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Autore: RedSouls    19/01/2019    3 recensioni
Ginny viene smistata in Serpeverde. Le sarebbero serviti sette anni per capire il perchè.
Questa è la traduzione della bellissima FF di Annerb "The Changeling". Non sono mai stato un amante delle FF non canon, anzi. Ma questa, vi assicuro, è scritta talmente bene e i pezzi si incastrano così alla perfezione, che ne vale davvero la pena. Preparatevi, perchè sarà un viaggio davvero lungo.
P.S.: questa è la mia prima traduzione e sicuramente non sarà perfetta. Ho cercato di mantenere il più possibile lo stile dell'autrice, ma se in certi passaggi avete suggerimenti per rendere più chiara la traduzione sono apertissimo a ogni consiglio.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Armistice'
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    Note del Traduttore: Questa FF non è di mia proprietà, ne sono solamente il traduttore. Potete leggere l'originale qui

 

Capitolo 2 - Secondo anno

 

Quell’anno sarebbe stato diverso. 

O almeno così continuava a dirsi Ginny sul treno. 

Le fu dato ragione, in un certo modo, quando demoni di nero vestiti salirono a bordo a metà viaggio verso Hogwarts. Quello era diverso in modo del tutto nuovo (terrificante), esseri il cui unico scopo era quello di succhiare via ogni traccia di ottimismo alla quale si fosse mai aggrappata. Non riusciva quasi a spiegarlo, il modo in cui ogni più piccola traccia di calore lasciò il suo corpo al loro passaggio, scivolando silenziosamente a pochi centimetri da terra. Si fermarono, lo spazio vuoto dove ci sarebbe dovuto essere la loro faccia si voltò verso il suo scompartimento. Il ghiaccio gelò il vetro e un ronzio crebbe nelle orecchie di Ginny. 

Aberrazione. 

Rimase pietrificata, paralizzata, fino a che i demoni non si mossero oltre, andandosene silenziosi come erano arrivati.

Ginny tremò e si strinse forte la veste attorno al corpo. L’intero treno sembrò in soggezione per il resto del viaggio, timidi sussurri riguardo le guardie di Azkaban e un prigioniero fuggito serpeggiavano per gli scompartimenti. 

Dissennatori. Era cresciuta sentendoli nominare nelle fantasie contorte delle storie della buonanotte dei suoi fratelli, ma non li aveva mai visti prima. E non voleva vederne mai più.

Fortunatamente, quegli orrori fluttuanti non li seguirono all’interno di Hogwarts, rimanendo fuori dai cancelli della scuola, ma continuava a pensare di poterli sentire avvicinarsi. O forse era solo che dopo un’estate infilata nel caotico disordine della sua famiglia, Hogwarts sembrava fredda. Non ricordava fosse così solida, così silenziosa nonostante la calca degli studenti. Forse erano solo gli spazi silenziosi di Serpeverde sotto al lago ad essere terribili. Troppo simili alla Camera, dura roccia sotto le sue ossa. 

Evitò la sala comune il più possibile, sgattaiolando nel parco. Non verso quelle cose, ma pur sempre lontano.

L’erba attorno al lago era alta e soffice, lasciata crescere troppo a lungo durante le vacanze estive. Giorno dopo giorno il suo girovagare tracciò un sentiero. Indugiava in un punto a poca distanza dalla capanna di Hagrid e il confine della Foresta Proibita. A volte si chiedeva cosa si nascondesse lì dentro. 

Il più delle volte se ne stava in piedi in cima a quella collina e guardava. 

Talvolta lasciava vincere la gravità per vedere cosa si provava - il vento, l’adrenalina e il calore nei suoi muscoli. I suoi piedi volavano giù dal pendio della collina verso gli alberi, lo slancio la portava sul punto di perdere il controllo una volta per tutte. Quando incontrava il terreno pianeggiante, le gambe cedevano e cadeva pesantemente sulle ginocchia sentendo la carne bruciare e lacerarsi. Girandosi sulla schiena, prendeva grossi respiri, il petto le bruciava, la faccia in fiamme per lo sforzo mentre guardava nel terso cielo estivo. 

Rialzandosi e arrampicandosi di nuovo sulla collina, si lanciava giù di nuovo. 

* * *

La notizia apparì sulla bacheca la terza settimana di scuola, bordi netti e duri attorno a una spigolosa scritta nera:

Le selezioni per la squadra di Quidditch si terranno Sabato alle 9.

Qualcuno spinse Ginny da dietro, i ragazzi si chiamavano gridando verso l’un l’altro attraverso la stanza. Lasciò che la spingessero al fondo della folla. Non potè comunque dimenticare quelle parole, non adesso che le aveva viste. 

Sapeva quello che voleva. Che voleva più di qualsiasi cosa. 

Era solo del secondo anno, ma non pensava a quello. Ripensò solamente alla pressione del vento che la lasciava senza respiro, alla gravità che agiva contro di lei quando caracollava giù dalla collina di Hagrid. Non considerò che forse voleva solamente essere parte di qualcosa, una volta per tutte. 

(Suo padre le aveva detto, alla fine dell’estate, “Devi trarre il meglio da quello che ti capita, Ginny”. Sua madre le aveva semplicemente detto “Puoi sempre tornare a casa”.

