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Autore: _Lightning_    15/01/2019    6 recensioni
L’unica reazione di Tony è un respiro leggermente più sonoro del normale, ma i suoi occhi sembrano solidificarsi in due lastre scure e opache.
Contemporaneamente Thor si avvicina ancora, passando da osservatore esterno a potenziale partecipante, e Rhodey scatta a sua volta in piedi con fare allarmato. Nataša scruta i presenti con sguardo attento, come un felino in agguato, e Bruce non abbandona il suo atteggiamento ostile e incupito.
Steve sente la situazione precipitare.
La percepisce quasi sfuggirgli tra le dita come sabbia mentre cerca freneticamente un modo, una frase, un’azione che possa arrestarne la caduta inesorabile.

Dopo lo schiocco, Steve si trova alle prese con una squadra distrutta dalle perdite, spezzata dall'interno e incapace di far fronte unito. Toccherà a lui radunare i pezzi, suoi e degli altri, per prepararsi allo scontro finale. E molti di quei pezzi sono rimasti in Siberia, in un bunker gelido.
[post-Infinity War // Introspettivo // PoV Steve // Civil War fix-it // scritto prima di Endgame]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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5. Ragionevoli dubbi
 
 
Corrupted by the simple sniff of riches blown
I know you have felt much more love than you've shown
 
 
 
  
Il tuono rimbomba e rotola cupo dal cielo plumbeo rovinando sulla savana sottostante, ennesimo lugubre annuncio di una pioggia che si fa attendere da ore.
Steve osserva accigliato il lento avanzare delle nubi pesanti, come di pachidermi pronti a collassare di schianto sotto il loro stesso peso. L’aria è densa ed elettrica, riesce a percepirlo anche da dietro la spessa vetrata, e gli fa venire la pelle d’oca. Non ama i temporali, così come non li amavano Bucky, Peggy e Howard. Londra nel ‘41 non si dimentica facilmente1 e ogni sottile vibrazione che scuote l’edificio gli riverbera nelle ossa tenendolo sul chi vive, istintivamente pronto a cogliere il sibilo acuto che precede la detonazione.

Sposta lo sguardo mobile e inquieto sulla sala comune, adesso vuota. Nataša è tornata a prendersela con sacchi da boxe e manichini, mentre Rocket si è dileguato nell’armeria per dare un’occhiata alla tecnologia bellica wakandiana. Bruce è andato in laboratorio con la scusa di farsi dare un’occhiata alle ferite da Shuri, ma Steve ha colto anche una non esplicitata intenzione di riprendere contatto con Tony.
Non nutre troppe speranze in proposito, considerando l’umore scostante dell’ingegnere in quei giorni e il suo scatto adirato di qualche ora prima, ma potrebbe essere un punto di partenza.
Sospira a mezza voce, appannando il vetro di fronte a sé.

Era convinto di averlo già trovato, quel punto di partenza, ma le parole calcolatrici di Nataša hanno rimesso tutto in discussione. Non è così sprovveduto da ignorare totalmente l’opinione di una spia navigata e con uno spirito d’osservazione sicuramente più spiccato del suo, anche se non può fare a meno di chiedersi con quale obiettivo abbia deciso di scoprire a quel modo le spalle di Tony. Se lui dovesse mai venire a saperlo non la prenderà bene, non ha alcun dubbio al riguardo, e l’ultima cosa di cui hanno bisogno è innescare un’altra diatriba su fiducie tradite. Tutto ciò che può fare lui è tacere e lasciarlo a bollire e sbollire nel suo brodo, cercando al contempo di tenerlo d’occhio in attesa di un frangente più favorevole in cui approcciarlo.
Le questioni private possono aspettare, al contrario di tutto il resto.

Un altro tuono più intenso scuote il cielo, facendogli socchiudere le palpebre per il suono amplificato dalle sue orecchie fini, e gli ricorda anche chi è che dovrebbe cercare in quel momento.
Si scosta dalla vetrata sfregandosi la testa dolorante ed esce dalla sala comune diretto al terzo piano, con un sottile, latente nervosismo che affretta i suoi passi marziali.

