parlarti un secondo? >> sussurrò il neo-cacciatore, per evitare che gli altri lo sentissero.
Il rosato inarcò un sopracciglio e seguì l’amico fino ad un angolo poco affollato del locale. Lì non sarebbero stati disturbati, purché mantenessero un basso profilo.
Una volta in posizione, Emil volse all’adolescente un’espressione seria.
<< È qui >> dichiarò a bassa voce, suscitando uno sguardo visibilmente confuso ad opera del partner.
<< Chi ?>>
 << Il Dottore… è qui! A Vale! >> sibilò l’adolescente, con tono esasperato, indicando una chat sul suo scroll, su cui stava scritto il nome "Rory Pond", l'alias usato dal Signore del tempo per comunicare col duo.
Kirby lo fissò incredulo. << Cosa? >>
<< E ci sta aspettando in un edificio sulla periferia nord della città >> continuò il fauno.
Di fronte a lui, il neo-cacciatore sembrava a corto di parole.
<< Quindi… siamo pronti a muoverci >> borbottò infine, ricevendo una scrollata di spalle da parte di Emil.
<< Apparentemente >> confermò il ragazzo, lanciando una rapida occhiata in direzione dei Team RWBY e JNRP << Anche se il tempismo non è dei migliori. >>
<< Ma potrebbe essere la nostra unica occasione >> ribatté Kirby, il volto chiuso in un’espressione determinata.
E poi…
<< Occasione per cosa? >>
Il suono di quella voce fece sobbalzare la coppia di neo-cacciatori, che si voltarono di scatto verso il nuovo arrivato. James Heller stava di fronte a loro, affiancato da Penny, la faccia intonacata in un cipiglio impassibile.
Inconsciamente, Emil si ritrovò a sospirare. << Quanto hai sentito? >>
<< Tutto quanto >> rispose l’atlesiano, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
Kirby volse al compagno uno sguardo visibilmente irritato. << Tua madre non ti ha mai detto che è maleducazione origliare le conversazioni altrui? >>
<< Non era una donna molto presente >> ridacchiò l’altro, con una scrollata di spalle.
Emil strinse gli occhi e compì un passo in avanti. << Senti, se vuoi fermarci… >>
<< Risparmiati la predica, non ne abbiamo bisogno >> lo interruppe James, sorprendendo la coppia.
In risposta a questo, l’atlesiano rilasciò un sospiro apparentemente rassegnato.
<< Senti, Kirby, siamo compagni da diversi mesi. Non sono un santo, ma mi sono sempre ritenuto una persona in grado capire se qualcuno è degno di fiducia o meno >> disse con tono serio, prima di indicare il duo di ribelli << E voi lo siete. Ora, non m’importa per quale motivo abbiate deciso di entrare nella Ribellione, anche se mi sono fatto qualche idea… >>
Girò la testa verso Penny e questa gli sorrise brevemente, facendogli cenno di andare avanti. L’adolescente prese un respiro profondo.
<< Ma se davvero volete continuare… preferirei avere una conoscenza chiara di ciò in cui si stanno imbarcando i miei partner >> terminò con voce calma e raccolta, come se stesse discutendo del tempo.
Affianco a lui, l’androide annuì energicamente. << Lo stesso vale per me! >> esclamò, esibendosi in un saluto militare.
Nel mentre, sia Emil che Kirby erano a corto di parole. Si guardarono l’un l’altro, incerti su quale sarebbe stato il modo più corretto per agire.
Dopo quello che parve un tempo interminabile, Kirby volse la propria attenzione alla coppia di atlesiani.
<< Potete venire con noi, ma non siamo sicuri se vi sarà permesso rimanere >> disse a bassa voce, gli occhi adornati da un luccichio di avvertimento.
James si limitò a sorridere.
<< Vale la pena tentare. >>
  
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