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Autore: Old Fashioned    10/01/2019    18 recensioni
Siamo a Herburg, la capitale dell'Impero di Kjarr. La tensione è alle stelle, perché stanno per cominciare i Giochi annuali, nei quali si affronteranno le migliori squadre delle Dodici Marche. Il comandante di una delle squadre in gara, Ehrenold, si troverà da una parte ad affrontare un avversario animato da vecchi rancori e disposto a tutto per riparare al torto che ritiene di aver subito, dall'altra verrà in contatto con un giovane soldato poco incline alla disciplina, un Cavallo Selvaggio nel gergo dell'esercito di Kjarr, e riconosciutene le potenzialità cercherà di avvicinarlo, con risultati non sempre positivi. Le due vicende si intrecceranno nella gara finale, quando tutte le squadre dovranno dare il massimo, ma solo una si aggiudicherà la vittoria.
Prima classificata allo "Sport Contest", indetto da Fiore di Girasole sul forum di EFP, a pari merito con "Ironia della sorte", di SSJD
Genere: Angst, Azione, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kjarr'
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CAVALLO SELVAGGIO






Capitolo 1

Spirava un vento gelido, che faceva increspare la superficie delle pozzanghere e piegava i rami spogli. Il cielo grigio prometteva neve.
Elmo e cotta di maglia, il fodero della spada che gli sbatteva contro la coscia a ogni falcata, un ragazzo stava correndo sul campo di manovra. Ansava pesantemente, il sudore gli infradiciava l’uniforme non meno dell’acqua gelida.
Non battere la fiacca!” giunse dal limitare del campo.
Il ragazzo si girò fugace: il maresciallo Tenhar, noto con il nomignolo di ‘Cinghiale’, non gli staccava gli occhi di dosso. “Credi che sia già stanco?” ringhiò fra sé e sé. Strinse i denti e aumentò l’andatura.
Raggiunse il primo degli ostacoli, ovvero una parete di legno alta più di lui. Senza rallentare si raccolse, spiccò un balzo e si issò sulla sommità della barriera, poi la superò e si lasciò cadere dall’altra parte.
Più in fretta!” gli giunse la rampogna del maresciallo, “Non stai facendo una passeggiata! Muoviti!”
Il ragazzo riprese a correre. Affrontò il Ponte, ovvero un tronco posto di traverso su una fossa piena d’acqua. Il fango che aveva sotto gli stivali gli fece perdere la presa e con un tonfo piombò giù. Annaspò appesantito dalla cotta di maglia, raggiunse la sponda, si issò di nuovo sulla terraferma.
Scrollò la testa per togliersi il fango dal viso.
Muoviti!” lo incalzò il maresciallo.
I muscoli che bruciavano, un nugolo di farfalle bianche davanti agli occhi, il ragazzo scattò verso l’ostacolo successivo, ovvero un tratto di sentiero tagliato trasversalmente da corde tese, che obbligavano a strisciare sui gomiti e sulle ginocchia. A ogni fune erano assicurati dei campanelli, che suonavano se essa veniva toccata.
Si buttò a terra. Il pantano lo accolse con un abbraccio gelido, il fango gli si infilò nello scollo dell’uniforme e nei polsi, si insinuò in ogni anello dell’usbergo, lo costrinse a serrare le labbra per non farselo finire in bocca.
Il ragazzo strinse i denti e continuò caparbiamente a strisciare. Si rialzò alla fine del reticolo di corde e nell’aria si udì il suono fesso di uno dei campanelli.
Rifallo da capo!” tuonò il maresciallo, “E tieni giù quella dannata testa, questa volta!”
Il giovane tornò all’inizio dell’ostacolo e si lasciò cadere a terra, affondando così profondamente nel fango da essere costretto a voltare la testa di lato per respirare. Riprese ad avanzare, attraversò tutta la struttura e quando ne fu uscito rimase a indugiare qualche istante prima di rialzarsi.
Muoviti!” lo incalzò immediatamente Tenhar. “In piedi! Se in battaglia finisci per terra come un idiota, credi che il nemico ti dia il tempo di rialzarti?”
Il ragazzo riprese a correre, inseguito dalle rampogne di Cinghiale. Raggiunse un’altra parete di legno, si raccolse e saltò, ma perse la presa e crollò all’indietro, sollevando uno spruzzo di fango. Si rialzò barcollando, saltò di nuovo, riuscì a issarsi e a far passare la gamba dall’altra parte.
Si lasciò cadere e continuò la corsa.