 
***
 

Trova Thor al suo solito posto, ovvero seduto sul secondo scalino della rampa che conduce al terzo piano. Si chiede se si sia mai mosso da lì nel corso dell’ultima settimana, escludendo quella mattina, per poi interrogarsi su dove mai possa essere andato e se la concomitante scomparsa di Bruce sia un caso o meno. Quei pensieri lo fanno tentennare quel tanto che basta perché l’asgardiano lo noti e sollevi lo sguardo verso di lui. Steve si accorge solo allora della discrepanza tra i suoi occhi, uno del consueto azzurro slavato, l’altro di un nocciola chiaro e quasi dorato.

L’ultima volta che l’ha visto erano illuminati dal bianco accecante dei fulmini, e in seguito non ha avuto modo di guardarlo spesso in faccia. La sottile cicatrice che gli attraversa l’orbita e la guancia destra sembra essere una spiegazione plausibile per quel mutamento. D’altronde, quello non è l’unico che riscontra nel compagno: i suoi capelli sono corti, acconciati in un taglio midgardiano e anonimo; il volto che ricorda aperto e incline alla risata è irrigidito, segnato da linee di tensione che gli costringono la bocca incorniciata dalla barba verso il basso. Non ha Mjöllnir appeso alla cintura, né l’enorme ascia che gli ha visto usare in battaglia, e ha abbandonato la corazza ripiegando su una meno appariscente tuta da ginnastica grigia i cui polsini gli scivolano fino alle nocche escoriate.

«Capitano Rogers,» lo accoglie, con la consueta voce profonda e quei modi un po’ all’antica che in fondo non gli sono mai dispiaciuti troppo.

È però un saluto scialbo, privo d’inflessione, e i suoi occhi sembrano attraversarlo, fissi su un punto dietro di lui.

«Principe Thor,» ricambia, adeguandosi al gioco di formalità ormai superato da un pezzo, ma volendo comunque rispolverarlo in onore dei vecchi tempi, in cerca di un tassello di normalità in quell’accozzaglia di pezzi confusi e dolorosi. «Non più “capitano”,» si trova comunque a puntualizzare con un’alzata di spalle appena accennata, quasi a strapparsi con le proprie mani dall’illusione.

Nota l’espressione corrucciata di Thor, la sua mascella improvvisamente rigida.

«Non più “principe”, già da un pezzo,» replica, quasi masticando quelle parole e accompagnandole con un sorriso grave che per un istante sembra racchiudere tutti i suoi millecinquecento anni.

Steve si blocca sul posto, cogliendo con lieve ritardo i sottintesi di quell’affermazione e ricollegandoli al suo volto stanco e provato, agli occhi arrossati come se li avesse sfregati troppo spesso.

«Mi dispiace. Non lo sapevo,» può solo dire, contrito e senz’ombra di artificiosità.

Non sapeva veramente che fosse succeduto a Odino. Dai suoi brevi e laconici discorsi aveva intuito che Loki fosse morto, ucciso da Thanos, ma ora si rende conto di non avere idea della portata delle perdite subite dal compagno. Forse non vuole averla.

«Condoglianze,» aggiunge comunque, a voce più bassa, e Thor fa un breve, lento cenno col capo ad accettarle.

Tra loro si interpone un silenzio necessario, un breve intervallo che lascia a entrambi la possibilità di relegare sullo sfondo quello scambio di battute. Steve si appoggia con forzata disinvoltura al corrimano delle scale, mentre Thor sembra totalmente assorbito dall’orizzonte che si staglia cupo oltre la vetrata, assediato dalle nubi massicce e rigonfie di pioggia che continuano ad avanzare divorando il cielo. L’asgardiano le segue con lo sguardo, o forse sono loro ad assecondare quest’ultimo. Steve preferisce negare quella possibilità.

«Ho sempre saputo che sarei diventato re,» proferisce d’un tratto Thor, e quell’affermazione si adagia tra di loro con la stessa pesantezza di un tuono lontano. «Anche Loki l’ha sempre saputo,» aggiunge, in un tono indecifrabile tra l’amarezza e il rimpianto.

La sua voce rimane controllata, ma di una rigidezza tale da dar l’impressione di potersi spezzare di netto.

«Ma nessuno di noi due pensava che lo sarei stato per così breve tempo,» conclude con mestizia.

Steve corruga le sopracciglia, certo che gli stia di nuovo sfuggendo qualcosa, ma piuttosto che porre domande inappropriate si limita a fissarlo interrogativamente. Lui nota la sua perplessità e, con sua sorpresa, stira le labbra in un altro sorriso lugubre, amaro. C’è un’ombra del fratello in quell’espressione sardonica, e non gli è chiaro se Thor ne sia cosciente o meno.

