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Autore: Sayami    11/01/2019    2 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1.6

 

Il mistero fu svelato un martedì soleggiato, ma freddo.
Su richiesta del professor Thompson, Laney si era fermata a scuola dopo la fine delle lezioni, per seguire un laboratorio di lingua, così aveva trascorso la giornata tra saggi di illustri letterati e sbadigli nascosti nella manica della felpa.
Uscendo dalla classe, quel pomeriggio, il corridoio le era apparso come un lungo tubo blu e arancio. La luce che filtrava dai lucernari era tenue e appannata e, proprio in fondo all'ingresso, oltre la porta a vetri, il sole morente spandeva bagliori accecanti, anche se un po' malinconici .
Stringendo i libri al petto, Laney si incamminò, diretta al suo armadietto, ma quando fu quasi a destinazione vide che non era sola.
Qualcun altro si affaccendava alacremente intorno al suo sportello, strappando via fogli di carta e scotch, post-it dai colori vivaci e disegnini osceni su fazzoletti usati.
Era un ragazzo. Un ragazzo dai folti capelli castani e dagli occhi espressivi e affusolati come quelli di un gatto.
Lui non la vide. Per un po' seguitò col suo operato: imperterrito, risoluto, spietato, sradicava fogli come erbacce, radici del male.
Poi, quando finalmente si accorse della sua presenza, Samuel Carson si immobilizzò.
Nessuno dei due salutò l'altro.
Laney non gli chiese come era andata la giornata, se era stanco, se avesse voglia di tornare a casa insieme. Non gli chiese neppure perché si trovasse lì in quel momento, con quale coraggio. Lo guardò soltanto, mentre una parte di lei si spaccava a metà. -Che... stai facendo?-
Samuel non rispose subito; rimase inebetito, come sorpreso dalle sue stesse azioni.
-Io...- soffiò alla fine. -Io stavo solo...-
-Che stai facendo?!- domandò di nuovo Laney, a voce più alta, come se lui non avesse sentito e lei non avesse già capito tutto.
Era stato Samuel, sempre Samuel, tutti i pomeriggi, tutti quegli insulti. Come aveva potuto essere così cieca, così sciocca da credere che avrebbero smesso?
E se qualcuno l'avesse visto, mentre li toglieva? Lo avrebbero incolpato? Lo avrebbero punito?
"È colpa tua, solo tua."
La sua gola si strinse in una morsa straziante. Avrebbe voluto urlare.
Samuel continuava a fissarla attonito, senza dire nulla. Laney gli si avvicinò a passo spedito. -Rimettili a posto- statuì. -Tutti quanti.- Rabbia e terrore vorticavano furiosamente nel suo stomaco, ma c'era anche qualcos'altro che montava e montava, dentro di lei, e non la lasciava respirare.
Samuel non si mosse.
Laney fu assalita dall'impazienza e gli strappò i fogli dalle mani. Iniziò ad affiggerli al suo armadietto con foga febbrile, isterica. Leggeva parole come lame nella carne: "Vomito", "Cancro", "Aborto".
Samuel parve riscuotersi. -Cosa...- iniziò, ma Laney non lo ascoltava, non comprendeva più niente, ormai. Sapeva solo che quei messaggi dovevano tornare al loro posto nel minor tempo possibile.
-Laney, aspetta un secondo- obbiettò il ragazzo. -Perché stai...-
-Rimettili al loro posto, ho detto!- sbraitò lei, togliendogli un disegno stilizzato che la ritraeva in atteggiamenti ambigui con il signor Thompson. Tremava tutta, fino alle punte dei capelli, e le veniva da piangere.
Samuel assunse un'espressione fin troppo pietosa per i suoi gusti. -Laney...- tentò, ma la ragazza non lo lasciò finire.
-Sei uno stupido- abbaiò, grattando corde letali della sua anima. -Impiccione, insensibile, negligente...- e per ogni parola spuntata, attaccava un biglietto sullo stipo.
-Negligente?- le fece eco Samuel, contrariato. -Ti ha dato di volta il cervello, per caso?- Con una sola manata, il giovane spazzò via tutti i fogli che Laney aveva riappiccicato con tanta cura.