Ginny non aveva alcuna intenzione di scappare a casa.) 

Il giorno delle selezione si annunciava fresco e sereno, il primo assaggio dell’autunno nell’aria. C’era stato un tempo in cui avrebbe potuto interpretarlo come un buon segno.

“Hey”, qualcuno l’apostrofò mentre usciva sul campo con la sua patetica scopa presa in prestito dalla scuola. “Credo che tu sia nel posto sbagliato, ragazzina.”

A parlare era stato Terence Higgs, di ritorno in squadra come Cacciatore. Staccava Ginny di un buon piede e mezzo, ma lei pensò con silente derisione che ‘ragazzina’ probabilmente era il miglior insulto del quale fosse capace. Quel pensiero dissipò molte delle preoccupazioni. Un Cacciatore era molto di più della mera altezza. 

Era preparata al fatto che le dessero del filo da torcere, che le dicessero che non poteva partecipare alle selezioni, ma non c’erano regole che impedissero a una del secondo anno di avere una scopa o di far parte della squadra e, ancora più importante, sapeva che poteva farcela, nonostante l’età, la taglia e l’esperienza. 

Nella conoscenza c’è potere, disse a se stessa. 

Solo allora il capitano, un mezzo ragazzo mezzo troll di nome Marcus Flint, guardò verso di lei, l’espressione dura. Prima che lui potesse dirle di andarsene, Ginny montò sulla scopa e schizzò verso le tribune nel modo più fluido che le sue mani tremanti le consentissero. 

Il suono delle voci e delle aspre risate la seguirono, trasportate dal vento, ma fu il suono secco di una mazza che avvertì davvero, anticipatore di quello che sarebbe successo di lì a poco. Mantenne la sua traiettoria fino all’ultimo secondo disponibile prima di spostare il peso, lasciando che la scopa cadesse verso il suolo in una mossa audace che avrebbe dato a sua madre le palpitazioni se fosse stata lì a vederla. Per un intero battito del suo cuore cadde, completamente senza peso. 

La coscia sinistra di Ginny bruciava per lo sforzo, ma spinse forte contro la scopa, facendo ruotare il suo corpo appena in tempo per vedere il Bolide che le passava a meno di mezzo piede dalla testa. Non sussultò, nemmeno quando avvertì i capelli svolazzare per lo spostamento d’aria. Non urlò, fluttuò semplicemente, incontrando gli sguardi dei ragazzi ancora a terra. Ignorò quello con la mazza in mano e invece scrutò Flint, sfidandolo. 

Sentiva la scopa fremere impaziente sotto le sue mani, ma sapeva che muoversi ora sarebbe stata considerata una resa. (Fred, George, Charlie e Ron… le aveva insegnato questo, una scaramuccia alla volta.) Tutto quello che chiedeva era una possibilità.

Alla fine Flint distolse lo sguardo, alzando il braccio. “Okay segaioli. Portate i vostri culi sulle scope.”

Con sorprendente efficienza ed autorità (anche se condito con più oscenità che altro), Flint li guidò attraverso una serie di vigorosi esercizi. Tutti tranne Malfoy, ovviamente. Sembrava contento di librare sopra di loro, girovagando senza meta sulla sua scintillante scopa di ultima generazione. 

Il suo contributo: la generosa ricchezza di suo padre. 

Ginny lo guardò con disgusto. Distratta dai suoi pensieri non si accorse della Pluffa che volava verso di lei se non quando si schiantò sul suo plesso solare. Riuscì in un qualche modo a bloccarla contro il suo petto, rifiutando di lasciarsi stordire, prendendo grossi respiri mentre volava  verso le porte in lontananza. Per poco non perse la testa per un insidioso Bolide proveniente da dietro di lei, ma riuscì ad avvitarsi e a scagliare la Pluffa nell’anello in basso a destra.

La sua concentrazione non vacillò più.

Quello che le mancava in stazza lo compensava con velocità e agilità e una specie di nervosismo spericolato che le risultò utile nel ruolo di Cacciatrice. Flint le fece fare esercizi più lunghi e duri di tutti gli altri, ma se sperava di spezzarla con condizioni ardue, aveva scelto la tattica sbagliata. Sentiva il fuoco bruciarle nello stomaco, qualcosa di familiare ma quasi dimenticato, come se per la prima volta si sentisse un po’ come era prima di Tom. Prima dei Serpeverde. 

Su nel cielo sentiva come se tutto fosse possibile. 

Stava quasi per tremare dalla fatica quando infine Flint le fece poggiare i piedi per terra. La guardò duramente per un lungo momento, forse per controllare un’ultima volta che volesse arrendersi. Non lo fece. 

Quando le passò accanto, la colpì forte sulla schiena, quasi scaraventando il suo corpo esausto faccia a terra nella polvere. “Cerca di non rovinare tutto, Weasel.”

Si appoggiò pesantemente alla sua Cleansweep e sperò che lui non lo notasse. “Scusami?”

Lui non si fermò, rispondendole da sopra la spalla. “Gli allenamenti sono al lunedì e al giovedì alle 4.” Indicò una lucente e quasi nuova Nimbus 2001 appoggiata al muro. “Non fare tardi. O cambierò idea.”

