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Autore: AdhoMu    13/01/2019    7 recensioni
SOSPESA
Volenteroso, tenace, determinato.
Nonostante le sue innate qualità da legittimo Tassorosso, Cedric Diggory ha scoperto che qualche volta, nella vita, i buoni propositi non bastano, e che i piani per il futuro possono andarsene (letteralmente) al Creatore da un momento all'altro.
Quello che Cedric proprio non si aspettava è che, nella morte, le cose funzionano esattamente allo stesso modo.
E così può capitare che, per tutta una serie di motivi, un ragazzo ligio e diligente come lui, inevitabilmente destinato ad "andare avanti", si ritrovi "lasciato indietro" e sia costretto a fare i conti con l'indefinizione tipica di qualcuno che "è già stato" ma che, chissà perché, in un certo senso "continua ad essere".
Per fortuna, ad aiutarlo a mettere ordine nella sua nuova "non vita" ci penserà un manipolo di nuovi e fluttuanti amici.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Cedric Diggory, Corvonero, Frate Grasso, Helena Corvonero, Sir Nicholas | Coppie: Cedric/Cho
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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7. Anima e corpo.
 
[Mare del Nord, autunno 1181]
Delft - Rotterdam, tutta via canali.
Rotterdam - Edimburgo, attraverso il Mare del Nord, senza uno straccio di scalo.
Alla sinistra della nave, troppo lenta per i suoi gusti, la verde terra di Albione sfilava placidamente, ma era impossibile scorgerla a causa delle fitte nebbie che ne mantenevano celate le coste agli sguardi dei navigatori che colà transitavano.
Il giovane abbigliato di nero staccò i gomiti dal parapetto in legno intagliato e raddrizzò la schiena leggermente indolenzita: laggiù oltre le eteree coltri, evanescenti come lattiginosi fantasmi, gli era parso di avvistare una luce. Forse, però, si trattava soltanto della sua immaginazione, o del suo desiderio di arrivare a destinazione. Chissà.
Scosso da un fremito d'impazienza il ragazzo strinse appena gli occhi, chiari come l'acqua, e sbuffò fuori dalla bocca una nuvoletta di vapore che si condensò all'istante nell'aria frizzante e salmastra; poi, con la mano intirizzita, richiuse intorno al collo il bavero dell'elegante casacca di velluto nero bordata di verde per proteggersi dalle folate di vento gelido che gli scompligliavano i capelli paglierini. Il viaggio dalla Città delle Maioliche Bianche e Blu, sede del suo baronato, alle gelide lande del Nord abitate dal suo Signor Padrino e dai suoi accoliti, si stava rivelando tanto lungo, scomodo e tedioso quanto lo ricordava.
"Vedrai, figlio mio adorato, quante altre mirabolanti meraviglie avrai modo di apprendere alla corte del tuo Signor Zio" gli aveva detto sua madre, la Baronessa di Delft, rivolgendogli un sorriso di perla. "Come ben sai il mio amato fratello ha fondato, insieme ai suoi compagni, la migliore scuola magica di tutti i Regni del Nord; e tu, sì abile e versato negl'incanti fatati, avrai certo modo di distinguerti fra i tuoi pari".
Anche suo padre, seppure assai restio all'idea di lasciar partire il suo unico figlio, si era visto costretto ad assentire dal momento che, n'era conscio anche lui, nei Paesi Bassi il perfezionamento nell'istruzione magica del sue erede non avrebbe mai raggiunto risultati paragonabili a quelli offerti da Hogwarts. La prima leva di studenti della scuola si era già diplomata e le voci della loro grandezza e abilità avevano subito scavallato la Manica.
"Il tuo zio e padrino, Salazar Serpeverde, è un mago eccezionale: grandi giovamenti trarrai, figliolo caro, dalla convivenza con lui".
E così Albrecht van Duiker, figlio del Barone Jacobus van Duiker e della nobildonna inglese Gemma Serpeverde, aveva lasciato l'Olanda e si ritrovava ora intento a veleggiare verso la Scozia.
Per la seconda volta, in verità.
