-> La storia, edita, partecipa al contest "Il vento e la foglia" indetto da Iamamorgenster sul forum di EFP
Berceuse
C'è un segreto
tra me
e te
e la luna
A. Kiarostami
C'è un segreto
tra me
e te
e la luna
A. Kiarostami
Tonks si svegliò con il cuore in gola, certa che ci fosse qualche cosa che non andava. C'era troppo silenzio, e lei si sentiva quasi riposata: dopo dodici giorni di immensa gioia e di dolori e di strilli ininterrotti a tutte le ore, quel silenzio era quasi un miracolo, e non poteva che metterla in agitazione. Si alzò a sedere di scatto, trattenendo a stento un gemito. Oh, Merlino, quanto avrebbe voluto prendere a pugni tutte quelle madri che sorridevano e affermavano con leggerezza che la gioia di un figlio era tale da far dimenticare tutti i dolori del parto. Dimenticare un corno! Certo, quando aveva sentito per la prima volta il peso di Teddy fra le braccia aveva creduto di impazzire per la felicità, tanto era straordinario pensare che qualcosa di così meraviglioso e perfetto ora potesse aprire i suoi grandi occhi scuri anche grazie a lei, e sarebbe stata disposta a gettarsi altre dieci volte in tutto quel dolore pur di sentire quel cuoricino minuscolo pulsare fra le sue braccia, ma il suo corpo le sembrava uscito da uno sfortunato incontro con un'intera squadra di Quidditch composta da Troll di Montagna. . Chissà, forse quando avesse smesso di rischiare di avere un attacco di cuore ogni volta che Teddy faceva mezzo versetto che lei non sapeva come interpretare, o quando fosse riuscita a dormire per più di due ore senza che un suono più stridulo del pianto di una mandragola la svegliasse, o se mai fosse arrivato il giorno in cui non si sarebbe sentita un'incapace, irresponsabile, imbranatissima persona che si muoveva senza avere la minima idea di quel che stava facendo, forse solo allora avrebbe ripensato al parto con aggettivi umani.
Per ora preferiva non pensare ai fantasiosi improperi che aveva lanciato in quelle nove, estenuanti ore di travaglio, facendo arrossire fino alla cima delle orecchie la giovane Guaritrice che l'aveva assistita, e si limitava a trattenere le lacrime ogni volta che posava gli occhi su quel miracolo che era il suo meraviglioso bambino.
Sentì un debole movimento accanto a lei, e quando si voltò non riuscì a trattenere un sorriso: disteso nel letto di fianco a lei, Remus riposava con gli occhi socchiusi, respirando lentamente mentre la sua mano destra disegnava carezze impercettibili sulla schiena di Teddy. Teddy, dal canto suo, se ne stava tranquillo, rannicchiato sul ventre di suo padre come se fosse stato in un nido, le gambine piegate come quelle di un ranocchio e la guancia rossa poggiata delicatamente contro il petto dell'uomo. La fronte del bimbo era leggermente contratta, come se stesse per scoppiare a piangere, ma il suo respiro nel sonno era calmo e regolare.
Oh, Merlino, il cuore le sarebbe sicuramente scoppiato se avesse continuato ad osservare quella scena troppo a lungo: i suoi due esseri umani preferiti semiaddormentati nella penombra della stanza degli ospiti della casa di sua madre, così belli, così miracolosamente sereni, che per un attimo le sembrò che il mondo si sarebbe potuto fermare e lei non se ne sarebbe neppure accorta.
Remus si voltò appena verso di lei, regalandole un sorriso stanco e decisamente tirato, che non raggiunse i suoi occhi, e l'incantesimo parve rompersi. Tonks sapeva a che cosa era dovuta quell'ombra scura attorno agli occhi di suo marito, ma non ci voleva pensare. Scacciò con forza la mano fredda della paura che era scesa a strizzarle lo stomaco in una morsa impietosa, e si costrinse a restituire un sorriso affettuoso e rassicurante a Remus. Doveva essere forte, non doveva fargli capire che il suo terrore, sotto sotto, aveva trovato delle brecce di debolezza nel suo cuore, e aveva piantato un seme infido anche dentro di lei.
"Come diamine sei riuscito a farlo dormire per più di un'ora?" fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Ormai il pianto di Teddy la terrorizzava: quando il bimbo si metteva in testa di iniziare a strillare, sembrava che lei non avesse il minimo potere per tranquillizzarlo. Si sentiva impotente e svuotata davanti al suo pianto, e la cosa la stava facendo impazzire. Sua madre continuava a ripeterle che era normale, che lei da piccola era stata decisamente peggio di Teddy, strillando per ore e ore ininterrottamente, e che ora lei stava comportando in maniera impeccabile con il suo bimbo, ma Tonks non ne era comunque convinta. Era semplicemente troppo giovane, troppo imbranata, troppo immatura per essere una brava mamma.
Remus sorrise appena, sospirando, prima di sussurrare:
“Gliel'ho chiesto per favore.”