Lo guardò esterrefatta. Non sapeva per quale ragione si sentiva così umiliata, ma non importava. Niente aveva più importanza, in quel momento. -Ti avevo detto di lasciar perdere!- strepitò, battendo i piedi a terra. -Ti avevo chiesto di andartene!-
-E io non l'ho fatto- ribatté secco Samuel. -È una mia scelta.-
-Be', è una scelta stupida!- gridò lei, la voce rotta, il cuore disfatto. -Adesso dammi quei cosi e vattene.-
Laney allungò le braccia per riprendersi i suoi insulti, ma Samuel li allontanò. -No!- esclamò. -Tu devi ascoltarmi.-
Tuttavia, la sola cosa a cui Laney stava dando ascolto era il richiamo della sua paura. Sbracciò ancora, fece per prendere i biglietti con la forza.
-Laney...- la richiamò Samuel. -Ehi...-
Lei non si fermò. Tese le mani più che poteva per afferrare l'oggetto del contendere, si contorse, si snodò come una ballerina sul filo, come se ne fosse dipesa tutta la sua vita.
Voleva indietro la sua sofferenza, la voleva tutta, dentro il sangue, nelle vene, nelle ossa.
Sulle prime, Samuel provò a dissuaderla con le buone, ma poi perse la pazienza. -Basta!- ruggì. Si girò di scatto e con la mano libera le afferrò il polso. Anche se non le stava facendo male, la strinse forte e Laney fu costretta a guardarlo in faccia. Nella sua espressione, il fastidio si mischiava a un dolore vivo, bruciante. Ci fu una pausa, occhi negli occhi.
-Smettila di ignorarmi- bisbigliò il ragazzo. -Smettila.- Allentò la presa, ma non la lasciò andare.
Laney era senza forze, senza fiato. Si accorse solo allora di avere le guance bagnate di lacrime.
-Tu...- annaspò, ma nell'esatto istante in cui iniziò a elaborare, un lamento sguaiato e crudele echeggiò per il corridoio. Tyler e i suoi erano di ritorno dagli allenamenti.
Nella mente di Laney, il panico esplose come una bomba.
-V-Vattene!- ululò, strattonando Samuel. -O-Ora!-
Ma l'altro sembrava più determinato che mai. -Io non mi muovo di qui. Non ho paura di Tyler, non mi importa se ci vedono.-
-T-Tu non hai...- balbettò Laney, a metà tra la disperazione e l'incredulità. -Non puoi farmi questo...- esalò, mentre un'altra risata le rimbombava nei timpani. -C-Cosa... Cosa faccio adesso?-
Questione di istanti e loro sarebbero stati lì.
Un senso di malessere la invase. Aveva le viscere rivoltate, come se miliardi di insetti ci stessero ronzando dentro.
-S-Samuel...- supplicò. -Per favore...-
Ma Samuel era inamovibile, perentorio. -No- annunciò. -Io resto.-
Due parole come schiaffi, il cranio che pulsava così forte da scoppiare. Laney si sentì morire.
-Ti prego, devi andartene- disse di nuovo, sopraffatta dalla disperazione. -Ti supplico, Samuel...-
Il ragazzo finse di non sentirla. Si voltò e riprese a staccare post-it dall'armadietto con una calma ridicola, surreale.
Passi pesanti scandirono secondi interminabili. Li avrebbero visti. Avrebbero fatto del male anche a lui e lui l'avrebbe odiata. Il cuore le martellava nel petto, nelle tempie, nei polsi e sulla lingua.
-Perché...?- spirò ancora, sull'orlo del tracollo. -P-perché?-
Non sarebbe mai fuggita. L'avrebbero perseguitata per sempre, le avrebbero tolto ogni gioia, ogni cosa bella che le era rimasta, fino a farle rimpiangere di essere nata. Non voleva. Iniziò a battere i denti, a tremare più forte.
Era la fine.
E poi accadde qualcosa di terrificante e liberatorio insieme: Laney perse il senso di sé stessa. Non era la prima volta che le capitava, ma fu un episodio particolarmente intenso. Il malessere si tramutò di colpo in assenza; Laney si vide da fuori, esterna come in un film, un sogno.
-Laney!- le arrivò da un'altra dimensione. -Laney!- Ma lei non riusciva ad afferrare, a focalizzare. Il mondo appariva distorto, distante, distratto.
Per un attimo, un brevissimo istante, non ne ebbe paura.
Dopodiché si verificò un fatto ancor più strabiliante: tutto intorno divenne ovattato e incolore, ogni suono si zittì e braccia e gambe smisero di obbedire al suo governo; il suo corpo si fece di burro e Laney non percepì più nulla.