Sì perché lui, quel viaggio, l'aveva già intrapreso una volta in passato: e nove lunghi anni erano trascorsi da allora. Ora, a ventitré anni compiuti, il Baronetto percorreva di nuovo la medesima, accidentata rotta; e chino sul parapetto di legno della nave, davvero troppo lenta per i suoi gusti, occhieggiava laddove avrebbe dovuto trovarsi la costa inglese, e rimuginava fra sé e sé.
Pensava che l'incontro con il Signor Padrino e gli insegnamenti da lui elargiti sarebbero certo valsi uno spostamento così disagevole; al tempo stesso, però, sapeva che il vero e più profondo motivo di tanta impazienza era un altro.
Capelli corvini, lucidi come un manto d'ombra;
Occhi grigi, avvolgenti come nebbia;
Pelle di luna velata di rosa;
Un sorriso acuto, una risata argentina permeata d'ignegno.
Un nome: Helena.
 
[Londra, luglio 1999]
- Sei così bella – le sussurrò, la voce impastata dal torpore.
Il sonno faceva capolino fra le bionde ciglia di quel babbano sconosciuto, sdraiato lì accanto. Subito dopo aver finito di fare quel che doveva fare, il giovane si era staccato da lei ed era rotolato sul fianco, stiracchiando le membra con un sospiro soddisfatto. Ed ora, sul punto di addormentarsi, le aveva rivolto un’ultima occhiata di apprezzamento, osservandola compiaciuto come un esperto di unicorni che si è appena aggiudicato il possesso di un puledro dalle forme particolarmente aggraziate.
Cho Chang ebbe un moto di stizza mista a raccapriccio e s’irrigidì.
E così, pensò affranta, era accaduto di nuovo. Per l’ennesima volta.
Era sgusciata fuori di casa sul far della sera per sfuggire ai pensieri annidati negli angoli bui della sua stanza e ci era cascata di nuovo. Aveva permesso che il caldo sorriso di un uomo (uno qualsiasi) s’insinuasse dentro di lei, alimentando le sue speranze di sfuggire all’angoscia della solitudine e, come sempre, era finita stretta fra il corpo di un estraneo ed una parure di lenzuola dall’aroma anonimo.
La ragazza si alzò di scatto a sedere ed estrasse la bacchetta, mentre il giovane accanto a lei spalancava gli occhi per la sorpresa.
- Vuoi... vuoi che ordiniamo del sushi? – le chiese, fissando incerto lo strano oggetto che lei stringeva fra le dita. - Po-potremmo...
Cho gli sorrise debolmente.
In quel momento, si sentì esausta e svuotata come non mai.
Oblivion – mormorò soltanto, affrettandosi poi a recuperare i suoi effetti personali con un rapido incantesimo d’appello.
Un secondo dopo, della bella ragazza orientale che, per qualche ora, aveva stanziato in quella camera tinteggiata di celeste pallido, non era rimasta alcuna traccia.
 
[Hogsmeade, estate 1172]
- Ma voi, non ridete mai?
La ragazzina lo scrutava con un'espressione vagamente divertita che lo fece infuriare. Erano giorni che lo tallonava, importunandolo di continuo; lui, già piuttosto seccato di suo, cercava invano di scrollarsela di dosso. E così, in men che non si dica, dalle sue labbra era fuoriuscita una risposta secca, pronunciata nel suo inglese reso un po'spigoloso dall'accento marcatamente fiammingo.
- La cosa non vi riguarda.
Lei non si scompose; con una delicata rotazione del polso descrisse nell'aria un semicircolo con la bacchetta, dalla cui estremità spuntò un oggetto giallognolo e bucherellato, dotato di consistenza soffice. Dopo averlo preso in mano, la fanciulla lo lanciò a terra, ai suoi piedi.
- Ma che fate? - domandò allora lui, incuriosito suo malgrado.