Lei lo guardò camminare via, aspettando la battuta finale, la crudele fine di quello che doveva essere uno scherzo. Il campo era silenzioso, tuttavia, e lei era tutta sola. Fu l’arrivo della squadra di Corvonero che infine la spinse a scambiare la Cleansweep per la liscia impugnatura della Nimbus. Sembrò vibrare di riconoscimento contro la sua pelle. 

Era nella squadra. 

Si concesse un lungo momento per festeggiare - avrebbe avuto tutta la notte per ispezionare ogni centimetro della scopa tra le sue mani. Per adesso voleva semplicemente immaginarsi le espressioni dei suoi fratelli. Quindi prese un respiro misurato, si issò la scopa sulla spalla e ricordò a se stessa che aveva ancora molto da dimostrare. 

Sorrise, solo un poco, mentre ritornava al castello. Le mani le accarezzavano lo stomaco. Non sarebbe affondata silenziosamente nelle rocce questa volta. 

Mai più.

* * *

La notizia si diffuse in fretta - la piccola Ginny Weasley si era accaparrata un posto nella squadra di Quidditch. I suoi compagni di casa la squadravano nella sala comune. Di tanto in tanto sentiva ‘Erede di Serpeverde’ sussurrato a mezza bocca accanto a ‘Cacciatrice’.

Non era quello che avrebbe mai immaginato essere la sua vita, ma forse andava bene così.

Persino Malfoy si degnava di parlarle e la maggior parte degli studenti più giovani seguirono il suo esempio. (Quelli più grandi la ignoravano come ignoravano chiunque dei più piccoli, troppo impegnati nei GUFO o nei MAGO o per sgattaiolare nel parco a limonare.)

“Ginny” diceva Malfoy, strascicando il suo nome, il braccio attorno alle sue spalle. 

Lei sapeva quello che voleva dire (tuo padre mi ha dato quel diario), ma non era mai quello che riusciva a dire. Perché per momento, appartenere a qualcosa era così più bello. Questa era la sua casa, la sua vita, e lei doveva trarre il meglio da quello che aveva. E Serpeverde non poteva essere così male come si diceva se lei ci era finita, non è vero?

Si allenava con la stessa dedizioni che mostrava a lezione. Avendo qualcosa su cui concentrarsi, si rifiutava di non dare tutto di sé. Non avrebbe dato a Flint una singola ragione per pentirsi della sua decisione. 

Lui finiva ogni allenamento con una pacca sulla sua schiena e l’avvertimento di non rovinare tutto. Imparò ad apprezzarne la prevedibilità. 

Guardò il primo incontro tra Grifondoro e Tassofrasso con il formicolio di trepidazione tra le dita, catalogando ogni tattica usata dai Cacciatori - le buone da emulare, le cattive da evitare. Era talmente tanto assorbita che non notò i Dissennatori fluttuare fuori dai loro confini fino a che un brivido freddo non corse sulla sua pelle e una voce odiata non risuonò nelle sue orecchie. 

Le persone urlarono e balzarono in piedi, le dita puntate verso la macchia scura che precipitava al suolo. 

Non così speciale, dopo tutto, canzonò Tom. 

Harry Potter stava cadendo dal cielo. 

Il cuore di Ginny le salì in gola, la mano estrasse la bacchetta prima di realizzare che non aveva idea di come salvarlo, di non sapere come restituire il favore. 

Il ragazzo che si spiaccicò.

“No,” disse Ginny. (Urlò? Non lo sapeva. Tom stava ancora ridendo.)

E poi Silente era lì, il volto pallido e furioso, l’energia crepitava dal suo intero corpo come un’esplosione argentata che costrinse i Dissennatori a ritirarsi. Harry colpì il terreno una frazione di secondo dopo con appena l’accenno di un suono, come se l’intero mondo si fosse trasformato in soffici cuscini di piuma. 

Le ginocchia di Ginny cedettero, scaraventandola nuovamente sul suo sedile. 

Se fosse stata più fantasiosa l’avrebbe preso come un segno delle cose che le sarebbero potute capitare. Ma non la era. Il suo cuore ritornò gradualmente dove doveva essere, il battito regolare. Tre giorni dopo fu in grado di salire sulla sua scopa senza più trepidazione di prima. 

Si obbligò a dimenticare nuovamente che qualche volta la gravità vince. 

* * *

Vinsero la loro prima partita. 

Certo, i Corvonero non erano nulla di cui preoccuparsi davvero, ma Ginny segnò sette gol, anche con la spalla escoriata da un Bolide dopo due minuti dal fischio d’inizio. Se si fosse concessa il momento di pensarci, avrebbe potuto accorgersi dell’accuratezza con cui il Bolide provenne dalla parte sbagliata del campo. Solo che non lo fece, perché la sua squadra le stava sorridendo e rivivevano i momenti migliori della partita mentre tornavano al castello come un unico grande gruppo. 

Sentiva come se fosse davvero parte di qualcosa per la prima volta da quando era arrivata lì. Pensò che forse l’avrebbero accettata, ora che aveva dimostrato di cosa era capace.

Non si era mai sentita così viva come su quella scopa, circondata dalla folla urlante.

La sala comune era vivace e chiassosa e in un qualche modo più accogliente quella sera. Il calore dei corpi e lo squillante vociare spazzava via il freddo da quel luogo e quando cominciarono a far girare una bottiglia di qualcosa di non meglio specificato, la sorseggiò assieme agli altri nonostante il sapore. 