«Ormai sono un re senza popolo,» dichiara quindi, e Steve sente la propria faccia deformarsi involontariamente in un’espressione sgomenta.

Non sa perché, ma ripensa a Londra. Camminando con Bucky attraverso l’ennesimo quartiere sventrato dalle bombe e delimitato solo da qualche brandello di muro, aveva pensato più di una volta che la città intera giacesse ormai sotto quelle macerie. Che ogni singolo uomo, donna e bambino fosse stato inghiottito dai detriti e dalla polvere, lasciandoli soli a camminare in un cimitero a cielo aperto, coi pali del telegrafo sradicati a far da croci. Quel pensiero fuggevole veniva prontamente smentito da un colpo di tosse, un pianto sommesso, un lamento debole ma tenace provenienti da un cumulo di macerie, che Steve si precipitava a smuovere così da far respirare la speranza ancora determinata a non farsi annientare.

Quello stesso pensiero si è ripresentato dopo lo schiocco, insistente, alimentato dal velo di cenere che stava ricoprendo l’universo intero e tenuto a bada dalle spalle amiche che ancora lo affiancavano. E torna a galla adesso con l’immagine di una Asgard completamente scempiata e vuota, che nel suo immaginario si sovrappone in modo onirico alle schiere di mattoni rossi anneriti dell’East End. Steve boccheggia stordito, cercando di articolare delle parole coerenti, ma fallisce nell’intento:

«… non la metà?» dice soltanto, suonando ben poco empatico.

Thor scuote la testa un’unica volta, per poi sollevarla e guardarlo direttamente negli occhi. I suoi sono velati, come se vi fosse calato sopra un sipario traslucido.

«Thanos non è stato così clemente,» afferma, sempre in quel tono incolore.

Steve fatica a ricollegarlo alla voce roboante che ha sempre sovrastato quella di tutti loro pronta a trasformarsi in risata, così come gli è difficile scorgere l’impeto guerriero che lo infiamma spesso e volentieri, sepolto forse assieme al suo popolo.

«Non ho più nulla da perdere. Forse è per questo che ho commesso un errore così grande,» rimugina subito dopo, cupamente.

«Tutti noi abbiamo sbagliato,» lo corregge Steve quasi in automatico, ma sente una decisa fitta nel ricordare quanto intensamente avesse sperato che, con l’arrivo inarrestabile di Thor, la vittoria fosse ormai vicina.

«Ma nessuno di voi avrebbe davvero potuto fermarlo,» replica senza durezza Thor, come constatando un fatto ovvio. «Quello era compito mio, come re di Asgard e protettore di Midgard e dei Nove Regni. Ho fallito,» conclude, e l’unico cenno di turbamento è un lieve contrarsi delle mani, un sottile aggrottarsi delle sopracciglia bionde.

«Thor, siamo tutti convinti che sia unicamente colpa nostra,» afferma, con più veemenza. «Questo non ci dà il diritto di arrenderci.»

Di nuovo, in modo del tutto inaspettato, Thor sorride appena con quel fare distante.

«Non c’è motivo di arrendersi,» ribatte sibillino. «E non abbiamo ancora perso.»

«Vorrei condividere il tuo ottimismo,» sospira Steve, preso in contropiede da quello sfoggio di sicurezza.

«Non temere,» esordisce l’asgardiano, con una scintilla indecifrabile negli occhi asimmetrici. «Il sole tornerà a splendere su di noi,» afferma poi con fare quasi profetico, appuntando lo sguardo oltre la vetrata, dove l’unico segno che il sole non si è spento del tutto è il livido, morente pallore che delinea gli ultimi stracci di nubi chiare non inglobate dai giganti ferrei che si schierano all’orizzonte.

Steve accusa una fitta più insistente alla tempia, e stringe i denti camuffando quella e la sua perplessità, assieme alla disturbante impressione che Thor non si stia rivolgendo a lui. Non riesce a sentirsi affatto rassicurato dall’apparente tranquillità del compagno, attraversata da una nota inquietante che non riesce a collocare, ma che stride fastidiosamente in sottofondo e assume man mano i contorni di una qualche flebile, malsana speranza alla quale Thor non può fare altro che aggrapparsi. Forse, per il suo bene, dovrebbe cercare di infrangerla e riportarlo alla realtà, ma adesso tutto ciò di cui ha bisogno è qualcuno che lo affianchi nel raccogliere i pezzi disastrati della loro squadra.