Getto la spugna! - rispose allegramente lei, ridacchiando divertita dall'acume della sua stessa trovata. Poi però, visto che lui sembrava non capire il senso della sua affermazione (forse in Olanda quel detto non aveva senso), la giovane precisò:
- Mia madre mi aveva promesso che sarebbe stato assai piacevole trascorrere l'estate in compagnia di qualcuno della mia età - e qui le iridi grigie di lei fremettero e parvero indurirsi. - Evidentemente, però, mi ha ritenuta stolta. Come suo solito.
La durezza di quelle parole lo scosse, facendogli abbassare la guardia. Lui non si sarebbe mai sognato di parlare in quei termini di sua madre. Sotto sotto, però, nascosto dal sottile strato di metaforico ghiaccio venutosi a creare tutt'intorno alla sua giovane interlocutrice, gli era parso di percepire un velo di tristezza, un misto di rammarico e di risentimento che gli fecero provare una punta di pena per lei.
- Madama Corvonero è una gentildonna onorata... - affermò quindi, sforzandosi di suonare conciliante.
- Hogwarts di qua, Hogwarts di là - sbuffò la fanciulla, rivolgendogli un'occhiata sprezzante. - Sanno parlare solo di quella benedettissima scuola.
Lui si morse il labbro per impedirsi di darle subito ragione. 
L'estate da trascorrere in compagnia del suo Signor Padrino era stata motivo di mesi e mesi di aspettative, alimentate da sua madre che aveva tessuto senza sosta le lodi del fratello Salazar - il quale, a sua detta, era uno dei più grandi e potenti maghi di tutti i tempi. il Baronetto Albrecht aveva fantasticato a non finire, attendendo con impazienza quasi spasmodica il giorno della partenza.
Quando infine era giunto a destinazione, però, la delusione era stata grande.
Hogsmeade non era che un villaggetto da quattro case, umido e fangoso. Magico, sì, ma assolutamente anonimo. Eppure non era esattamente quello, il punto.
Il Signor Zio lo aveva accolto con grande benevolenza e subito lo aveva presentato ai suoi compagni, il cavalier Grifondoro, mago provetto dalla lucente armatura, nonché le splendide dame Tassorosso e Corvonero, vestite di sole e di cielo, streghe bellissime e poderose; e lui si era sentito invadere il petto da una forte emozione. Dopo qualche giorno, però, il ragazzo si era accorto che tutte le energie e l'impegno dei quattro stregoni erano assorbiti dalla missione di fondare la Scuola di Magia di cui tanto parlavano. E così il prevedibile risultato era stato che, giocoforza, il suo padrino non aveva avuto alcun tempo da dedicare a lui.
Nel momento in cui se n'era reso conto, il delusissimo Albrecht van Duiker, Baronetto di Delft, non aveva minimamente  immaginato che, proprio a causa dell'assenza degli adulti, l'estate che lo aspettava sarebbe forse stata la più bella della sua vita. Quello lo avrebbe capito solo più tardi, verso la fine di luglio, quando le sue labbra di adolescente impacciato si fossero posate su quelle rosee della giovane figlia di Madama Corvonero.
- Senti, Helena - disse Albrecht alla ragazzina, sorridendo impercettibilmente nel vederla stupita dal suo tono improvvisamente confidenziale. - Tua madre ha ragione. Gli adulti sono molto impegnati in questi giorni: dovremmo farci compagnia a vicenda.
Lei fissò i grandi occhi grigi nei suoi, tanto chiari da apparire quasi trasparenti. Subito dopo, le labbra rosate della fanciulletta si incurvarono in un sorrisetto birichino.
- Tu li sai domare i Platani Picchiatori, Albrecht? Ce n'è uno poco lontano da qui: te lo posso mostrare, se ti va.
 
[Londra, luglio 1999]
La serratura scattò.
Cho estrasse la punta della bacchetta dal buco e afferrò la maniglia di ottone, affrettandosi a spingere la pesante anta di legno di noce. In fondo al corridoietto d’ingresso, una luce azzurrognola e tremolante anticipò il ronzio sommesso di un televisore acceso. Parole sommesse le rivelarono la presenza di gente sveglia all'interno della stanza.
La ragazza scosse la testa, leggermente contrariata.