Allora, ne hai avuto abbastanza?” La voce di Tenhar, stranamente vicina, lo fece quasi sussultare. Sbatté gli occhi: l’uomo era in piedi di fronte a lui, con i pugni puntati sui fianchi e il cipiglio cupo.
Il ragazzo tremava così forte che quasi non riusciva a rimanere fermo sull’attenti, era talmente coperto di fango che il nero dell’uniforme si intravedeva solo dove era arrivata l’acqua di qualche pozzanghera e si sentiva così esausto che si sarebbe buttato a dormire anche su una fascina di Spine di Orrin, tuttavia indurì lo sguardo, si costrinse a un ghigno sprezzante e cercando di mantenere la voce ferma nonostante i brividi, rispose: “Abbastanza, maresciallo? Mi hai scambiato per un vecchio sottufficiale bolso?”
A quella provocazione, l’altro rimase impassibile. Annuì grave, quindi in tono asciutto rispose: “Molto bene, vedo che ti piace fare il duro. Ripeti tutto da capo e vedi di correre davvero, questa volta.”

§

Il capitano Hyvardus, un colosso anche per i criteri di Kjarr, si strinse il mantello nero dell’uniforme intorno al collo e piegò leggermente la testa per sfuggire alle raffiche gelide del maestrale. “Quest’anno la primavera non vuole arrivare,” borbottò, seguendo con lo sguardo l’unica foglia che svolazzava sull’immacolato piazzale della caserma.
Il capitano Vadian, che camminava al suo fianco, rispose: “Forse Hengrist non vuole farci sudare troppo durante i Giochi.”
E invece io voglio sudare,” replicò l’altro con un sorriso compiaciuto. “Sudare e sanguinare. Io e i miei ragazzi non saremmo arrivati qui dopo aver sbaragliato ogni guarnigione della Marca di Wors, se avessimo solo voluto fare qualche passeggiata per i viali della Capitale.”
Non credo proprio che ci sarà da passeggiare, quest’anno,” osservò Vadian, sistemandosi a sua volta il pesante mantello sulle spalle, “e io sarò il primo che ti darà filo da torcere, caro mio.”
Hyvardus si voltò a fissarlo. “Tu?”
Puoi scommetterci. I miei ragazzi sono i migliori della Marca di Arhusk.”
L’altro alzò le spalle e ghignò: “Quindi vuoi dirmi che sono più o meno delle fanciulle dell’Amlinntal, giusto? Intrecciano anche ghirlande di fiori?”
Prega che i tuoi uomini non si trovino a gareggiare contro le mie fanciulle, o se ne torneranno nella Marca di Wors con la coda tra le gambe!”
I due fecero una risata, si scambiarono un paio di pacche sulle spalle, poi continuarono a camminare in silenzio e per un po' gli unici rumori che si udirono a parte il sibilo del vento furono i passi cadenzati degli stivali militari e il tinnire delle cotte di maglia.
Alla fine, Vadian disse: “Voglio controllare come hanno sistemato i nostri cavalli. Sono animali abituati al contesto operativo.” Si guardò intorno, facendo scorrere lo sguardo su edifici di pietra grigia, dall’architettura rigorosa e solida, disposti lungo larghi viali alberati, dal lastrico liscio come una tavola. “In questa calma si innervosiscono,” soggiunse poi.
Non è che vuoi solo passare una mezz'oretta al calduccio nelle scuderie?” lo schernì Hyvardus.
Parla quello che continua a stringersi nel mantello come se fossimo in mezzo alle nevi del Heiswegen.”
A proposito di Heiswegen,” replicò l'altro, ignorando la provocazione, “il comandante di quella squadra è uno nuovo, vero?”