Tonks osservò a lungo suo marito, chiedendosi se la stesse prendendo in giro o meno, e lui aggiunse:
“Davvero. Tu ti eri appena addormentata, e non ti volevo che ti svegliassi, così quando ha iniziato a piangere l'ho preso in braccio e gli ho detto che la mamma aveva bisogno di riposare, e che il papà non stava bene, quindi sarebbe stato molto gentile da parte sua se, per favore, ci avesse lasciati tranquilli per un po'.”
Tonks gli scoccò un'occhiata scettica, ma era troppo sollevata dalla vista di Teddy tranquillo e serenamente addormentato per insistere oltre. In fondo, riusciva benissimo a figurarsi Remus cercare di fare conversazione con un neonato di dodici giorni, aggiungendo per favore e grazie in fondo ad ogni frase, perché non si sa mai.
Tornò a sdraiarsi accanto a suo marito, affondandogli il viso nel collo e allungando un dito verso il pugnetto serrato di Teddy. Non credeva si sarebbe mai stancata di ammirare il suo bimbo, mai.
“Mi fa morire quando dorme così, col culetto per aria. Sembra un incrocio tra un gattino e una rana.”
Remus sorrise, annuendo, e sospirò:
“E' bellissimo. Non credevo avrei mai visto qualcosa di così bello. È perfetto.”
La sua voce era così piena di amore e ammirazione che a Tonks venne quasi da piangere. Non che questo fosse più un indice affidabile: da quando era rimasta incinta, rischiava di piangere anche leggendo i fotoromanzi del Settimanale delle Streghe. E la cosa più grave era che si divertiva a leggere quelle schifezze!
“Lo sai che mia mamma dice che se iniziamo a farlo dormire con noi, si vizierà e poi non se ne andrà più dal lettone, vero?”
Remus si strinse nelle spalle, chiudendo gli occhi.
“Non ha nemmeno due settimane, Dora, non lo stiamo viziando. E comunque, non mi interessa. Non ce la faccio a lasciarlo da solo.”
Tonks rise, ed evitò di fargli notare che dormire nella sua culla a mezzo metro da loro non voleva esattamente dire restare da solo. Del resto, lei era la prima a non riuscire a staccargli gli occhi di dosso, e a tenerselo fra le braccia anche quando avrebbe potuto tranquillamente lasciarlo nella sua culla, quindi probabilmente non era nelle condizioni di criticare Remus.
“Ok, affare fatto. Quando però avrà dieci anni e dormirà ancora con noi, sarai tu quello a prendersi i calci e a restare senza coperte.”
“Come se non avessi già qualcuno che mi prende a calci e mi ruba le coperte ogni singola notte” rise Remus, sporgendosi a baciarle la punta del naso con un sorriso bonario, e Tonks, con fare scherzoso, gli allungò un colpetto al ginocchio con il suo piede avvolto in un vecchio calzino spugnoso dei Falmouth Falcon
Per un po', rimasero tutti e tre immobili, in silenzio, a godersi quel piccolo angolo di tranquillità che, Tonks lo sapeva, sarebbe ben presto svanito. Remus, accanto a lei, fingeva di essere tranquillo, ma Tonks avvertiva chiaramente la tensione che pervadeva tutto il suo corpo, lasciandolo rigido come un pezzo di legno. Non era solo il solito malessere che entrambi avevano imparato a conoscere e a fronteggiare, questa volta c'era anche molto altro: terrore e senso di colpa, una sensazione bruciante che sembrava quasi diramarsi in ondate tangibili dal suo corpo. Tonks aveva cercato, nei giorni precedenti, di mitigare questa sensazione, di non darle peso e di distoglierne l'attenzione, ma le cose avevano lentamente iniziato a incrinarsi. E se Remus avesse avuto ragione? Non potevano avere la certezza che si sbagliasse, non poteva averla nemmeno sua madre, che ogni volta che captava qualche stralcio di conversazione incentrata su questo argomento interveniva stizzita, troncando ogni argomentazione con fare dispotico.
Come se avesse avvertito che l'atmosfera attorno a lui era cambiata, il viso di Teddy si accartocciò e arrossò, e ben presto il piccolo si svegliò con un vagito acuto.
Tonks e Remus si sollevarono di scatto, osservando preoccupati il bimbo piangere.
“Visto? Lo sapevo. Con te è stato tranquillo, adesso mi sono avvicinata io e lui comincia a piangere” mugugnò Tonks, senza staccare gli occhi da suo figlio.
“Non dire stupidaggini, Teddy piange come un pazzo anche con me. Avrà solo fame, ormai sono quasi le quattro.”