«Dov’eri prima?» cambia repentinamente argomento, dirigendosi verso terreni più solidi e fattuali.

«Ho fatto due passi con Banner,» risponde pacato lui, con una lieve esitazione per quella domanda improvvisa.

Steve sente un campanello d’allarme risuonargli in testa nel ripensare alle condizioni in cui avevano trovato lo scienziato.

«Poi ho parlato con Nebula,» conclude senza enfasi Thor, e nel parlare lo guarda di sfuggita, contrariamente a quanto fa di solito. «La cyborg blu,» specifica, accorgendosi di averlo lasciato interdetto, e Steve ricollega il nome a quel bizzarro volto intravisto per non più di una manciata di secondi quando Tony è tornato da Titano con la navicella sconosciuta.

Non è ancora riuscito a ricostruire cosa sia successo esattamente laggiù, e le risposte stringate e venate di sarcasmo di Tony non sono state di grande aiuto2.

«E cosa ti ha detto?» indaga, sforzandosi di smorzare la curiosità e di mettere da parte sia la questione di Bruce che quella dello scontro.

«A quanto pare, è un’altra figlia adottiva di Thanos.»

«La figlia?» Steve quasi strabuzza gli occhi e lascia il suo appoggio sul corrimano. «E come sarebbe a dire “un’altra”?»

«Gamora è la sorella. L’ho conosciuta, e ti assicuro che Nebula odia Thanos quanto lo odiava lei,» replica lui, senza dare peso alla sua reazione e schierandosi con fermezza a difesa dell’aliena. «Gamora è morta: il padre l'ha uccisa per la Gemma dell'Anima. O almeno così ha detto Nebula,» specifica poi, piattamente.

Steve trattiene il brivido gelido che lo attraversa nel figurarsi un gesto così efferato, e si limita a comprimere le labbra in silenzio, assieme alla rabbia che finisce imbottigliata nel suo petto.

«E a quanto pare anche tutti gli altri membri dei Guardiani sono scomparsi su Titano, insieme ad altri due nostri alleati.»

Steve incrocia le braccia, assorbendo una ad una quelle nuove informazioni. Rocket aveva menzionato questi “Guardiani” – una sorta di Vendicatori su scala galattica – e nutre ancora la tenue speranza che siano sfuggiti allo schiocco, a dispetto della loro astronave tornata vuota. Allora non aveva voluto approcciare direttamente Nebula per chiederle spiegazioni, spinto da un astio non meglio specificato, e Tony era talmente provato dalle ferite e dal digiuno da riuscire a malapena a reggersi in piedi
3, e aveva comunque schivato attivamente qualunque contatto superfluo fino al giorno dei funerali. Gli eventi di Titano rimangono un interrogativo che Steve si sente in dovere di sciogliere, e se non può cavar fuori una risposta da Tony, spera almeno di ricevere qualche frammento indiretto da Thor.

«Rocket lo sa?» chiede infine, titubante e avanzando con cautela verso il nocciolo della questione.

«Lo immagina. Non è stupido,» replica l’altro. «Ma ho intenzione di informarlo io stesso,» replica Thor, e Steve è sollevato che per una volta il compito ingrato di riferire una simile notizia non ricada sulle sue spalle. «Tu non eri a conoscenza di nulla?» gli chiede poi l’asgardiano con tenue stupore, fornendogli l'opportunità di ottenere chiarimenti.

Steve esita, stringendosi nervosamente i bicipiti.

«Stark non è stato molto loquace,» dichiara infine, nel modo più neutrale che gli riesce.

Thor aggrotta le sopracciglia, guardandolo fisso e forse subodorando quella tensione latente tra loro che non ritiene però opportuno spiegare.

«Anche Nebula è stata vaga: ti ho già riferito tutto ciò che mi ha detto. E vuole essere lasciata in pace,» sottolinea allora Thor, a dissuaderlo da potenziali interazioni.

«Non ho intenzione di chiedere spiegazioni a lei,» si lascia sfuggire, in modo forse troppo secco, impregnato dalla frustrazione di non avere in mano tutte le informazioni di cui avrebbe bisogno in un momento simile.