Aveva sperato di non imbattersi in nessuno al suo ritorno, ma evidentemente i suoi propositi sarebbero stati bellamente disattesi. Difatti, in men che non si dica, una testa ricciuta si affacciò dal vano della porta della sala.
- Cho?
- Sì, Marietta, sono io – rispose stancamente lei, per poi tirare dritto lungo il corridoio, diretta alla sua stanza. Non voleva apparire scortese ma, per la saggezza di Priscilla, quella sera non se la sentiva proprio di interagire con anima viva.
Per la seconda volta nel giro di due minuti, però, i suoi piani se ne andarono al Creatore: una figura maschile alta e ben proporzionata, infatti, s’era affacciata alle spalle di Marietta ed era uscita dalla sala, sbarrandole il passo.
- Ti sembra questa l’ora di rincasare, signorina Chang?
- Ma da quale morigerato pulpito, Capitano – bofonchiò lei, a mo’ di risposta. Una ramanzina morale da quell’ex scavezzacollo di Roger Davies era proprio quello che non le ci voleva, accidenti a lui. – La signorina Brown ti sta rieducando?
Davies non se la prese.
- Lavanda è di là sul divano con le due Patil, Marietta e Randy – le disse lui, e il suo sorriso smagliante rilucette nella penombra. – Ti stavamo (anzi no: ti stavo) aspettando.
Cho lo ignorò e fece per proseguire, tentando invano di aggirarlo.
- Ti vuoi levare di torno, per cortesia? – lo apostrofò, stizzita. Si sentiva mortalmente stanca e svuotata: aveva solo voglia di stramazzare sul letto e dormire, dormire, dormire.
Roger le permise di passare, ma subito si girò e la seguì da vicino; poi, lesto lesto, s’infilò nella sua stanza prima che lei avesse il tempo di sigillarla con un incantesimo respingi-visite. Posato sul letto della ragazza Saotome-San, il panda gigante di peluche della ragazza, fissò entrambi con i suoi inespressivi occhi di vetro.
- Che cosa vuoi?
Il ragazzo fece una smorfia. 
La luce della luna filtrava dalle persiane illuminando i capelli corvini di Cho Chang e rendendoli lucidi come i dischi di vinile incisi con i tanghi che lui e Lavanda amavano tanto ballare. Era così bella, pensò lui con rammarico, la sua piccola amica dagli occhi allungati; così bella e così triste. Roger non potè fare a meno di ricordare la ragazza determinata, impavida e brillante che era stata, qulla cui lui aveva affidato il ruolo più importante all'interno della sua squadra, quella che tifava per i Tornados, che rideva a voce alta e che scuoteva i capelli con grazia e vivacità... prima di trasformarsi, letteralmente da un giorno all'altro, in una creatura insicura, malinconica ed emotivamente instabile.
- Chi era, stavolta?
Lo sguardo di onice di Cho fremette un istante e subito s’indurì.
- Non sono affari tuoi.
- Sì, invece.
- Balle.
- Sei stata la mia Cercatrice: ho ancora delle responsabilità nei tuoi confronti.
Lei alzò il mento e lo guardò fisso per qualche attimo. Roger tese le mani e l’afferrò per le spalle, scuotendola dolcemente ma con fermezza.
- Cho – le disse in un tono grave che, in bocca ad uno scanzonato come lui, suonò maledettamente serio. – Tu non puoi andare avanti a ribassarti così.
Lei rimase ferma per un secondo, per poi avanzare di un passo e accostare la fronte allo sterno solido e profumato di mate del suo amico di una vita. Quando Roger l’abbracciò stretta, se la sentì tremare fra le braccia; emozionato, alzò quindi la mano per carezzarle piano i capelli setosi.
- Devi cercare di lasciarti il passato alle spalle, querida.
- Non... non ce la faccio.
- Cho...
- Cedric è ancora qui, da qualche parte. Dentro di me, o forse là fuori: chissà. Senza di lui, io non riesco ad andare avanti, Roger.
 
[Hogsmeade, autunno 1181]
Nove anni di pergamene fitte fitte di parole, pensieri e racconti, riempite fino all'ultimo spazio disponibile e scambiate via gufo ed ogni altro mezzo possibile e inimmaginabile, magico o babbano che fosse.