Tonks avrebbe voluto ribattere che non era vero, che Teddy con lui piangeva, certo, ma quando Remus iniziava a cullarlo sussurrandogli chissà che cosa, lui si calmava sempre. Con lei no: lei poteva fare quello che voleva, poteva coccolarlo, cullarlo, poteva cantargli tutte le ninne nanne che conosceva, ma Teddy avrebbe continuato a strillare. Era sua mamma, ma era un disastro, con lui. Non riusciva nemmeno a cambiargli decentemente il pannolino: quando era lei a cambiarlo, la tutina rimaneva sempre piena di bozzi e pieghe strane. Non c'era da stupirsi che Teddy piangesse tanto, con lei: doveva avvertire la sua inesperienza e inaffidabilità. Era già un miracolo che non lo avesse ancora fatto cadere, anche se non dubitava che sarebbe successo presto.
Si morse l'interno della guancia, ricacciando indietro quel fiume di parole insieme a un groppo di lacrime - santo cielo, non aveva mai pianto tanto come in quei dodici giorni, non per cose così idiote! - e prese il bimbo fra le braccia, porgendogli il seno. Teddy cominciò a poppare placidamente, tranquillizzandosi all'istante.
“Visto che si calma anche con te?”
Tonks decise di non rispondere, limitandosi ad osservare la fronte di Teddy distendersi, mentre il sottilissimo ciuffo di capelli chiari che aveva sulla fronte assumeva una pallida sfumatura azzurra.
Avrebbe dovuto essere contenta che Teddy si fosse calmato, ma la verità era che allattare era terribilmente fastidioso. Nessuno le aveva detto che sarebbe stato così fastidioso, e lei si sentiva in colpa, perché sapeva che tutte le neomamme adoravano nutrire i loro bimbi. Doveva esserci qualcosa di sbagliato in lei. Quando, un paio di sere prima, era scoppiata in lacrime e l'aveva confessato a Remus, lui l'aveva tenuta stretta e confortata, mormorando un flusso di parole sensate e che le avevano permesso di rimettere tutto in prospettiva. Avrebbe voluto farsi stringere e cercare di nuovo quel tipo di conforto, ma sapeva che quel giorno suo marito era troppo impegnato a sopravvivere ai propri demoni.
Remus si appoggiò alla testiera imbottita del letto, stringendosi la testa fra le mani. Il mal di testa doveva avere ormai raggiunto il suo culmine, si disse Tonks, osservando gli sprazzi di pelle pallida e leggermente ingrigita che si intravedeva attraverso le sue dita contratte. Prima di pranzo lo aveva sentito vomitare chiuso in bagno, ma non ne aveva parlato: Tonks non sapeva se quel sintomo inusuale fosse dovuto all'imminente luna piena, o fosse piuttosto causato dal terrore che lo assaliva, a tratti, da quando con mani tremanti aveva stretto Teddy a sé per la prima volta.
“Remus, vuoi prendere qualcosa per la testa? Almeno una semplice pozione antidolorifica.”
Remus scosse la testa, senza abbassare le mani dal volto. Sembrava ben deciso a subire ogni briciola di sofferenza che quella giornata gli avrebbe portato, come se la meritasse tutta.
Quando finalmente Remus si decise a scoprire il volto, i suoi occhi chiari erano sprofondati dietro un velo scuro di dolore e di paura, che lo faceva sembrare leggermente fuori di sé. Lo era, probabilmente.
Remus si chinò su Teddy, che aveva continuato a poppare sereno, come se il terrore di suo padre in quel momento non riuscisse nemmeno a sfiorarlo. Niente riusciva a sfiorarlo, non mentre mangiava: quel bimbo sarebbe diventato un vitellino.
“Non ti sembra più pallido del solito? E'anche caldo, come se avesse la febbre. Non credi che possa essere malato? Questa mattina ha mangiato poco, ma gli abbiamo cambiato più pannolini di ieri...”
Sì, decisamente Remus era fuori di sé.
Tonks osservò suo figlio, cercando di cogliere dei segnali di malessere. Remus di solito si svegliava la mattina precedente la luna piena già dolorante, ma quel mattino alle prime luci dell'alba era schizzato fuori dal letto e si era chinato su Teddy, in cerca anche del più piccolo sintomo di malessere. Tonks cercò di respirare lentamente, arginando il flusso di domande di Remus. No, Teddy non le sembrava malato. Lo aveva guardato con attenzione, cercando di ignorare tutti i dubbi e le paure e le insinuazioni che ogni tanto tornavano a tormentarla sin da quando aveva sentito il piccolo muoversi nel suo ventre, il momento in cui si era resa conto che davvero c'era qualcuno che stava crescendo dentro di lei. Teddy non era pallido: aveva la stessa pelle chiara di Remus, ma le sue guance erano rosee e fresche. Non era nemmeno più caldo del solito, di questo era abbastanza certa. E se anche quella mattina non aveva mangiato moltissimo, ora stava poppando con entusiasmo, segno che qualsiasi malessere ci potesse essere stato ore prima adesso Teddy era in perfetta salute.
“No, Remus. L'unico pallido e malaticcio qui sei tu. Teddy sta bene, e starà benissimo, ne sono certa.”