Thor si acciglia ancor di più, ma continua a tacere, chiaro segno che è probabilmente molto poco interessato a quelli che ai suoi occhi dovranno sembrare insignificanti battibecchi tra mortali.
Steve sta giusto per sviare il discorso e riportarlo al motivo per cui lo stava cercando, quando Thor ha un lieve fremito e si alza senza preavviso, diretto alla porta-finestra della vetrata affacciata sul ballatoio esterno. Steve ha un moto di sorpresa: lì fuori, sulla ringhiera, è appollaiato un enorme corvo reale, con le penne color pece che mandano sottili riflessi bluastri e gli occhi vispi e mobili dall’espressione innaturalmente umana. Arruffa le piume all’avvicinarsi di Thor, accogliendolo con un gracchio sonoro e cupo non appena apre la finestra. Steve si avvicina a sua volta, rimanendo però cautamente sulla soglia ad osservare quello spettacolo insolito. Viene investito da una cappa d’afa che sembra comprimersi attorno a lui; il vento porta con sé un sentore d’ozono.

«Huginn4,» proferisce Thor a mo’ di saluto, e il volatile dà un colpo d’ali per raggiungere la spalla dell’asgardiano.

Affonda i lunghi e letali artigli neri nella felpa con una delicatezza inaspettata, per poi inclinare il capo verso di lui come a bisbigliargli qualcosa all’orecchio. Quell’impressione è rafforzata dal breve cenno d’assenso di Thor, ora incupito. Si gira poi verso di lui e il corvo gli scocca a sua volta un’occhiata incuriosita; Steve si sente suo malgrado raggelare dall’acutezza di quegli opali cangianti e inquisitori.

«Ho dato a Huginn il compito di raccogliere ogni giorno informazioni riguardo ai nostri compagni e ai loro cari,» spiega Thor, e mentre parla il corvo sembra quasi gonfiare il petto, inorgoglito.

Steve si fa attento, sentendo la tensione che si insinua invadente nei suoi muscoli.

«Finora non c’è alcuna novità rilevante… o almeno, nulla che possa esserci d’aiuto,» afferma, sgonfiando le sue aspettative. «Ma la ricerca è stata lacunosa e incompleta, forse superficiale,» aggiunge poi, ad attenuare il colpo. «Anche lui ha perso suo fratello,» mormora, forse tra sé e sé o forse a Huginn, passandogli un dito sul becco in una breve carezza.

Il volatile china il capo, poggiandolo contro il palmo di Thor a nasconderlo, in un gesto troppo puntuale per essere dettato dal caso. Steve evita di approfondire la questione, visto che ha già le sue difficoltà ad accettare che esista un signore del tuono alieno che piega fulmini al suo comando, vola con un martello e si teletrasporta tra i Nove Regni. Parlare con un corvo messaggero senziente non è certo la cosa più assurda che gli ha visto fare.

«Quindi Scott e Clint potrebbero essere ancora là fuori,» interpreta pragmatico, senza riuscire a camuffare il sollievo che permea quelle parole.

«La mente diventa fallibile, se la memoria è labile5,» dichiara Thor, facendogli di nuovo perdere il filo. «Forse sono nelle zone d’influenza di Muninn4, o forse non a Midgard,» esplicita poi, riscuotendosi, ma c’è una vena di tristezza ben palpabile nella sua voce, e sembra esitare.

«Thor?» lo incalza Steve, cogliendo la sua reticenza. «Che altro ti ha detto?»

L’asgardiano solleva lo sguardo, fattosi malinconico ma anche più vivo, rendendo liquido il velo che lo offuscava.

«Non ha ancora notizie di Loki,» rivela, affranto.

Steve non può che schiudere appena la bocca incredulo, ritraendosi appena. Negli occhi del compagno legge lo stesso, straziante rifiuto che leggeva in quelli dei suoi commilitoni all’annuncio di un nuovo caduto – un amico, un fratello, un figlio, un altro cadavere che giaceva sulla terra a faccia in giù come se dormisse, a preservare l’illusione. Steve inghiotte le parole di conforto che si è strappato di bocca così tante volte in passato:

«Thor, Loki è morto. L'hai detto tu.»

Il possente re asgardiano assume per un istante l’espressione smarrita di un bambino, come se quel fatto gli fosse semplicemente sfuggito di mente in un momento di distrazione. È subito soppiantata da un cipiglio tetro, consapevole.