Quando si erano finalmente rivisti, era bastato un unico sguardo.
Albrecht van Duiker e Helena Corvonero erano letteralmente caduti fra le braccia l'una dell'altro, vittime di una passione febbrile, di un'attrazione travolgente e incontenibile.
Quello che avevano da dirsi se lo erano già detti nei nove anni del loro fitto carteggio: entrambi erano consci di conoscersi come nessun altro li avrebbe mai conosciuti perché, nelle loro lettere, si erano detti tutto, aprendosi il cuore a vicenda e avventurandosi in confidenze tanto profonde da mettere a nudo le rispettive anime.
I due ragazzini che avevano giocato nei dintorni del castello in costruzione, ora imponente come un'immensa montagna di pietra grigia, quelli che si erano rincorsi lungo le rive del Lago Nero e fra i tronchi più esterni della Foresta Proibita; gli stessi che, tanti anni prima, si erano scambiati un timido bacio fra il frinire delle cicale e l'aria pregna di calura estiva; quei due giovani spontanei e vivaci erano cresciuti, oramai, trasformandosi in un giovane uomo e in una giovane donna che, in un'unico scambio di sguardi, s'erano scoperti incapaci di allontanarsi di un passo dalle rispettive orbite.
Era bastata un'occhiata, la prima sera, durante il banchetto di benvenuto al nipote del fondatore verdeargento. 
Albrecht e Helena si erano fissati in silenzio, incuranti dei brindisi, dei sorrisi incoraggianti di Madama Tosca, dello sguardo indagatore di Madonna Priscilla e dei visetti curiosi dei piccoli apprendisti.
Helena era bella come le ombre della notte, come il velo di bruma che ammanta l'aria nel momento in cui un sogno si dissipa e tu lo vorresti trattenere; Albrecht (quello che generazioni di studenti avrebbero poi conosciuto col lugubre appellativo di Barone Sanguinario) era biondo come il caldo sole dell'estate, luminoso come un campo di grano sormontato da un vorticoso mulino a vento, di quelli che ti ipnotizzano col movimento rapido delle loro pale.
Lo percepirono subito: erano fatti l'uno per l'altra, si appartenevano; così era e così fu.
E quindi più tardi, nel cuore della notte, il Barone di Delft si era smaterializzato nelle stanze della Dama dagli Occhi Grigi e, sempre senza dirle una parola, aveva a lungo baciato le sue labbra rosate, morbide, fresche e sorridenti come le ricordava; poi, tenendo a freno l'impazienza, le aveva sfilato lentamente il lungo abito azzurro mettendo a nudo la sua pelle di luna, mentre lei gli slacciava i bottoni argentati della giacca di velluto verde, gli scompigliava i capelli chiari come paglia dorata e giocherellava col piccolo anello d'argento che gli adornava l'orecchio, per poi spingerlo dolcemente sul suo letto dalle soffici lenzuola ancora immacolate.
Le loro anime erano già un tutt'uno: molto prima di quella notte, infatti, avevano avuto modo di incontrarsi, di desiderarsi e di fondersi in un'unica entità spirituale. 
Era ora tempo di ritrovarsi anche sul piano materiale: e così fecero, Albrecht e Helena, lasciandosi investire dall'impeto dei sensi e finalmente, dopo nove lunghi anni di attesa, amandosi instancabilmente e per intero, anima e corpo.
 
[Hogwarts, giugno 1995]
Poco lontano, il signor Diggory abbracciava suo figlio e gli augurava “In bocca al Gramo” per la prova, per poi ingiungergli di fare attenzione. Cedric sorrise dolcemente a suo padre e lei, sentendosi pervadere da un intenso rossore, pensò che quella maglia gialla e nera gli stava davvero bene. Era così bello, il suo Cedric: aveva l'eleganza di un principe, per tutti i diademi della Saggia Priscilla.
Cho si sentiva strana.