La voce le tremò appena pronunciando quelle parole. Teddy stava bene, e quella doveva essere una prova più che sufficiente a tranquillizzarli del fatto che il loro bimbo non si sarebbe nemmeno accorto dell'avvicinarsi della luna piena. Eppure, un angolino remoto della sua mente non riusciva a smettere di sibilarle dei dubbi atroci. E se si fossero sbagliati? E se i sintomi non si fossero mostrati in maniera evidente solo perché Teddy era ancora così piccolo? E se al sorgere della luna il loro bimbo avesse davvero dovuto affrontare una trasformazione estremamente dolorosa? Tonks non voleva nemmeno pensare ad un'eventualità del genere. Non sarebbe successo, era evidente che non sarebbe successo. Mannaggia a lei e a quando si era innamorata dell'uomo più testardo e cocciutamente ottuso che avesse mai camminato sulla faccia della Terra: una persona normale, davanti a quelle evidenze non avrebbe fatto altro che sentirsi sollevata, sospirando felice nel vedere che Teddy non aveva ereditato la maledizione di suo padre. Ma no, Remus doveva continuare a dannarsi, doveva insistere, doveva stare sveglio la notte a fissare suo figlio, tremando le mani contratte e le nocche prive di colore sul bordo della culla. Doveva tormentarsi, e domandarsi all'infinito se Teddy non avesse preso da lui, se non avesse ereditato la sua condanna, nonostante tutte le evidenze contrarie. Per lo meno, dopo quella notte orribile in cui era tornato da lei e l'aveva pregata di perdonarlo e di riprenderlo con sé, aveva smesso di chiudersi in sé stesso. O meglio, aveva continuato a farlo, ma le aveva permesso di entrare in quello spazio fatto di dolore e paura e sensi di colpa. Ora Remus tremava e distoglieva lo sguardo, ma si lasciava abbracciare, e dopo un po' affondava il viso nei capelli ispidi di Tonks e le confessava tutte le sue paure più grandi. Tonks ne era felice, ne era felice come poche altre cose avrebbero potuto renderla felice, perché sapeva quanto costasse a Remus aprirsi a quel modo, soprattutto su certi argomenti, e non si sarebbe mai sognata di frenarlo, ma, egoisticamente, con Teddy avrebbe preferito che le cose andassero diversamente. Avrebbe voluto far finta di ignorare le sue preoccupazioni, avrebbe voluto tapparsi le orecchie quando lui raccontava che, spesso, i bambini morsi troppo piccoli non avevano la forza di superare il dolore causato dalla prima trasformazione. Avrebbe voluto chiudere fuori tutti i suoi dubbi, perché lei sapeva che Teddy sarebbe stato bene, ma ogni volta che vedeva Remus irrigidirsi all'improvviso mentre cullava il loro bambino, anche lei non poteva fare a meno di provare una gelida morsa di paura, chiedendosi se, sotto sotto, non ci fosse anche la più piccola possibilità che Remus avesse ragione.
La paura era cresciuta durante l'ultima notte di luna piena prima del parto: il Guaritore che l'aveva visitata qualche giorno prima aveva dichiarato che mancava ancora qualche settimana al termine fisiologico della gravidanza, ma che non potevano escludere che il bimbo nascesse da un giorno all'altro, senza andare incontro a grossi rischi. Quella mattina, Remus era stato particolarmente male, e il bimbo sembrava più agitato che mai: Tonks era stata nervosa e dolorante tutto il giorno, in preda a fitte fastidiose al basso ventre. Sua madre aveva cercato di sdrammatizzare, assicurandola che se fossero state contrazioni se ne sarebbe resa conto, ma Tonks era certa che dietro il suo fare energico e risoluto ci fosse un'ombra di preoccupazione che non voleva mostrare. Per un po', avevano temuto che Teddy decidesse di venire al mondo proprio mentre suo padre si contorceva e ululava rinchiuso in cantina. Quando aveva accompagnato Remus nella stanza dove avrebbe trascorso la notte lo aveva baciato con decisione, assicurandogli che non lui non se la sarebbe cavata con così poco, perché lei non aveva la minima intenzione di partorire senza la sua mano da stritolare e senza poterlo ricoprire di improperi. E così era stato: quella notte era stata particolarmente difficile, ma la mattina dopo tutto sembrava tornato nella norma, e Teddy era rimasto al suo posto per altre due settimane. Da quel momento, però, Remus sembrava impazzito: diceva che quello era un chiaro segno, diceva che il bambino, seppur non ancora nato, doveva aver avvertito l'influsso della luna piena, e che questo poteva significare solo che lui aveva condannato un altro innocente ad affrontare le sue stesse sofferenze. A nulla erano valse le rassicurazioni di Tonks e di Andromeda: Remus non faceva che passare da uno stato di esaltazione e gioia infinite ad uno di disperazione più totale per la sorte del suo bimbo, e le cose non erano cambiate nemmeno dopo la nascita di Teddy, che pure aveva mostrato subito di aver chiaramente preso moltissimo da Tonks.
“Come fai ad esserne così sicura? Oh, Merlino, non so che cosa darei per poter passare almeno una notte di luna piena come essere umano. Solo questa notte, una volta sola...”