«Lo so,» scandisce, con voce ferma. «Così come altre volte in passato,» aggiunge poi, egualmente irremovibile. «Per voi Loki non è che un nemico sconfitto, ma per me rimane mio fratello. E conosco abbastanza mio fratello da sapere che non si sacrificherebbe mai senza la certezza di poter tornare,» conclude, con una traccia di malriposta fierezza.

Steve sta per ribattere, ma si trattiene a forza. Se non avesse visto Bucky dissolversi davanti ai suoi stessi occhi si illuderebbe volentieri anche lui. Si aggrapperebbe a quel granello di dubbio come sta facendo Tony rifiutandosi di chiedere a Friday se Pepper sia viva6, come sta facendo Rocket sostenendo che i suoi compagni non si farebbero uccidere così facilmente, come sta facendo Nataša nell’astenersi dal rintracciare Clint. Quel limbo d’incertezza è tutto ciò che sta impedendo loro di impazzire, e sarebbe proprio ciò che farebbe impazzire lui, più di quanto stia già facendo l’eco di quell’appello disperato che gli tormenta i timpani.

Così rimane in silenzio e si limita a inviare a Thor uno sguardo di muta comprensione, sentendosi meschino e non potendo allo stesso tempo fare altrimenti.
Anche l’asgardiano non aggiunge altro e rivolge gli occhi a Huginn, che leva un breve, rauco grido prima di spiccare il volo e sparire fulmineo alla vista oltre gli alti palazzi della capitale.

«Tornerà,» afferma Thor, senza specificare se si stia riferendo al corvo o a Loki.

Steve non lo contraddice, né cerca una conferma.

«Nel frattempo dovremmo darci da fare,» dichiara invece, raddrizzando appena le spalle e accennando verso l’interno del palazzo con fare eloquente. «La squadra ha decisamente bisogno di fare il punto della situazione.»

Per qualche istante, Thor scruta meditabondo il fronte temporalesco in avvicinamento per poi girarsi del tutto verso di lui.

«Riorganizzare l’esercito, aggiornarci, studiare un piano… sembra sensato,» concorda, pur con fare apatico.

«Stark ha un piano,» butta lì Steve, chiedendosi perché ogni volta che ripete quell’affermazione questa suoni sempre meno convincente.

«Speriamo che sia migliore dell’ultimo,» ribatte lui, accigliandosi circospetto.

Steve evita di metterlo al corrente del fatto che Ultron non è stata l’ultima cattiva idea messa in atto da Tony. Trattiene un sospiro snervato nel pensare alla discussione di quella mattina, che rimanda ad altre discussioni egualmente tese e inconcludenti e ne preannuncia altrettante.
Scaccia il pensiero e fa cenno a Thor di seguirlo verso la sala comune.

«Dubito che potrebbe far di peggio,» si lascia comunque sfuggire, affrettando poi il passo per troncare il discorso.

 
***
 

L’idea di trasmettere un messaggio di adunata generale tramite l’interfono lo sfiora, ma viene prontamente accantonata quando intravede Nataša in fondo al corridoio degli alloggi, diretta in camera sua con ancora la divisa da allenamento addosso e i capelli scomposti, il petto mosso da un lieve affanno. Si affretta a intercettarla prima che apra la porta, mentre Thor rimane discretamente poco più dietro, in attesa.

«Nat, aspetta,» la blocca, cercando di usare il tono più risoluto e allo stesso tempo cortese che gli riesce.

Lei lo guarda storto per una frazione di secondo, forse meditando se atterrarlo o meno, poi abbassa la mano tesa verso la maniglia in un muto invito a parlare.

«Puoi richiamare Shuri, Bruce e Tony dal laboratorio?» le chiede, senza sapere se il suo sia davvero un tono disinvolto. «Io vado a recuperare Rhodey e Rocket,» continua, in fretta.

Entrambe le sopracciglia di Nataša scattano verso l’alto e i suoi occhi si soffermano rapidi su Thor poco più indietro.

«Una riunione?» indovina, e sotto la sua impassibilità c’è un solido scetticismo che non si cura di celare.

«Lo spero,» commenta di getto lui, per poi correggersi: «Per ora è un consiglio di guerra. Abbiamo perso fin troppo tempo.»