Era felice e anche un po’ confusa; soprattutto, però, si sentiva piena di vita, ricolma di gioia, completa come mai si era sentita prima di allora. Sotto sotto, era vero, avvertiva anche un po’ di preoccupazione, ma non voleva che quella sensazione negativa rovinasse la felicità del momento.
Sì perché, quel mattino, l’alba aveva posto fine ad una notte molto speciale.
Si erano svegliati abbracciati, stretti stretti l’uno all’altra, tanto vicini da sentirsi uno solo; e proprio questo erano stati quella notte, e più di una volta pensò lei, leggermente imbarazzata, senza riuscire a trattenere un sorriso quando lo sguardo di Cedric incrociò il suo e il ragazzo le mandò un bacio sulla punta delle dita.
E la ragazza rimase imbambolata, rievocando i ricordi felici delle ore precedenti.
“Non vedo l’ora che tutta questa storia assurda finisca” gli aveva confidato la sera prima mentre, mano nella mano, passeggiavano insieme sulle rive del Lago Nero.
“Domani sera a quest’ora il tuo desiderio sarà già stato esaudito” aveva risposto scherzosamente lui, stringendole il polso con affetto.
Lei era rimasta in silenzio, facendo scorrere i polpastrelli sulle punte morbide dell’erba alta.
“Come ti senti?” gli aveva domandato, in un sussurro.
Lui ci aveva pensato su per qualche attimo.
“Un po’ teso” le aveva risposto infine.
“Immagino”.
“Cho”.
Cedric si era fermato di scatto, arrestando la sua avanzata. Cho si era girata verso di lui e gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Una cosa buona, secondo me, questo Torneo l’ha fatta accadere”.
Lei lo aveva guardato negli occhi, che riflettevano la luce soffice del tramonto.
“Intendo dire” aveva continuato lui, sollevandole la mano per posarsela sul cuore “che, per lo meno, le circostanze hanno fatto sì che noi due...”
E Cho, dimentica della preoccupazione, aveva riso; e la sua era stata una risata di pura gioia. Gli si era avvicinata e aveva intrecciato le dita dietro al suo collo, mentre lui si sporgeva in avanti per catturare le sue labbra in un bacio morbido e un po’affannato.
“Forse... forse dovremmo...” aveva ridacchiato lei dopo qualche minuto, rendendosi conto di avere la divisa tutta in disordine "...andare altrove".
E così, senza neppure consultarsi, erano corsi via ridendo come due sciocchi, innamorati e felici, fino a raggiungere la casetta che sorgeva ai margini del campo ovale, quella in cui Madama Bumb riponeva le scatole contenenti le Pluffe, i Bolidi e gli aurei boccini: il luogo perfetto per l’incontro di due anime innamorate del Quidditch come le loro.
E quel che era accaduto là dentro era stato forse un po’inesperto, un po’ impacciato, ma al tempo stesso era stato puro, autentico e veritiero, proprio fino all’ultimo sospiro.
Cho ci avrebbe ripensato tante volte in futuro, sentendosi ogni volta sgorgare calde lacrime di nostalgia e di amarezza al di sotto delle lunghe ciglia scure.


[Hogwarts, inverno 1977]
- Ma... ma non è giusto!
- La prego di calmarsi, signorina Evans - la voce di Minerva McGranitt risuonò inflessibile come sempre, andando a coprire le proteste di Lily. - Il professor Lumacorno ha già espresso le sue considerazioni in merito alla faccenda.
Dall'espressione scolpita sul suo viso spigoloso, la Vicepreside stava palesemente schiumando di rabbia, ma si sforzava di non darlo a vedere. Il professore di Pozioni, invece, appariva visibilmente imbarazzato. Che Lily Evans fosse una delle sue studentesse preferite lo sapevano tutti, ed evidentemente gli dispiaceva contrariarla, ma si trattava pur sempre di un caso che vedeva coinvolto un alunno appartenente alla sua Casa, ed era suo dovere garantire per lui.
- Ma quel... quel codardo ha attaccato Mary!... Se non fosse stato per Benji e per Sturgis, l'avrebbe ammazzata!...