Non notò quando gli altri se fermarono, quando cominciarono a batterle forte sulla schiena invocando solo un altro sorso, la voce di Malfoy vicina al suo orecchio. 

In seguito le cose diventarono molto confuse. 

Più tardi avrebbe avuto la vaga memoria di aver acconsentito al tatuaggio, l’assoluta assenza di dolore quando le si raggrupparono attorno e la dichiararono una di loro. Non avrebbe consentito a se stessa di ricordare che lei sola aveva una piccola e confusa linea verde che doveva essere un  serpente attorcigliato sul polso interno.

Lo fece perché questo era appartenere. Ed era bello. 

Si svegliò la mattina dopo sentendosi come a un passo dalla morte. Tirò indietro le sue tende con un grugnito. La luce delle lampade le bruciò gli occhi e per una volta fu decisamente grata che il loro dormitorio fosse sottoterra. La luce delle sole avrebbe potuto ucciderla. 

“Hai un aspetto orribile.”

Ginny strizzò gli occhi e trovò la sua compagna di stanza Smita in piedi accanto al proprio letto, in mano un calice fumante. 

Ginny si accigliò. “Già. Grazie.”

Smita non sembrò prendere il suo tono gelido come un invito a lasciarla dannatamente in pace, invece le porse il calice. 

Ginny lo guardò sospettosa. Per quel che ne sapeva, Smita poteva aver deciso di avvelenarla in mancanza di altro da fare quel weekend, ma era troppo depressa per preoccuparsi delle motivazioni. Afferrando il calice ne prese un sorso incerto. Le bruciò la gola, facendole salire le lacrime agli occhi, ma prima che potesse gridare in protesta, si depositò nello stomaco come un caldo e dorato bagliore che le pulsava attraverso il corpo. Allentò tutta la tensione e Ginny non esitò a trangugiare il resto. 

Per quando ebbe vuotato la coppa si sentì di nuovo quasi umana. 

“Grazie,” disse Ginny di getto, scrutando la sua compagna di stanza un po’ più da vicino. Era solo il suo mal di testa o Smita sembrava un leggermente meno ostile quel giorno? Ginny le sorrise incerta. 

Smita non sorrise. Le rivolse un singolo cenno col capo, girò sui tacchi e se ne andò.

E tanti cari saluti alle sue impressioni sull’umore di Smita. 

Ginny posò cautamente la testa sul letto. 

“Qualcuno mi svegli quando è lunedì”, mormorò alla stanza vuota. 

* * *

Ginny arrivò nella Sala Grande per la colazione con pochi minuti di ritardo. I suoi fratelli le si avvicinarono ai fianchi prima che potesse mettere un piede oltre l’ingresso. 

“Dove hai imparato a volare così?” chiese George. 

Fred lo schernì a voce alta. “Chiaramente guardando noi per tutti questi anni, George.”

Ginny alzò gli occhi al cielo e decise di non svelare i suoi segreti. Tutto quello che avevano fatto era stata trasformarla in una ladra. Non le avevano insegnato a giocare a Quidditch. Le avevano insegnato la perseveranza. L’audacia. 

Pensava che in un qualche modo quelle fossero qualità più importanti, comunque. 

Scrollandosi di dosso i propri fratelli al tavolo dei Grifondoro, attraversò la sala diretta al proprio. 

“Buongiorno, Sei” disse Bletchley, facendole un cenno di capo. “Come va la testa?”

Ginny le rivolse un sorriso beffardo, sentendosi avvampare le guance. “Ancora attaccata. Più o meno.”

Risero tutti, Flint le lanciò un pezzo di toast. 

Il sorriso di Ginny si allargò e si allungò per prendere il succo di zucca. 

Dopo colazione, Malfoy uscì dalla sala accanto a lei, Pansy, Crabbe e Goyle sentinelle silenziose accanto a loro. 

Malfoy stava ancora rivivendo la loro vittoria. “Hai visto come ho preso il boccino da sotto il suo naso?” disse, allungando il braccio come per inscenare l’azione.

Non era esattamente quello il modo in cui erano andate le cose, ma Ginny sorrise come se niente fosse, stringendo i libri al petto e annuendo. 

Era una di loro adesso. Davvero e veramente. E essere una di loro significava avere persone con cui camminare nei corridoi e con le quali sedere ai pasti. E dopo le lezioni di tutti i giorni aveva una splendente, costosa e incredibile scopa da cavalcare, una della quale sapeva che i suoi fratelli erano gelosi fino al midollo. Era più di quanto avesse mai potuto sperare. 

Tuttavia, quando un giorno oltrepassò una locandina di Sirius Black nei corridoio, si ritrovò a fissarlo urlare silenziosamente dalla foto rovinata. Si chiese quale fosse stata, l’ultima goccia che lo spezzò, che lo portò ad uccidere. Un anno fa avrebbe distolto lo sguardo, incapace di affrontarlo. Ora ne era affascinata e non sapeva perché. 

Ma nulla di tutto quello importava davvero perché lei aveva il Quidditch. La incoraggiava, le gelide dita del vento tra i capelli, la gravità che l’attirava e la lotta per controllare le sue membra. Era lei la padrona. Non credeva nella caduta, solo nella scalata. 