Un'altra cosa che tormentava Remus era la consapevolezza che, se quella notte le cose fossero andate per il verso sbagliato, lui non sarebbe stato lì per aiutare lei e Teddy.
“Remus, ti prego, adesso piantala. Io sono certa che Teddy starà benissimo, ma ho bisogno che anche tu stia bene. Non puoi tormentarti così, o stanotte e domani starai solo peggio. E io ho bisogno di te, ho bisogno di te lucido e presente, lo sai vero?”
Non aggiunse che, se anche le cose quella notte fossero andate male, lei avrebbe avuto ancor più bisogno di lui per aiutare Teddy, ma Remus questo lo sapeva benissimo.
“Scusami” mormorò l'uomo, a capo chino. Tonks sospirò: non voleva essere dura, ma tutta la felicità per la nascita di Teddy non poteva cancellare il dolore per la perdita di suo padre, né il terrore che ogni giorno la assaliva quando pensava a ciò che stava succedendo fuori dal rifugio sicuro che era la loro casa. la guerra si stava facendo di giorno in giorno più sanguinosa, e niente di quello che aveva appreso durante i tre anni di addestramento in Accademia Auror serviva a tranquillizzarla. Aveva bisogno di Remus, ne aveva bisogno per non perdere la testa, e non avrebbe permesso alle sue paure di portarglielo via.
“Va tutto bene, e andrà tutto bene. Ti amo.”
Cenarono presto ed in silenzio, mentre Andromeda, seduta sul divano del salotto, cullava il piccolo Teddy.
Tonks non avrebbe mai voluto tornare a vivere nella casa dove era cresciuta, ma si era resa conto che non avevano molte altre scelte: la casa che aveva preso in affitto quando aveva terminato l'Accademia Auror, la stessa in cui lei e Remus avevano vissuto per pochi mesi dopo essersi sposati, oltre ad essere troppo piccola era troppo pericolosa: era un piccolo appartamento al terzo piano di un palazzo dove abitavano diverse famiglie di maghi, alla periferia di Londra, e per quanto avessero cercato di apporvi degli Incantesimi Difensivi ci sarebbero sempre state troppe persone nei paraggi per renderlo davvero sicuro. La casa della sua infanzia, invece, era abbastanza isolata da poter essere difesa al meglio: conservava ancora buona parte delle difese apposte dall'Ordine quando era stata scelta come rifugio sicuro per la fuga di Harry da Privet Drive, e più di quello non avrebbero potuto fare.
Oltretutto, ad Andromeda avrebbe fatto bene avere qualcuno di cui occuparsi.
Tonks aveva avuto paura che sua madre, anche se involontariamente, avrebbe reso loro la vita impossibile: con sua grande sorpresa, invece, aveva scoperto che quando voleva Andromeda poteva essere dotata di una discrezione straordinaria. Visto il modo in cui l'aveva tormentata quando era un'adolescente, Tonks non lo avrebbe mai creduto possibile.
Invece Andromeda aveva imparato a rispettare l'intimità della coppia fin dalle prime notti che loro avevano trascorso sotto il suo tetto, cercando di interferire il meno possibile, pur facendo sempre presente che lei e Remus potevano contare sul suo aiuto, per qualsiasi cosa. All'inizio l'imbarazzo di Remus era stato palpabile, ma il suo orgoglio e il suo distacco erano spariti non appena aveva realizzato che sua moglie e il bimbo che portava in grembo avevano bisogno di un luogo sicuro e tranquillo dove stare, e quella casa era il posto giusto. Con il tempo, Andromeda aveva seppellito ogni ostilità nei confronti del genero, ma anzi, si era sinceramente affezionata a lui.
Quando era giunta la terribile notizia della morte di Ted, la donna si era gettata a capofitto nell'obiettivo di mantenere al sicuro quello che restava della sua famiglia, preoccupandosi in ogni modo del benessere della figlia, del futuro nipotino e anche del genero. Tonks sospettava che se lei e Remus non fossero stati con Andromeda, se non avessero vissuto sotto lo stesso tetto, sua madre si sarebbe spezzata. Invece il dolore l'aveva piegata, le aveva impresso ombre scure sotto gli occhi e aveva scavato le sue guance, facendola assomigliare ancora di più a sua sorella Bellatrix, ma Andromeda aveva reagito con una tenacia e una determinazione unici, aggrappandosi con tutte le sue forze a quello che restava della sua famiglia. Quando Teddy era nato, si era prodigata per aiutare in tutti i modi i neogenitori, ma con discrezione: non aveva mai cerato di sostituirsi a loro, né si era mai azzardata a intromettersi tra loro e Teddy. Viveva con l'orecchio teso, pronta ad intervenire per aiutare quando necessario, per guidare e dare consigli, ma poi lasciava che Tonks e Remus facessero i loro sbagli, e si limitava a sorridere.
Tonks dubitava che sarebbe mai stata in grado di esprimere a parole tutta la gratitudine che provava nei confronti di sua madre.