 
 
Tornando a casa dal suo primo giorno di scuola, Laney si spremette le meningi più che poteva per inventare una buona storia da imbastire

Le ginocchia di Laney impattarono al suolo con un botto secco.
-Laney!- esclamò di nuovo Samuel, sconvolto, lanciandosi in avanti per sorreggerla. Temette che le sua ossa si fossero sbriciolate, ma, quando provò a sollevarla, il ragazzo si accorse non solo che era leggerissima, ma anche che, per qualche curioso miracolo, Laney seguiva i suoi movimenti in un inconscio stato di volontà.
Non era svenuta. Il suo sguardo era vacuo, il colorito pallido, tremava tanto forte da battere i denti, ma una forza segreta la costringeva ancora a camminare.
Samuel non era un esperto, ma gli tornò in mente un episodio: le urla dei suoi genitori, il frastuono assordante di cocci infranti e le dita gelide e tremanti di Annika, strette tra le sue, identiche a quelle di Laney.
"È stato un attacco di panico" aveva detto il medico. "Attacco. Di. Panico."
In fondo al corridoio, gli schiamazzi del gruppo di Tyler si facevano sempre più roboanti, minacciosi come nubi temporalesche. Erano lì.
Samuel decise in una frazione di secondo. -Va bene, hai vinto tu. Ce ne andiamo, okay?-
Con un braccio avvolto intorno alla sua vita, Samuel condusse Laney fino a una stanza con la targa "AULA MUSICA". I due ragazzi sgusciarono al suo interno proprio mentre il faccione squadrato di Tyler faceva capolino dietro l'angolo. Tirandosi la porta alle spalle, Samuel si premurò di chiudere a chiave.
Un attimo dopo, la nota risata odiosa permeò l'aria, passando davanti all'entrata. -Bella, questa!- gongolò qualcuno, mentre altri gracchiavano imprecazioni grevi.
Laney ebbe uno spasmo, un guizzo di terrore. -No, no, no!-
Samuel cercò il suo sguardo. -Ehi...- la richiamò con dolcezza. -Non ascoltarli. Guardami. Siamo io e te, qui- disse. -Solo io e te. Non possono farti più niente, ormai.-
Laney aveva gli occhi pieni di lacrime. A poco a poco smise di tremare, ma due grossi lucciconi rotolarono giù dalle sue ciglia.
Samuel li raccolse con il dorso della mano. La pelle di Laney era morbida, calda, familiare. -Non piangere, ti si gonfieranno gli occhi!- disse allegro, ma lei non rise.
Di colpo, Samuel si sentì sciocco. La ragazza che aveva davanti non sarebbe potuta essere più diversa dalla Laney che galleggiava ancora nei suoi ricordi, e lo stava respingendo.
Per cosa stava combattendo, in realtà? Per una giusta causa o... per sé stesso? Avrebbe voluto essere d'aiuto, forte, caparbio, ma... forse Alicia e James avevano ragione. Forse era in torto, e forse la sua era solo ostinazione idealista.
Eppure gli pareva così palese che Laney avesse bisogno di lui, così scontato, da non riuscire a vedere la logica, il senso dietro al suo rifiuto.
Perché gli si era scagliata contro con tutto quell'astio? Quanta rabbia aveva covato, negli anni? Quanto aveva subito, ingollato, sopportato, assimilato senza ribellarsi?
"Non posso permettere che accada anche a te."
Il suo cuore saltò un battito.
L'aula musica era tanto luminosa quanto polverosa. In fondo alla stanza, un armadietto di compensato con gli sportelli scassati straripava di spartiti, peci consunte, crini di cavallo, corde di nilon e percussioni tintinnanti e disperse.
Sulla parete di destra, sotto a una lunga serie di finestre sporche, sfilavano custodie di viole e violini, chitarre e flauti e, al centro, un bel pianoforte a coda faceva mostra di sé, vanesio come una diva hollywoodiana.
La luce rossastra del crepuscolo baluginava sul legno lucido e nero, scivolava sulle pareti, sul pavimento, sfiorava i loro corpi e carezzava il viso di lei, piccolo, cereo e scavato di dolore.
Samuel rimase a guardarla per un tempo infinito, pensando con amarezza che poche volte aveva visto qualcuno di più triste.
Stretta al muro, aggrappata all'intonaco, come per non crollare, la ragazza se ne stava in silenzio, una mano piena dei tremendi bigliettini. Nella foga del momento, Samuel li aveva dimenticati in corridoio.
A un tratto, dissipando la coltre di indecisione, Laney parlò. -Perché?- chiese rauca. -Perché ti ostini a fare tutto questo?-