Lei e Smita parlavano persino qualche volta, adesso, di qualcosa di più profondo della semplice richiesta di ingredienti per le pozioni. Era… piacevole.

Piacevole era abbastanza. Era stanca di essere sola. 

Ridendo insieme a Malfoy e ai suoi amici mentre camminavano per i corridoio, Ginny mantenne il lo sguardo dritto innanzi a sé quando passarono la locandina di Sirius Black. 

Sapeva quel che stava facendo. 

* * *

Stava scendendo verso la sala comune dopo una lezione di pozioni quando udì voci familiari salire lungo le scale. 

“Cosa c’è tra te e la ragazza Weasley, Draco?” chiese Pansy, la voce stridula di disapprovazione. 

Ginny si fermò di botto, i suoi libri di scuola che sbattevano contro l’anca. 

“Te la stai trascinando dietro come un elfo domestico.”

Ginny aspettò, stolidamente, che Malfoy la difendesse. Che precisasse che lei era nella sua stessa squadra di Quidditch. Che era valida. Che era una di loro.

Invece quello disse con voce strascicata, “Lo so, non è patetico? Spendi cinque secondi ad essere gentile con lei e quella fa di tutto per cercare di essere la tua migliore amica.”

Ginny sentì lo stomaco scivolarle dalle parti dei piedi quando le risate spezzanti rimbalzarono nella tromba delle scale. 

“Avete visto quel tatuaggio?” chiese Pansy. “Non posso credere che te lo abbia lasciato fare. Dev’essere disperata.”

Risero tutti di nuovo, gli ululati di Malfoy ben udibili tra tutti. 

“Lasciami indovinare, Draco” disse un’acuta voce nasale che Ginny identificò appartenere a Blaise Zabini. “Hai dei piani per lei.” Non poteva vedere il suo sorriso lascivo, ma era tutto lì nella sua voce. 

“Te lo immagini?” rispose Malfoy con sarcasmo. “Limonare la piccola sorellina di Weasel? Lo distruggerebbe.”

Ci furono più risate a risuonare per la sala e Ginny si voltò bruscamente, desiderando di tapparsi le orecchie con le mani. Voleva scivolare lungo il muro, collassare sui gradini, ma sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe più stata in grado di rialzarsi. 

Suppose che era questo che succedeva quando era la gravità a vincere. 

Smita le toccò il braccio e Ginny sobbalzò. Non aveva alcun bisogno di ricordarsi che la sua umiliazione aveva un pubblico. La mano si fece comunque più insistente, quindi Ginny si costrinse a sollevare lo sguardo. 

Smita la guardava dritta negli occhi. Nessuna pietà, nessun segno di divertimento. “Ho fame”, disse come se quella fosse solamente un’altra noiosa lezione di Storia della Magia. “Tu?”

Ginny l’osservò completamente imbambolata. 

La mano di Smita la strattonò per il braccio e Ginny si lasciò guidare lontano. 

Mangiarono in silenzio. 

* * *

Il Quidditch non era più divertente e quella era la beffa più grande di tutte. 

Malfoy gracchiava ancora il suo nome per i corridoi, le faceva l’occhiolino al campo d’allenamento e lei si vergognava ad ammettere che non faceva assolutamente nulla a proposito. Non che parlasse come avrebbe fatto prima o altro, ma nemmeno lo insultò.

Non si permise di pensare troppo al perché.

Invece fece buon viso a cattivo gioco, andando avanti come se nulla fosse cambiato. La notte imparò a ricacciare indietro le lacrime come una qualsiasi debolezza. Imparò a ricacciarle indietro e a non soffocare. A volte si ritrovava a cercare il suo baule, a cercare pagine che non erano lì e finiva per odiarsi ancora di più per quell’impulso. 

Non voleva mai più sentirsi un fantasma, non importava quando più semplice potesse essere. 

“Sai,” disse Smita un giorno mentre schiacciava i baccelli di tentacula con un ritmico thud, thud, thud. La sua voce era la più tagliente che Ginny le avesse mai sentito. “Lucius Malfoy è stato licenziato dal Consiglio della Scuola durante l’estate.”

Gli occhi di Ginny schizzarono verso di lei, il cervello lavorava febbrilmente per cercare di capire cosa quello dovesse significare. Cosa gliene importava di Lucius Malfoy?

Smita si strinse nelle spalle. “Dicevo soltanto.”

A cena, Ginny sedette a pochi posti di distanza da Malfoy, abbastanza vicino da osservarlo, ma non così tanto da parlarci. Osservò la sua normale ostentata sicurezza, la sua innata aria di superiorità, ma pensò che ci fosse qualcos’altro poco al di sotto. Qualcosa che la fece pensare ancora a quella foto urlante di Sirius Black. 

Lo osservò bighellonare pigramente durante gli allenamenti, ma sentiva come portava costantemente l’attenzione sulle scope, su suo padre. Lo faceva sempre più spesso. 

Notava un sacco di cose ora che si dava la briga di guardare. 

A pozioni, Ginny si voltò verso Smita, sollevando la manica della camicia per svelare la macchia verde sul suo polso. “Pensi di potermi aiutare a levare questo?”