Era chiaro che Remus avrebbe preferito digiunare, ma si sforzò comunque di terminare quello che aveva nel piatto. Sembrava aver preso sul serio la richiesta di Tonks, ed era ben deciso ad affrontare al massimo delle sue forze la nottata, in modo tale che l'indomani mattina avrebbe recuperato le energie il più in fretta possibile.
Quando finalmente anche l'ultima briciola di pane venne spazzata via dalla tavola, l'uomo gettò un'occhiata rapida al tramonto fuori dalla finestra, e sospirò.
“E'quasi ora. E' meglio che vada.”
Tonks annuì, avviandosi in salotto e prendendo Teddy fra le braccia: il bimbo era perfettamente sveglio, ma se ne stava tranquillo ad osservare curioso il mondo che lo circondava, come se avesse capito che per i suoi genitori si stava avvicinando un momento importante. Raggiunse Remus, che si stava avviando con un sospiro verso la cantina, e disse:
“Aspetta, fai in tempo ad accompagnarmi a mettere Teddy a letto?”
Non sapeva perché lo avesse chiesto: Teddy non stava dormendo, e probabilmente non lo avrebbe fatto ancora per un po', ma improvvisamente sentì che era importante che Remus compisse quel piccolo rituale anche quella sera.
La coppia si allontanò lentamente verso quella che era stata la stanza degli ospiti di casa Tonks, e che ora era diventata la loro camera, mentre Andromeda sorrideva incoraggiante a Remus.
Quando giunsero davanti alla culla di Teddy, Tonks porse delicatamente il piccolo a suo marito, che lo strinse a sé con estrema cura, cullandolo piano. Il bimbo, per tutta risposta, gorgogliò appena, sbattendo le palpebre e fissando con interesse il viso serio di suo padre. Remus baciò piano la fronte del bimbo, e con una stretta al cuore Tonks lo sentì sussurrare: “Perdonami, piccolo mio” prima di adagiare con un'ultima carezza il bimbo nella sua culla. I pochi capelli in cima alla testa di Teddy si erano tinti di una bella sfumatura di blu acceso.
Tonks strinse risoluta la mano di suo marito: Teddy non avrebbe avuto niente da perdonargli, ora ne era sicura.
Improvvisamente calma, accompagnò Remus fino alla porta della cantina, certa che sarebbe andato tutto bene. Non sapeva che cosa fosse successo, ma tutti i dubbi e le insinuazioni che il terrore di Remus aveva instillato anche in lei erano scomparsi: Teddy sarebbe stato bene, era evidente. Entro una decina di ore, Remus avrebbe potuto smettere di farsi lacerare dalla paura e dal senso di colpa, e finalmente la sua gioia nello stringere a sé Teddy sarebbe stata completa.
Tonks estrasse la bacchetta, pronta ad apporre tutti gli incantesimi di rinforzo e di sigillo alla porta d'ingresso della cantina. E dire che da piccola era letteralmente terrorizzata da quella stanza, al punto che si rifiutava anche solo di affacciarsi sulla tromba delle scale umide. Ora quella cantina era diventata la loro salvezza, l'ancora a cui si aggrappavano disperatamente per permettere a Remus di continuare a vivere con loro senza incidenti. Kingsley aveva promesso loro di aver trovato un contatto che sarebbe stato in grado di preparare la Pozione Antilupo entro un mese o due, e Tonks non vedeva l'ora che questo avvenisse: non riusciva più a sopportare i suoni strazianti che provenivano da quella stanza, e la vista di Remus disteso al centro della cantina e ricoperto dal suo stesso sangue, la mattina successiva alla trasformazione, tormentava i suoi incubi peggiori. Si trattava solo di aver pazienza ancora una luna o due, e poi le cose sarebbero davvero migliorate.
Remus le sorrise debolmente, la mano già posata sulla maniglia della porta, quando Tonks lo fermò gettandogli le braccia al collo. Lo baciò con foga, cercandogli le labbra con un'urgenza che non aveva più provato da quando era nato Teddy. Remus si irrigidì all'istante, ma Tonks insistette, testarda, fino a quando non avvertì un leggero cedimento. Be', quella lieve stretta attorno ai suoi fianchi non poteva certo dirsi una grossa manifestazione di passione, ma data la situazione Tonks si accontentò.
Quando finalmente si staccarono, Remus era più pallido che mai, sembrava pronto a scoppiare in lacrime da un momento all'altro.
“Ti amo tanto, Remus. Andrà tutto bene. A domani: io e Teddy ti aspettiamo.”
L'uomo le sfiorò il dorso della mano con la punta delle dita, prima di sussurrare:
“Ti amo anche io. Vi amo.”
Con un ultimo sospiro, si chiuse finalmente la porta alle spalle, e Tonks, il cuore gonfio di angoscia, si apprestò ad apporre tutti gli incantesimi del caso alle mura della cantina. Odiava quella parte, le sembrava di rinchiudere Remus in cella, di essere il carnefice spietato che lo gettava nella gabbia dei leoni.