Samuel trasalì. Urgeva una giustificazione.
"Non lo so" avrebbe potuto dirle. "Forse perché sono un egoista e conservo ancora quello stupido braccialetto di conchiglie."
Ma Samuel non rispose nessuna di queste cose. -Perché no?- chiese invece di rimando, un banale palliativo in attesa di essere scoperto.
Laney lo scrutò attraverso la debole luce, gli occhi come pozzi di timori, e dischiuse le labbra quel poco che bastava per sospirare.
Ancora silenzio. Samuel si domandò a cosa stesse pensando. La sua ombra sulla parete era simile alla sua condizione: oscura, allungata e capace di inghiottirla. Una scena nostalgica, l'andamento ipnotico dei suoi ricci nel tramonto, il grigio e il rosso che si mischiavano su di lei come acquerelli.
Allora, e solo allora, Laney sollevò il mento e lo guardò dritto in faccia, e Samuel... si sentì perduto. Laney aveva un'espressione... come se fosse stata sull'orlo delle lacrime per tempi infiniti, senza potersi mai abbandonare al pianto. Proferì un'invocazione quasi inudibile: -Non posso, non ce la faccio.-
Samuel deglutì, parole aspre sul palato. -Io ti aiuterò- bisbigliò a sua volta.
-Tu non capisci- ribadì ancora lei, categorica, imperativa.
Samuel fece per ribattere, ma la ragazza lo bloccò. -Una volta, io e Vera stavamo uscendo da un'aula al secondo piano- iniziò. -Tyler ci ha viste, mi è corso dietro e mi ha spinta giù dalle scale.-
-Laney...- tentò Samuel, ma fu nuovamente interrotto.
-Mi sono solo rotta un braccio, ma Vera si è arrabbiata moltissimo- spiegò lei, un improbabile sorrisetto a tagliarle in due il volto. -Diceva che era troppo, che non potevamo andare avanti così, che era stufa e glie l'avrebbe fatta pagare. È andata a cercare Tyler, anche se io l'avevo pregata di non farlo. Lo ha insultato. Gli ha detto che era uno scarto umano e cose del genere. Alla fine gli ha anche mollato un ceffone.-
Samuel non poteva credere alle proprie orecchie.
Laney si umettò le labbra e proseguì, gli occhi fissi su distanze incolmabili: -Lui non l'ha presa bene. Un giorno ha mandato i suoi amici da noi. Hanno trascinato Vera in bagno, si sono chiusi dentro, e se i professori non fossero intervenuti l'avrebbero...- La sua bocca si spalancò, ma non ne uscì alcun suono. -Loro l'avrebbero...- Fischi inarticolati le morirono in gola. Laney, chiuse gli occhi e lacrime pesanti come il piombo le solcarono gli zigomi.
Samuel era senza fiato. Allora era questo, ciò che era accaduto a Vera. Sua cugina, una delle persone che aveva più care... per quale ragione nessuno lo aveva messo al corrente della situazione? -È tutto okay...- annaspò scosso, disorientato. -È tutto okay, troveremo una soluzione e...-
-NON C'È UNA SOLUZIONE, SAMUEL, NON C'È NIENTE!- gridò Laney, fuori di sé. -Ti f-faranno del m...ale, se c...ontin...ui a f...are co...sì. T-tu non...- Singulti confusi le riempivano la bocca prima che riuscisse a parlare e Samuel sgranò gli occhi, del tutto spiazzato.
Laney era scoppiata in un pianto incontrollato. Piangeva come piangono i bambini, disperata e senza freni, come se il mondo si fosse rotto e non ci fosse modo alcuno per ripararlo. Piangeva in modo brutto, con il naso che colava, singhiozzando forte e gemendo piano.
Alla fine era crollata, una torre di carte, un castello di sabbia.
E fu proprio in quel momento che Samuel capì.
Nonostante tutta la forza d'animo e il coraggio, c'erano ferite che non si sarebbero rimarginate, crepe profonde, nascoste agli sguardi distratti, che avrebbero continuavano a sanguinare silenziosamente per sempre. Perché a volte un ricordo poteva fare più male di mille schiaffi, e spesso la gente agiva senza pensare, per il puro gusto di ferire, strappare e distruggere ciò che di bello ancora restava.
Era così per tutti: James, Alicia, Vera, Laney... erano scheggiati, infranti in mille pezzi, ma proprio dove gli altri non riuscivano a vedere, nei recessi delle loro menti, in fondo a cuori troppo grandi e pesanti perché potessero continuare a sorreggerli da soli. Erano buchi neri, spirali di risentimento e dolore che avrebbero lasciato vittime e carnefici stanchi e sporchi per il resto dei loro giorni.