Un verginello. Scommetto che sarà nervoso come una recluta all'assegnazione del mentore.”
Passò un plotone di ragazzini così giovani che avevano ancora l'uniforme chiara. Essi procedevano inquadrati per quattro, comandati da un bambino un po’ più grande con le insegne di caposquadra.
Quando si accorse di loro, questi ordinò il saluto e gli altri lo eseguirono all’unisono.
Hyvardus e Vadian risposero esattamente come avrebbero fatto con un plotone di adulti.
Crescono bene,” considerò il secondo quando il reparto si fu allontanato.
Stavamo parlando del verginello del Heiswegen,” gli ricordò Hyvardus.
Vadian si voltò a fissarlo. “Sì?”
Non è poi così verginello, stando a quanto dicono. Pare che sul campo di battaglia sappia il fatto suo.”
Davvero?”
È più giovane di noi ed è già Luogotenente.”
Vadian alzò le spalle. “Potrebbe essere anche Sovrintendente, poco importa. Conosci il proverbio: durante i Giochi, i gradi non contano.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Comanda la squadra chi è più bravo, e fine.”
Di nuovo procedettero per un po’ in silenzio, poi Vadian chiese: “Sai per caso come si chiama?”
Ehrenold.”
Il primo sollevò stupito le sopracciglia. “Ehrenold? Ma allora è quello che è stato a Yesgarion.”
Hyvardus aggrottò le sopracciglia. “A Yesgarion?” ripeté.
Assegnazione punitiva, lui e un capitano di nome Rowden, che adesso fa parte della sua squadra.”
Entrarono in scuderia. L’edificio era talmente grande che all’ingresso vi era una mappa su cui erano riprodotti i diversi corridoi con le poste e i reparti cui erano state assegnate. Ampie finestre dai vetri immacolati illuminavano l’ambiente, l’aria era tiepida per la presenza di innumerevoli cavalli. A parte il rumore degli animali che masticavano la biada o si spostavano sulla lettiera, regnava un perfetto silenzio. Una squadra di soldati in uniforme da fatica stava pulendo uno dei corridoi. Uno di essi stava imbiancando una posta vuota, gli altri lavavano il pavimento con secchi e spazzoloni. Quando si accorsero di loro, interruppero ciò che stavano facendo per mettersi sull’attenti e salutare.
Gli ufficiali risposero al saluto, quindi Vadian ne approfittò per chiedere: “Dove sono i cavalli di Arhusk?”
Subito un soldato rispose: “Corridoio tre, poste dal sedici al venti, capitano.”
Grazie.”
Dovere, capitano.”
I due ufficiali salutarono e si mossero nella direzione indicata. Dopo un po’, Hyvardus riprese: “Mi parlavi di un’assegnazione punitiva.”
Lui e quel Rowden,” confermò Vadian.
Si sono fatti sorprendere mentre facevano le cose private?”
No, non stanno insieme, sono solo amici.”
Hyvardus fece una risatina e replicò: “Sai bene che per fare le cose private non è necessario stare ufficialmente insieme. L’importante è che rimangano private, lo dice la parola stessa.”
Lo so come funzionano, ma non ti mandano a Yesgarion solo perché ti sei fatto beccare mentre scopavi da qualche parte.”
Di nuovo tra i due calò il silenzio. Solo dopo un po’, Hyvardus disse: “Certo che è strano: prima finisce a Yesgarion per aver fatto non si sa cosa col suo amico e poi diventa Luogotenente a… quanti? Venticinque anni?”
Così pare,” fu la cauta risposta di Vadian, che dopo qualche secondo aggiunse: “Dicono che laggiù abbia anche ucciso un illdin da solo, con un coltello.”
Un illdin? Da solo?”
Con un coltello,” precisò Vadian.