Rimase immobile a fissare la porta di metallo ormai impenetrabile, certa che anche Remus stesse facendo la stessa cosa: sarebbe rimasta lì fino a quando non avesse sentito i primi gemiti di Remus, indice che la trasformazione stava iniziando, se il vagito acuto di Teddy non l'avesse raggiunta e richiamata nella stanza al piano di sopra.
“Mamma? I cuccioli di lupo nascono con i denti?”
Andromeda quasi fece cadere il libro che stringeva tra le mani - e di cui non aveva letto nemmeno una pagina.
“Che diamine stai dicendo, Dora?”
Tonks si strinse nelle spalle, guardando la linea corrucciata della boccuccia di Teddy, che dormiva placido e sereno fra le sue braccia.
“Be', sono certa che non succederà, ma se dovesse succedere, voglio essere preparata. Teddy non ha ancora i dentini, ma se dovesse trasformarsi?”
Tonks non credeva minimamente che questo potesse accadere, ma si trattava più che altro di una domanda ipotetica. Una domanda idiota, l'avrebbe definita Malocchio, con un ringhio. In momenti come questi, ripensare al suo vecchio mentore la tranquillizzava: per quanto tutti lo considerassero un vecchio paranoico, uno degli insegnamenti più grossi che le aveva lasciato era proprio la fiducia nei propri istinti. Vigilanza costante, attenzione ad ogni cambiamento, ma anche quel pizzico di follia necessario a fidarsi di sé stessi e a lasciarsi le paranoie e le paure alle spalle, arrivati ad un certo punto.
“L'anatomia di un lupo mannaro, che Teddy non è, non credo sia uguale a quella di un lupo comune. E comunque, saperlo non ti servirà a niente. Santo cielo, stai diventando più fissata di tuo marito.”
Tonks decise di abbandonare l'argomento: nonostante tutto quello che sua madre andava ripetendo, era evidente che la donna fosse piuttosto nervosa, altrimenti non avrebbe reagito in maniera così stizzita.
Be', si disse Tonks, la verità sarebbe venuta a galla a minuti.
Quando era ritornata in camera da Teddy, era riuscita a calmarlo in pochi minuti, ma poi aveva deciso che non voleva aspettare di scoprire la verità da sola: aveva avvolto con cura il bimbo nella sua copertina e si era accomodata in salotto, accanto a sua madre: Andromeda era sembrata piuttosto sollevata nel vedere la figlia e il nipote. Probabilmente anche lei, volente o nolente, era stata contagiata dalla febbre di terrore scatenata da Remus, e ora voleva togliersi una volta per tutte il dubbio sulla salute del suo amato nipotino.
Andromeda mise da parte il libro, stanca di fingere di leggerlo, e si limitò ad osservare il petto di Teddy sollevarsi e abbassarsi rapidamente al ritmo del suo respiro.
Improvvisamente, nel silenzio della sera un gemito strozzato attraversò le fondamenta della casa, fino a raggiungere le due donne rannicchiate sul divano in salotto. Tonks impallidì, riconoscendo l'eco di dolore nella voce di Remus, che si stava rapidamente trasformando nel ringhio di una bestia feroce in trappola.
Le dita della giovane donna si contrassero, ma subito dopo Tonks si costrinse a rilassarsi, e prese ad accarezzare piano l'orlo della coperta in cui aveva avvolto il suo bambino.
I gemiti di Remus crebbero d'intensità, fino a trasformarsi in un ululato che riempì il silenzio della sera con la sua presenza inequivocabile. Teddy parve non udire nemmeno il richiamo disperato del suo papà: continuò a dormire, sereno, arricciando ogni tanto la punta del nasino.
Quando il pianto di Teddy la svegliò, Tonks gettò uno sguardo ansioso oltre le tendine bianche che adornavano le finestre di quella che lei non avrebbe mai smesso di chiamare la stanza degli ospiti: il cielo era grigio, appena illuminato a oriente dai primi raggi del sole. Avrebbe voluto precipitarsi da Remus e affrettarsi a richiudere tutte le sue ferite, aggiustare le sue ossa rotte e baciarlo fino a quando non lo avesse visto sorridere, ma Teddy reclamava il primo pasto della giornata.
Rimase distesa a letto, mollemente appoggiata alla testiera imbottita, mentre Teddy poppava vigorosamente: se avesse continuato a mangiare così tanto, quel bimbo sarebbe diventato un gigante. Ripensò a quando, il giorno prima, aveva allattato Teddy in quella stessa posizione, e agli occhi terrorizzati di Remus: non avrebbe mai più visto quello sguardo sul viso di suo marito, ne era certa, e questo era tutto quello che contava.
Quando Teddy finì finalmente la sua poppata, per un attimo fu tentata di adagiare di nuovo il bimbo nella sua culla, ma poi cambiò idea: avrebbe dovuto fare qualche acrobazia, ma in qualche modo se la sarebbero cavata.