Smita le rifilò un lungo sguardo pregno di significato. Alla fine annuì. “Si. Posso provarci.”

Ginny osservò che forse aveva un’alleata che non aveva mai notato prima. 

Nonostante tutto quello che provarono, tuttavia, non riuscirono a rimuovere il tatuaggio. Rimase ostinatamente al suo posto. Come un promemoria, pensò Ginny. 

Ma Smita l’aiutò a imparare a far svanire l’alcol dal suo bicchiere prima di berlo senza dire neanche una parola. (“Magia di livello MAGO”, disse Smita con un vivido luccichio negli occhi che Ginny cominciava a trovare estremamente confortante). La squadra cominciò semplicemente a complimentarsi con lei per la sua abilità nel reggere il bere. 

Lei sorrideva e tirava la manica più in basso sul polso. 

* * *

Il più delle volte Ginny non sapeva decidere se era più arrabbiata con Malfoy o con se stessa. Quanto era stata stupida?

Durante gli allenamenti fantasticava sul scaraventare la preziosa scopa di suo padre ai suoi piedi come se non significasse nulla per lei, una semplice sciocchezza. Avrebbe inarcato un sopracciglio e messo una mano sul fianco. “Non ci sono abbastanza scope nel mondo, Malfoy” immaginava di dire, il resto della squadra che la osservava. 

Era troppo brava per mollare, ricordava a se stessa. Era troppo importante per la vittoria e questo era un’altra forma di potere. Era una Cacciatrice migliore di quanto lo fosse Malfoy come Cercatore. E fu con quella realizzazione che cominciò a capire che l’improvvisa accettazione di Malfoy nei suoi confronti aveva a che fare con lei e la sua fama di Erede di Serpeverde tanto quanto il licenziamento del padre. Era Malfoy ad aver bisogno di lei, non il contrario. 

Non sarebbe stato in grado di ribattere al suo rifiuto, la faccia scarlatta mentre uscivano sul campo. 

Chiuse gli occhi e immaginò tutto quello con trionfante chiarezza. 

Solo che non fece nulla di tutte quelle cose. Invece, quando venne l’ora della loro partita successiva, aspettò che il resto della squadra uscisse e ripose con cautela la sua Nimbus 2001 nel baule degli equipaggiamenti. Provò una piccola fitta di dolore al petto quando lasciò andare la liscia e lucente impugnatura, ma la dimenticò in fretta quando afferrò la vecchia e familiare Cleansweep, il legno ruvido nella sua mano. 

Quell’assenza di gravità che sentiva non aveva nulla a che vedere con il nome della scopa. 

Ginny segnò dodici gol e osservò con sinistra soddisfazione il Cercatore di Tassofrasso volare in circolo attorno a Malfoy. Sembrava che quelle scope di lusso non riuscissero a reggere il confronto col talento, dopotutto. 

Lanciò a un sorpreso Cedric Diggory un sorriso brillante mentre filava oltre e rise forte nel vento. Questo era meglio appartenere. Forse era persino meglio di vincere. Ginny saettò verso le porte, determinata a fare del proprio meglio per tenerli in vantaggio. 

Alla fine, tuttavia, fu Diggory che prese il boccino mentre Malfoy perdeva tempo dalla parte opposta del campo. 

Ginny atterrò mentre gli spalti si svuotavano. I Tassofrasso festeggiavano fragorosamente al centro del campo.

“Gran bel volo, Ginny”, le disse Harry mentre le passava accanto con un gruppo di Grifondoro. 

Lei aveva il fango tra i denti e i capelli sudati appiccicati al collo, ma non gliene importava molto. Non era più la ragazzina con il gomito infilato nel piattino del burro. “Grazie” fu tutto quello che disse. 

Lui non indugiò. La prossima partita si sarebbero scontrati per il campionato, dopotutto. E Ginny non aveva intenzione di perdere anche quella. 

Anche Fred e George le si avvicinarono, ma solo per chiedere cosa diavolo le era saltato in testa, rinunciare a una Nimbus 2001 per una vecchia Cleansweep della scuola. Lei sorrise e basta, lasciandoli pensare quello che volevano. Non si aspettava che capissero. Come avrebbero potuto? Le loro vite erano sempre state esattamente come si aspettavano che fossero. 

Ipotizzò che questo facesse di loro delle persone fortunate. 

Malfoy era intelligente abbastanza da notare che qualcosa era cambiato, che il suo regalo gli era stato rigettato in faccia, anche se solo metaforicamente. Ma, come aveva sospettato, non potè fare nulla a riguardo. Non quando aveva fallito nella cattura del boccino e lei praticamente da sola aveva fatto la differenza. 

Tuttavia, lui e i suoi tirapiedi cominciarono a deriderla al tavolo della colazione. Almeno è onesto, pensò. 

Sorrise loro di rimando come se nulla fosse e si servì un secondo piatto di uova. Flint si accasciò accanto a Ginny e cominciò a discutere con Bletchley su quali nuove tattiche avrebbero dovuto integrare negli allenamenti se volevano battere Grifondoro. Doppio allenamento per tutta la settimana seguente, dichiarò. 

“Cosa ne pensi, Sei?” le chiese. 