Abusare del prossimo, dire e fare cose che avevano il potere di cancellare ogni gioia dagli occhi e dall'anima era sbagliato, terribilmente, assurdamente sbagliato.
E nessuno, nessuno avrebbe mai dovuto subire un trattamento simile.
Così, Samuel seppe. E seppe che non avrebbe atteso un secondo di più mentre distruggevano la vita delle persone che aveva vicino. Della sua famiglia. Della sua migliore amica.
Ciò che accadde dopo gli venne naturale come respirare. Samuel avanzò, prese Laney nel cerchio delle sue braccia e la tirò a sé. Loro due come pianeti, corpi celesti che collidevano in un istante fatale.
Dapprima Laney rimase rigida, immobile, ma a poco a poco le tensioni si sciolsero come neve al sole. Samuel avvertì il battito del suo cuore, impazzito, farsi dolce e regolare sotto alle proprie dita. -Mi dispiace- bisbigliò solo. -Mi dispiace da morire, Laney.-
La ragazza sospirò appena. Samuel rabbrividì, sentendo le sue mani scorrergli lungo il torace. La differenza di taglia tra di loro era sconcertante, Laney sembrava fatta apposta per calzare nel suo abbraccio.
-Lasciami- protestò fiaccamente, mollandogli un pugnetto sul costato. -Vattene via.-
Samuel scosse il capo, testardo. La strinse più forte e affondò il viso nei suoi capelli. -Te lo scordi- dichiarò. -Io non ti mollo, hai capito?-
Laney riprese a singhiozzare. Si aggrapò alla sua maglietta e la strattonò, nascosta contro la sua spalla. -No...- ripeté. -Vattene, lasciami sola.-
Ma i suoi gesti la contraddicevano. D'istinto, Samuel sorrise.
Non poté fare a meno di ricordarla da bambina, dall'altra parte dello steccato, occhi rossi e gonfi e guance di lamponi. "Vattene via, voglio stare sola" gli diceva sempre quando litigava con i suoi. Samuel non sapeva mai come reagire.
Ma ora era tutto diverso. E non doveva essere per forza sbagliato. -Tu non sei sola- le sussurrò. -Non lo sarai mai più.-
A quel punto, Samuel avvertì il corpo di lei vibrare, prima di abbandonarsi del tutto alla sua presa. Non oppose più resistenza. Rimasero così per un po', stretti l'una all'altro, vicinissimi, in equilibrio tra il successo e il tracollo, fino a quando il tramonto non si asciugò e le prime stelle bucarono il cielo. Allora il cellulare di Laney squillò.
I due ragazzi trasalirono e di colpo si separarono.
Laney estrasse il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e osservò lo schermo. -È mia madre- disse, rossa in viso e con i capelli arruffati. Samuel sentì un vuoto all'altezza del petto all'idea che fossero stati abbracciati così a lungo.
Provò a sbirciarla di sottecchi, ma non appena si accorse che Laney stava facendo lo stesso distolse lo sguardo. Aveva caldo. -Dovresti andare, i tuoi saranno preoccupati.-
Laney annuì e fece per uscire dall'aula. Per qualche ragione, Samuel scoprì di essere un po' triste. Ma, un attimo prima di varcare la soglia, la ragazza si fermò.
-Samuel?- chiamò.
Lui la scrutò nella penombra. -Mh?-
Laney gli offrì un sorriso sbilenco.
-Grazie- disse solo. -Grazie di tutto.-


ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Hey, cutiepies! 
Come va la vita?
Dunque, io potrei, o potrei non aver urlato/pianto/battuto la testa contro il muro durante la stesura di questo capitolo, ma le conclusioni le lascio a voi.
Che ve ne pare? Troppo smielato? Troppo lento? Troppo jhigedk?
Vi confesso che mi trovo un po' in difficoltà con GdG: nella mia testa è una storia piacevole e molto molto dolce, ma quando poi la scrivo... eeeeh- 
Che tradotto significa che non so se sia un prodotto valido o meno. ç_ç
Voi che ne pensate del personaggio di Samuel? E di Laney? Credete che la loro relazione sia noiosa/costruita male/qualunque altra cosa vi venga in mente? 
Onestamente spero tanto di non aver portato troppo schifo nell'universo.TT_TT
Ad ogni modo, come al solito, ringrazio tutti coloro che hanno recensito e che hanno messo la storia nei seguiti, nei preferiti e nei ricordati. Un beso e alla prossima puntata.
ILU.
Sayami.

 

   
 
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