§

Il capitano Wardan salì le scale che conducevano alla tribuna d’onore, attraversò il colonnato di pietra bianca che la delimitava, percorse la larga terrazza e si spinse fino al limitare di essa. A quel punto si pose i pugni sui fianchi e rimase immobile, il vento che gli agitava appena il manto nero. Strinse gli occhi chiari e fece scorrere lo sguardo sull’arena: una costruzione poderosa, immensa, talmente solida e possente che sembrava sorta dalla terra, più che fabbricata dall’uomo: contrafforti squadrati, come fatti per resistere a onde immani, gradinate altissime, che sembravano perdersi all’orizzonte e solo lontano si piegavano a delimitare un perfetto ovale. Erano già state issate le bandiere delle Dodici Marche, che schioccavano al vento intorno al vessillo dell’Imperatore.
Wardan cercò con lo sguardo quella della Marca di Gunefort, un guanto d’arme chiuso a pugno, argento in campo nero, e le labbra gli si stirarono in un lieve sorriso. Subito dopo il suo sguardo si spostò verso il vessillo della Marca di Heiswegen, una chiave, sempre argento in campo nero. A quel punto l’ufficiale aggrottò le sopracciglia e sibilò un’imprecazione.
Udì dei passi alle proprie spalle e si voltò bruscamente, la mano già posata sul pomo della spada.
Sono io, capitano,” disse un maresciallo avvicinandosi.
Wardan rilassò le spalle. “Ah, Gerd.” Tornò a voltarsi verso lo stadio. “Costruzione grandiosa, non è vero?”
Il sottufficiale lo raggiunse e gli si affiancò. Fece a sua volta scorrere lo sguardo sull’enorme arena e rispose: “Davvero magnifica, capitano.”
I due rimasero per un po’ in silenzio, quindi Wardan chiese: “Cosa ne pensi delle altre squadre, Gerd?”
L’uomo annuì come se si fosse aspettato esattamente quella domanda. “Sono forti,” rispose. Lasciò passare qualche istante, poi in tono di soddisfazione soggiunse: “Quest’anno i Giochi saranno piuttosto duri.”
È bene che lo siano,” fu la risposta, “a nessuno piacciono le vittorie troppo facili.” fece una pausa, durante la quale mosse qualche passo lungo il bordo della tribuna, quindi proseguì: “Quasi a nessuno, mi correggo.”
Il maresciallo si voltò a fissarlo. “Sarebbe a dire, capitano?”
Wardan fece un sorriso tirato. “Sai di cosa parlo. C’è qualcuno che ama approfittare delle occasioni a proprio vantaggio, dimenticandosi che se combatte lo fa per Kjarr e non per se stesso.”
Gerd si limitò ad assentire come di fronte a un discorso udito già molte volte, l’altro proseguì: “Ti ricordi la battaglia di Aleet, maresciallo?”
Una grande vittoria, capitano.”
Già, una grande vittoria. Funestata dagli sciacalli, però.”
Il maresciallo mantenne il silenzio e per un po’ l’unico rumore che si udì fu lo schioccare lontano delle bandiere. “Funestata dagli sciacalli,” ripeté il capitano. “Da uno sciacallo, in particolare, che ha sottratto con l’inganno la preda che il leone aveva conquistato.” Si voltò verso il suo subalterno, forse in attesa di una risposta che però non giunse. Di nuovo tacque, allora, e si mosse a passi svagati sulla grande tribuna deserta. Si voltò verso l’arena e al posto della distesa d’erba giovane che la copriva rivide il terreno ondulato e brullo della piana di Aleet. Gli parve di risentire le urla dei soldati, il clangore delle armi, i nitriti dei cavalli. Rivide il varco che all’improvviso si era creato nello schieramento nemico e provò la stessa ebbrezza di allora, la stessa esaltazione.
Scrollò la testa come per liberarsi di un fastidioso ottundimento, quindi ringhiò: “E alla fine lo sciacallo si è ritrovato Aiutante e poco dopo Luogotenente, mentre il leone è rimasto Capitano.”
Il maresciallo si limitò a fissarlo senza proferire verbo, Wardan allora chiese: “È forte la squadra di Heiswegen?”
È una delle più forti, capitano.”
L’ufficiale fece un sorriso ferino. “Quindi possiamo aspettarci di gareggiare con loro in finale?”
Io credo di sì, capitano. Non scommetterei su Essl o Rhenigtas, perlomeno non quest’anno, ma Heiswegen sarà un osso duro.”
Farò in modo che il suo comandante assaggi un po’ della polvere che mi fece mangiare a suo tempo.”
Il maresciallo aggrottò appena le sopracciglia, quindi in tono sospettoso chiese: “Cos’hai in mente, capitano?”
Wardan fece un sorrisetto compiaciuto e rispose: “Niente che vada contro il regolamento, Gerd, lo sciacallo non merita che mi sporchi le mani per lui.”
Il maresciallo non parve convinto. “Capitano, ti conosco da quando eri Allievo. Dimmi cos’hai in mente.”
In tono tranquillo, l’ufficiale rispose: “Te l’ho detto: niente che vada contro il regolamento.” Poi alzò di nuovo lo sguardo verso le bandiere che garrivano contro il cielo terso e concluse: “Ma se Hengrist non ha avuto voglia di fare giustizia dall’alto del suo trono celeste, allora sarà io a farla, in mezzo a quell’arena.”