Accanto alla ragazza infuriata un'altra studentessa del Grifondoro, una graziosa giovane dai folti ricci color del miele, se ne stava immobile, mantenendo gli occhi bassi, fissi sulle pietre millennarie che pavimentavano la presidenza.
- Signorina Evans - balbettò Lumacorno, a disagio. - Come già affermato dal signor Piton, lui e il signor Mulciber si trovavano insieme al momento dell'... dell'incidente. Oltretutto, i signori Fenwick e Podmore dicono di non averlo riconosciuto distintamente...
- Questo però significherebbe, Horace - disse il professor Silente, congiungendo le punte delle lunghe dita - che la signorina Macdonald sta affermando il falso.
- Sì... cioè, no: ovvero, in un certo senso...
Il Preside alzò gli occhi chiari sui due studenti di Serpeverde, in attesa accanto al Direttore della loro Casa. In quel momento, Severus Piton appariva ancora più imbarazzato di Lumacorno, ma le tentava tutte per nasconderlo. Invece Ares Mulciber, alto, magro e impassibile, il viso pallido incorniciato di lucidi capelli corvini, scrutava in silenzio Mary Macdonald, che faceva di tutto per evitare il suo sguardo.
- Signor Piton... - ricominciò il Preside, in tono pacato.
- Vi ho già detto quello che so! - esclamò il ragazzo, sforzandosi di ignorare le occhiate di fuoco indirizzategli da Lily Evans. - Ares si trovava con me quel giorno! Ci eravamo offerti volontari per lucidare i calderoni... La Macdonald deve averlo scambiato per un altro!...
Silente lo fissò in modo penetrante.
- Oh, beh. Se le cose stanno così... Ha altro da aggiungere, signorina Macdonald?
- N-no - la ragazza, evidentemente, sembrava desiderare soltanto di andarsene da lì. Probabilmente, se non fosse stato per le insistenze della sua amica, non avrebbe mai neanche sporto denuncia.
- Ma non è giusto, signor Preside! - Lily Evans era furibonda, e andò avanti a protestare mentre gli insegnanti scortavano lei e gli altri studenti verso l'uscita. - Mary non può averlo confuso con un altro!...
Un improvviso sussurro al suo orecchio la zittì all'istante, facendola raggelare. Ares Mulciber le si era avvicinato entre uscivano, accostandosi di soppiatto alla sua spalla:
- Sai una cosa, Evans? - le disse, stando bene attento a farsi udire solo da lei. - Sei una maledetta impicciona, ma su di una cosa hai proprio ragione: Mary non potrebbe mai confondermi con un altro. Mai.
"Certo che no" pensò subito lei, vagamente allarmata. "Non dopo quello che le hai fatto passare in quasi due anni di fidanzamento da incubo!"
Mentre formulava quell'inquietante pensiero, Lily si accorse che gli occhi scuri del ragazzo erano puntati sui riccioli biondi della sua amica. 
Davanti a loro, Mary scendeva le scale col passo spedito di chi sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle qualcosa di spaventoso.


[Hogwarts, autunno 1181]
Albrecht van Duiker e Helena Corvonero passaggiavano sulle rive del Lago Nero. Sotto i loro piedi, le foglie cadute dagli alberi della Foresta Proibita ammantavano il suolo in una vivace tavolozza di rossi, di gialli e di arancioni, andando a formare un immenso tappeto accogliente e croccante.
Era bello procedere così, senza meta, discorrendo d'amore e di magia e permettendo alle folate di brezza gelida che provenivano dal lago di acquietare un po' il fervore dei loro spiriti forse un po' troppo ardenti.
Stavano giusto confabulando su come sottrarsi alla vigilanza di madre e padrino per trascorrere insieme la serata quando, improvvisamente, un imponente cavallo bardato a festa sbucò fra gli alberi del bosco e  si posizionò di traverso sul sentiero, sbarrando loro il passo. In men che non si dica, un cavaliere riccamente abbigliato discese con un balzo dalla sella.
- Madonna Helena - disse il nuovo arrivato alla giovane dama, che si era arrestata di scatto e lo fissava, immobile, mentre lui, afferratale di scatto una mano, si profondeva in un inchino con tanto di baciamano. - Vi ho fatto recapitare una lettera, ormai due settimane fa. Mi chiedevo se l'abbiate ricevuta.