Sembrava che non gli importasse di quale scopa Ginny cavalcasse, fintanto che continuava a segnare. Lei sollevò il mento. “Ci sto”, disse. 

Tuttavia, nulla sembrava più come prima. Ora riusciva a vedere le crepe, sentire le persone dire solamente quello che pensavano gli altri volessero sentirsi dire. 

Si convinse che quella era una buona lezione da imparare. 

* * *

Non vinsero la partita contro Grifondoro. 

Era strano guardare oltre il campo e vedere due suoi fratelli e una vecchia cotta d’infanzia dall’altra parte. Pensava, prima dei loro primi gol, che i suoi fratelli ci sarebbero andati leggeri con lei. Non durò molto, comunque, dopo la prima volta che scagliò con precisione infallibile la Pluffa a segno alle spalle di Wood.

Tuttavia, alla fine vennero a patti col semplice fatto che Grifondoro giocava meglio di loro. E ancora una volta Harry Potter acchiappò il boccino mentre Malfoy faceva l’idiota. 

I Grifondoro erano ammassati in una trionfante pila al centro del campo, Harry perso chissà dove sotto quell’ammasso. Malfoy li osservava da qualche metro di distanza, scostando i capelli dalla faccia con movimenti bruschi. La sconfitta non gli si addiceva. 

Incontrò il suo sguardo e la sua espressione si indurì mentre lei inarcava un sopracciglio e i suoi occhi si posavano con deliberata lentezza sulla sua scopa. L’insulto era chiaro. La sua faccia avvampò e Ginny si voltò per imbattersi in un imprecante Flint. 

Perdere faceva schifo. Non poteva negarlo. Ma quando incontrò Smita ad attenderla a bordo campo, pensò che almeno stava cominciando a vedere le cose per quello che erano veramente. Doveva valerne la pena. Giusto? (Ma, oh, perché doveva fare così male?)

“Mi dispiace che hai perso”, disse Smita in quel suo modo particolare (non freddo, aveva realizzato Ginny, solo fermo).

Ginny scrollò le spalle. “C’è sempre il prossimo anno.”

Smita annuì e menzionò una runa che pensava Ginny potesse incidere sul manico della sua scopa per ottenere una più rapida decelerazione. 

Ginny sorrise. Questa volta pensando che era proprio quello che intendeva fare. 

* * *

Il resto del trimestre passò in un groviglio confuso di esami, addii e l’evasione dal castello da parte di un pluriomicida (su un Ippogrifo, fra le altre cose, come se i pettegolezzi della scuola fossero del tutto attendibili). Ginny si domandava a volte quanto vicina era sta a trovarsi faccia a faccia con Sirius Black in un corridoio buio, cosa avrebbe fatto in quella situazione. 

Provò un sinistro, debole fremito allo stomaco al pensiero. Era ancora piuttosto sicura di avere delle domande, solo che non aveva idea del perché pensasse che lui potesse avere delle risposte. 

Ron uscì dall’infermeria prima che potesse avere l’opportunità di andarlo a trovare. Quando riuscì a rintracciarlo in un corridoio l’ultimo giorno di lezioni lui, Harry ed Hermione erano ancora più evasivi ed enigmatici del solito. 

Stava rischiando di far arrivare tutti in ritardo alla lezione successiva continuando a ronzargli attorno, ma non è che Ginny potesse semplicemente presentarsi nella Sala Comune di Grifondoro per accertarsi che Ron stesse bene. 

“Che c’è?” si lamentò Ron, l’impazienza chiara nella sua voce. Infastidito dalla sua stupida sorellina. 

Si trattene dal trasalire, la mano che compulsivamente tirava la manica più in basso sul polso. (Oh, Merlino, tra pochi giorni avrebbe dovuto cominciare a indossare maglie a maniche corte e la sua vita sarebbe diventata in un vero inferno se Molly Weasley ne fosse stata messa al corrente.)

“Sono solo felice che tu stia bene, Ron” mormorò tutto d’un fiato, stringendo i suoi libri al petto e tornando da dove era venuta. 

Udì il sordo tonfo di una mano contro la carne e un indignato “Ow!” da parte di Ron, ma non si voltò a guardare. 

Ginny passò il viaggio in treno seduta accanto a Smita. Alcune ragazze del primo anno di Serpeverde le sedevano di fronte, i loro occhi nervosi si incontravano in una comunicazione silenziosa. Chiaramente erano lì per una sfida di qualche tipo. L’intrepida del gruppo finalmente parlò dopo un’ora di viaggio e Ginny si preparò all’interrogatorio su Malfoy, la Camera, i suoi stupidi fratelli di Grifondoro. 

“Sei la prima ragazza nella squadra di Serpeverde da oltre una decade” disse lei tutto d’un fiato. 

Ginny si accigliò. “Davvero?” Non l’aveva mai notato. Se l’avesse fatto si chiese se avrebbe avuto comunque il coraggio di provarci. 

Le tre ragazze annuirono all’unisono, guardandola non come un mostro o un’estranea o nemmeno come una ragazza, ma come se fosse… un’eroina. 

“Beh” disse Ginny, deglutendo con forza il disagio che le stava crescendo in gola. “Era probabilmente l’ora di un cambiamento.”

“Si”, disse la più coraggiosa con un luccichio negli occhi che Ginny riconosceva fin troppo bene. 