§

Il Luogotenente Ehrenold strinse le dita sulle redini e il suo possente destriero da guerra sbuffò e scosse la criniera. “Buono,” gli disse l’ufficiale. Rinsaldò la presa delle ginocchia per riportarlo all’obbedienza.
L’uomo che cavalcava al suo fianco sorrise. “Ha capito che tra poco arriveremo alle scuderie.”
Stupido filone.”
Furbastro, invece, non ti pare?” Poi, dopo una pausa: “Gli animali non sono tenuti come noi a far vedere che disprezzano le comodità.”
Non cominciare, Rowden.”
È tutto il giorno che stiamo in sella. È normale che i cavalli cerchino il riposo, no?”
Ehrenold non rispose. La Capitale era ancora fuori vista, ma già lungo la strada si incontravano a intervalli regolari posti di guardia presidiati da reparti scelti. Avevano oltrepassato da poco quello dove lui stesso aveva prestato servizio come Allievo, poco dopo aver ottenuto l’uniforme nera.
Ricordava bene Herburg, l’idea di tornarci quasi gli faceva venire la tentazione di lasciare le redini sul collo del cavallo, in modo che l’animale potesse allungare il passo come da un po’ stava tentando di fare.
La voce del capitano lo distrasse dalle sue meditazioni: “Tu ci sei cresciuto, vero?”
Sì.”
E che effetto ti fa tornarci?”
Ehrenold strinse le labbra. “Nessuno in particolare. Spero solo che la squadra si comporti onorevolmente ai Giochi.”
Rowden alzò le spalle e rispose: “Per quello direi che puoi stare sicuro, i ragazzi non vedono l’ora di battersi.”
Trascorse qualche minuto in cui gli unici rumori che si udivano furono lo scalpiccio regolare degli zoccoli e il tinnire dei finimenti, poi il capitano chiese: “È bella come dicono?”
Ehrenold si voltò a fissarlo. “Che cosa?”
La Capitale.” Poi, quasi in tono di scusa, soggiunse: “Non ci sono mai stato.”
Il Luogotenente si raccolse in meditazione per un po’. “È grande,” proferì infine, “i viali sono larghi come fiumi, le caserme possono contenere mille soldati ognuna.”
E com’è l’Arena?”
Ehrenold aggrottò appena le sopracciglia, infine rispose: “Il terreno è buono, ma nella parte nord tende a essere un po’ pesante, perché rimane più in ombra e fa fatica ad asciugarsi. Dovremo tenerne conto quando ci saranno le gare con i cavalli.”
Rowden sorrise. “Ma no, non intendevo quello. È veramente immensa come dicono?”
È molto grande.”
Più di quella di Wesburg?”
Sì, molto di più.” Poi, dopo una pausa: “I ragazzi dovranno sfruttare ogni attimo dell’allenamento per abituarsi alle sue dimensioni.”
L’altro si limitò a scuotere la testa con un lieve sorriso.
Passò altro tempo, la squadra continuava a procedere in formazione di marcia lungo la strada. All’orizzonte, pur nella luce che andava calando, cominciavano a profilarsi le cuspidi aguzze delle torri che circondavano il Castello, ovvero la poderosa fortificazione, grande da sola come una piccola città, che racchiudeva i principali edifici di Herburg. Nella massa scura del maniero tremolavano qua e là dei fuochi, che a quella distanza brillavano come gemme dorate.
Sei nervoso?” chiese d’un tratto Rowden.
Ehrenold si voltò a fissarlo serio. “Non più di quanto potrei esserlo alla vigilia di una qualsiasi battaglia.”
Il primo gli rivolse un lieve sorriso. “Beh, qui è un po’ diverso, non ti pare?”
Nel senso che non rischiamo la morte?”
Ma rischiamo il disonore.”
Ehrenold non replicò: Rowden aveva dato voce al pensiero che lo tormentava da quando avevano lasciato la guarnigione per raggiungere la Capitale. Per quanto non comportasse alcun rischio di morire o rimanere menomati, dare cattiva prova di sé ai Giochi – mostrarsi inetti, deboli o poco combattivi – sarebbe stato infinitamente peggio che cadere in modo eroico in battaglia.