«E non potresti ottimizzarlo andando tu in laboratorio e magari cogliere l’occasione per risolvere i tuoi dissapori, mentre io mi rendo presentabile e poi chiamo gli altri?» replica lei, con logica mirata e inoppugnabile alla quale è difficile rispondere in modo altrettanto razionale, così rinuncia a farlo:

«Per favore,» dice soltanto, guardandola negli occhi e vedendo le sue iridi verdi fremere per un istante.

La russa si abbandona a un secco sospiro, per poi scansarlo bruscamente da parte per entrare nella propria stanza; Steve non oppone resistenza e tace, trattenendo l’urgenza di seguirla.

«Rhodey è sul tetto e Rocket probabilmente ancora in armeria,» lo informa concisa mentre cerca a tentoni la luce, prima di girarsi fissarlo da sopra la spalla. «Non ti ci abituare, Capitano,» conclude asciutta.

«Grazie,» replica Steve alla porta già chiusa.



 


Note:
1Il fatto che Steve&co. abbiano passato un periodo a Londra è una pura illazione che però mi suona familiare/plausibile, nonostante non abbia trovato conferme nei fumetti. La condizione di stress innescata dai temporali è molto comune nei reduci di guerra/sopravvissuti a bombardamenti.
2Riferimento a
Speaking Terms.
3Quando è nata la storia il trailer di Endgame non era ancora uscito, così ho accennato ora a Tony disperso nello spazio, che purtroppo non si incastra bene con le tempistiche delle altre storie nella serie, in quanto ho scritto che impiega due giorni, e non quattro (o più) a tornare sulla Terra. Lo dico per amor di completezza, ma dal punto di vista fattuale non cambia nulla, in quanto anche due giorni senza cibo né acqua bastano e avanzano per portare un essere umano gravemente ferito al limite. 
4Huginn e Muninn sono i corvi messaggeri di Odino secondo la mitologia norrena. Qui il loro controllo passa a Thor, succeduto al padre. Huginn simboleggia il pensiero/mente, Muninn la memoria. Qui li ho resi fratelli, ma il legame non è mai esplicitato nei poemi.
5L'Edda (raccolta di poemi norreni) narra che Odino teme la scomparsa di Huginn, ma ancor più quella di Muninn, subordinando così il pensiero alla memoria; di qui il ragionamento di Thor in merito.
6Riferimento alla one-shot
Interferenze, in cui l'atteggiamento di Tony rispetto alla questione viene approfondito.

*[Sono presenti svariati riferimenti a Ungaretti, Quasimodo e Remarque negli pseudo-flashback di guerra di Steve, oltre a marcati richiami a Pascoli nelle descrizioni atmosferiche. Buona caccia :P]


Note Dell'Autrice:

Salve! Chi non muore si rivede, no?
Innanzitutto, buon anno in ritardo a tutti voi! <3 In secondo luogo, questo capitolo è stato un travaglio infinito e probabilmente il peggiore di tutta la raccolta, e me ne scuso. Thor mi ha fatto seriamente uscire di testa.
Non mi dilungo, considerata la mole delle note, e mi limito a sottolineare, come sempre, che il tutto è come sempre categoricamente PoV Steve, con tutti gli errori deduttivi e ragionamenti erronei che ciò comporta (esempio cardine: il non sapere che Loki sia morto proprio davanti agli occhi di Thor e che il suo affermare il contrario non sia esattamente indice di sanità mentale). Ah, il testo dell'intro è un riferimento indiretto a Loki.

Ringrazio enormemente le tantissime persone che hanno aggiunto la storia alle seguite, è stata veramente una sorpresa piacevole e spero continuerete a leggere, e che magari decidiate di lasciare un commentino per farmi sapere cosa ne pensate ;) <3
Grazie a
T612, _Atlas_, shilyss e serica per aver recensito lo scorso capitolo e ad Emma Wayne per aver recensito il primo e aver intrapreso la lettura dell'intera serie <3 Un sentito grazie a shilyss, che ha sopportato i miei scleri per la gestione di Thor offrendomi preziosi consigli e dimostrando una pazienza encomiabile <3

Spero di pubblicare in tempi più brevi il prossimo capitolo. Nel frattempo, potrebbe scapparci qualcos'altro dalle mie parti per "spezzare" l'attesa ;)
A presto,

-Light-

P.S. Tecnicamente la serie è stata rinominata "Schegge"; praticamente EFP si rifiuta di attuare il cambiamento. Sono in attesa di illuminazioni da parte degli admin *sigh*
   
 
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