Helena Corvonero temporeggiò per qualche attimo prima di rispondergli.
- Sì, Messere. Il vostro gufo me l'ha recapitata con la consueta puntualità.
- Ah, ordunque...
- Se non vi ho risposto - lo interruppe lei, forse un po' troppo seccamente - è perché sono stata molto impegnata.
- Immagino - sbuffò il cavaliere, per poi lanciare un'occhiata eloquente al piacente Baronetto olandese, distintissimo nel suo abito di velluto nero co' bottoni verdi.
Helena strinse le labbra in un'inequivocabile espressione di sfida, ma non poté impedirsi di arrossire.
- Posso quindi sperare - continuò allora il cavaliere, abbassando la voce di un'ottava - che il contenuto della mia missiva riceverà una vostra risposta in breve?
- Come desiderate - rispose la giovane, tagliente.
- Eccellente - rispose lui, riavvicinandosi con calma al cavallo. - A presto, allora; e buongiorno anche a lei, signore.
Mentre il nobiluomo rimontava agilmente sul suo destriero, Albrecht si avvide che Helena strofinava velocemente il dorso della mano sul tessuto del vestito celeste, come a volersela mondare dalla saliva dello sconosciuto.
- Chi era mai costui? - le chiese allora, un po' a disagio, stringendo gli occhi chiari per metterlo bene a fuoco mentre quello trotterellava via.
- È un autentico scocciatore, arrogante e inopportuno; ecco cos'è - rispose Helena scuotendo il capo, infastidita, per poi rivelargli un dettaglio che lo lasciò alquanto spiazzato dal momento che, nelle sue lettere, lei non vi aveva mai fatto accenno. - Ha già chiesto più d'una volta la mia mano a mia madre ma lei, per fortuna, non ha mai acconsentito. Dice che non fa per me e, per una volta, debbo darle ragione. Si chiama Cadmus. Cadmus Peverell.

 
Note a piè di pagina:
1) Anzitutto mi scuso per la profusione di piani temporali, che qui sono ben quattro: quello dell'epoca dei fondatori in due fasi con le vicende del Barone e della Dama Grigia, quello dell'epoca dei Malandrini con il filone Mulciber-Macdonalds, quello di Cho e Cedric prima della morte di quest'ultimo e quello di Cho nel presente assistita da Davies. Io spero vivamente di non aver fatto un casino colossale, ragion per cui vi sarò grata per qualsiasi consiglio o considerazione a riguardo!
2) Come si chiamava il fantasma ufficiale della Casa verdeargento? Boh: io non l’ho mai saputo. E così me lo sono inventato, facendo un mix di omaggi. Albrecht è un omaggio all’artista tedesco Albrecht Dürer, di cui amo soprattutto le stampe e gli acquarelli. Duiker è un omaggio a Jan Duiker, geniale architetto olandese del Movimento Moderno.
3) Nel mio HC Roger Davies e Cho Chang sono molto, molto amici; per qualche anno i due hanno condiviso un appartamento con Grant Page, Randolph (Randy) Burrow e Duncan Inglebee, anch’essi Corvonero citati nella saga. Sempre nel mio HC, dopo la Battaglia di Hogwarts Davies, indiscusso sciupafemmine, si è innamorato di Lavanda Brown (per saperne di più consiglio la lettura dell’OS Profumo di Nebbia e della long 50 First Davies) ed è andato a vivere con lei; ad occupare la sua stanza ormai vuota è venuta Marietta Edgecombe, storica amica di Cho. Le allusioni al tango e al mate riferite a Davies si debbono al tatto che, seeeempre nel mio HC, il Capitano Corvonero è di origine uruguaiana.
4) Mulciber è uno str***o e chi ha letto Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore lo sa. Mi serviva un supercattivo Serpeverde per questa storia, e siccome la fine che gli ho fatto fare in quella long non mi bastava, ho pensato di rincarare la dose qui ed ora.
 
   
 
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