§

Esausto, infreddolito, coperto di fango dalla testa ai piedi, il ragazzo tornò con passo pesante verso gli alloggiamenti. Si diresse ai lavatoi e dapprima cercò di togliersi di dosso l’equipaggiamento fradicio, ma aveva le mani intorpidite e vi rinunciò quasi subito: come era d’uso fare in casi del genere, si buttò sotto il getto dell’acqua completamente vestito. Per un po’ rimase semplicemente fermo con le mani appoggiate alla parete e lo sguardo fisso sulla cateratta limacciosa che dai suoi piedi scorreva gorgogliando verso lo scolo, poi, quando l’acqua che scendeva nello scarico divenne accettabilmente incolore, si spostò e cominciò a togliersi ciò che aveva addosso, lasciando man mano cadere in un mucchio le varie pari dell’equipaggiamento. Sarebbe stato tutto da lavare e ingrassare per il mattino dopo, o non avrebbe passato l’ispezione e Cinghiale l’avrebbe punito di nuovo.
Rialzò il capo con un gesto sprezzante e fece per allontanarsi.
Una voce lo fermò: “Aspetta, ti aiuto.”
Il ragazzo si voltò in quella direzione: sulla porta c’era uno della sua squadra. “Dovresti essere in camerata,” si limitò a dirgli.
Anche tu,” fu la risposta, “domani c’è la marcia di quindici miglia.”
Il primo si limitò ad alzare le spalle con noncuranza, ma l’altro si avvicinò e dal mucchio fradicio di armi e vestiti estrasse la cotta di maglia. “Se Cinghiale ti vede una cosa del genere, ti fa fare tutto il percorso di guerra con uno zaino di pietre in spalla.”
Sai che novità.”
Il nuovo arrivato non se ne diede per inteso: portò la cotta di maglia sotto il getto dell’acqua, la sciacquò fino a che non fu completamente libera dal fango, poi la appese a sgocciolare. “Domattina la ingrassiamo,” lo informò, “così sei a posto.”
Perché lo fai, Enes?”
L’altro lo fissò con aria di non capire. Dopo qualche secondo rispose: “Perché siamo camerati, perché tu faresti lo stesso per me.”
Il ragazzo ebbe un ghigno. “Non ne sarei così sicuro.”
Enes alzò le spalle. “Lo sanno tutti che nella marcia di Seriss quando Perr si è storto la caviglia hai portato tu il suo zaino e l’hai anche aiutato a camminare.”
Era una cosa diversa.”
Non mi pare.”
Per un po’ il ragazzo rimase in piedi in mezzo alla stanza con aria irresoluta. Avrebbe voluto andarsene da qualche parte, fregandosene di Cinghiale e delle sue punizioni, ma Enes continuava a raccogliere la sua roba un capo dopo l’altro e a sistemarla. Per un attimo fu quasi tentato di cacciarlo via, poi però si risolse a farsi avanti. “In due finiamo prima,” brontolò.
Mettiti addosso qualcosa di asciutto,” gli consigliò l’altro, “altrimenti ti prendi un malanno.”

Dopo un po’ che lavoravano, Enes disse: “Ti conviene rigare dritto per un po’, altrimenti Cinghiale non ti farà assistere ai Giochi.”
Sai cosa me ne importa degli stupidi Giochi,” ringhiò l’altro sprezzante.
Il primo lo fissò come se non si capacitasse di ciò che aveva appena udito. “Vuoi perderti l’occasione di vedere i soldati migliori di Kjarr?”
L'altro si limitò ad assumere un’espressione di degnazione. “Non mi importa che siano i migliori o i peggiori. Non leccherò certo i piedi al Cinghiale per andarli a vedere.”
Enes scosse la testa come di fronte a un'affermazione assurda. “Ma lo sai di cosa stai parlando?” gli chiese.
No, e non me ne frega niente.”
Davvero non sai nulla dei Giochi?”
Il ragazzo incupì lo sguardo. “Dovrei?”
Sono settimane che tutti ne parlano.”
I due tacquero e per un po' si limitarono ad allineare su una corda tesa indumenti gocciolanti. Dopo un po', Enes disse: “Prima selezionano la squadra migliore di ogni guarnigione ed esse si affrontano nei Giochi della Marca. Chi vince ha l’onore di gareggiare qui a Herburg.”
Nientemeno,” commentò ironico l’altro.
Sono i soldati migliori,” ripeté Enes, “i più forti e i più abili nella guerra. È un grande onore entrare in una squadra dei Giochi.” Fece una breve pausa, quindi proseguì: “Io mi sto già allenando il più possibile e spero che quando sarò assegnato a una guarnigione mi noteranno.”
L'altro non rispose.
A te non piacerebbe entrare in una squadra?”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e in tono duro rispose: “Non me ne importa assolutamente niente.”


   
 
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