Vicino a lei, la spalla di Smita colpì distrattamente la sua. “Hey” le disse, accennando al carrello che stava passando in quel momento, il più piccolo accenno di quello che solo su Smita si poteva considerare un sorriso. “Io ho fame. Tu?

Ginny si morse l’interno delle labbra, “Si”, concordò. “Anche io.”

Il resto del viaggio non lo passarono in silenzio. 

Forse, pensò Ginny, era questo che significa davvero far parte di qualcosa.

* * *

Di ritorno alla Tana, Ginny stava in ginocchio ai margini del giardino di sua madre. Il sole era caldo sul sulla schiena e sul collo, le mani fredde nella scura terra. 

Un’ombra la coprì e alzò lo sguardo per vedere Ron in piedi accanto a lei. Sollevò un sopracciglio, sorpresa di vederlo. Di tutta la sua famiglia era sempre stato con lui che aveva avvertito la tensione più grande, la distanza maggiore, come se non riuscisse a perdonarla per l’oltraggioso fatto di essere stata smistata in Serpeverde. 

Ma adesso, sotto il sole estivo, si inginocchiò accanto a lei nella terra e chiese, “Come stai, Gin?” con tono dolce e confuso che le fece male in posti inaspettati. Forse poteva non essere il ragazzo più sensibile al mondo, ma era il tipo che cercava sempre di aggiustare le cose quando finalmente le capiva, non importava a quale prezzo. 

“Sto bene” disse, in parte perché sapeva che un giorno sarebbe stato davvero così e in parte perché sapeva che era quello che lui aveva bisogno di sentirsi dire.

Ron annuì, strappando distrattamente una calendola. La tensione non aveva del tutto abbandonato le sue spalle. Non aveva parlato molto di quello che era successo il giorno che si ruppe una gamba, il giorno in cui Sirius Black evase da Hogwarts, poco importava quanto Fred e George lo tormentassero per i dettagli. Lei aveva qualche idea, tuttavia, di cosa poteva essere stato. 

“Mi dispiace per Crosta”, disse. 

Ron sbiancò, ma non di dolore, piuttosto per qualcosa di simile al disgusto. Si riprese dopo un momento, schiarendosi la voce. “Già, beh, era vecchio.”

Da tempo aveva imparato a leggere l’affetto tra i suoi bruschi modi di fare - la prerogativa di una sorellina - ma questo era qualcosa di diverso dall’indifferenza nei confronti di qualcosa di seconda mano.

Lo fermò dallo strappare un’altra delle amate calendole della loro madre. “Ron?”

La guardò, sbattendo le ciglia come se fosse sorpreso di vederla ancora lì. Fece una smorfia, scuotendo il capo. “È solo che… è strano come le cose non siano sempre come sembrano, vero?”

Era l’ultima cosa che si aspettava di sentire da lui, ma così simile ai suoi stessi pensieri di quei giorni che non potè non sentirsi più vicina a lui. 

“Eccetto Malfoy” disse lei, una sorta di offerta di pace. Una cosa sulla quale poteva concordare entrambi. 

Lui non reagì subito, come se si aspettasse una qualche trappola, ma poi un sorriso si aprì lentamente sul suo volto. “Già”, disse. “Lui è proprio l’idiota che sembra.”

Risero insieme e per un momento fu come quell’ultimo anno in cui erano rimasti solo loro due alla Tana. La spalla di lui colpì la sua e lei allungò le gambe, appoggiandosi al suo braccio. Sedettero così per un po’, godendosi il sole, i lavori di casa momentaneamente dimenticati. 

Ginny lanciò uno sguardo alla bianca palla di piume che non si allontanava mai troppo da Ron in quei giorni, abbastanza per consentirgli di ostentare fastidio. Non aveva ancora spiegato come l’uccello sembrava averlo adottato casualmente. “Gli hai già dato un nome?”

Ron alzò lo sguardo, accigliandosi automaticamente alla vista del gufo. “No.”

Lei osservò il gufo per un momento, facendo finta di pensare intensamente. “Leotordo.”

“Cosa?” chiese lui, facendole una smorfia. 

“Leotordo”, ripetè. “È perfetto.”

Il gufo bubbolò e svolazzò sopra la testa di Ron in segno di approvazione.

“Leotordo?” ripetè lui orripilato. Lanciò uno sguardo al gufo che quasi fremeva d’eccitazione sopra di loro. “Maledizione, Gin!”

Ginny rise, si alzò in piedi e caracollò giù per il pendio del prato, il gufo battezzato di fresco che  ululava nella sua scia. 

Non inciampò. 

 

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Commenti Traduttore: santo cielo sono arrivato alla fine. E questo era ancora uno dei capitoli corti. Che il cielo mi assista per quando arriverò a tradurre il sesto anno, se sarò ancora in forze! Come sempre raccomandazioni di rito: non avendo un beta, se notate qualche errore (orrore) ortografico o di costruzione delle frasi che proprio non ci stanno fatemelo sapere. Se volete commentare in merito alla storia sarò ben felice di riportare le vostre parole all’autrice originale della FF.

Per il resto fate i bravi, mangiate le verdure e pensatemi che il prossimo capitolo sarà lungo almeno il triplo di questo. 

A presto,
Francesco.

  
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