Cercando di non far rumore per non svegliare sua madre, Tonks attraversò il corridoio che passava davanti alla stanza padronale, poi, facendo attenzione a non inciampare - non si sarebbe mai perdonata se fosse inciampata con Teddy in braccio - scese lentamente le scale.
Quando arrivò davanti alla porta della cantina, la casa era immersa in un silenzio tombale. Con un po' di difficoltà, riuscì ad estrarre la bacchetta dalla tasca della vestaglia, e dopo qualche aggiustamento di posizione, per il quale Teddy protestò vigorosamente, finalmente riuscì a rimuovere tutti gli incantesimi di protezione che aveva apposto la sera prima alla porta della cantina.
La stanza era fiocamente illuminata da una lampadina che pendeva dal soffitto basso, e l'odore di muffa e di chiuso le diede il voltastomaco.
Remus giaceva a terra, al centro di un ampio spiazzo cosparso dei cocci e dei brandelli dei pochi mobili che erano stati presenti in cantina prima del suo arrivo, rannicchiato su un fianco, premendo una mano su una brutta ferita sul ventre che sanguinava copiosamente. Aveva gli occhi serrati, ma non appena sentì la porta aprirsi, sollevò il viso pallido ed esangue. C'era solo una domanda dipinta in quegli occhi sofferenti.
Normalmente, Tonks non avrebbe perso tempo con i convenevoli, ma si sarebbe occupata innanzitutto della ferita, rimandando qualsiasi chiacchiera ad un altro momento. Quella mattina però quasi corse al centro della cantina, incurante della stanchezza e delle raccomandazioni dei Guaritori di non fare troppi sforzi. Si inginocchiò accanto a Remus, aiutandolo a sollevare il busto, e gli mostrò con un sorriso radioso il visino sereno e in perfetta salute di Teddy.
“Sta bene, Remus, sta benissimo. Ha dormito come un angioletto per tutta la notte.”
Il colore improvvisamente riaffiorò sul viso esangue di Remus: una luce incredula gli illuminò lo sguardo, e a Tonks parve di avere davanti un uomo di dieci anni più giovane. Remus allungò la mano pulita verso Teddy, carezzandogli dolcemente il contorno morbido delle guance, e finalmente il suo viso si aprì in un sorriso così sollevato che Tonks stentò a riconoscerlo: non l'aveva mai visto così felice e sereno, nemmeno quando si erano sposati.
“Oh, Merlino, grazie.”
Fu tutto quello che Remus riuscì a dire, prima che il suo sguardo si offuscasse e due grosse lacrime scendessero a disegnare due solchi paralleli nella povere che ricopriva le sue guance.
Tonks non ricordava nemmeno come fosse riuscita a rimarginare e fasciare la ferita sul ventre di Remus, né come avesse Appellato una coperta per avvolgere il corpo tremante di suo marito, o come fosse riuscita a sostenerlo fino alla loro stanza, non con Teddy tra le braccia.
Sapeva solo che ben presto si erano ritrovati di nuovo a letto, proprio come il giorno prima: Remus era disteso al suo fianco, con Teddy placidamente accoccolato sul suo ventre, e lei non riusciva a distogliere lo sguardo da quell'immagine meravigliosa. La sua famiglia.
La mano destra di Remus si muoveva lentissima sulla schiena di Teddy, e con la sinistra l'uomo si allungò ad attirare a sé Tonks.
La ragazza affondò di nuovo il viso nell'incavo della spalla di suo marito, ricoprendolo di lievissimi baci. Istintivamente, intrecciò le sue dita a quelle di lui, e trattenne il fiato, sentendo sotto le loro mani il lieve ondeggiare del respiro di Teddy.
No, decisamente il suo cuore di semplice essere umano non era abbastanza grande per contenere tutta la felicità che sembrava sprigionarsi in ondate calde da quei tre corpi sereni.
Note:
Prima nota fondamentale: questa storia è stata pubblicata, inizialmente, nella mia raccolta di OS "Ogni giorno, ogni respiro". Dal momento che sono di una distrazione cronica, quella raccolta è stata cancellata per errore. Sto dunque procedendo a ripubblicare le storie lì contenute, prestando attenzione a non modificare in nessuna sua parte il testo delle storie che hanno partecipato ad un contest conclusosi negli ultimi quattro mesi.
Perdonatemi.
Detto ciò, sì, lo so: nei Doni della Morte Remus in realtà si convince della perfetta salute di Teddy subito alla sua nascita, perché ha ereditato le abilità di Tonks, ma sinceramente non mi ha mai convinta del tutto quella parte. O meglio, ho immaginato che quella sera lui fosse così ubriaco di felicità da non riuscire a ragionare lucidamente, ma non capisco perché l'essere un Metamorfomagus dovesse escludere su due piedi la licantropia di Teddy, quindi ho immaginato che nei fumi e nella profondità delle paranoie di Remus si fosse comunque insinuato il dubbio, passata la prima scarica di adrenalina.
Forse non ha senso, non lo so, scusatemi, ma questo capitolo è uscito così.